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Quando trattiamo l’argomento numero chiuso, il pensiero si focalizza principalmente sull’accesso a Medicina e chirurgia, in quanto i frequenti servizi dei media e i numerosi dibattiti sulla materia fanno prevalentemente riferimento a questo corso di studio.

Fino al 1923, la possibilità di frequentare Medicina era una prerogativa dei ceti più elevati. Potevano accedervi soltanto coloro che avevano frequentato il liceo classico.

Con l’emanazione della legge 11 dicembre 1969, n.910, fu introdotta la possibilità di essere ammessi con qualsiasi tipologia di diploma di maturità.

Tuttavia, ben presto, ci si rese conto che l’aver allargato le maglie dei requisiti di accesso aveva comportato un ingente aumento del numero di medici rispetto all’effettiva necessità della società.

Nella seconda metà degli anni ’80, quando l’Unione Europea pose l’accento sulla necessità di assicurare, in tutti i paesi membri, un certo standard qualitativo dell’istruzione universitaria, si avvertì la necessità di introdurre forme di limitazione degli accessi affinché gli studenti fossero messi nelle condizioni di acquisire una formazione di qualità, in

relazione alle effettive capacità ricettive delle facoltà165.

L’“ufficiale” introduzione del numero chiuso si ebbe nel 1987, mediante l’emanazione del

165Si precisa che il termine facoltà è ormai superato, in quanto le stesse sono state soppresse con la legge “Gelmini” (n. 240/2010)

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decreto ministeriale elaborato dal ministro Ortensio Zecchino. È da precisare che detto decreto non si riferiva soltanto a medicina, ma a tutte quelle facoltà di carattere scientifico che richiedevano mezzi formativi qualitativamente e quantitativamente idonei.

Come vedremo più avanti, il decreto divenne legge nell’agosto del 1999166.

L’autonomia nella programmazione degli accessi (c.d. “numero chiuso) trova la sua

disciplina nella legge 9 maggio 1989, n. 168 e nella legge 19 novembre 1990, n. 341167

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, legge 168/1989168 "(...) le università sono disciplinate oltre

che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative che vi operino espresso riferimento".

Il legislatore, con l’avverbio esclusivamente pone particolare attenzione alla tutela dei confini tra l’autonomia universitaria e l’ordinamento statale, quasi a voler dare una lettura ancora più restrittiva di quanto disposto dall'ultimo comma dell’articolo 33 della Costituzione (“le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di

darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”) consentendo solo

alla legge (ovvero ad atti aventi forza di legge) la possibilità di introdurre limitazioni

all'autonomia delle università169.

Inoltre, l'art. 9, comma 4, della legge 341/1990170 "il Ministro dell’Università e della

166https://www.testbusters.it/test-ammissione-medicina-quando-e-perche-nasce/

167Di rilevante importanza, inoltre, sono da considerare i DD.MM. 21 luglio 1997 e 31 luglio 1997, di attuazione dell'art. 9, comma 4. legge 341/90 e le direttive comunitarie n. 78/686/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978; n. 78/687/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 1978, di pari data; n. 78/1026/CEE del Consiglio, del 18 dicembre 78/1027/CEE del Consiglio, di pari data; n. 85/384/CEE, del Consiglio, del 10 giugno 1985; n. 89/594/CEE del Consiglio, del 30 ottobre 1989; n. 93/16/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993.

168La legge 9 maggio 1989, n. 168 “Istituzione del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica”, riconosce alle università autonomia normativa, finanziaria, didattica e di ricerca.

169SENATORE, Accesso all’università a numero chiuso, in Giur. n. 1999, 1721.

75 ricerca scientifica e tecnologica definisce, su conforme parere del CUN, i criteri generali per la regolamentazione dell’accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi universitari, anche a quelli per i quali l'atto emanato dal Ministro preveda una limitazione delle iscrizioni".

L’impianto normativo a garanzia dell’autonomia universitaria nella programmazione degli accessi è stato oggetto di numerosi contenziosi, che hanno visto il coinvolgimento di molti TAR e del Consiglio di Stato, per la presunta violazione dei principi costituzionali enunciati dagli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione.

Negli anni si è formata una molteplicità di posizioni della giurisprudenza.

In una prima fase si è sostenuto che "la domanda di sospensione cautelare delle

deliberazioni che fissano il numero chiuso in quanto nella comparazione tra l'interesse dei candidati all'iscrizione e le esigenze organizzativo-didattico delle università non possono che prevalere queste ultime, non potendo l'apparato universitario fornire condizioni accettabili il servizio ad una serie infinita di aspiranti"171.

Successivamente, di contro, con l’evolversi dell’orientamento giurisprudenziale la legittimità della predeterminazione degli accessi ai corsi di laurea è stata messa in discussione sempre più frequentemente.

