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Quanto precede ci consente di valutare al meglio la governance interna alle imprese, poiché punta i riflettori su una delle problematiche più ampie e difficili da dirimere per qualsivoglia tipologia di impresa. Le riflessioni sino a qui condotte e quelle che seguiranno aprono inoltre la strada alla comprensione dei problemi più propri alle imprese bancarie, destinatarie di norme speciali che in alcuni casi si discostano da quelle generali.

Meccanismi ottimali di governo societario si pongono come presupposto per l’equilibrio dell’impresa, che deve essere perseguito attraverso il bilanciamento di quattro diverse variabili. In primo luogo, i modelli organizzativi e societari dell’impresa devono garantire la massimizzazione degli «incentivi dei soggetti che governano l’azienda a realizzare tutti gli investimenti che aumentino il valore dell’impresa stessa», cui deve accompagnarsi la minimizzazione della «inefficienza nella contrattazione ex post» e del rischio (da allocare ai «soggetti meno avversi al rischio») (37). Riassumendo, si rende dunque necessario massimizzare i ricavi dell’impresa minimizzando i costi: il che, a livello organizzativo (e alla luce di quanto detto sino a questo momento), si traduce nella valorizzazione delle motivazioni e degli incentivi dei manager a perseguire il più elevato benessere (in termini di ritorno degli investimenti e di profitti) per l’impresa e i suoi proprietari, riducendo al contempo i costi connessi con l’attivazione dei meccanismi di controllo e di tutti gli altri dispositivi per la gestione dei

casi, coincide con chi assume le decisioni al suo interno) ha tutto l’incentivo a fare in modo che tale situazione si perpetui. Ciò non fa tuttavia venire meno l’esigenza di salvaguardare le esigenze dei soggetti che si trovano in una posizione di debolezza rispetto ad altri. Più volte, in precedenza, si è tentato di spiegare il fatto che, nelle imprese ad azionariato concentrato, il problema dei conflitti di interesse insorga fra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. In capo ai primi, che nella sostanza designano i manager dell’impresa e ne influenzano le scelte, vanno dunque condotte tutte le riflessioni relative ai benefici privati del controllo e sul loro operato si deve agire, al fine di ridurre i costi di agenzia per la società.

(37) In questi termini, BIANCHI, BIANCO, GIACOMELLI, PACCES, TRENTO, Proprietà e controllo delle imprese in Italia, Bologna, 2005, p. 46.

problemi di agenzia (es. costi informativi, costi di coordinamento). Nella sostanza, la struttura aziendale deve essere tale da portare al minimo quella “devianza organizzativa” che gli economisti identificano nei costi di agenzia di cui si è ampiamente detto nelle righe che precedono.

A queste due variabili, che per semplificare abbiamo identificato come variabili di costo e ricavo, se ne sommano altre, che hanno invece riguardo alla capacità dell’impresa di operare – (anche) per il tramite della sua organizzazione, preposta a questi fini – secondo le regole interne ed esterne ad essa imposte, rispettivamente, dal contratto della società e dal contesto normativo di riferimento. Questi due ulteriori elementi possono essere ricondotti sotto un cappello comune, che prende il nome di compliance. Con essa si definisce la “conformità”, vale a dire il rispetto di specifiche disposizioni di legge e regolamentari, nonché dei principi sanciti a livello di autoregolamentazione. Nelle imprese a maggiore complessità dimensionale e operativa, i compiti e le responsabilità connesse con questi specifici obblighi dovrebbero per solito essere attribuiti ad una specifica funzione interna, relativamente nuova nel panorama delle strutture organizzative di cui le imprese devono dotarsi. La sua presenza è in molti casi considerata una best practice, ma in alcuni casi è prescritta da norme regolamentari riferibili ad alcune tipologie specifiche di imprese (quali le banche, le imprese di investimento, gli intermediari assicurativi) (38), in ragione delle peculiari caratteristiche dell’attività svolta e secondo un principio di proporzionalità che lascia a questi soggetti la «discrezionalità nella scelta delle soluzioni organizzative più idonee ed efficaci per realizzarli» (39).

