Contaminazione e rimozione di microinquinanti emergent
2. Contaminazione e rimozione di microinquinanti emergenti nelle acque reflue e nelle acque destinate al consumo umano
2.5 PROCESSI AVANZATI DI RIMOZIONE DEI MIE: PRINCIPI E FATTORI DI INFLUENZA Come già anticipato, vi sono alcuni processi specificatamente applicabili per la rimozione
dei MIE, sia in acque destinate al consumo umano sia in acque reflue, essendo i meccanismi di rimozione compatibili con le caratteristiche proprie dei MIE. Nel seguito, vengono sinteticamente richiamati i principi di processo e i principali fattori che ne influenzano
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acque destinate al consumo umano
l’efficienza. In dettaglio, i processi maggiormente studiati negli ultimi decenni, applicabili a piena scala, che risultano in grado di rimuovere i MIE sono:
• adsorbimento su carbone attivo, in forma granulare (GAC, Granular Activated Carbon) o di polvere (PAC, Powdered Activated Carbon);
• separazione su membrane in pressione: nanofiltrazione (NF) e osmosi inversa (RO,
Reverse Osmosis);
• ossidazione tramite ozono o mediante processi di ossidazione avanzata (AOP, Advanced
Oxidation Processes).
2.5.1 Adsorbimento su carbone attivo
L’adsorbimento è un processo di trasferimento di un contaminante disciolto (soluto) dalla fase liquida sulla superficie di un solido poroso. Il carbone attivo è il solido poroso più utilizzato, per la molteplicità di composti con differenti caratteristiche fisico-chimiche che possono essere trattenuti, grazie al fatto che la sua superficie è prevalentemente idrofoba (poco affine all’acqua), ma può contenere anche eteroatomi (ossigeno, cloro, azoto e zolfo), che ne determinano il carattere acido/base e sono responsabili di interazioni specifiche con i composti adsorbibili. Quando il carbone attivo è in contatto con una soluzione acquosa, la dissociazione di gruppi funzionali o l’adsorbimento di ioni determina la formazione di una carica elettrica. La matrice acquosa, oltre ai microinquinanti, contiene molte sostanze organiche (NOM, EfOM) in concentrazione decisamente significativa. L’adsorbimento di queste sostanze, generalmente con carica negativa (e delle quali parametri rilevanti risultano essere l’idrofobicità, la dimensione molecolare, il carattere acido/base), modifica le caratteristiche superficiali del carbone attivo (se a carica neutra o positiva) o ne aumenta la carica totale (nel caso di siti di superficie inizialmente negativi).
Le caratteristiche fondamentali del carbone attivo sono la superficie specifica, che influenza il numero di siti attivi totali disponibili per l’adsorbimento, la distribuzione della dimensione dei pori (carboni microporosi tendono ad adsorbire meglio le molecole di piccole dimensioni, mentre carboni mesoporosi hanno maggiore affinità con molecole di maggiori dimensioni) e le caratteristiche chimiche superficiali.
Le proprietà dei soluti che maggiormente ne influenzano l’affinità con il carbone attivo sono: la solubilità in acqua e la polarità, entrambe legate al carattere idrofobo della molecola (molecole poco solubili e polari, quindi più idrofobe, tendono a essere maggiormente adsorbite rispetto al permanere in fase acquosa), la carica elettrica e la presenza di gruppi funzionali (un maggiore adsorbimento si crea per fenomeni di attrazione elettrostatica tra la molecola e il carbone attivo se hanno carica superficiale opposta), la massa molare (sono più facilmente adsorbite le molecole le cui dimensioni sono simili a quelle dei pori).
Infine, il pH della soluzione influenza in modo significativo le caratteristiche del soluto e/o la carica superficiale dell’adsorbente, per cui è fondamentale verificare il pH dell’acqua da trattare, che influenza la carica sia dei soluti (MIE compresi) sia della superficie del carbone attivo selezionato. Di conseguenza, per i composti dotati di carica, la valutazione del coefficiente Kow, valido per specie chimiche elettricamente neutre, dovrebbe
considerare anche la speciazione acido-base in funzione del pH, per esempio con l’ausilio del coefficiente Dow, più rappresentativo nel caso di composti ionizzabili.
