Prima dell’avvento dei corticosteroidi, il tasso di mortalità era di circa il 50% a tre mesi dalla diagnosi (88, 91, 106, 128). La EGPA è adesso considerata una malattia benigna con un tasso di mortalità complessivo inferiore rispetto alle altre vasculiti ANCA associate (106, 128). Nel 2007, il Gruppo Europeo sulle Vasculiti Reumatiche Sistemiche ha intrapreso una completa revisione della letteratura al fine di definire gli esiti delle vasculiti sistemiche. In relazione ai dati riportati, il tasso di remissione nella EGPA risulta compreso fra l’81% e il 91%, in linea con la GPA e più alto rispetto alla MPA (129). Il tasso di recidiva è stato stimato in circa il 20%-30%, inferiore rispetto alla GPA (30%-40%) e alla MPA (34%), e con la tendenza ad aumentare col tempo. Il coinvolgimento del tratto gastroenterico, la persistente positività degli ANCA, e un aumento dei titoli degli ANCA sono considerati fattori di rischio per la recidiva nella EGPA. Sebbene l’intervallo di tempo medio intercorso fra la remissione e l’insorgenza di una recidiva sia di 69.3 mesi (8), la maggior parte delle recidive si presentano nel primo anno di follow-up (128, 130), e ad eccezione del caso di un aumento dell’eosinofilia (8), sono difficili da prevedere. Le recidive vengono comunemente distinte in minori e maggiori. Le recidive minori sono state ampiamente descritte e vengono definite come la comparsa o la ricomparsa di sintomi di EGPA (febbre, artralgie, e altri sintomi costituzionali) senza l’evidenza di impegno d’organo. Le recidive maggiori, definite come lo sviluppo di un interessamento d’organo, fra cui emorragia alveolare, dolore addominale, o neuropatia, sono state descritte meno frequentemente. Le riesacerbazioni dell’asma o della sinusite, accompagnate o meno da un aumento nella conta degli eosinofili periferici, non vengono considerate recidive ma livelli fluttuanti di
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attività di malattia. Questo tipo di riesacerbazione, non giustifica un’intensificazione della terapia se non un lieve incremento della posologia del farmaco abituale o l’aggiunta di corticosteroidi a basse dosi (129). Nonostante la buona prognosi della EGPA, molti pazienti necessitano di un trattamento a lungo termine con corticosteroidi per il controllo dell’asma (91). Questo prolungato utilizzo di corticosteroidi è stato ritenuto responsabile dell’alto tasso di danno iatrogeno riscontrato in questi pazienti (89, 91, 93). Negli studi di Solans e colleghi (93), ipercortisolismo, diabete mellito secondario indotto da corticosteroidi, miopatia indotta da steroidi, osteoporosi con frattura vertebrale e osteonecrosi della testa del femore sono stati osservati nel 50% dei pazienti durante il follow-up. Altre manifestazioni di danno includevano manifestazioni neurologiche e cardiache, come ipoestesia agli arti inferiori, atrofia e debolezza muscolare, dolore neuropatico e insufficienza cardiaca (93). La sopravvivenza dei pazienti con EGPA è stata riportata fra il 93%-94% ad un anno e il 60%-97% a cinque anni; più alta della MPA (82%-92% ad un anno, e 45%-76% a cinque anni) e paragonabile alla GPA (85%-97% ad un anno, e 69%-91% a cinque anni) (106, 129).
