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Il processo di armonizzazione con i principi contabili internazionali: la bozza per la

Capitolo 2 – La svalutazione delle attività nella normativa nazionale

2.2 Il processo di armonizzazione con i principi contabili internazionali: la bozza per la

La bozza per la consultazione dell’OIC 9, intitolato “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali”, è stata emanata dall’OIC il 27 novembre 2013. Si tratta del primo documento creato appositamente per disciplinare la tematica in questione a livello nazionale, alla stregua di quanto accade nei principi contabili internazionali con lo IAS 36 “Impairment of assets”. Tuttavia, a differenza di quest’ultimo che regolamenta le perdite per riduzione di valore di vari elementi dell’attivo patrimoniale, la bozza dell’OIC 9 riguarda esclusivamente le svalutazioni di immobilizzazioni materiali e immateriali. Il documento è destinato a sostituire i due attuali paragrafi che trattano delle svalutazioni per perdite durevoli di valore presenti nei principi contabili n. 16 e n. 24. Si ritiene che la creazione di un unico documento che si occupa di questo argomento consenta lo sviluppo di una disciplina più omogenea, riducendo alcune incoerenze riscontrate negli attuali principi contabili, e permetta di attribuire maggiore enfasi a tale aspetto del processo di valutazione delle attività, spesso tralasciato dalla prassi benché obbligatoriamente previsto dalla normativa civilistica109.

Il principale elemento di innovazione introdotto da tale principio consiste nella previsione di due distinte metodologie per la determinazione della perdita durevole di valore in base alle dimensioni dell’impresa. Infatti, viene individuato un modello principale di riferimento basato sull’attualizzazione dei flussi di cassa, che riprende quanto disposto dallo IAS 36, e un modello semplificato basato sulla capacità di ammortamento per le imprese di minori dimensioni che non superano i limiti previsti per le large companies ai sensi della direttiva contabile europea. La motivazione di questa scelta sta nella volontà di evitare alle società di minori dimensioni il sostenimento di oneri sproporzionati rispetto ai benefici che deriverebbero dall’applicazione di tecniche complesse.

Per quanto riguarda il modello ordinario di determinazione delle perdite durevoli di valore, la bozza dell’OIC 9 prevede la necessità di rilevare una svalutazione in conto economico se il valore recuperabile dell’immobilizzazione a fine esercizio, determinato in

109 SOSTERO U., MARCON C., “Svalutazione per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni”, Contabilità,

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una prospettiva di lungo termine, risulta inferiore al suo valore netto contabile. Dato che il calcolo del valore recuperabile è spesso un processo complesso e oneroso, tale verifica non deve essere compiuta al termine di ciascun esercizio ma solamente quando sussistono degli indicatori di potenziali perdite di valore. Si precisa che, qualora si verifichino le circostanze previste da tali indicatori, il principio non impone la rilevazione automatica di una svalutazione ma richiede solamente di trarre spunto da essi per effettuare il test di verifica della recuperabilità. La rilevazione della perdita si produrrà solo nel caso in cui tale test abbia esito negativo, dimostrando la presenza di un valore recuperabile inferiore al valore di iscrizione in bilancio dell’immobilizzazione110. La bozza individua alcuni

indicatori che devono essere presi in considerazione nel valutare l’esistenza di una potenziale perdita durevole di valore:

 significativa diminuzione del valore di mercato dell’attività;

 variazioni significative con effetto negativo per l’impresa nell’ambiente tecnologico, di mercato, economico o normativo, già avvenute o che potrebbero manifestarsi nel futuro prossimo;

 incrementi dei tassi di interesse che probabilmente impatteranno sul tasso di attualizzazione usato per la determinazione del valore d’uso dell’attività;

 patrimonio netto dell’impresa che supera il valore equo stimato della stessa;  evidente obsolescenza o deterioramento fisico dell’attività;

 cambiamenti significativi con effetto negativo per l’impresa nel modo o nella misura in cui l’attività viene utilizzata o ci si attende verrà utilizzata nel futuro;  andamento economico dell’attività in termini di risultati operativi e flussi