La rimozione di un soluto è inoltre influenzata dalla presenza di altri soluti presenti nella matrice liquida, che si traduce in una competizione per i siti di adsorbimento. In verità, i meccanismi di adsorbimento e competizione sono molto complessi e una stima
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dell’efficienza di adsorbimento basata unicamente sui valori di Dow si è spesso rivelata
inadeguata. Infatti, i grandi composti organici competono per i siti di adsorbimento e possono ostacolare l’accesso ai pori da parte di molecole con piccola massa molare. Queste ultime, inoltre, competono tra loro per gli stessi siti attivi nei micropori.
I risultati sperimentali indicano che l’adsorbimento dei MIE si comporta in modo simile a quello dei composti convenzionali presenti in concentrazione più elevata (sostanza organica e microinquinanti convenzionali), essendo influenzato dalle stesse proprietà dei soluti e dell’adsorbente. Vi sono però, oltre alle caratteristiche chimico-fisiche dei MIE e del carbone attivo, altri elementi chiave per determinare l’entità del loro adsorbimento:
• la presenza di composti a concentrazioni diverse per ordine di grandezza, come la NOM e la EfoM (ordine dei mg L-1), e i microinquinanti convenzionali (ordine dei μg L-1), poiché
la maggiore concentrazione di questi composti ne favorisce l’adsorbimento rispetto ai MIE, presenti in concentrazioni assai più basse;
• fenomeni di competizione tra i MIE, per cui il carbone attivo tende ad adsorbire preferenzialmente le molecole che sono più affini per proprietà chimico-fisiche; • potenziale rilascio di composti adsorbiti (MIE compresi), in particolare quelli con minore
affinità con l’adsorbente, essendo il processo di adsorbimento un processo dinamico in cui adsorbimento e desorbimento coesistono, con il rischio di osservare nell’acqua trattata - per periodi di tempo variabili - concentrazioni dei contaminanti meno affini superiori alle concentrazioni iniziali.
Un ulteriore elemento di complessità è legato all’utilizzo di carbone attivo in presenza di processi biologici, come può avvenire nel reattore biologico di un impianto di depurazione, oppure nella sezione finale di adsorbimento di un impianto di potabilizzazione da acque superficiali. In queste situazioni, va anche considerato il contributo dato dalla biotrasformazione degli inquinanti ad opera della biomassa sospesa e adesa.
Il carbone attivo può essere utilizzato in forma di polvere (PAC) o in forma granulare (GAC). Il PAC, alla stregua degli altri reattivi, può essere dosato in vasche di reazione seguite da una fase di separazione solido/liquido (sedimentazione o filtrazione). Nel caso della potabilizzazione, di norma si utilizza in sgrossatura e/o chiariflocculazione, mentre nel caso di depurazione, nella vasca a fanghi attivi o in una sezione terziaria dedicata. Il GAC si utilizza in configurazione in colonna. Il materiale di origine impiegato per la produzione ne influenza le prestazioni. In termini generali, carboni attivi mesoporosi minimizzano i fenomeni di competizione con soluti di grosse dimensioni, mentre carboni attivi microporosi sono più adatti per la rimozione di composti di piccole dimensioni, tra cui anche alcuni MIE.
L’affinità di un dato carbone attivo nei confronti di uno specifico contaminante target, nelle effettive condizioni dell’acqua da sottoporre a trattamento, può essere valutata mediante determinazione delle isoterme di adsorbimento. Tuttavia, questi test non forniscono nessuna informazione sulla dinamica del processo di adsorbimento che è, invece, fondamentale qualora si adotti una configurazione impiantistica basata sul GAC (colonne o filtri di adsorbimento), che può essere ottenuta tramite esecuzione di appropriati test in colonna. Questi test permettono di ricavare la curva che descrive la concentrazione del contaminante target in uscita dal filtro GAC nel tempo, detta curva di perforazione (breakthrough), essenziale per il corretto dimensionamento del filtro GAC e per la progettazione ottimizzata della gestione delle operazioni di rigenerazione del carbone attivo esausto, per minimizzare gli inevitabili fenomeni di rilascio (Piazzoli et al., 2018).
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2.5.2 Processi di separazione su membrane in pressione
I risultati sperimentali indicano che la separazione dei MIE mediante processi a membrana in pressione, in linea con quanto avviene per i composti convenzionali, si verifica per la combinazione di tre fenomeni principali: l’esclusione dimensionale, la repulsione elettrostatica e l’adsorbimento da parte della membrana.
