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NELLA PRATICA CLINICA

Da quanto esposto negli scorsi paragrafi parlando delle diverse tipologie di invasature, delle cuffie e dei sistemi di sospensione, sembrerebbe che il mantenimento dell’equilibrio (e quindi la ricerca di un distribuzione quasi-idrostatica di pressioni sul moncone) sia un procedimento molto semplice basato su considerazioni elementari di tipo ingegneristico/tecnico e su equilibri di forze: in realtà la presenza di un’interfaccia tra un qualsiasi dispositivo ed il corpo umano crea tutta una serie di problemi, che rendono difficile (ma non impossibile) il raggiungimento di una distribuzione uniforme di pressioni.

I tessuti biologici sono composti da materiali con distribuzione spaziale non omogenea, altamente non lineari e come già accennato al principio dello scorso paragrafo in continuo rimodellamento. Un moncone è quindi unico e non ripetibile, non solo se confrontato ad altri monconi, ma anche verso se stesso in istanti temporali differenti: caratteristiche in continua evoluzione come la forma, la quantità di massa magra, di massa grassa e di idratazione locale (che concorrono al volume del moncone) e la loro distribuzione, la presenza di cicatrici, edemi, dermatosi, ulcere e abrasioni causate dal contatto con l’invasatura o da altri fattori,

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vascolopatie pregresse creano delle difficoltà indubbiamente oggettive allo svolgimento di una corretta valutazione clinica e tecnica che possa portare a realizzare un accoppiamento che sia funzionale al movimento della protesi, e (nei limiti del possibile) non doloroso per il paziente.

Seppur sia noto che, una trattazione del fenomeno con un metodo numerico non possa risolvere tutte le problematiche sopra descritte, sicuramente la conoscenza ex ante della loro eventuale presenza, e delle possibili modellizzazioni (per esempio la presenza di cicatrici sul fondo del moncone, causa di accumuli di sforzi), può aiutare se non a prevenirle, o quantomeno ad accompagnarla nel corso della loro manifestazione, fornendo al paziente tutti i supporti necessari. Il tentativo, con questo lavoro, di utilizzare un approccio differente rispetto a quanto è attualmente fatto nella pratica clinica, modellizzando tutti gli elementi che partecipano al contatto tramite il metodo agli elementi finiti, vorrebbe essere un primo step, che in caso di risultati realistici e validabili andrebbe introdotto nel processo di realizzazione dell’invasatura, con l’obiettivo di fornire un set di dati numerici facilmente interpretabili che possano essere affiancati all’esperienza di che debba realizzarla, evitando che la non precisa considerazione ex ante delle problematiche crei dolore e sensazioni sgradevoli ex post al paziente.

Al fine di validare l’utilità di questa ipotesi teorica, sono state effettuate alcune interviste informali a pazienti amputati transfemorali: dalle risposte ottenute si evince una difficoltà ad accettare psicologicamente un oggetto che viene visto non come un oggetto atto a recuperare autonomia e funzionalità del movimento, ma come un “fastidioso pezzo di

plastica, che si è obbligati ad indossare nella quotidianità, per non dover mostrare la propria differenza rispetto alla collettività”9. Alla richiesta ai pazienti, su quali fossero le

motivazioni che facessero muovere codeste critiche ed aspettandosi una risposta che indicasse principalmente l’aspetto estetico, questa ha in realtà riguardato per la maggior parte dei casi l’accoppiamento tra il moncone e l’invasatura (indipendentemente dal tipo utilizzato), con un contatto spesso doloroso con danni alla pelle, ulcere, abrasioni, contrazione di infezioni ed ematomi (fig. 2.29).

Da un’attenta analisi delle risposte ottenute, si può risalire ad alcune principali problematiche a cui sia il paziente sia lo staff clinico, spesso non danno l’importanza necessaria:

- le condizioni igieniche del moncone: il dettaglio più semplice da curare è nella maggior parte dei casi il più trascurato e comporta spesso contaminazione batterica del sito, con ipersensibilizzazione del tessuto cutaneo, unito a variazione locale degli spessori e delle distribuzioni dei tessuti molli cause di rischio di variazione nell’assetto del contatto tra invasatura e moncone.