finanziari/reddituali peggiore delle aspettative in base all’informativa interna. Tale elenco non è da considerarsi esaustivo, in quanto possono emergere anche altri sintomi che suggeriscono la potenziale presenza di una riduzione durevole di valore di un’attività. Tuttavia, la loro individuazione nella bozza costituisce un importante supporto per i redattori del bilancio e sopperisce in parte alla mancanza di completezza e alla genericità degli attuali principi contabili nell’indicare possibili segnali di impairment. Nella bozza vengono altresì eliminati i requisiti di straordinarietà e gravità della cause che determinano la svalutazione, entrambi previsti nei principi n. 16 e n. 24 al fine di poter classificare la perdita di valore come durevole. Questa scelta si ritiene condivisibile per due motivi111: innanzitutto, questi requisiti non sembrano coerenti con la possibilità di

rilevare la svalutazione alternativamente tra i componenti ordinari o straordinari di

110 ROSCINI VITALI F., “Principio contabile OIC 9. Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle

immobilizzazioni materiali e immateriali”, Guida alla contabilità & bilancio, f. 1, 2014, p.33

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reddito e, inoltre, la discrezionalità insita nella valutazione dei caratteri di straordinarietà e gravità può essere utilizzata in modo strumentale da parte dei redattori del bilancio, ad esempio, per evitare di rilevare la svalutazione, giustificando tale decisione con la temporaneità della perdita di valore verificatesi.

Il valore recuperabile di un’immobilizzazione viene definito nella bozza come il maggiore tra il suo valore d’uso e il suo valore equo (fair value). Per valore equo, o fair value, si intende l’ammontare ottenibile dalla vendita di un’attività in una libera transazione tra parti indipendenti, al netto dei costi di vendita. La bozza precisa che la migliore evidenza del valore equo è costituita dal prezzo pattuito in un accordo vincolante di vendita, oppure dal prezzo formatosi in un mercato attivo; in mancanza di tali riferimenti, è necessario basarsi sulle migliori informazioni disponibili, come ad esempio il risultato di recenti transazioni per attività similari effettuate all’interno dello stesso settore industriale. Il valore d’uso invece viene definito come il valore attuale dei flussi finanziari futuri che si prevede abbiano origine da un’attività, a meno che non si adotti l’approccio semplificato per la determinazione delle svalutazioni, consentito alle sole imprese di minori dimensioni. A differenza dei principi contabili vigenti, la bozza contiene delle indicazioni operative più specifiche circa il procedimento di calcolo che deve essere seguito, offrendo precisazioni in merito alla stima dei flussi di cassa attesi, alla determinazione del tasso di attualizzazione e alla circostanza in cui la singola immobilizzazione non sia in grado di generare flussi di cassa autonomi.

Riguardo alla stima dei flussi finanziari, essi devono essere calcolati considerando le proiezioni dei flussi finanziari in entrata ed in uscita connessi all’uso continuativo dell’attività e dei flussi finanziari derivanti dalla dismissione della stessa al termine della sua vita utile. Essi non devono comprendere l’effetto dei finanziamenti e delle imposte e devono riferirsi alle immobilizzazioni nelle loro condizioni correnti al momento della redazione del bilancio. Per la stima è necessario basarsi sui piani più recenti a disposizione della società, che di solito fanno riferimento ad un orizzonte temporale non superiore ai cinque anni. Se si formulano previsioni di flussi attesi oltre tale periodo, si deve utilizzare un tasso di crescita stabile o decrescente, salvo che non sia giustificato l’utilizzo di un tasso crescente.

In merito al tasso di sconto da impiegare ai fini del calcolo del valore attuale, esso corrisponde al tasso al lordo delle imposte che rifletta le valutazioni correnti nel mercato del valore temporale del denaro e dei rischi specifici dell’attività svolta dall’impresa, prestando attenzione a non considerare i fattori di rischio dei quali si è già tenuto conto nella stima dei flussi di cassa attesi, per evitare duplicazioni.