Tuttavia, non tutti i pazienti affetti da EGPA condividono la stessa prognosi; essa dipende dal grado iniziale di estensione della malattia e di coinvolgimento d’organo. Gli originali fattori prognostici del Five Factors Score (FFS) (131), sono stati ricavati da un’ analisi univariata e multivariata di 342 pazienti con vasculite, di cui 82 con EGPA. I cinque fattori del FFS (ad ognuno dei quali veniva attribuito un punto) che conferivano un aumentato rischio di mortalità erano (1) proteinuria >1g/24h; (2) livelli di creatinina sierica >140 µmol/L (150 nella versione revisionata del FFS); (3) coinvolgimento miocardico; (4) grave coinvolgimento gastroenterico; (5) coinvolgimento del
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sistema nervoso centrale. Questo score costituiva per il clinico un importante fattore prognostico, essendoci un progressivo incremento del tasso di mortalità a cinque anni dal 12%, al 26%, al 46% rispettivamente per un punteggio al FFS di 0, 1, 2. Il FFS serve quindi ad identificare quei soggetti che avendo un maggior rischio di recidiva e mortalità, necessitano di un trattamento immunosoppressivo più aggressivo. Il FFS è stato in seguito revisionato dopo uno studio effettuato su 1108 pazienti affetti da vasculite necrotizzante sistemica, comprendenti anche la GPA (109). I seguenti cinque criteri, a ognuno dei quali è attribuito un punto, sono adesso significativamente e indipendentemente associati con una più alta mortalità a cinque anni: (1) età > di 65 anni; (2) sintomi cardiaci; (3) coinvolgimento gastrointestinale; (4) insufficienza renale caratterizzata da valori di creatinina > 150 µmol/L; (5) l’assenza di manifestazioni riferibili a orecchio, naso, gola. In accordo con questa nuova definizione, il tasso di mortalità a cinque anni per un FFS di 0, 1, 2 è rispettivamente il 9%, 21%, 40%. La vasculite rappresenta la prima causa di morte dei pazienti con EGPA, causando circa la metà (47.6%) di esse (88). La cardiomiopatia (39%) è la prima causa di morte, ed è dovuta ad insufficienza cardiaca refrattaria o a morte improvvisa; la seconda causa di morte è legata a complicanze gastrointestinali, in particolare infarto mesenterico (8.7%). La mortalità nel corso del primo anno è il risultato di una vasculite non controllata (66%) (132) in soggetti con interessamento cardiaco, gastroenterico o renale. Altre cause di morte possono includere malattie respiratorie (17.4%) (insufficienza respiratoria e grave stato asmatico) e complicanze iatrogene (17.4%) (88). A proposito di quest’ultime recenti studi hanno trovato una correlazione fra decessi infezione-correlati e un’importante trattamento con terapia immunosoppressiva (128).
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1.11 TRATTAMENTO
La scelta terapeutica per pazienti con EGPA di nuova diagnosi dipende dalla loro prognosi alla diagnosi stimata con il FFS. Per tutti i pazienti, l’obiettivo terapeutico è di indurre una remissione clinica il prima possibile, e successivamente di mantenerla permanentemente. Nonostante la EGPA abbia un tasso di mortalità complessivo molto basso, circa un quarto dei pazienti va incontro a recidiva. La terapia corticosteroidea rappresenta il cardine del trattamento della EGPA, e in associazione alla terapia immunosoppressiva, in particolar modo la ciclofosfamide (CYC), ha notevolmente migliorato la prognosi e i tassi di sopravvivenza dei pazienti affetti da EGPA, controllando le manifestazioni di malattia se prontamente somministrati (13, 14, 83, 84). Come terapia di induzione viene prescritto il prednisone sia a pazienti a prognosi favorevole sia sfavorevole ad un dosaggio di 1mg/Kg/die. Possono essere anche utilizzati dei boli di metilprednisolone (15mg/kg) per 1-3 giorni al fine di ottenere un rapido controllo dei sintomi nei pazienti con un quadro clinico più severo, in genere in associazione a CYC, somministrata per via orale o endovenosa, o in combinazione con altri farmaci immunosoppressori (13). La durata della terapia di induzione dipende dall’entità dei sintomi, essendo comunque in genere necessarie 3-4 settimane. Dopo questa fase iniziale, la posologia dello steroide viene progressivamente ridotta fino a raggiungere un valore di 5-10 mg/die a 12 mesi. Per i pazienti senza fattori di rischio (FFS=0), è stata valutata la possibilità di utilizzare solo i glucocorticoidi come terapia di induzione. Nello studio CHUSPAN (130), la sopravvivenza a 5 anni era eccellente (96.6%), avvalorando il FFS. Tuttavia, solo il 55.6% dei