(38) Cfr. Disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia del 10 luglio 2007; Regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob in materia di servizi di investimento del 29 ottobre 2007; Regolamento Isvap n. 20 del 26 marzo 2008. La normativa italiana ha primariamente matrice internazionale e trae le sue linee ispiratrici dai lavori condotti in seno al Comitato di Basilea e allo IOSCO, nonché ai Comitati europei di terzo livello e alla Commissione (si veda la direttiva 2004/39, cd. MiFID). In letteratura si vedano, fra gli altri, AA.VV.,

Compliance. Ruolo e responsabilità, a cura di Toni Atrigna, Torino, 2009; BOCCUZZI, La

funzione di compliance: il presidio dei rischi aziendali e l’evoluzione della normativa Basilea2 e MiFID, in Bancaria, n. 2, 2008.

In estrema sintesi, adattando alla generalità delle imprese una nota definizione usata con riferimento al sistema bancario, è possibile dire che la corretta gestione del rischio di conformità (indipendentemente dalla creazione di un’apposita funzione preposta al suo presidio) rappresenti il punto focale dell’attività societaria, la cui «corretta e incisiva applicazione assicura che tutto il personale riceva segnali forti e chiari su ciò che è considerato corretto e giusto»; ciò consente di prevenire e, se del caso, individuare e curare (rectius: attivare le leve per curare) comportamenti sbagliati, aumentano per tal via «la fiducia della clientela, degli investitori, del mercato» (40). La capacità di operare secondo le regole interne ed esterne all’organizzazione societaria, approntando un sistema di corporate governance coerente con essa, appare di vitale importanza soprattutto in un’ottica di superamento e prevenzione degli scandali e dei fallimenti del mercato (in particolare finanziario); questi ultimi – come si avrà modo di vedere meglio nei capitoli a seguire – hanno evidenziato l’esigenza di rafforzare i presidi societari volti ad assicurare la piena osservanza delle normative riguardanti l’attività svolta e i rapporti con tutti gli attori coinvolti nella corrente operatività aziendale, senza tuttavia esentare dalle dovute responsabilità le autorità di supervisione.

Le quattro variabili poc’anzi tratteggiate devono essere ricondotte alla tematica dei conflitti di interesse; in senso lato, infatti, si ritiene che tutte abbiano a che fare con essa, dal momento che tutte perseguono il finale obiettivo di consentire all’impresa di operare in condizioni di stabilità e comunione con l’ambiente di riferimento. In questo senso, la corporate governance diviene la precondizione per lo svolgimento di attività dalle quali non s’ingenerino conflitti di interesse, intesi questa volta secondo un’accezione più ampia. Ed invero, a questo punto il discorso si estende rispetto a quanto visto sino ad ora: le regole interne (vale a dire quelle che l’impresa stessa si dà e sulla base delle quali disegna la propria

(40) Così TARANTOLA, La funzione di compliance nei sistemi di governo e controllo delle imprese bancarie e finanziarie, intervento a margine del convegno “Il ruolo del sistema dei controlli nella gestione del rischio di conformità negli istituti finanziari”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 4 ottobre 2007, p. 15.

organizzazione) e le regole esterne (in conformità delle quali l’impresa deve operare) devono essere in grado di prevenire e gestire le problematiche derivanti dalla contrapposizione fra principal e agent, ma non solo. Vi sono anche altri aspetti, che vanno oltre all’involucro – per così dire – dei rapporti fra proprietà e controllo e attengono, piuttosto, a tutte le relazioni intestine all’impresa stessa. Del resto, come è stato autorevolmente osservato, «è agevole dimostrare come la presenza di un sistema di governo aziendale informato a regole di correttezza e trasparenza verso i diversi interlocutori aziendali limita, già sul nascere, il sorgere di possibili conflitti di interessi» (41), dalla analisi dei quali siamo partiti.

Secondo il pensiero di chi scrive, la valutazione dei diversi modelli di corporate governance appare qui funzionale alla comprensione dei punti nodali delle interessenze societarie (necessarie anche per spiegare, nel terzo capitolo, quelle specifiche per le banche). Per motivi di equilibrio della presente trattazione, si darà ovviamente primario spazio – seppur in maniera molto snella – a quelli di matrice italiana, che interessano la generalità delle imprese ma si differenziano (per ambito di applicazione e grado di incisività) per le società quotate e, come più volte detto, per le banche.

4. Il ruolo delle norme nella governance aziendale: una storia