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Un’altra importante novità introdotta dalla bozza è rappresentata dalla possibilità di condurre il test a diversi livelli. Infatti, se un’immobilizzazione non è in grado di produrre flussi di cassa autonomi rispetto alle altre attività allora la verifica di riduzione durevole di valore deve essere condotta a livello dell’unità generatrice di flussi finanziari (UGC) alla quale l’attività appartiene. L’UGC viene definita come il più piccolo gruppo identificabile di attività che include l’attività oggetto di valutazione e genera flussi finanziari in entrata che siano ampiamente indipendenti dai flussi finanziari in entrata generati da altre attività o gruppi di attività. Nonostante il ricorso alle UGC sia necessario, posto che la maggior parte delle attività produce flussi finanziari in modo coordinato con altri elementi patrimoniali, tale scelta rappresenta anche una complicazione introdotta dal principio, in quanto lo svolgimento della verifica per perdite durevoli di valore a livello di UGC potrebbe non risultare agevole112. Infatti, l’impresa deve innanzitutto identificare le diverse UGC e

attribuire ad esse il valore contabile delle diverse attività che ne fanno parte, passaggio che potrebbe non risultare semplice nel caso dell’avviamento o di attività gestite centralmente. Bisogna poi procedere al confronto tra tale valore contabile e il valore recuperabile, stimato come sopra descritto, e, nel caso in cui emerga una perdita di valore, essa va imputata primariamente all’avviamento e successivamente alle altre attività che compongono la UGC, in relazione al loro valore contabile.

Rispetto, invece, all’applicazione del metodo semplificato per la determinazione delle perdite durevoli di valore, esso costituisce una facoltà, non un obbligo, concesso solo ad imprese classificate come “imprese di minori dimensioni” che, per due esercizi consecutivi, non superano due dei seguenti limiti: numero medio dei dipendenti durante l’esercizio pari a 250, totale attivo di stato patrimoniale pari a 20 milioni di euro e ricavi netti delle vendite e delle prestazioni pari a 40 milioni di euro.

Tale approccio prevede, ai fini della verifica della recuperabilità del valore, il confronto tra il valore contabile netto iscritto in bilancio e la capacità di ammortamento dei futuri esercizi, definita come il margine economico che la gestione mette a diposizione per la copertura degli ammortamenti in ogni esercizio. Il test di verifica della recuperabilità si considera superato se i flussi reddituali non attualizzati ottenibili dalla società nel suo complesso nel periodo di riferimento, in genere pari a cinque anni, coprono gli ammortamenti riferiti alla struttura produttiva esistente, compresi gli ammortamenti collegati agli investimenti necessari per mantenere la capacità produttiva esistente. Se ciò non si verifica, la perdita di valore deve essere attribuita in primis all’avviamento, se iscritto nello stato patrimoniale, e poi alle altre immobilizzazioni in proporzione al loro valore contabile.

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Esistono quindi delle differenze rispetto all’approccio ordinario113:

 il valore recuperabile coincide con il valore d’uso e non si prende in considerazione il valore equo;

 si stimano flussi reddituali al posto dei flussi finanziari;  i flussi reddituali non devono essere attualizzati;

 non si fa riferimento alla singola immobilizzazione bensì all’intera struttura esistente, a meno che quest’ultima non sia segmentabile in rami d’azienda che producono flussi autonomi.

Il riferimento ai flussi generabili dall’impresa nel suo complesso rappresenta una notevole semplificazione poiché consente all’azienda di evitare i costi collegati all’identificazione e alla determinazione del valore contabile delle UGC; tuttavia, si sottolinea che se l’impresa ha una struttura produttiva segmentata in rami d’azienda che producono flussi di ricavi autonomi è preferibile fare riferimento ai singoli rami. Anche l’utilizzo di flussi reddituali invece che finanziari può essere vantaggioso per le imprese di piccole dimensioni, posto che queste ultime spesso sviluppano piani economici piuttosto che finanziari. Infine, la previsione di non attualizzare i flussi consente all’impresa di evitare i costi collegati alla stima di un adeguato tasso di attualizzazione.

A differenza di quanto disposto in merito all’approccio ordinario, per l’approccio semplificato la bozza individua due indicatori di perdita durevole di valore, ovvero la situazione in cui l’esercizio sia chiuso con una perdita non dovuta a fattori contingenti e vi sia scarsa probabilità di un pronto recupero delle condizioni di equilibrio economico negli esercizi successivi e il caso in cui si verifichino sfavorevoli mutamenti del contesto in cui opera l’azienda che suggeriscono l’impossibilità di continuare a sfruttare pienamente la capacità produttiva esistente.