In particolare, l’esclusione dimensionale è da mettere in relazione alla presenza (e dimensione) dei pori della membrana che agiscono come i fori di un setaccio, impedendo il passaggio di tutte le molecole con dimensioni maggiori rispetto al diametro del poro stesso. Di conseguenza, l’efficienza di rimozione dei MIE aumenta con il diminuire delle dimensioni dei pori delle membrane. Le membrane a bassa pressione, come le membrane di microfiltrazione e ultrafiltrazione, non sono in grado di trattenere i MIE, in quanto il diametro effettivo di queste molecole, all’incirca nell’ordine di pochi nm, è più piccolo rispetto alle dimensioni dei pori che si trovano nell’intervallo di 100 nm (si veda al riguardo anche il Paragrafo 2.4 in relazione ai reattori MBR). Una leggera diminuzione della concentrazione di alcuni MIE a seguito di filtrazione con membrane di ultrafiltrazione, per applicazioni nel trattamento di acqua destinata al consumo umano, è stata osservata in alcuni studi, ma attribuita alla rimozione di particelle sospese e colloidali alle quali i MIE possono essere associati. Queste tipologie di membrane possono essere utilizzate per la rimozione di MIE solo se accoppiate con sistemi di adsorbimento su carbone attivo in polvere, costituendo una possibile alternativa di up-grade, ad esempio degli attuali sistemi di chiariflocculazione e filtrazione rapida negli impianti di potabilizzazione. Proprio per le ridotte dimensioni dei pori, in base alle quali la letteratura degli ultimi decenni parla di membrane dense e non porose, solo i processi di separazione su membrane ad alta pressione (nanofiltrazione e osmosi inversa) sono risultati efficaci per la rimozione di MIE. In questi processi la separazione del contaminante target si ottiene, oltre che per esclusione dimensionale, anche per esclusione di carica (interazioni elettrostatiche tra contaminante e superficie della membrana) e per diffusione attraverso la membrana in funzione della diffusività del contaminante, che è funzione delle sue caratteristiche fisico-chimiche. In particolare, la carica dei contaminanti, e quindi dei MIE, e la carica superficiale delle membrane sono responsabili dell’eventuale repulsione elettrostatica, ma anche dei possibili fenomeni di adsorbimento sulla membrana stessa, che ne aumentano lo sporcamento superficiale riducendo il flusso di permeato. Di conseguenza, la definizione delle membrane più idonee dipende spesso dalle condizioni operative specifiche del caso di studio; nuovamente, è fondamentale verificare il pH dell’acqua da trattare e la conseguente carica sia delle molecole dei MIE sia della superficie della membrana, in modo tale da selezionare una membrana con carica superficiale dello stesso segno della carica dei MIE allo specifico pH, che ne agevoli la repulsione. Rispetto all’adsorbimento su carbone attivo e ai processi di ossidazione (Paragrafo 2.6), le efficienze di rimozione dei MIE ottenibili con i processi di nanofiltrazione (NF) e osmosi inversa (RO) sono meno influenzate dalla concentrazione iniziale dei MIE, mentre un ruolo fondamentale è assunto dalle caratteristiche dell’acqua da trattare, quali pH, concentrazione e carica di altri soluti sia organici che inorganici, responsabili dell’entità dei fenomeni di sporcamento delle membrane, che ne limita l’effettiva applicabilità. Per questo, dai dati riportati in letteratura, è stato evidenziato un incremento dell’efficienza di NF e RO in presenza di pre-trattamenti, quali coagulazione/flocculazione, ultrafiltrazione, adsorbimento.
Nel caso del trattamento delle acque destinate al consumo umano la criticità maggiore per l’effettiva applicabilità dell’RO per la rimozione di MIE è data dalla contestuale rimozione dei sali presenti in acqua, indispensabili ai fini della potabilità. Per questo
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motivo, attualmente la NF è vista come l’alternativa più promettente, sia per la più contenuta rimozione dei sali, sia per la forte riduzione dei costi operativi, grazie alle minori pressioni richieste per operare il trattamento. Va comunque sottolineato che anche NF contribuisce alla rimozione dei sali, soprattutto quelli di maggiori dimensioni molecolari, come i sali di calcio e magnesio; ciò contribuisce a sbilanciare la stabilità chimica dell’acqua trattata, con importanti conseguenze sia a livello di salute umana (per il ridotto apporto di calcio e magnesio che ne consegue), sia per le interazioni con i materiali che costituiscono la rete di distribuzione.
