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Manifestazioni clinico-sierologiche e long-term outcome in una coorte di pazienti con granulomatosi eosinofila con poliangioite (sindrome di Churg-Strauss)

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INDICE :

CAPITOLO 1: INTRODUZIONE pag.3

1.1 Definizione

1.2 Cenni storici

1.3 Inquadramento nosografico della malattia

1.4 Eziopatogenesi

1.5 Storia naturale della malattia

1.6 Clinica

1.7 Significato clinico degli ANCA

1.8 Caratteristiche di laboratorio nella EGPA

1.9 Diagnosi

1.10 Prognosi e outcome a lungo termine

1.11 Trattamento

CAPITOLO 2: SCOPO DELLA TESI pag.40

CAPITOLO 3 : MATERIALI E METODI pag.42

3.1 Disegno di studio

3.2 Pazienti

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3.4 Analisi Statistica

CAPITOLO 4: RISULTATI pag.52

4.1 Prevalenza delle manifestazioni cliniche e sierologiche

nella popolazione in studio

4.2 Status degli ANCA e manifestazioni cliniche della

EGPA

4.3 Remissione, refrattarietà, recidive e grumbling disease

4.4 Danno ed EGPA: prevalenza e fattori di rischio

CAPITOLO 5: DISCUSSIONE pag.62

CAPITOLO 6: CONCLUSIONI pag.66

CAPITOLO 7: BIBLIOGRAFIA pag.67

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1. INTRODUZIONE

1.1 DEFINIZIONE

La Granulomatosi eosinofila con poliangioite (EGPA), precedentemente nota come sindrome di Churg-Strauss, è una rara vasculite necrotizzante sistemica dei vasi di piccolo e medio calibro, caratterizzata da asma grave e ipereosinofilia ematica e tissutale (1).

1.2 CENNI STORICI

EGPA è stata descritta per la prima volta nel 1951 da Jacob Churg e Lotte Strauss (2) e fu inizialmente chiamata angioite e granulomatosi allergica. Churg e Strauss descrissero una sindrome caratterizzata da asma, febbre, eosinofilia e sintomi di insufficienza cardiaca, danno renale e neuropatia periferica causati da un danno vascolare in diversi sistemi d’organo. L’istologia dei 13 casi esaminati da Churg e Strauss (2) includeva vasculite necrotizzante, infiltrati eosinofili nei tessuti e granulomi. Queste caratteristiche identificavano una sindrome che poteva essere distinta dalla classica poliarterite nodosa e anche dalla granulomatosi con poliangioite (Wegener’s, GPA). Denominata sindrome di Churg-Strauss per molti anni, questa patologia è oggi riconosciuta dalla nomenclatura per le vasculiti, revisionata nel 2012, come Granulomatosi eosinofila con poliangioite (Churg-Strauss, EGPA) (3).

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1.3 INQUADRAMENTO NOSOGRAFICO DELLA

MALATTIA

La conoscenza sulla EGPA si è recentemente evoluta. In una percentuale significativa di pazienti affetti da EGPA sono stati trovati anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA) e pertanto, EGPA è stata inclusa nello spettro delle vasculiti associate ad ANCA (AAV) insieme alla granulomatosi con poliangioite (GPA) e alla poliangioite microscopica (MPA) (4). EGPA è associata con gli anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA) in <40% dei pazienti (5, 6). Dal punto di vista epidemiologico si tratta di una malattia rara e una delle vasculiti meno comuni. La sua prevalenza, nella popolazione generale, varia da 10.7 (7) a 13 (8) casi/milione di abitanti, con una incidenza annuale di 0.5-6.8 nuovi casi/milione di abitanti (9-11), in relazione alla loro posizione geografica e ai criteri classificativi applicati. Nella popolazione asmatica, l’incidenza di EGPA è più alta, variando da 34.6 (12) a 64.4 (9) casi/milione di pazienti l’anno, in relazione alla definizione di malattia e alla popolazione studiata. In particolare, l’incidenza di EGPA nella popolazione asmatica non varia, qualunque sia il trattamento precedentemente effettuato, specialmente per quanto concerne l’utilizzo di antagonisti dei recettori dei leucotrieni. EGPA in genere insorge in soggetti di età compresa fra i 38 e i 52 anni, con un età media alla diagnosi di 49 anni (range 7-74 anni) (13, 14) senza una chiara predominanza di genere. Le lesioni anatomo-patologiche caratteristiche della EGPA sono: gli infiltrati eosinofili, la vasculite necrotizzante, e i granulomi (2, 16). Il ritrovamento contestuale di tutte e tre queste lesioni in un singolo prelievo bioptico è molto raro (16).

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1.4 EZIOPATOGENESI

La granulomatosi eosinofila con poliangioite è una malattia rara, pertanto le conoscenze sulla sua eziopatogenesi sono molto scarse e frammentarie. Di fatto l’eziologia della EGPA rimane tuttora sconosciuta. La EGPA sembra svilupparsi in seguito ad una risposta infiammatoria ad alcuni antigeni. Questa conclusione patofisiologica era basata su numerosi casi di pazienti che avevano sviluppato la malattia dopo il contatto con alcuni agenti trigger. Fra questi sono stati individuati fattori infettivi (quali Actinomices (17)), farmaci (macrolidi (18), carbamazepina (19)) e vaccinazioni (20). Sono stati considerati anche farmaci antiasmatici, in particolare gli antagonisti dei recettori dei leucotrieni montelukast e zafirlukast (21-24), e recentemente l’anticorpo monoclonale anti-IgE ricombinante, omalizumab (25-27). Comunque, è sempre più largamente accettata l’idea, che sia la riduzione della posologia dei corticosteroidi concessa da questi farmaci piuttosto che i farmaci stessi a favorire la comparsa della EGPA, slatentizzando forme fruste precedentemente non diagnosticate in soggetti affetti da asma grave (28-29).

Per quanto concerne la patogenesi, nel tempo sono state avanzate diverse ipotesi basate su osservazioni clinico-sierologiche. Essendo l’asma la prima manifestazione di malattia nella quasi totalità dei casi, è stato inizialmente ipotizzato che l’evento patogenetico scatenante potesse essere una risposta infiammatoria ad antigeni inalati (17). Inoltre, la scoperta che i pazienti affetti da EGPA durante le riacutizzazioni della malattia avessero aumentati livelli sierici delle immunoglobuline E (IgE) totali e immuno-complessi contenenti IgE (30), ha supportato l’ipotesi che EGPA potesse essere una vasculite da

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immuno-complessi indotta dall’allergia. In effetti, i sintomi clinici di esordio, di verosimile natura atopica, sembravano supportare l’ipotesi di una eziologia di natura allergica. In realtà, l’allergia colpisce appena un terzo dei pazienti (31). Negli ultimi anni l’attenzione si è focalizzata sul ruolo eziopatogenetico degli anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA). Gli ANCA sono stati descritti per la prima volta da Davies in soggetti con glomerulonefrite segmentaria e vasculite (32). Due anni più tardi Hall confermò le osservazioni di Davies ritrovando tali anticorpi in quattro pazienti con vasculite a carico dei vasi di piccolo calibro (33). Nel 1985 Van der Woude e coll. riscontrarono la presenza degli ANCA nel siero di pazienti con granulomatosi con poliangioite in fase attiva (34). In seguito fu osservato che tali anticorpi costituivano un marker sierologico della granulomatosi con poliangioite e che all’immunofluorescenza indiretta producevano un caratteristico pattern granulare citoplasmatico, da cui è stata introdotta la defizione di cANCA (35-37). I cANCA in particolare, sono autoanticorpi rivolti verso la proteinasi-3 che è una proteasi di 29 Kd presente nei granuli azzurrofili dei polimorfonucleati (PMN) (35, 38-42). Successivamente Falk e Jennette hanno esteso l’uso del termine ANCA ad altri anticorpi che determinano un pattern di immunofluorescenza perinucleare su preparazioni di neutrofili umani (38). In contrapposizione ai precedenti, questi autoanticorpi sono stati definiti pANCA (35). Oggi, sono noti anche degli ANCA “atipici” (aANCA) che presentano un pattern all’immunofluorescenza che non è né citoplasmatico né perinucleare e che si ritrovano in numerose affezioni come le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD), la colangite sclerosante primitiva e l’artrite reumatoide (38). I pANCA sono autoanticorpi rivolti contro la mieloperossidasi (MPO) e/o altri antigeni