La bozza fornisce poi delle indicazioni valide per entrambi i metodi. In merito ai ripristini di valore, stabilisce che la svalutazione deve essere ripristinata se vengono meno le motivazioni che l’avevano causata. Il ripristino trova un limite nel valore che l’attività avrebbe avuto ove la rettifica di valore non avesse mai avuto luogo. Inoltre, non è consentito il ripristino di valore per l’avviamento, per i costi di impianto e di ampliamento e per i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità.

Per quanto riguarda la contabilizzazione della svalutazione, la bozza prevede che le perdite durevoli di valore debbano essere rilevate nella voce B.10.c, se riconducibili alla gestione ordinaria, o nella voce E.21, se di natura straordinaria.

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Infine, in riferimento alle informazioni da fornire in nota integrativa, la bozza richiama quanto disposto dall’articolo 2427 punto 3-bis c.c. e individua delle ulteriori informazioni che devono essere fornite. Nel caso si applichi l’approccio ordinario, si dovranno indicare la durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento per la stima analitica dei flussi finanziari futuri, la misura del tasso di crescita utilizzato per stimare i flussi finanziari ulteriori, la misura del tasso di attualizzazione applicato e, se del caso, si dovranno fornire informazioni sulle tecniche utilizzate per la determinazione del valore equo. Nel caso in cui la società applichi l’approccio semplificato, essa dovrà darne menzione nella nota integrativa indicando la durata dell’orizzonte temporale preso a riferimento per la stima analitica dei flussi reddituali futuri.

Una volta esposte le previsioni più rilevanti contenute nella bozza dell’OIC 9, si ritiene opportuno mettere in luce alcune criticità ad essa afferenti114.

Innanzitutto, in riferimento all’approccio ordinario, la bozza definisce il valore recuperabile dell’attività come il maggiore tra il valore d’uso e il valore equo, in linea con quanto previsto dallo IAS 36. Tale previsione parte dal presupposto che l’azienda agisca sempre in maniera razionale secondo una logica di mera convenienza economica, scegliendo l’alternativa che consente di ottenere il maggior ritorno economico. La possibilità di impiego continuativo dell’attività all’interno dell’impresa e quella di alienazione della stessa vengono quindi considerate equivalenti. Nella realtà, ciò si verifica di rado e difficilmente un’azienda deciderà di vendere un’immobilizzazione solo perché il valore di mercato è superiore al valore d’uso. Alla luce di quanto affermato, potrebbe risultare preferibile una nozione di valore recuperabile che tenga conto dell’effettiva destinazione del bene, concretizzandosi nel valore d’uso se l’attività è destinata ad essere mantenuta nell’impresa o nel valore equo se, al contrario, l’attività è destinata all’alienazione o non è più utilizzabile.

Altro elemento di criticità è rappresentato dalla definizione di valore equo fornita dal principio. Appare evidente la volontà dell’OIC di avvicinarsi il più possibile a quanto disposto dallo IAS 36 riguardo al fair value, ma nel riprendere le disposizioni in esso contenute vengono commessi degli errori. Nella bozza dell’OIC 9 i costi di vendita appaiono come parte integrante del valore equo, con la conseguenza che essi hanno la capacità di condizionare quest’ultimo. Invece, nella definizione contenuta nello IAS 36, come verrà spiegato più approfonditamente nel capitolo seguente, il fair value è un valore oggettivo che non dipende dalle specificità della singola azienda; i costi di vendita sono una componente che va sottratta al fair value, al fine di confrontare tale valore con il valore d’uso e scegliere il maggiore tra due da utilizzare come valore recuperabile. Inoltre,

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nella definizione data dall’OIC nulla viene detto in merito alla circostanza in cui il valore equo non sia attendibilmente determinabile. Al contrario, lo IAS 36 al paragrafo 20 prevede che, qualora non sia possibile stimare il fair value in modo attendibile, il valore recuperabile corrisponda al solo valore d’uso. Quindi, maggiori specificazioni in tal senso si ritengono necessarie, anche per dare interpretazione all’articolo 2427 punto 3-bis c.c. che parla di “valore di mercato, se rilevante”.

