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commerciali e le privative industriali 3.5.1 Pietre e marmi artifi ciali “commerciali”

3.5.2 Le privative industrial

Seppur in un periodo di apparente chiusura verso l’estero, la cir- colazione di informazioni e documentazione tecnica è fl oridissima. Lo dimostrano le numerose rubriche periodiche delle principali riviste di settore, che riportavano brevetti, privative industriali e nuovi ritrovati nel settore dei materiali e delle costruzioni. Da “Il Politecnico” fi no a “Casabella”, le riviste dei primi anni trenta riportavano elenchi più o

Pubblicità risalente agli anni trenta di un intonaco colorato. Simili prodotti erano estremamente diffusi e pubbli- cizzati con le diciture “pietrifi canti” o “pietrifi cati”.

Segnalazione dei brevetti pubblicata sulla rivista “Casabella” nei primi anni trenta. Nel primo elenco è riportato un “Procedimento per dare superfi ci d’aspetto marmoreo a blocchi in ma- teriale cementizio o simili”, mentre nel secondo elenco è riportato un gene- rico “Marmo artifi ciale”.

meno dettagliati non solo dei brevetti italiani, ma anche dei più inte- ressanti brevetti esteri, e delle rispettive cessioni di licenza d’esercizio. Si diffondono in questi anni, soprattutto a Torino, Milano e Roma, sia gli studi tecnici per la protezione della proprietà industriale, per l’ot- tenimento di privative industriali o per la registrazione di marchi e modelli di fabbrica, sia gli uffi ci specializzati nell’ottenimento di bre- vetti italiani e nella vendita in Italia dei brevetti stranieri.

Tra l’inizio degli anni venti e la fi ne degli anni trenta sono nume- rosissimi i brevetti internazionali, soprattutto inglesi e nordamericani, che hanno come soggetto principale o come ricaduta applicativa le pietre artifi ciali (cast stone o artifi cial stone) o le superfi ci a imitazione del marmo (artifi cial marble).

Pur con differenze e peculiarità appare evidente che la diffusione delle pietre artifi ciali cementizie o marmi artifi ciali non sia esclusiva della produzione architettonica italiana, ma sia al contrario ampia- mente diffusa in europa e anche negli Stati Uniti. È importante ricor- dare ad esempio che lo stesso cemento Portland venne così denomina- to per la forte somiglianza con una pietra da costruzione utilizzata in Inghilterra e cavata a Weymouth, nella penisola di Portland.

I primi brevetti depositati in Italia riguardanti le pietre artifi ciali risalgono già alla fi ne dell’ottocento, quando in prevalenza la richiesta del brevetto equivaleva a tutelare ricette, miscele particolari e nuove composizioni13. È in questi esempi che maggiormente si commistiona l’aspetto artigianale, in certi casi alchemico, di ricerca e defi nizione della migliore ricetta con l’aspetto industriale, rappresentato dalla tu- tela legale da ottenersi con il deposito del brevetto.

I primi brevetti italiani depositati in materia di pietra artifi ciale14 si limitavano a descrivere gli impasti realizzati con materiali sempre diversi per rispondere a differenti specifi che di economicità, durezza, leggerezza, resistenza agli urti e agli agenti atmosferici. Solo in rari casi erano riportati i processi di fabbricazione, come invece era prassi per brevetti stranieri depositati anche in Italia.

A partire dal primo decennio del novecento l’attenzione si spostò dalle miscele alle macchine per la fabbricazione della pietra artifi ciale, con la sperimentazione dei primi processi di produzione in serie attra-

Brevetto US 2170936. Processo e apparecchiature per la produzione di pietre artifi ciali (1939).

verso l’invenzione di apparecchi che consentivano di produrre simul- taneamente e con rapidità di esecuzione elementi ripetitivi.

Negli anni venti e trenta i brevetti ripercorrono parallelamente i due indirizzi già visti, però con una netta prevalenza di processi di for- matura, stampi e attrezzature per la realizzazione o la lavorazione della pietra artifi ciale. I brevetti relativi a miscele particolari tutelavano ge- neralmente specifi che caratteristiche prestazionali, quali ad esempio l’impermeabilità, o qualità estetiche.

1 GRIFFINI 1948, p. 433. 2 GRIFFINI 1932, p. 203.

3 Una sintesi esaustiva del processo produttivo delle lastre in Eternit è contenuto

in GHERSI 1916, pp. 414-418. Per approfondimenti specifi ci sull’uso dell’Eternit si rimanda a Daniela Allasina, Le applicazioni dei materiali compositi nell’ architettura mo-

derna : l’ Eternit, tesi di laurea, relatori Anna Maria Zorgno, Maria Luisa Barelli, Poli-

tecnico di Torino, Facoltà di Archittettura, A.A. 1998/1999.

4 La “Società Anonima Eternit - Pietra Artifi ciale” venne fondata a Genova nel 1905

dall’ingegnere Adolfo Mazza, con il contributo dell’industriale ligure G.B. Figari. Mazza acquistò il brevetto per lo sfruttamento in Italia da Hatschek e iniziò la produ- zione all’inizio del 1907, scegliendo come collocazione strategica Casale Monferrato, nel cui comparto era ormai consolidata l’industria cementifera.