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citoplasmatici dei polimorfonucleati (elastasi, lattoferrina, catepsina-G, proteina BPI, lisozima, enolasi) (38, 44). Essi sono stati riscontrati in condizioni patologiche estremamente eterogenee tra cui anche la EGPA (45-49). Nella EGPA, in particolare, è stata descritta la presenza sia dei cANCA che dei pANCA, ma l’associazione EGPA/pANCA si è dimostrata la più frequente (46, 48). Oltre che nella EGPA, i pANCA possono essere presenti in altre forme di vasculite come la poliangioite microscopica (MPA), la glomerulonefrite rapidamente progressiva pauciimmune e la crioglobulinemia mista essenziale (36, 50-52). I pANCA sono stati osservati inoltre in altre patologie autoimmuni come la miastenia gravis e la polimiosite/dermatomiosite (51). Il ruolo patogenetico degli MPO-ANCA nella granulomatosi eosinofila con poliangioite è stato dimostrato sia in vitro sia in vivo. In primo luogo, gli MPO-ANCA sono in grado di attivare i neutrofili, portando alla produzione di specie reattive dell’ossigeno e al rilascio di enzimi lisosomiali proteolitici contenuti nei granuli dei neutrofili, causando un conseguente danno vascolare (53). In secondo luogo, sono in grado di danneggiare l’endotelio vascolare, in quanto possono aumentare la permeabilità della parete vasale, inducendo l’espressione da parte dell’endotelio vascolare di numerose citochine, come interleuchina 1 (IL-1), IL-6, IL-8, e molecole di adesione intercellulari e delle cellule vascolari. Infine, attraverso il trasferimento passivo di questi anticorpi nei topi, è stato possibile confermare il ruolo eziopatogenetico degli ANCA nello sviluppo delle vasculiti e, in particolare, delle glomerulonefriti in vivo (54, 55) (Tabella 1).

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Autore Modello Induzione Auto-ab Vasculite Mathieson (1992) Ratti BN MgCl2 Anti-MPO Piccoli vasi

Various (1987) Topi

MRL/lpr

Spontanea Anti-MPO Piccoli vasi

Kinjoh (1993) Topi SCG Spontanea Anti-MPO GNRP Brouwer (1993) Ratti BN MPO

umana

Anti–MPO di ratto

GNRP

Heeringa (1997) Ratti BN MPO

umana

Anti–MPO di ratto

Polmonare/

GI Blank (1995) Topi Balb-c Pr-3

umana

Anti Pr-3 umana Polmonare

Tabella 1: Modelli animali di glomerulonefrite e vasculite ANCA-associate

(56-63).

In quegli esperimenti, tuttavia, altri aspetti caratteristici della EGPA, come l’eosinofilia ematica e tissutale, non sono stati riscontrati. Pertanto, sebbene gli MPO-ANCA sembrino avere un ruolo patogenetico nello sviluppo delle manifestazioni vasculitiche, questi non sembrano essere implicati nello sviluppo di altri aspetti clinico-sierologici riscontrati in pazienti affetti da EGPA. Nei soggetti ANCA-negativi altri fattori sono necessari allo sviluppo delle manifestazioni sistemiche. Tra questi, gli eosinofili sembrano avere un ruolo predominante. Gli eosinofili sono costantemente presenti alla diagnosi e sembrano essere attivati durante le riacutizzazioni di malattia, come suggerito dall’espressione sulla loro superficie cellulare di CD25 e CD69 (64). Inoltre, il siero di soggetti affetti da EGPA, i fluidi raccolti attraverso il lavaggio bronco-alveolare, e i campioni d’urina contengono elevati livelli di proteine citotossiche

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degli eosinofili, compresa la proteina cationica degli eosinofili (ECP) (65,66), la proteina basica maggiore degli eosinofili (67), la neurotossina eosinofilo-derivata (68) e le eosinofile perossidasi (69), che sono note per essere direttamente implicate nel danno tissutale. L’attivazione degli eosinofili nella EGPA richiede la loro stimolazione da parte di specifiche citochine. Questo è in parte assicurato dai linfociti T, i quali presentano prevalentemente un fenotipo TH2 attivato, con conseguente secrezione di alti livelli di IL-4, IL-13 (70), IL-5 (64). Queste tre interleuchine, in particolar modo l’IL-5, sono essenziali per l’attivazione, la maturazione, e la sopravvivenza degli eosinofili. Inoltre, la stretta correlazione esistente fra l’attività di malattia e la concentrazione di IL-5 (71,72), ha suggerito l’importante ruolo degli eosinofili e dei linfociti T IL-5 secernenti nella patogenesi della EGPA. Studi recenti hanno perfino dimostrato la possibilità di un interazione fra gli eosinofili e i linfociti TH2, attraverso la secrezione dell’IL-25, un potente attivatore della risposta TH2, da parte degli eosinofili stessi (73). Questo ed altri fattori, come ad esempio una diminuizione dell’apoptosi degli eosinofili, per mezzo di elevati livelli di CD95 solubile (74), potrebbero spiegare la persistente eosinofilia presente nella EGPA in fase attiva. L’eotassina 3, una chemochina secreta in elevate quantità dalle cellule endoteliali ed infiammatorie dei tessuti danneggiati nei pazienti affetti da EGPA, sembra indirizzare direttamente gli eosinofili verso i tessuti affetti (75). Altre cellule sembrano essere implicate nella patogenesi della EGPA, come i linfociti di tipo TH1, che secernono citochine come l’interferone-γ e il recettore solubile dell’IL-2 (70), possibili induttori della formazione del granuloma. La coesistenza di citochine secrete da linfociti di tipo TH1 e TH2 nella EGPA, porta a ipotizzare che variazioni nel rapporto TH1/TH2 nel corso delle diverse fasi della

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malattia, possano essere parzialmente responsabili delle differenti manifestazioni cliniche della patologia, dalla vasculite granulomatosa TH1 mediata all’ ipereosinofilia sistemica TH2 mediata (76). In ogni caso, questa spiegazione potrebbe anche essere considerata troppo semplicistica e sorpassata (77). Altri protagonisti della patogenesi della EGPA sembrano essere i linfociti T regolatori (78), e le cellule TH17 e Tr1 (79). I principali meccanismi patogenetici sono di seguito rappresentati nella Figura 1. Infine diversi studi hanno dimostrato la presenza di fattori genetici predisponenti (gli alleli HLA-DRB1*04 e DRB1*07, il gene HLA-DRB4, e l’aplotipo IL-10.2 (80, 81)). Perciò, sebbene indubbiamente siano stati fatti dei progressi nella conoscenza dei meccanismi molecolari e cellulari coinvolti nella patogenesi della EGPA, non è stato ancora elaborato un meccanismo patogenetico unificante.

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11 Allergeni Th1/Th17

IL2,IFNγ,IL17 Granuloma Danno tissutale vasculite

TCR

IL4,IL5,IL13

APC Th2

IL17R Cellula B IgE,IgG4,ANCA IL25 CCR3 EDN,ECP,MBP

Danno tissutale Eotassina-3 Eosinofili

Figura 1: schema semplificato degli eventi patogenetici della granulomatosi

eosinofila con poliangioite. Allergeni non identificati provocano una risposta immunitaria adattativa nei pazienti affetti da EGPA. Le cellule T secernono citochine e attivano gli eosinofili. La forte risposta dei linfociti Th2 induce un’attivazione delle cellule B con conseguente produzione di IgG4, IgE e anticorpi anticitoplasma dei neutrofili (ANCA). L’aumentata espressione e secrezione di eotassina-3 guida gli eosinofili verso l’endotelio e i tessuti. Gli eosinofili a loro volta mantengono l’attivazione delle cellule T per mezzo della secrezione di IL-25. Infine, la degranulazione degli eosinofili attivati causa danno, necrosi, e fibrosi tissutale e vasale. APC, cellula presentante l’antigene; TCR, recettore delle cellule T; EDN, neurotossina eosinofilo-derivata; MBP, proteina basica maggiore; ECP, proteina cationica degli eosinofili.

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1.5 STORIA NATURALE DELLA MALATTIA

La storia naturale della malattia è stata suddivisa in tre fasi da Lanham et al (15): una fase prodromica caratterizzata da asma, rinosinusite e poliposi nasale; una seconda fase, dominata dalla comparsa di eosinofilia periferica e tissutale, in particolare a livello polmonare, cardiaco e gastrointestinale, con o senza granulomi; e una fase sistemica, propriamente definita fase vasculitica, che si manifesta generalmente a distanza di circa 3-4 anni dall’esordio dell’asma (range 2 mesi-30 anni) (40) e colpisce preferenzialmente la cute, il sistema nervoso periferico e i reni. Un intervallo di tempo inferiore ai tre anni è stato correlato a una prognosi sfavorevole (82). Nonostante queste tre fasi non siano necessariamente successive l’una all’altra, tutti i più ampi studi clinici hanno giustificato gli aspetti clinici e sierologici dei loro pazienti facendo riferimento a questa stadiazione della malattia (13, 14, 83).