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pazienti ha raggiunto una remissione completa, e un terzo dei pazienti (34.4%) ha necessitato di farmaci immunosoppressori, il 16.6% in quanto la sola terapia steroidea aveva fallito, e il 25% a causa di recidiva. In un altro studio effettuato su soggetti a prognosi favorevole (130), il 93% era entrato in remissione solo con i corticosteroidi, ma il 35% era andato incontro a recidiva, spesso durante il primo anno di follow-up, e il 79% aveva richiesto una terapia persistente a base di corticosteroidi a basse dosi. Inoltre, nel 26% di questi pazienti l’aggiunta di un farmaco immunosoppressore è stata necessaria per il controllo della malattia. In conclusione, nonostante una certa percentuale di pazienti risponda a una terapia basata sull’utilizzo di soli corticosteroidi, esiste un sottogruppo di pazienti a buona prognosi che necessita di un trattamento con farmaci immunosoppressori. Diversi farmaci immunosoppressori sono stati utilizzati in pazienti con prognosi favorevole nel tentativo di ridurre la percentuale di recidive (133). Per questa indicazione, la CYC non è ritenuta utile in questo sottogruppo di pazienti ed ha un basso rapporto rischio/beneficio (134). L’associazione di prednisolone a basse dosi e methotrexate è stata proposta come valida alternativa per l’induzione della remissione delle forme meno aggressive di malattia. Il methotrexate somministrato per via endovenosa a un dosaggio di 0.3 mg/kg/sett ha avuto un effetto favorevole come steroido-risparmiatore nel 56% dei casi. Sebbene sicuro ed efficace per l’induzione della remissione, la capacità del methotrexate di prevenire le ricadute è apparsa comunque limitata (83). Infine, come terapia di seconda scelta può essere utilizzata anche l’azatioprina in soggetti con EGPA a prognosi favorevole, in caso di recidiva nel corso del primo anno o di fallimento del trattamento di prima linea. Spesso, comunque, dopo aver ottenuto una remissione di malattia, molti pazienti necessitano
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proseguire una terapia a base di corticosteroidi per il controllo dell’asma e della sinusite. A causa della terapia a lungo termine con corticosteroidi, in aggiunta dovrebbero essere prescritti anche calcio, bifosfonati e Vit.D per prevenire l’insorgenza di osteoporosi iatrogena steroido-correlata.
Per i pazienti con almeno un fattore prognostico negativo (FFS>1) è sempre necessario un trattamento con farmaci immunosoppressori. La terapia di induzione con boli di CYC (0.6-0.7 g/ ) è la terapia di scelta grazie alla sua efficacia e ai più limitati effetti collaterali, in confronto alla somministrazione orale. Nell’esperienza degli autori, boli di metilprednisolone in combinazione con CYC sono stati utilizzati per l’induzione della remissione nella maggior parte dei pazienti ed erano generalmente preferiti alla somministrazione orale giornaliera di piccole dosi di corticosteroidi (89). Gli autori sono più inclini a credere che nella EGPA ad esordio acuto, la precoce somministrazione di boli di glucocorticoidi e CYC possa essere più sicura e più efficace nel controllo della malattia rispetto a una somministrazione a lungo termine di medie o alte dosi degli stessi farmaci. Recentemente, il Gruppo di Studio Francese sulle Vasculiti Sistemiche ha condotto uno studio randomizzato controllato in pazienti con fattori prognostici sfavorevoli (FFS>1). Lo studio multicentrico (135) è stato condotto su 48 pazienti con fattori prognostici sfavorevoli (FFS>1) per valutare l’efficacia dei corticosteroidi in associazione a 6 oppure a 12 infusioni di CYC nel trattamento delle forme severe di EGPA. Questo studio ha dimostrato la superiorità del regime sostenuto con 12 infusioni di CYC rispetto a 6 infusioni nel controllo delle forme severe di malattia. In realtà non sono emerse significative differenze statistiche tra i due gruppi di trattamento (12 infusioni vs 6 infusioni di CYC) relative alla
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percentuale di remissione clinica/mancata remissione clinica, sopravvivenza o le ricadute maggiori, ma solo nella prevenzione delle recidive minori di malattia. Analogamente ad altre vasculiti ANCA associate, la somministrazione orale di CYC può far parte dell’armamentario terapeutico della malattia ma il suo utilizzo è ristretto alle forme più severe, poiché è stato dimostrato che la CYC orale può essere efficace dove l’infusione ha fallito.