- il non utilizzo della cuffia: scorrendo tra le voci del Nomenclatore Tariffario, si può

notare che nel caso di protesi transfemorali (a differenza delle transtibiali e delle disarticolazioni di ginocchio) non vi sia la cuffia tra le prestazioni a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Spesso la stessa non viene proposta da chi deve realizzare materialmente la protesi o se proposta viene rifiutata dal paziente a causa

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Figura 2.29: a) pachidermia b) abrasione (causata da eccesso di attrito) c) arrossamento da infezione micotica

d) necrosi tissutale estesa e) dermatite da contatto f) dermatite da contatto g) iperplasia verrucosa h) ulcera con

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del costo a proprio carico (nello specifico, la situazione economica attuale del Paese influenza questo aspetto). Una scelta di questo tipo può comportare sia danni tissutali di tipo meccanico, sia nascita ed accrescimento di colonie batteriche a causa di condizioni di idratazione non ottimali.

- il non corretto allineamento: non importa quanto i componenti di una protesi siano sofisticati e tecnologicamente avanzati, o quanto bene essa sia assemblata, poiché senza un corretto allineamento il livello di comfort per il paziente sarà molto basso e la cosa produrrà effetti negativi sulla funzionalità del pattern di cammino.

Le procedure di allineamento da effettuare sono due: statica e dinamica. La prima consistente nel porre l’invasatura in posizione iniziale flessa ed addotta in modo da ottenere una contrazione ottimale dei muscoli antagonisti (come già discusso nel paragrafo 2.4.1), venne analizzata già da Ivan Long (con il suo concetto di Long’s

line). Egli suggerì che per mettere in atto un corretto allineamento statico, fosse

imprescindibile l’utilizzo di una apparecchiatura a raggi X che permettesse di osservare gli angoli del femore sia prima della realizzazione dell’invasatura, che una volta che la stessa fosse stata indossata dal paziente. L’allineamento dinamico, è invece un procedimento di tipo iterativo che richiede molto tempo di lavoro e collaborazione tra paziente e protesista, e che se eseguito nel modo proceduralmente corretto, necessiterebbe di molteplici sedute su un arco temporale molto ampio, poiché le condizioni (e le possibilità) di appoggio del moncone, variano con l’evoluzione dello stesso. Per certi versi è molto più complicato di quello statico richiedendo lo studio di un numero molto maggiore di parametri provenienti dalla gait analysis.

Purtroppo, nonostante l’avanzamento tecnologico e lo studio di metodologie operative di ottimizzazione in letteratura, la tecnica utilizzata oggi nella maggior parte dei casi non è cambiata rispetto alle ultime decadi, ed è basata principalmente su esperienza del tecnico preposto, osservazione visiva del paziente durante il cammino (spesso senza tenere in considerazione l’ampia variabilità tra prove dello stesso paziente) e valutazione di informazioni propriocettive dello stesso che spesso possono essere falsate da una condizione ancora troppo nuova per il corpo.

Alla luce delle considerazioni appena effettuate si può valutare positivamente la ricerca di una metodologia che possa fornire all’ambito clinico un set di dati quantitativi ex ante alla realizzazione dell’invasatura che siano facilmente interpretabili ed utilizzabili per prevedere ed evitare il verificarsi di alcune delle problematiche sopra descritte, creando quindi una sorta di interfaccia staff clinico – paziente, al fine di migliorare drasticamente le condizioni di vita dello stesso.

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CAPITOLO 3

In questo capitolo si presenterà l’inquadramento tecnico-scientifico attuale della ricerca sulle diverse tipologie operative rintracciabili nella letteratura, riguardo l’analisi della distribuzione degli sforzi pressori e tangenziali all’interfaccia tra socket e moncone residuo. L’obiettivo che ci si prepone è di consentire una corretta valutazione del metodo utilizzato nel presente lavoro che verrà presentata nel capitolo successivo.

In letteratura scientifica, si riscontrato i tre seguenti tipi di approccio all’analisi: 1. metodo computazionale;

2. metodo sperimentale; 3. interviste con questionari.

Si propone in seguito una trattazione esplicativa richiamando i principali lavori e presentando possibili vantaggi e svantaggi applicativi.