1.6 CLINICA

SINTOMI COSTITUZIONALI

I primi stadi della malattia sono spesso caratterizzati dalla comparsa di sintomi aspecifici, in primo luogo astenia, malessere, febbre (58%), e significativa e rapida perdita di peso (>5% del peso corporeo). Mialgie diffuse e poliartralgie sono state riportate nel 37%-57% dei pazienti con EGPA, in particolar modo all’esordio della malattia (13, 84). Le poliartralgie vengono descritte come migratorie e coinvolgenti tutte le articolazioni. L’artrite e la sinovite sono state rilevate in una percentuale inferiore di pazienti (<20%) (14, 83).

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INTERESSAMENTO POLMONARE E DELLE ALTE

VIE AEREE

Tra le varie manifestazioni cliniche della malattia alcuni aspetti sono considerati distintivi della EGPA e sono ritenuti capaci di differenziare EGPA da altre vasculiti sistemiche e dalle altre sindromi ipereosinofiliche (HESs). L’asma è il sintomo principe della malattia (15, 20, 47, 82, 85-87,), è presente nel 96%-100% dei pazienti e rappresenta la manifestazione principale della fase prodromica. Sono stati descritti anche casi d’insorgenza dell’asma in una fase successiva all’esordio della fase vasculitica ma sono eccezionalmente rari (88, 89). Rispetto alle forme comuni di asma allergico, l’esordio della sintomatologia asmatica è tipicamente più tardivo e si colloca in media intorno ai 35 anni di età (45, 15), l’asma diventa più grave col tempo ed è spesso refrattaria al tradizionale trattamento inalatorio (90). Prima della diagnosi di EGPA, per ottenere un adeguato controllo dell’asma, circa il 75% dei pazienti necessita di trattamento con corticosteroidi per via orale (82). Il broncospasmo è di norma modesto (82). La sintomatologia asmatica tende comunemente a regredire all’esordio della fase vasculitica, anche se in alcuni casi è stato possibile osservare una riesacerbazione della sintomatologia nella fase immediatamente precedente l’insorgenza dei sintomi sistemici (13, 82). In ogni caso, l’asma tende ad essere una manifestazione persistente della malattia ed è uno dei fattori che maggiormente influenzano negativamente la qualità di vita del paziente, anche quando le altre manifestazioni della malattia sono sotto controllo terapeutico (49, 88, 91). L’asma si associa frequentemente alla rinite allergica (47%-93%), polipi nasali,

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ostruzione, e sinusite paranasale ricorrente o cronica (62%-77%) evidenziabile per mezzo delle tecniche radiografiche e di tomografia computerizzata (TC) (5, 6, 15, 47, 49, 82, 85, 88, 89, 91-95). I polipi nasali, in particolare, sono ampiamente considerati un aspetto distintivo della malattia e possono causare ostruzione cronica delle vie aeree, che è una classica manifestazione del danno da malattia nella EGPA (13, 82, 83). La presenza di dolore nasale, rinite crostosa, o emorragia, manifestazioni tipiche della GPA, sono invece poco comuni nella EGPA (96). In aggiunta al coinvolgimento delle vie aeree superiori, il polmone è un tipico organo bersaglio della malattia (97, 98). Sintomi polmonari sono presenti in una percentuale di pazienti compresa fra il 37%-77%, e rappresentano il risultato di un processo vasculitico combinato con vari gradi di infiltrazione eosinofila (5, 6, 15, 47, 49, 82, 85, 88, 89, 91-95). Infiltrati polmonari transitori con asma ed eosinofilia precedono la fase vasculitica nel 40 % dei casi, ma possono coesistere nella fase prodromica e nella fase vasculitica (82). Nelle prime due fasi, l’aspetto istologico è generalmente quello di un diffuso infiltrato eosinofilo, mentre nell’ultima fase sono più comuni i granulomi e la vasculite necrotizzante (13). Il lavaggio bronco-alveolare (BAL) rivela una conta cellulare totale normale, contrapposto a un incremento significativo della percentuale di eosinofili. Radiologicamente, gli infiltrati si presentano generalmente irregolari, asimmetrici e diffusi, senza una distribuzione lobare o segmentale. Possono essere presenti anche infiltrati nodulari bilaterali, che, a differenza della GPA, vanno raramente incontro a cavitazione. Le più comuni anomalie alla tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) consistono in opacità bilaterali a vetro smerigliato e ispessimento della parete bronchiale. Gli infiltrati si associano a versamento pleurico in circa il

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20%-30% dei casi (99). Il versamento pleurico nella EGPA è spesso asintomatico e principalmente caratterizzato da un essudato ricco di eosinofili. L’emorragia alveolare dovuta a una vasculite dei piccoli vasi polmonari, è un'altra, seppur molto meno comune, manifestazione della EGPA che si presenta più frequentemente nei pazienti MPO-ANCA positivi (5, 6).

INTERESSAMENTO DEL SISTEMA NERVOSO

Un altro aspetto distintivo della EGPA è il coinvolgimento del sistema nervoso (100). La neuropatia periferica è il più importante aspetto del processo vasculitico nella EGPA, interessando fino al 75%-81% dei pazienti (5, 6, 15, 47, 49, 82, 85, 88, 89, 91-95). I sintomi neurologici possono essere i sintomi di presentazione della malattia in circa il 20% dei pazienti affetti da EGPA (88). Il processo vasculitico coinvolge tipicamente i nervi periferici, causando mononeuriti multiple. I segni e i sintomi sono quelli tipici delle mononeuriti: improvvisa perdita di forza agli arti inferiori o superiori, deficit sensitivi lungo il decorso di uno o più nervi distali (ipoestesia e in alcuni casi iperestesia dolorosa), e atrofia muscolare. In alcuni pazienti sono state descritte neuropatie periferiche sensitivo-motorie distali simmetriche. I nervi più frequentemente interessati sono il nervo peroniero comune (66% dei pazienti) (88) e il nervo popliteo interno; tuttavia possono essere interessati anche i nervi degli arti superiori (nervo ulnare e radiale). La biopsia del nervo surale rappresenta il “gold standard” per documentare il coinvolgimento del sistema nervoso periferico nelle vasculiti sistemiche, ma la conferma istopatologica di vasculite necrotizzante e infiltrazione perineurale da parte di eosinofili e cellule infiammatorie è stata descritta solo nella metà dei casi, mentre la degenerazione assonale è una delle caratteristiche più comuni. I

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sintomi neurologici possono manifestarsi con vari livelli d’ intensità, tuttavia, anche quando severi, tendono generalmente a rispondere tempestivamente alla terapia standard (5, 6, 15, 47, 49, 82, 85, 88, 89, 91-95, 100). Sono stati riportati in letteratura casi di pazienti con coinvolgimento periferico estremamente importante, come tetraparesi con completa perdita di forza, corrispondente a un completo pattern di denervazione all’elettroneurografia. Nella maggior parte dei casi il paziente, dopo la terapia con immunosoppressori, può recuperare quasi completamente il deficit di forza e può residuare soltanto un piccolo deficit motorio (89). Dati simili sono stati riportati anche da altri autori, enfatizzando che l’interessamento del sistema nervoso periferico può essere drammatico, ma generalmente transitorio. Fra i sintomi residui minori, l’iperestesia o il dolore neuropatico, talvolta associati a un lieve deficit motorio, sono piuttosto comuni (88). La paralisi dei nervi cranici è molto più rara (1%), anche se è stato descritto il coinvolgimento del II, III, VII, e VIII nervo cranico. La lesione dei nervi cranici più comune è la neurite ottica ischemica (100, 101). Sono stati descritti anche casi di polineuropatia e sindromi Guillan-Barré-like (102). Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale è molto meno frequente, ma è stato associato a una elevata morbidità e mortalità. Le vasculiti centrali possono predisporre ad eventi cerebrovascolari di natura emorragica, in particolar modo se si associano a una ipertensione arteriosa non ben controllata.

INTERESSAMENTO CUTANEO

Nella EGPA più della metà dei pazienti (53%-68%) ha delle manifestazioni cutanee, che riflettono il predominante impegno vasculitico dei vasi di piccolo calibro (103, 104). La porpora palpabile agli arti inferiori è la lesione cutanea più frequente, insieme a rash

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orticarioide, infarto cutaneo, livedo reticularis e noduli sottocutanei (104). Clinicamente, i noduli sottocutanei si presentano rossi o violacei, sono a volte dolorosi e si localizzano preferenzialmente al cuoio capelluto e agli arti. La cute è l’organo più frequentemente biopsiato, data la facilità del prelievo. Sebbene non ci siano reperti specifici per EGPA, in presenza di un quadro clinico suggestivo, la biopsia cutanea spesso consente di confermare la diagnosi (105).