2.5.3 Processi di ossidazione e ossidazione avanzata (AOP)
I trattamenti ossidativi costituiscono una classe di processi molto ampia. Alcuni di questi processi sono ampiamente e da lungo tempo impiegati a piena scala. Si tratta di ozonizzazione, di AOP basati sulla combinazione di ozono con acqua ossigenata e/o con la radiazione UV, di AOP basati sulla fotolisi dell’acqua ossigenata tramite radiazione UV. Altri AOP sono invece processi innovativi, ancora in fase di sviluppo e solo per alcuni di essi esistono, benché ancora limitate, o comunque molto specifiche, applicazioni a piena scala (Turolla et al., 2015a,b). Nonostante le differenze tecnologiche, anche rilevanti, tra i vari processi, l’elemento comune consiste nell’utilizzo e/o nella generazione in loco di specie reattive (radicali) in grado di ossidare gli inquinanti organici ossidabili, tra cui alcuni MIE. Pertanto, in accordo con l’obiettivo del presente lavoro, l’interesse non sarà focalizzato sugli aspetti peculiari di ciascun processo, ma sul fornire una discussione generale sul ruolo delle specie reattive per la degradazione dei MIE.
L’efficienza dei processi ossidativi risente in larga misura dei fenomeni competitivi tra i costituenti dell’acqua e i macrocontaminanti che, soprattutto per acque superficiali e per effluenti di depurazione, sono in gran parte dovuti al contenuto di NOM e EfOM. I composti organici che contribuiscono a NOM e EfOM comportano un istantaneo consumo di specie reattive, con una conseguente significativa riduzione del rateo di degradazione dei MIE. Inoltre, per gli AOP, anche la presenza di scavengers dei radicali, come alcalinità e specie ioniche inorganiche, influenza fortemente le prestazioni del processo, consumando radicali in reazioni parassite rispetto all’obiettivo di rimozione dei MIE; la presenza di scavengers radicalici riguarda primariamente acque di falda e gli effluenti di depurazione.
È importante sottolineare l’influenza della concentrazione di MIE nell’acqua da trattare e della quantità di ossidante utilizzato, che si ripercuote sul numero di specie reattive formate. Infatti, con l’aumento di entrambi questi fattori, aumenta il numero di “eventi di collisione” tra specie reattive e MIE e, proporzionalmente, l’entità della degradazione. Questo è uno dei motivi per cui l’ossidazione dei MIE è generalmente svantaggiata rispetto all’ossidazione di altri composti organici e inorganici presenti nell’acqua in concentrazioni di diversi ordini di grandezza superiori. È quindi sempre consigliabile valutarne l’effettiva applicabilità, in termini di resa ottenibile rispetto alle condizioni operative di processo ingegneristicamente fattibili, con esperimenti sulle acque che si intende trattare.
Infine, un importante fattore da considerare nella valutazione di applicabilità dei processi ossidativi è l’effettivo raggiungimento dell’ossidazione completa dei contaminanti (MIE e non solo), oppure della solo parziale ossidazione con formazione di sottoprodotti intermedi di reazione. Infatti, va detto che tali sottoprodotti intermedi non sono tutti precisamente identificabili tramite analisi chimiche e alcuni - singolarmente o per interazione con altri - possono presentare una tossicità per uomo e ambiente superiore a quella dei contaminanti inizialmente presenti. Questo aspetto è dirimente rispetto alla sicurezza dell’acqua destinata al consumo umano, ma anche rispetto alla protezione dell’ecosistema in cui l’effluente di depurazione viene rilasciato. È pertanto consigliabile
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far seguire un processo di ossidazione da una sezione di adsorbimento su carbone attivo che, secondo le logiche dell’approccio multi-barriera, consente di trattenere i sottoprodotti formati.
2.6 ACQUA DESTINATA AL CONSUMO UMANO: PROCESSI APPLICABILI E RELATIVE