5 GRIFFINI 1948, p. 432. 6 Si veda anche MUSSO 1930. 7 GRIFFINI 1948, p. 432.

8 Il Cromocemento e il Cromobeton erano entrambi prodotti e commercializzati dalla

Soc. An. Cromocementi di Milano. Il Cromocemento, come indicato anche nel capi- tolo dedicato ai cementi, era un cemento Portland colorato con pigmenti minerali, secondo un procedimento brevettato.

9 «Il Durintonaco è un materiale che si applica in pasta direttamente a rinzaffo comu-

ne di calce e sabbia. Ne risulta un rivestimento durissimo, omogeneo, monolitico, neutro, esente da screpolature. È indicato per qualsiasi tipo di rivestimento.»; «il Du- rosolfato è un materiale idraulico, quindi non si screpola né si sgretola per l’umidità ambiente. A presa avvenuta è duro, monolitico, non fa effl orescenze, non si screpola e sopporta bene le variazioni di temperatura climatica. […] Un rivestimento così fatto è lavabile, duro, estetico, igienico ed economico», da GRIFFINI 1948, pp. 432-433. Brevetto GB 277884 del 1927 per

il miglioramento degli stampi per la realizzazione di blocchi in pietra arti- fi ciale, calcestruzzo e simili.

Annotazioni sull’utilizzo del Durintonaco erano già riportate in GRIFFINI 1932, p. 203. Prodotti di fi nitura simili, commercializzati con nomi differenti, sono sinteticamente presentati anche in ASTRUA 1963, pp. 92-94.

10 Si tratta in generale di vernici bianche, addizionabili con pigmenti minerali, e uti-

lizzabili su vari supporti, ma in particolare applicabile su fondi umidi quali gli into- naci cementizi freschi, pertanto in grado di legarsi intimamente all’intonaco stesso durante la fase di presa. In particolare la Cementite è una vernice bianca opaca con tonalità lattiginose, “pietrifi cante” e lavabile; la Membranite è un fi ssativo, o gluti- nante, allo stato di pasta acuosa, adatto alla preparazione di pitture per esterno e per interno, addizionato con l’aggiunta di coloranti minerali permetteva di ottenere fi niture opache o lucide, infi ne l’Arsonia è una pittura mordente sia per esterno che per interno, disponibile in un’ampia di serie di colori permetteva di ottenere super- fi ci opache, dure e compatte.

11 Si veda ad esempio ASTRUA 1963, pp. 93-95,

12 ASTRUA 1963, p. 93. Per alcune considerazioni sulla sperimentazione dei componenti

per intonaci e sistemi di coloritura, si rimanda a BORTOLOTTO-GIAMBRUNO 2008.

13 Si cita a titolo d’esempio il brevetto n. 39885 depositato nel 1895 da Carlo Pejrano

per tutelare l’impasto di una pietra artifi ciale detta Pietra artifi ciale Pejrano. Si riman- da a BARILÀ 2004 per ulteriori approfondimenti e riferimenti.

14 I brevetti erano depositati all’Uffi cio Centrale Brevetti del Regno d’Italia, oggi rac-

colti presso l’Archivio Centrale dello Stato, fondo Ministero dell’Agricoltura, Indu- stria e Commercio, raccolti nella categoria XIV (Materiali, laterizi, cementi, calci ed

altri materiali da costruzione). Renata Barilà ha recentemente indagato questa docu-

mentazione, analizzando in dettaglio circa 120 brevetti risalenti agli anni compresi tra il 1876 e il 1921. Una parte estremamente limitata della ricerca è pubblicata nel già citato BARILÀ 2004.

Abstract

L’individuazione di casi studio ha permesso di analizzare, inizial- mente da un punto di vista macroscopico, la produzione di pietra arti- fi ciale, mostrando una varia casistica materica e produttiva. Il ricorso all’imitazione del travertino, come presumibile, è predominante, ma non esclusivo; diffusa è infatti l’imitazione di dioriti e graniti, la cui resa, soprattutto dopo le lavorazioni di lucidatura o smerigliatura, era di grande effi cacia.

I numerosi esempi di travertino artifi ciale rilevati mostrano risul- tati visivi e cromatici comuni, a conferma di una tecnica realizzativa nota e diffusa, come dimostrano anche le indicazioni riportate nella manualistica pratica dell’epoca. Più legate ai “segreti di bottega” appa- iono invece le imitazioni degli altri litotipi.

La scheda di ciascun caso studio, individua gli elementi distintivi dell’edifi cio e approfondisce i principali elementi in pietra artifi ciale, con particolare attenzione all’individuazione della tecnica realizzativa, alle caratteristiche delle composizioni e alla defi nizione dello stato di degrado. I dati raccolti permetteranno di elaborare un quadro delle patologie ricorrenti, relazionabile con le caratteristiche produttive e materiche e le condizioni ambientali al contorno.