INTERESSAMENTO CARDIACO

Nella loro coorte originale di pazienti, Churg e Strauss trovarono all’esame autoptico anomalie miocardiche in oltre il 50% dei casi analizzati, con manifestazioni variabili da un’estesa sostituzione del miocardio da parte di granulomi e tessuto cicatriziale, ad una vasculite dei vasi coronarici (2). Il danno miocardico sembrerebbe causato da mediatori citotossici rilasciati da eosinofili attivati infiltranti e/o da lesioni vasculitiche nel miocardio e nei vasi coronarici epicardici. La miocardite nel tempo può portare a una fibrosi post-infiammatoria e cardiomiopatia restrittiva o ad uno scompenso cardiaco congestizio, mentre la vasculite dei vasi coronarici può causare la comparsa di una cardiopatia ischemica (84). Lo spettro delle manifestazioni cardiache include la pericardite acuta, la pericardite costrittiva, la cardiomiopatia dilatativa o restrittiva, miocardite, aritmie e morte improvvisa. La frequenza dell’interessamento cardiaco varia in relazione agli studi con una percentuale oscillante fra il 15% e l’84,6%. La presenza di un coinvolgimento cardiaco è considerata un fattore prognostico negativo, essendo esso responsabile di circa il 50% dei decessi (106). In considerazione dei potenziali effetti dannosi, è fondamentale sottoporre i pazienti affetti da EGPA ad accertamenti diagnostici in fase precoce. Questi esami comprendono la radiografia del torace,

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l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma, i dosaggi ematici di NT-proBNP e di troponina I. Recentemente, la risonanza magnetica cardiaca (CMRI) è stata proposta come indagine per lo studio dell’interessamento miocardico nei pazienti affetti da EGPA sintomatici o asintomatici, con l’intento di identificare aree di fibrosi miocardica e miocardite in fase attiva. La frequenza delle anomalie rilevate alla CMRI concorda con la percentuale di interessamento miocardico trovato nei pazienti con EGPA sottoposti ad esame autoptico, e suggerisce un elevata incidenza di coinvolgimento cardiaco persino durante la fase di remissione. È, comunque, dibattuto se la CMRI debba essere utilizzata in pazienti asintomatici data l’elevata frequenza di risultati falsi positivi (107, 108).

INTERESSAMENTO GASTROENTERICO

Il coinvolgimento dell’apparato gastroenterico è correlato ad una prognosi sfavorevole (109, 110). I sintomi del tratto digestivo, quali il dolore addominale (presente nel 30%-60% dei pazienti), l’ostruzione intestinale, la nausea, il vomito, la diarrea, e il sanguinamento sono comuni nei pazienti affetti da EGPA e interessano fino ad un terzo dei casi (13, 14, 83, 84). Da un punto di vista patogenetico queste manifestazioni possono essere correlate a due differenti meccanismi: la presenza di infiltrati eosinofili nella parete intestinale e la vasculite mesenterica. L’infiltrazione intestinale da parte degli eosinofili può mimare altre forme di gastroenterite eosinofila e può precedere o coincidere con la fase vasculitica. Infiltrati nella sottomucosa possono dar luogo alla formazione di masse nodulari ostruttive, mentre il coinvolgimento mucoso può causare diarrea e sanguinamento (14). L’interessamento sieroso può indurre una peritonite eosinofila con ascite, con il fluido ascitico contenente una elevata quantità di

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eosinofili (110). La vasculite dei vasi mesenterici di piccolo e medio calibro può causare ischemia intestinale e portare ad ulcerazione della mucosa fino a una possibile perforazione, con necessaria laparotomia d’urgenza (111). Sono stati anche descritti casi di pancreatite, colecistite necrotizzante alitiasica e infiltrati eosinofili a livello epatico (112).

INTERESSAMENTO RENALE

Il coinvolgimento renale nella EGPA interessa meno di un quarto dei pazienti, ed è di gran lunga meno frequente rispetto alla GPA e alla MPA (83). La lesione caratteristica è la glomerulonefrite focale segmentale con aspetti necrotici, indistinguibile dalle lesioni riscontrate nelle altre vasculiti ANCA associate; la patologia renale è comunque ritenuta più lieve e raramente causa insufficienza renale (113). Sono state descritte anche altre lesioni renali, che includono infiltrati eosinofili interstiziali e nefropatia da IgA (89).

MISCELLANEA

Altri sistemi d’organo possono essere interessati nella EGPA. Il coinvolgimento oculare è raro; manifestazioni oculari includono: episclerite, noduli congiuntivali (costituiti da granulomi extravascolari), uveite posteriore (114), occlusione delle arterie e vene retiniche (115). Sono stati inoltre descritti un ingrandimento delle ghiandole salivari, miosite, e coinvolgimento vasculitico della mammella. I pazienti con EGPA sembrano inoltre avere una particolare predisposizione allo sviluppo di eventi tromboembolici, analogamente ai pazienti con GPA (116).

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1.7 SIGNIFICATO CLINICO DEGLI ANCA

È possibile effettuare una semplice distinzione dei pazienti affetti da EGPA in relazione al loro status ANCA. Il 40% circa dei pazienti è ANCA positivo (5, 6), prevalentemente con un pattern di immunofluorescenza di tipo perinucleare (p-ANCA) e una specificità antimieloperossidasi (MPO-ANCA) all’ELISA. Solo una minoranza dei pazienti ha un pattern citoplasmatico (c-ANCA) con anticorpi anti-proteinasi 3 (PR3-ANCA) (13). Recentemente, è stato dimostrato che è possibile osservare diversi fenotipi clinici in relazione alla presenza o all’assenza degli ANCA, suggerendo l’esistenza di differenti meccanismi patogenetici nella EGPA. Nel 2005, per la prima volta, due diversi gruppi di studio, il Gruppo di Studio Vasculitico Francese (5) e quello Italiano (6), hanno confrontato da un punto di vista demografico, clinico e di laboratorio, pazienti con EGPA in base allo status ANCA alla diagnosi, e descritto differenti fenotipi a seconda della presenza o dell’assenza degli ANCA. Precedentemente, solo Keogh e Specks (94), studiando retrospettivamente 74 pazienti con EGPA, avevano trovato un aumentata prevalenza del coinvolgimento del sistema nervoso centrale nei pazienti ANCA-positivi. In tutti gli altri studi non era mai stata individuata una correlazione fra gli ANCA e le diverse manifestazioni cliniche di EGPA, probabilmente a causa del numero esiguo di pazienti arruolati. Sablé-Fortassou e colleghi con il Gruppo di Studio Vasculitico Francese hanno descritto le caratteristiche cliniche e sierologiche di 112 pazienti con EGPA. Il 38% (43 su 112) erano ANCA-positivi e la presenza degli ANCA è stata associata con il coinvolgimento renale, la neuropatia periferica e

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la conferma bioptica di vasculite. Nello stesso studio i pazienti ANCA-negativi presentavano più frequentemente un interessamento cardiaco e febbre (5). Sinico e colleghi (6) trovarono simili risultati pubblicati lo stesso anno. La positività degli ANCA era presente in 35 dei 93 (37.6%) pazienti italiani inclusi nello studio, ed era associata in maniera significativa con una prevalenza più alta di patologia renale, emorragia alveolare e, in misura minore, con altre manifestazioni d’organo quali la mononeurite multipla e la porpora, ma con una più bassa prevalenza di interessamento polmonare e cardiaco. Inoltre, in entrambi gli studi la vasculite è stata documentata meno frequentemente nei campioni istologici di pazienti ANCA-negativi rispetto ai pazienti ANCA-positivi (6). La positività degli ANCA potrebbe essere inoltre correlata ad una maggiore severità di malattia alla diagnosi, come dimostrato dalla proporzione di pazienti con un Five Factors Score FFS >2 (5, 6) e dal Birmingham vasculitis activity score (BVAS) (5). La positività degli ANCA è stata inoltre associata a una maggiore frequenza di ripresa di malattia. Baldini e colleghi (117) hanno studiato 38 pazienti con EGPA e hanno trovato che la ricomparsa o l’incremento degli ANCA erano associate con un più alto richio di recidiva. Un altro recente studio su 38 pazienti ANCA-MPO positivi, di cui 5 con EGPA, ha dimostrato che la ricomparsa degli anti-MPO-ANCA era correlata con una maggiore frequenza di recidiva e che il loro livello sierico era correlato con il BVAS e con l’indice di estensione del danno (118). Sulla base di questi dati, è stato ipotizzato che, come nella GPA e MPA, gli ANCA contribuiscano in maniera diretta al danno endoteliale vasculitico nel sottotipo ANCA-positivo, mentre nel sottogruppo degli ANCA-negativi, gli eosinofili siano direttamente responsabili del danno tissutale attraverso il rilascio di proteine citotossiche. L’ipotesi dell’esistenza di due sottogruppi

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nella EGPA è ora indirettamente supportata dal riscontro di un’aumentata frequenza di HLA-DRB4 in pazienti con EGPA e dalla sua associazione con il sottogruppo di soggetti ANCA positivi (119). Sebbene l’esistenza di due fenotipi clinici possa rivelare l’esistenza di differenti sentieri patogenetici nella EGPA, deve essere comunque sottolineato che in questi studi la dicotomia tra ANCA positivi e negativi non è assoluta e che la sovrapposizione tra i due fenotipi è rilevante. Inoltre, le possibili implicazioni terapeutiche della distinzione in questi due sottotipi sono ancora molto lontane dall’essere chiarite, in quanto gli ANCA non hanno effetti manifesti sulla remissione o sulla sopravvivenza. Per questo motivo, è al momento prematuro proporre differenti strategie terapeutiche, in relazione ai sottotipi patogenetici.