Per quanto concerne il mantenimento della remissione, i farmaci più largamente utilizzati, analogamente a quanto avviene nelle altre vasculiti sistemiche, sono i corticosteroidi da soli o in associazione ad altri farmaci immunosoppressori come il methotrexate e l’azatioprina (136). La ciclosporina A è stata utilizzata in alcuni casi di EGPA (137) ma nessuno studio ha confermato la sua utilità. Sebbene la durata ottimale della terapia di mantenimento non sia ancora stata stabilita, è largamente accettato che essa debba durare almeno tra i 18 e i 24 mesi (138).
Nei pazienti refrattari al trattamento o che vanno frequentemente incontro a recidive, sono stati proposti diversi trattamenti alternativi. Recentemente nuovi farmaci si sono fatti strada nella terapia della EGPA e vi sono case report di pazienti trattati con successo con farmaci biologici come il rituximab (un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro l’antigene di superficie CD20 dei linfociti B), il mepolizumab (un anticorpo monoclonale anti-IL5) e l’omalizumab (un anticorpo ricombinante umanizzato monoclonale anti-IgE). Questi ultimi due in particolare sembrerebbero particolarmente efficaci nella terapia delle manifestazioni di malattia legate all’infiltrazione eosinofila tissutale e al controllo della sintomatologia asmatica severa e persistente in soggetti già in trattamento con corticosteroidi e β2- agonisti a lunga durata d’azione (139-141). Il numero limitato dei dati
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a disposizione non permette però ancora di definirne il ruolo esatto nella terapia della EGPA. Alcuni farmaci sono stati utilizzati sporadicamente, come ad esempio le immunoglobuline per via endovenosa (IVIG), infuse ogni mese per due giorni alla dose di 2g/Kg, come farmaco immunosoppressore alternativo nelle donne in gravidanza (142), o come terapia di salvataggio in pazienti con neuropatia o cardiomiopatia refrattaria (143). Per analogia con altre vasculiti ANCA-associate (144), la plasmaferesi può essere utile in pazienti affetti da EGPA ANCA-positivi, in particolar modo in pazienti con glomerulonefrite rapidamente progressiva e sindrome rene-polmone. Fra i farmaci utilizzati nelle forme refrattarie di malattia bisogna ricordare anche l’interferone-α e i farmaci inibitori del tumor necrosis factor (TNF). Dopo una serie di case-reports sporadici, è stato effettuato un trial open-label con interferone-α ( 3 milioni di IU 3 volte a settimana per iniezione sottocutanea) per l’induzione della remissione in sette pazienti refrattari alla CYC. Nonostante non ci siano dei dati sul meccanismo d’azione dell’interferone-α (IFN-α) nella EGPA in vivo, sembra che esso moduli l’eccessiva produzione di citochine attivanti gli eosinofili. L’IFN-α riduce l’espressione sia dell’IL-5 che dell’IL-13 da parte di linfociti TH2 differenziati in vitro. La ridotta produzione di IL-5 rappresenterebbe quindi una spiegazione plausibile dell’effetto terapeutico dell’IFN-α nella EGPA (145). Per quanto concerne i farmaci inibitori del TNF (infliximab, etanercept, adalimumab), sono stati utilizzati solo in casi isolati. Arbach e colleghi (146) descrivono 3 casi trattati con farmaci anti-TNF (1 paziente era stato trattato con etanercept e 2 con infliximab) di soggetti con impegno cardiaco o del sistema nervoso centrale e refrattari al trattamento con ciclofosfamide e glucocorticoidi. Essi hanno ottenuto la remissione completa in un
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paziente, la remissione parziale in un altro caso, e nel terzo un arresto della progressione di malattia. Nonostante i buoni risultati ottenuti, sono necessari ulteriori studi per approfondire l’effetto terapeutico di questi farmaci nella EGPA (Tabella 5). Inoltre, una buona gestione della patologia comprende delle aggiunte terapeutiche. Si deve ottenere un buon controllo dell’asma, in quanto esso spesso decorre indipendentemente dalla vasculite. Si deve effettuare un trattamento profilattico a base di cotrimossazolo (400 mg/die o 800 mg due volte a settimana) per prevenire la polmonite da Pneumocystis Jiroveci in soggetti sottoposti a trattamento con CYC. Infine, il trattamento fisioterapico è parte integrante della terapia di soggetti che presentano deficit motori e sequele di neuropatia periferica.
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Tabella 5 : induzione della remissione, terapia di mantenimento e nuovi
trattamenti nella EGPA.