Anche facendo riferimento all’approccio semplificato si riscontrano alcune criticità. La più rilevante consiste nella definizione troppo generica attribuita al concetto di capacità di ammortamento. Infatti, non viene chiarito se nel calcolo debbano essere considerati solo i flussi reddituali relativi alla gestione caratteristica o anche quelli relativi ad altre aree gestionali. Per ragioni di coerenza, dato che i flussi finanziari nel metodo ordinario vengono calcolati senza considerare gli effetti fiscali e finanziari, ci si aspetta che ciò debba avvenire anche nel metodo semplificato. Tuttavia, osservando i casi applicativi contenuti in appendice alla bozza, si evince che la capacità di ammortamento deriva dalla somma algebrica dei ricavi, dei costi variabili e fissi nonché degli oneri finanziari contenuti nei budget annuali115. Questa previsione crea incoerenza tra le disposizioni della bozza, in

quanto non risulta chiaro perché i flussi finanziari determinati secondo il metodo ordinario siano al lordo degli oneri finanziari mentre nei flussi reddituali calcolati con il metodo semplificato essi debbano essere considerati. Si aggiunge inoltre che la bozza non fornisce alcuna indicazione in merito alle modalità di determinazione di suddetti oneri finanziari.

La questione degli oneri finanziari permette anche di collegarsi ad un’altra criticità rilevata nella bozza. Nell’introduzione, la decisione di adottare una duplice metodologia di determinazione delle perdite per riduzione di valore delle immobilizzazioni viene giustificata dal fatto che, per le società di minori dimensioni, i risultati ottenuti applicando i due metodi non divergono in misura rilevante. Questo non è però del tutto condivisibile. Infatti, anche nel caso in cui i flussi finanziari coincidano con quelli reddituali e l’UGC coincida con l’intera società, il processo di attualizzazione previsto nel metodo ordinario rende i risultati ottenuti da quest’ultimo più bassi rispetto a quelli ottenuti applicando il metodo semplificato, il quale invece non prevede alcuna attualizzazione. Questo potrebbe provocare delle distorsioni per quelle imprese che si trovano vicine alle soglie previste per essere classificate come imprese di piccole dimensioni: un’impresa appena sotto le soglie dimensionali in un dato esercizio potrebbe non dover effettuare la svalutazione ma, se nell’esercizio successivo dovesse superare tali soglie, potrebbe dover rilevare la svalutazione a causa del cambiamento del metodo di determinazione della perdita, pur in

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assenza di modifiche rilevanti nella gestione. Ritornando alla questione degli oneri finanziari, c’è quindi da chiedersi se la scelta compiuta dall’OIC di considerare questi ultimi nell’approccio semplificato sia da giustificarsi con la volontà di creare una sorta di compensazione della mancata attualizzazione dei flussi reddituali. Tuttavia, se così fosse, non si capisce perché tale giustificazione non venga chiaramente esposta nel principio. Infine, l’ultima criticità è rappresentata dalla previsione di due soli indicatori molto generici di perdita durevole di valore nel caso di applicazione dell’approccio semplificato, a differenza di quanto accade con riferimento all’approccio ordinario. Infatti, la mancanza di indicatori più precisi lascia spazio alla discrezionalità dei redattori del bilancio nel decidere se ci si trovi di fronte ad una situazione a rischio o meno. Per esempio, essi potrebbero decidere di non rilevare una perdita durevole di valore di un'attività al fine di mettere in atto politiche di bilancio, giustificando tale scelta con la temporaneità della perdita stessa.

A conclusione di quanto esposto, si osserva che la bozza per la consultazione dell’OIC 9 costituisce un’importante novità per i principi contabili nazionali, attraverso la quale è possibile superare alcune incoerenze contenute negli attuali principi contabili che disciplinano le perdite durevoli di valore. Nella stessa sono infatti contenute disposizioni più analitiche e precise in grado di supportare i redattori dei bilanci, soprattutto in termini operativi. Tuttavia, essa presenta degli elementi di criticità che si ritiene possano essere