1.8 CARATTERISTICHE DI LABORATORIO NELLA

EGPA

La positività degli anti-MPO-P-ANCA, alti titoli di IgE, e l’ipereosinofilia ematica sono le tre principali anomalie di laboratorio che si ritrovano nella EGPA. Inoltre, nell’80% di questi pazienti è presente infiammazione; è intensa ed è spesso accompagnata da anemia normocromica normocitica (83%) (88), una elevata velocità di eritrosedimentazione (VES) o aumentati valori di proteina C reattiva (PCR), in particolare durante la fase di vasculite attiva. Le IgE sono elevate alla diagnosi in circa il 75% dei casi, ma non sono specifiche e non si ritrovano generalmente in pazienti che effettuano terapia corticosteroidea per l’asma. Questa osservazione spiega il motivo per cui l’omalizumab, un anticorpo anti-IgE monoclonale, può essere utilizzato nel trattamento della EGPA.

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Malgrado frequenti fluttuazioni durante la malattia, l’eosinofilia è un segno costante della EGPA. Un valore di eosinofili superiore a 1500/ o al 10% della conta totale dei globuli bianchi è stato introdotto nei criteri diagnostici della EGPA (15). Il valore medio oscilla fra 4400 e 8190 (5, 6, 88), ma gli eosinofili possono scomparire rapidamente dopo l’inizio della terapia con corticosteroidi. L’eosinofilia rappresenta un marker abbastanza affidabile dell’attività della malattia dal momento che un aumento del valore degli eosinofili può precedere una sua riacutizzazione (13). È stata inoltre evidenziata una correlazione fra la conta degli eosinofili nel sangue periferico e la proteina cationica degli eosinofili nel siero (120). Complessivamente, nonostante l’ipereosinofilia e la proteina cationica degli eosinofili possano essere considerate alterazioni distintive della EGPA, il loro valore diagnostico è limitato dato che non distinguono la EGPA da altre sindromi ipereosinofile. Inoltre, non sono stati ancora individuati dei parametri di laboratorio che possano essere considerati biomarker di malattia, che riflettano l’attività di malattia nel tempo e possano guidare l’intervento terapeutico.

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1.9 DIAGNOSI

La diagnosi di EGPA rimane essenzialmente clinica. L’esordio dei sintomi vasculitici, come la porpora o la mononeurite multipla, in associazione a sintomi sistemici di astenia, febbre e perdita di peso, in un paziente precedentemente asmatico, sono altamente suggestivi di EGPA. La presenza di anti-MPO ANCA ed eosinofilia rinforza il sospetto diagnostico. Infine, anche se non mandatoriamente, una prova istologica di EGPA può confermare la diagnosi, con i siti bioptici cutanei, nervosi, e muscolari, aventi la più elevata sensibilità rispettivamente del 67.4%, 65.7% e 47.9% (88). Inizialmente, la diagnosi di EGPA era basata prevalentemente sull’esame istologico, caratterizzato dalla presenza di tre ben conosciute lesioni patologiche: vasculite dei vasi di piccolo e medio calibro; infiltrati eosinofili della parete arteriosa e dei tessuti adiacenti; granulomi extravascolari. Nel corso della EGPA qualsiasi organo può essere interessato dalla patologia. Nella fase acuta di questa vasculite l’infiammazione della parete arteriosa è caratterizzata da necrosi fibrinoide della media e infiltrati cellulari pleomorfici, prevalentemente eosinofili, peri e intra parietali. Questa lesione progredisce lentamente verso una completa fibrosi vasale, con conseguente ostruzione del lume. I granulomi extravascolari, sebbene abbastanza caratteristici della EGPA, non sono né costanti né specifici della malattia (92); possono essere visti in altre vasculiti, come la GPA, o altre malattie autoimmuni. Il ritrovamento di tutte e tre le lesioni in un singolo prelievo bioptico è molto raro (121); queste osservazioni hanno portato a ridurre il ruolo diagnostico attribuito ai soli criteri istologici, in quanto ritenuti troppo stringenti per la diagnosi di EGPA.

Una ridefinizione clinica effettuata da Lanham e colleghi nel 1984 (15), ha concesso ai clinici di diagnosticare EGPA con una buona

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specificità e sensibilità senza doversi necessariamente basare sui risultati istologici. I tre criteri diagnostici sono asma, eosinofilia ematica > 1500/ e evidenza di vasculite coinvolgente due o più organi. Tuttavia, questi criteri sono stati criticati: in primo luogo, l’asma può seguire e non precedere la fase vasculitica; in secondo luogo, l’eosinofilia può a volte fluttuare e scomparire sia spontaneamente sia in seguito a terapia con corticosteroidi; infine, nonostante la presenza di alcune manifestazioni cliniche caratteristiche, la vasculite senza la presenza di una conferma bioptica può essere difficile da diagnosticare. Successivamente, nel 1990 il Collegio Americano di Reumatologia (ACR), ha sviluppato dei criteri diagnostici per la malattia, includenti l’asma, l’eosinofilia maggiore del 10% della conta cellulare dei globuli bianchi, mononeuropatia (inclusa la mononeurite multipla) o polineuropatia, infiltrati polmonari fugaci all’esame radiografico, patologia dei seni paranasali, e una biopsia contenente un vaso sanguigno con eosinofili extravascolari. La presenza di 4 o più di questi criteri presenta una sensibilità dell’85% e una specificità del 99.7% (122). Nel 1994, la prima Chapel Hill Consensus Conference (CHCC) ha definito la EGPA come un’infiammazione granulomatosa e ricca di eosinofili coinvolgente l’apparato respiratorio e una vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo e medio calibro, associata con asma ed eosinofilia (4). Successivamente, nel 2012, ha avuto luogo la seconda Chapel Hill Consensus Conference, al fine di migliorare la nomenclatura del 1994, modificare in maniera appropriata nomi e definizioni, ed aggiungere importanti categorie di vasculiti che non erano state incluse nella CHCC1994. La EGPA è stata quindi definita come un’infiammazione granulomatosa necrotizzante e ricca di eosinofili coinvolgente spesso l’apparato respiratorio, e una vasculite necrotizzante che interessa

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prevalentemente i vasi di piccolo e medio calibro, e associata con asma ed eosinofilia. Gli ANCA sono più frequenti quando è presente glomerulonefrite (123) (Tabella 2).

Lanham et al. (15)

Asma

Eosinofilia > 1.5 x /L

Evidenza clinica o patologica di vasculite coinvolgente almeno due organi

ACR 1990* (122)

Asma

Eosinofilia > 10%

Neuropatia (mono- o poli-neuropatia) Infiltrati polmonari fugaci

Patologia dei seni paranasali

Infiltrazione degli eosinofili extravascolare alla biopsia

Chapel Hill Consensus Conference 1994 (4)

Infiammazione granulomatosa e ricca di eosinofili coinvolgente l’apparato respiratorio, vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo e medio calibro, associata con asma ed eosinofilia.

Chapel Hill Consensus Conference 2012 (123)

Infiammazione granulomatosa necrotizzante e ricca di eosinofili coinvolgente spesso l’apparato respiratorio, e una vasculite necrotizzante che interessa prevalentemente i vasi di piccolo e medio calibro, e associata con asma ed eosinofilia. Gli ANCA sono più frequenti quando è presente glomerulonefrite.

Tabella 2: Criteri classificativi e definizioni comunemente usate per la

granulomatosi eosinofila con poliangioite: criteri di Lanham, criteri classificativi ACR, definizione Chapel Hill 1994, definizione Chapel Hill 2012.

*Almeno quattro dei sei criteri ACR sono richiesti per classificare la vasculite come EGPA.

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La diagnosi differenziale della EGPA include diverse patologie, principalmente le sindromi ipereosinofile e le altre vasculiti ANCA-associate, come MPA e GPA. La sindrome ipereosinofila (HES) è una condizione cronica caratterizzata da una eosinofilia nel sangue periferico sostenuta e persistente, eccedente le 1500 cellule per microlitro per più di sei mesi consecutivi, che è responsabile dello sviluppo di disfunzione o danno d’organo (124). La sindrome ipereosinofila condivide diverse caratteristiche cliniche e istologiche con la EGPA. Gli organi target sono simili in entrambe le sindromi. Il quadro clinico di HES può essere caratterizzato dal coinvolgimento polmonare, cardiaco, nervoso, gastrointestinale e cutaneo. Il coinvolgimento d’organo e il danno sono direttamente correlati alla presenza di infiltrati eosinofili; i segni di vasculite e gli ANCA sono completamente assenti nella sindrome ipereosinofila. Non vi sono manifestazioni cliniche patognomoniche di HES o EGPA (83, 90). L’asma ad esordio tardivo, comunque, è molto raro nella HES (anche se è possibile che sia presente iperattività bronchiale), mentre la fibrosi endomiocardica è adesso ampiamente considerata una manifestazione più tipica della HES che della EGPA (90) (Tabella 3). Recentemente, la diagnosi di HES è stata facilitata dallo sviluppo di nuove tecniche di biologia molecolare, dal momento che sono state identificate delle mutazioni specifiche per alcuni sottotipi di questa sindrome. L’identificazione del recettore-α del fattore di crescita di derivazione piastrinica FIP1-like1 o riarrangiamenti del recettore dell’antigene delle cellule T possono essere usati routinariamente per differenziare queste due sindromi (125, 126). Rimane comunque un’area di incertezza per i soggetti sospetti EGPA senza evidenza istologica di vasculite e ANCA-negativi, e per i soggetti con sospetto di HES che presentino un risultato negativo alle analisi di genetica

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molecolare. In questi casi, potrebbe essere difficile distinguere la EGPA dalla HES.

Manifestazioni cliniche Sindrome Ipereosinofila Granulomatosi eosinofila con poliangioite

Interessamento cardiaco Fibrosi endocardica, cardiomiopatia restrittiva

Coinvolgimento pericardico, coinvolgimento miocardico, vasculite dei vasi di piccolo calibro

Asma Raro Presente in quasi il 100% dei casi

Sinusite Rara Comune Interessamento del sistema

nervoso periferico

Raro Comune

Interessamento cutaneo Orticaria Porpora, orticaria VES elevata Rara Comune

IgE elevate Raro Comune Vasculite dimostrata alla

biopsia

Assente Presente

ANCA Assenti Presenti in circa il 40% dei pazienti

Tabella 3: Elementi di diagnosi differenziale fra la sindrome ipereosinofila e la

granulomatosi eosinofila con poliangioite.

Per quanto riguarda le altre vasculiti ANCA associate, è noto che GPA e MPA possono coinvolgere gli stessi sistemi d’organo della EGPA e presentare positività degli ANCA, ma la presenza di asma ed eosinofilia è poco comune (13, 83). Inoltre nella EGPA, a differenza della GPA, le lesioni extrapolmonari si ritrovano più frequentemente a livello del tratto gastroenterico, della milza, e del cuore piuttosto che nel rene (2, 13, 14, 84). Le tipiche lesioni necrotizzanti delle vie aeree superiori (96) e la presenza di cavitazioni descritte nella GPA (127)

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sono rare nella EGPA. La glomerulonefrite pauci-immune può manifestarsi nella EGPA, ed essere indistinguibile dalla GPA e MPA, anche se il coinvolgimento renale è poco comune e generalmente più benigno, con pochi casi evoluti in insufficienza renale (113) (Tabella 4).

EGPA GPA MPA

Asma + - -

Infiltrati polmonari Fugaci Fissi Emorragici

Rinite/ sinusite + Necrotizzante -

GNRP +/- + +

Granulomi Eosinofili a cellule giganti -

Necrosi Fibrinoide

liquefattiva-colliquativa

-

Eosinofilia + +/- -

ANCA MPO Pr-3 MPO/Pr-3

Tabella 4: Elementi di diagnosi differenziale fra EGPA e le altre vasculiti ANCA

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1.10 PROGNOSI E OUTCOME A LUNGO TERMINE

Prima dell’avvento dei corticosteroidi, il tasso di mortalità era di circa il 50% a tre mesi dalla diagnosi (88, 91, 106, 128). La EGPA è adesso considerata una malattia benigna con un tasso di mortalità complessivo inferiore rispetto alle altre vasculiti ANCA associate (106, 128). Nel 2007, il Gruppo Europeo sulle Vasculiti Reumatiche Sistemiche ha intrapreso una completa revisione della letteratura al fine di definire gli esiti delle vasculiti sistemiche. In relazione ai dati riportati, il tasso di remissione nella EGPA risulta compreso fra l’81% e il 91%, in linea con la GPA e più alto rispetto alla MPA (129). Il tasso di recidiva è stato stimato in circa il 20%-30%, inferiore rispetto alla GPA (30%-40%) e alla MPA (34%), e con la tendenza ad aumentare col tempo. Il coinvolgimento del tratto gastroenterico, la persistente positività degli ANCA, e un aumento dei titoli degli ANCA sono considerati fattori di rischio per la recidiva nella EGPA. Sebbene l’intervallo di tempo medio intercorso fra la remissione e l’insorgenza di una recidiva sia di 69.3 mesi (8), la maggior parte delle recidive si presentano nel primo anno di follow-up (128, 130), e ad eccezione del caso di un aumento dell’eosinofilia (8), sono difficili da prevedere. Le recidive vengono comunemente distinte in minori e maggiori. Le recidive minori sono state ampiamente descritte e vengono definite come la comparsa o la ricomparsa di sintomi di EGPA (febbre, artralgie, e altri sintomi costituzionali) senza l’evidenza di impegno d’organo. Le recidive maggiori, definite come lo sviluppo di un interessamento d’organo, fra cui emorragia alveolare, dolore addominale, o neuropatia, sono state descritte meno frequentemente. Le riesacerbazioni dell’asma o della sinusite, accompagnate o meno da un aumento nella conta degli eosinofili periferici, non vengono considerate recidive ma livelli fluttuanti di

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attività di malattia. Questo tipo di riesacerbazione, non giustifica un’intensificazione della terapia se non un lieve incremento della posologia del farmaco abituale o l’aggiunta di corticosteroidi a basse dosi (129). Nonostante la buona prognosi della EGPA, molti pazienti necessitano di un trattamento a lungo termine con corticosteroidi per il controllo dell’asma (91). Questo prolungato utilizzo di corticosteroidi è stato ritenuto responsabile dell’alto tasso di danno iatrogeno riscontrato in questi pazienti (89, 91, 93). Negli studi di Solans e colleghi (93), ipercortisolismo, diabete mellito secondario indotto da corticosteroidi, miopatia indotta da steroidi, osteoporosi con frattura vertebrale e osteonecrosi della testa del femore sono stati osservati nel 50% dei pazienti durante il follow-up. Altre manifestazioni di danno includevano manifestazioni neurologiche e cardiache, come ipoestesia agli arti inferiori, atrofia e debolezza muscolare, dolore neuropatico e insufficienza cardiaca (93). La sopravvivenza dei pazienti con EGPA è stata riportata fra il 93%-94% ad un anno e il 60%-97% a cinque anni; più alta della MPA (82%-92% ad un anno, e 45%-76% a cinque anni) e paragonabile alla GPA (85%-97% ad un anno, e 69%-91% a cinque anni) (106, 129).

Tuttavia, non tutti i pazienti affetti da EGPA condividono la stessa prognosi; essa dipende dal grado iniziale di estensione della malattia e di coinvolgimento d’organo. Gli originali fattori prognostici del Five Factors Score (FFS) (131), sono stati ricavati da un’ analisi univariata e multivariata di 342 pazienti con vasculite, di cui 82 con EGPA. I cinque fattori del FFS (ad ognuno dei quali veniva attribuito un punto) che conferivano un aumentato rischio di mortalità erano (1) proteinuria >1g/24h; (2) livelli di creatinina sierica >140 µmol/L (150 nella versione revisionata del FFS); (3) coinvolgimento miocardico; (4) grave coinvolgimento gastroenterico; (5) coinvolgimento del

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sistema nervoso centrale. Questo score costituiva per il clinico un importante fattore prognostico, essendoci un progressivo incremento del tasso di mortalità a cinque anni dal 12%, al 26%, al 46% rispettivamente per un punteggio al FFS di 0, 1, 2. Il FFS serve quindi ad identificare quei soggetti che avendo un maggior rischio di recidiva e mortalità, necessitano di un trattamento immunosoppressivo più aggressivo. Il FFS è stato in seguito revisionato dopo uno studio effettuato su 1108 pazienti affetti da vasculite necrotizzante sistemica, comprendenti anche la GPA (109). I seguenti cinque criteri, a ognuno dei quali è attribuito un punto, sono adesso significativamente e indipendentemente associati con una più alta mortalità a cinque anni: (1) età > di 65 anni; (2) sintomi cardiaci; (3) coinvolgimento gastrointestinale; (4) insufficienza renale caratterizzata da valori di creatinina > 150 µmol/L; (5) l’assenza di manifestazioni riferibili a orecchio, naso, gola. In accordo con questa nuova definizione, il tasso di mortalità a cinque anni per un FFS di 0, 1, 2 è rispettivamente il 9%, 21%, 40%. La vasculite rappresenta la prima causa di morte dei pazienti con EGPA, causando circa la metà (47.6%) di esse (88). La cardiomiopatia (39%) è la prima causa di morte, ed è dovuta ad insufficienza cardiaca refrattaria o a morte improvvisa; la seconda causa di morte è legata a complicanze gastrointestinali, in particolare infarto mesenterico (8.7%). La mortalità nel corso del primo anno è il risultato di una vasculite non controllata (66%) (132) in soggetti con interessamento cardiaco, gastroenterico o renale. Altre cause di morte possono includere malattie respiratorie (17.4%) (insufficienza respiratoria e grave stato asmatico) e complicanze iatrogene (17.4%) (88). A proposito di quest’ultime recenti studi hanno trovato una correlazione fra decessi infezione-correlati e un’importante trattamento con terapia immunosoppressiva (128).

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1.11 TRATTAMENTO

La scelta terapeutica per pazienti con EGPA di nuova diagnosi dipende dalla loro prognosi alla diagnosi stimata con il FFS. Per tutti i pazienti, l’obiettivo terapeutico è di indurre una remissione clinica il prima possibile, e successivamente di mantenerla permanentemente. Nonostante la EGPA abbia un tasso di mortalità complessivo molto basso, circa un quarto dei pazienti va incontro a recidiva. La terapia corticosteroidea rappresenta il cardine del trattamento della EGPA, e in associazione alla terapia immunosoppressiva, in particolar modo la ciclofosfamide (CYC), ha notevolmente migliorato la prognosi e i tassi di sopravvivenza dei pazienti affetti da EGPA, controllando le manifestazioni di malattia se prontamente somministrati (13, 14, 83, 84). Come terapia di induzione viene prescritto il prednisone sia a pazienti a prognosi favorevole sia sfavorevole ad un dosaggio di 1mg/Kg/die. Possono essere anche utilizzati dei boli di metilprednisolone (15mg/kg) per 1-3 giorni al fine di ottenere un rapido controllo dei sintomi nei pazienti con un quadro clinico più severo, in genere in associazione a CYC, somministrata per via orale o endovenosa, o in combinazione con altri farmaci immunosoppressori (13). La durata della terapia di induzione dipende dall’entità dei sintomi, essendo comunque in genere necessarie 3-4 settimane. Dopo questa fase iniziale, la posologia dello steroide viene progressivamente ridotta fino a raggiungere un valore di 5-10 mg/die a 12 mesi. Per i pazienti senza fattori di rischio (FFS=0), è stata valutata la possibilità di utilizzare solo i glucocorticoidi come terapia di induzione. Nello studio CHUSPAN (130), la sopravvivenza a 5 anni era eccellente (96.6%), avvalorando il FFS. Tuttavia, solo il 55.6% dei

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pazienti ha raggiunto una remissione completa, e un terzo dei pazienti (34.4%) ha necessitato di farmaci immunosoppressori, il 16.6% in quanto la sola terapia steroidea aveva fallito, e il 25% a causa di recidiva. In un altro studio effettuato su soggetti a prognosi favorevole (130), il 93% era entrato in remissione solo con i corticosteroidi, ma il 35% era andato incontro a recidiva, spesso durante il primo anno di follow-up, e il 79% aveva richiesto una terapia persistente a base di corticosteroidi a basse dosi. Inoltre, nel 26% di questi pazienti l’aggiunta di un farmaco immunosoppressore è stata necessaria per il controllo della malattia. In conclusione, nonostante una certa percentuale di pazienti risponda a una terapia basata sull’utilizzo di soli corticosteroidi, esiste un sottogruppo di pazienti a buona prognosi che necessita di un trattamento con farmaci immunosoppressori. Diversi farmaci immunosoppressori sono stati utilizzati in pazienti con prognosi favorevole nel tentativo di ridurre la percentuale di recidive (133). Per questa indicazione, la CYC non è ritenuta utile in questo sottogruppo di pazienti ed ha un basso rapporto rischio/beneficio (134). L’associazione di prednisolone a basse dosi e methotrexate è stata proposta come valida alternativa per l’induzione della remissione delle forme meno aggressive di malattia. Il methotrexate somministrato per via endovenosa a un dosaggio di 0.3 mg/kg/sett ha avuto un effetto favorevole come steroido-risparmiatore nel 56% dei casi. Sebbene sicuro ed efficace per l’induzione della remissione, la capacità del methotrexate di prevenire le ricadute è apparsa comunque limitata (83). Infine, come terapia di seconda scelta può essere utilizzata anche l’azatioprina in soggetti con EGPA a prognosi favorevole, in caso di recidiva nel corso del primo anno o di fallimento del trattamento di prima linea. Spesso, comunque, dopo aver ottenuto una remissione di malattia, molti pazienti necessitano

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proseguire una terapia a base di corticosteroidi per il controllo dell’asma e della sinusite. A causa della terapia a lungo termine con corticosteroidi, in aggiunta dovrebbero essere prescritti anche calcio, bifosfonati e Vit.D per prevenire l’insorgenza di osteoporosi iatrogena steroido-correlata.

Per i pazienti con almeno un fattore prognostico negativo (FFS>1) è sempre necessario un trattamento con farmaci immunosoppressori. La terapia di induzione con boli di CYC (0.6-0.7 g/ ) è la terapia di scelta grazie alla sua efficacia e ai più limitati effetti collaterali, in confronto alla somministrazione orale. Nell’esperienza degli autori, boli di metilprednisolone in combinazione con CYC sono stati utilizzati per l’induzione della remissione nella maggior parte dei pazienti ed erano generalmente preferiti alla somministrazione orale giornaliera di piccole dosi di corticosteroidi (89). Gli autori sono più inclini a credere che nella EGPA ad esordio acuto, la precoce somministrazione di boli di glucocorticoidi e CYC possa essere più sicura e più efficace nel controllo della malattia rispetto a una somministrazione a lungo termine di medie o alte dosi degli stessi farmaci. Recentemente, il Gruppo di Studio Francese sulle Vasculiti Sistemiche ha condotto uno studio randomizzato controllato in pazienti con fattori prognostici sfavorevoli (FFS>1). Lo studio multicentrico (135) è stato condotto su 48 pazienti con fattori prognostici sfavorevoli (FFS>1) per valutare l’efficacia dei corticosteroidi in associazione a 6 oppure a 12 infusioni di CYC nel trattamento delle forme severe di EGPA. Questo studio ha dimostrato la superiorità del regime sostenuto con 12 infusioni di CYC rispetto a 6 infusioni nel controllo delle forme severe di malattia. In realtà non sono emerse significative differenze statistiche tra i due gruppi di trattamento (12 infusioni vs 6 infusioni di CYC) relative alla

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percentuale di remissione clinica/mancata remissione clinica, sopravvivenza o le ricadute maggiori, ma solo nella prevenzione delle recidive minori di malattia. Analogamente ad altre vasculiti ANCA associate, la somministrazione orale di CYC può far parte dell’armamentario terapeutico della malattia ma il suo utilizzo è ristretto alle forme più severe, poiché è stato dimostrato che la CYC orale può essere efficace dove l’infusione ha fallito.

Per quanto concerne il mantenimento della remissione, i farmaci più largamente utilizzati, analogamente a quanto avviene nelle altre vasculiti sistemiche, sono i corticosteroidi da soli o in associazione ad altri farmaci immunosoppressori come il methotrexate e l’azatioprina (136). La ciclosporina A è stata utilizzata in alcuni casi di EGPA (137) ma nessuno studio ha confermato la sua utilità. Sebbene la durata ottimale della terapia di mantenimento non sia ancora stata stabilita, è largamente accettato che essa debba durare almeno tra i 18 e i 24 mesi (138).

Nei pazienti refrattari al trattamento o che vanno frequentemente incontro a recidive, sono stati proposti diversi trattamenti alternativi. Recentemente nuovi farmaci si sono fatti strada nella terapia della EGPA e vi sono case report di pazienti trattati con successo con farmaci biologici come il rituximab (un anticorpo monoclonale chimerico diretto contro l’antigene di superficie CD20 dei linfociti B), il mepolizumab (un anticorpo monoclonale anti-IL5) e l’omalizumab (un anticorpo ricombinante umanizzato monoclonale anti-IgE). Questi ultimi due in particolare sembrerebbero particolarmente efficaci nella terapia delle manifestazioni di malattia legate all’infiltrazione eosinofila tissutale e al controllo della sintomatologia asmatica severa e persistente in soggetti già in trattamento con corticosteroidi e β2-agonisti a lunga durata d’azione (139-141). Il numero limitato dei dati

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a disposizione non permette però ancora di definirne il ruolo esatto nella terapia della EGPA. Alcuni farmaci sono stati utilizzati sporadicamente, come ad esempio le immunoglobuline per via endovenosa (IVIG), infuse ogni mese per due giorni alla dose di 2g/Kg, come farmaco immunosoppressore alternativo nelle donne in gravidanza (142), o come terapia di salvataggio in pazienti con neuropatia o cardiomiopatia refrattaria (143). Per analogia con altre vasculiti ANCA-associate (144), la plasmaferesi può essere utile in pazienti affetti da EGPA ANCA-positivi, in particolar modo in pazienti con glomerulonefrite rapidamente progressiva e sindrome rene-polmone. Fra i farmaci utilizzati nelle forme refrattarie di malattia bisogna ricordare anche l’interferone-α e i farmaci inibitori del tumor necrosis factor (TNF). Dopo una serie di case-reports sporadici, è stato effettuato un trial open-label con interferone-α ( 3 milioni di IU 3 volte a settimana per iniezione sottocutanea) per l’induzione della remissione in sette pazienti refrattari alla CYC. Nonostante non ci siano dei dati sul meccanismo d’azione dell’interferone-α (IFN-α) nella EGPA in vivo, sembra che esso moduli l’eccessiva produzione di citochine attivanti gli eosinofili. L’IFN-α riduce l’espressione sia dell’IL-5 che dell’IL-13 da parte di linfociti TH2 differenziati in vitro. La ridotta produzione di IL-5 rappresenterebbe quindi una spiegazione plausibile dell’effetto terapeutico dell’IFN-α nella EGPA (145). Per quanto concerne i farmaci inibitori del TNF (infliximab, etanercept, adalimumab), sono stati utilizzati solo in casi isolati. Arbach e colleghi (146) descrivono 3 casi trattati con farmaci anti-TNF (1 paziente era stato trattato con etanercept e 2 con infliximab) di soggetti con impegno cardiaco o del sistema nervoso centrale e refrattari al trattamento con ciclofosfamide e glucocorticoidi. Essi hanno ottenuto la remissione completa in un

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paziente, la remissione parziale in un altro caso, e nel terzo un arresto della progressione di malattia. Nonostante i buoni risultati ottenuti, sono necessari ulteriori studi per approfondire l’effetto terapeutico di questi farmaci nella EGPA (Tabella 5). Inoltre, una buona gestione della patologia comprende delle aggiunte terapeutiche. Si deve ottenere un buon controllo dell’asma, in quanto esso spesso decorre indipendentemente dalla vasculite. Si deve effettuare un trattamento profilattico a base di cotrimossazolo (400 mg/die o 800 mg due volte a settimana) per prevenire la polmonite da Pneumocystis Jiroveci in soggetti sottoposti a trattamento con CYC. Infine, il trattamento fisioterapico è parte integrante della terapia di soggetti che presentano deficit motori e sequele di neuropatia periferica.

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Tabella 5 : induzione della remissione, terapia di mantenimento e nuovi

trattamenti nella EGPA.

TRATTAMENTO DELLA EGPA

INDUZIONE DELLA REMISSIONE

Senza fattori prognostici sfavorevoli (FFS=0)

Prednisone orale 1 mg/kg/die per tre settimane, scalare 5 mg ogni 10 giorni fino a 0,5 mg/kg. Successivamente scalare 2,5 mg ogni 10 giorni fino al minimo dosaggio effettivo o, fino alla sospensione definitiva, o 1 bolo endovenoso di metilprednisolone (15 mg/kg) seguito da prednisone per via orale come sopra.

In caso di recidiva nel primo anno o fallimento del trattamento aggiungere:

Azatioprina per via orale 2/mg/kg al giorno per almeno sei mesi o 6 boli di ciclofosfamide (600 mg/m2) ogni due settimane per un mese, in seguito ogni quattro settimane.

Con fattori prognostici sfavorevoli (FFS>1):

3 boli consecutivi di metilprednisolone (15 mg/kg) nei giorni 1-3 più prednisone orale (come sopra) più, o 12 boli di ciclofosfamide(600 mg/m2) ogni 2 settimane per un mese, e a seguire ogni 4 settimane o ciclofosfamide per via orale 2 mg/kg per 3 mesi o 6 boli di ciclofosfamide (600 mg/m2) ogni 2 settimane per un mese e a seguire ogni 4 settimane, seguita da azatioprina 2 mg/kg per un anno o più.

MANTENIMENTO DELLA REMISSIONE Methotrexate (10-25 mg/sett) Ciclosporina A (1.5-2.5 mg/kg/die) Azatioprina (2 mg/kg/die) MALATTIA REFRATTARIA Plasmaferesi

IVIG (0.4 g/kg/die per 5 giorni)

Interferone-α (3 milioni. I.U. 3 volte settimana s.c.)

Inibitori del tumor-necrosis-factor-alpha: infliximab, etanercept, adalimumab

Rituximab (325 mg/m2 per 4 settimane consecutive)

Mepolizumab (anti-IL5) (5 infusioni al mese da 750 mg ciascuna) Omalizumab (anti-IgE) (0.016 mg/kg per IU di IgE ogni 4 settimane, somministrati per via sottocutanea a intervalli di due o 4 settimane)

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2.SCOPO DELLA TESI

In seguito all’incremento della sopravvivenza dei pazienti affetti da EGPA, gli outcome a lungo termine come la prevenzione del danno e le conseguenze della patologia sulla qualità di vita stanno diventando le vere sfide terapeutiche attuali per la EGPA. Nonostante, negli ultimi anni, la mortalità legata alla malattia si sia considerevolmente ridotta, i pazienti affetti da EGPA presentano comunque un tasso di mortalità più elevato rispetto alla popolazione generale, e nel lungo termine hanno una forte tendenza a sviluppare danni permanenti. Il danno viene descritto come una perdita o disfunzione tissutale o d’organo irreversibile causata dall’attività di malattia o dal trattamento terapeutico. I pazienti affetti da EGPA necessitano infatti generalmente di un terapia a lungo termine a base di farmaci immunosoppressori e corticosteroidi, i quali pur essendo da un lato necessari per il controllo dell’attività di malattia e il mantenimento della remissione clinica, portano con sé numerosi effetti collaterali responsabili del danno iatrogeno.

Questa tesi, si propone come obiettivo, quello di stimare in una coorte di pazienti affetti da EGPA, la prevalenza del danno globale, con particolare attenzione nel distinguere la componente di danno legata alla malattia, e la componente di danno iatrogeno. Scopo della tesi, in aggiunta alla descrizione delle varie manifestazioni di danno, è stato quello di andare a ricercare una correlazione fra lo sviluppo di determinati danni d’organo e le caratteristiche demografiche, cliniche e sierologiche dei pazienti. Sono state inoltre prese in considerazione le comorbidità pre-esistenti alla comparsa della patologia, e il trattamento terapeutico effettuato con l’intento di identificare dei

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fattori che possano essere utilizzati come predittori di danno. Infine, lo studio è stato costituito in parte da un analisi di tipo prospettico, volta ad indagare in maniera diretta quali siano gli effetti di questa patologia sulla qualità di vita dei pazienti, in termini di limitazione dello svolgimento delle attività quotidiane e della vita sociale, e di influenza della malattia sullo stato emotivo dei pazienti. È stata inoltre valutata in maniera specifica l’eventuale limitazione imposta dalla patologia al normale svolgimento dell’attività lavorativa.

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