Innanzi tutto, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con decisione· n. 795 del 19 maggio 1994, ha statuito che "sono illegittime le delibere, con le quali il senato accademico stabilisce, in

difetto dei necessari presupposti normativi, il numero chiuso per l'accesso a determinate facoltà”.

comma 116 della legge 15 maggio 1997, n. 127 “all'articolo 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341, le parole: "per i quali sia prevista" sono sostituite dalle seguenti: "universitari, anche a quelli per i quali l'atto emanato dal Ministro preveda".

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In tal senso, anche il TAR Lazio, Sez. III, del18 dicembre 1996, ordinanza n. 1533, secondo cui "è meritevole di accoglimento la domanda di sospensione cautelare delle deliberazioni

degli organi universitari che fissano il numero chiuso in quanto l'autonomia riconosciuta alle università riferisce soltanto agli aspetti strettamente organizzativi e gestionali, ma non attribuisce il potere di disporre autonomamente limitazioni all'accesso alle singole facoltà universitarie, limitazioni non previste da alcuna norma di legge".

Successivamente, si è affermato che “ai sensi dell'art. 33, comma 2, e 34, comma 1, Cost.,

in materia di accesso agli studi e quindi di iscrizione agli istituti di ogni ordine e grado è configurabile una riserva relativa di legge, a fronte della quale la legge del 9 maggio 1989, n. 168, non può essere ritenuta fonte normativa di attribuzione alle università del potere di stabilire delle limitazioni delle immatricolazioni nelle varie facoltà; pertanto, è illegittima la previsione del numero chiuso per le immatricolazioni alla facoltà di odontoiatria che faccia riferimento alla legge n. 168 del 1989. Nonché delle direttive comunitarie n. 78/686 e 78/687, ove si consideri che le direttive comunitarie hanno come destinatari gli Stati membri, che sono vincolati unicamente quanto al risultato da raggiungere e non esenti quindi dal dovere potere di legiferare in materia"172 .

È inoltre da ricordare un’importante pronuncia della Corte di Giustizia CEE, del 12 giugno 1986, secondo cui "nessuna norma del diritto comunitario impone agli Stati membri

l'obbligo di limitare il numero degli studenti ammessi alla facoltà di medicina mediante l'istituzione del sistema del numero chiuso"173.

Quindi da una sommaria valutazione della giurisprudenza, della quale abbiamo riportato solo una piccola parte delle pronunce, è possibile affermare che la giustizia amministrativa,

172TAR Lazio Sez. II, 13 ottobre 1998, n.1669. 173In Cons. Stato 1987, II, 1584.

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in merito al numero chiuso, pone l’attenzione essenzialmente intorno a due questioni:

a) quale sia il fondamento del potere di istituirlo;

b) se sia compatibile con l’art.34 della Costituzione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, le posizioni in merito sono varie e possono riassumersi in questi termini: secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, esiste in materia di accesso agli studi una riserva relativa di legge, fondata sugli articoli 33 e 34 della Costituzione. Ne consegue che le università possono introdurre il numero chiuso solo laddove una specifica disposizione di legge attribuisca loro tale potere.

Di converso, gli atenei si richiamano alla legge 168/1989, che, oltre ad istituire il Ministero dell’università e della ricerca scientifica, enuncia i principi fondamentali relativi all’autonomia delle università e degli enti di ricerca.

Tuttavia, secondo l’orientamento prevalente, se è vero che detta legge riconosce l’autonomia del sistema universitario, lo fa soltanto in riferimento agli aspetti strettamente organizzativi, e, conseguentemente, non conferisce il potere di limitare l’accesso agli studi universitari.

A tutto questo, in direzione opposta all’indirizzo prevalente, nel 1994 una pronuncia della

Corte dei Conti174 esclude l’esistenza di una riserva di legge sia assoluta sia relativa, in

materia di accesso all’istruzione universitaria.

La Corte dei Conti infatti, afferma, che le prescrizioni di cui all’art. 34 della Costituzione prevedono soltanto che lo Stato garantisca ai capaci ed ai meritevoli il diritto di accedere ai gradi più alti dell’istruzione e, ciò, evidentemente, non implica la necessità di

174Cfr. Corte dei Conti, sez. Controllo, 4 novembre 1994 n.126, in Consiglio di Stato, 1995, II, 537.

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regolamentare l’accesso con norma primaria o sulla base di essa. Inoltre, ritiene che l’art.33 ultimo comma, secondo il quale le università hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato, si riferisce all’aspetto organizzativo dell’istituzione per il perseguimento dei propri fini, e non anche alla regolamentazione dei rapporti tra le istituzioni medesime ed i privati che intendono esercitare il diritto allo studio. Per queste ragioni, la Corte ritenne un regolamento governativo idoneo a disciplinare la suddetta materia, precisando che esso avrebbe dovuto stabilire, in via generale, le condizioni e le limitazioni per l’iscrizione degli studenti nelle università, non potendosi rimettere ai singoli atenei tali determinazioni, trattandosi di materia non rientrante nell’autonomia universitaria.

Alla luce di questi diversi orientamenti della giustizia amministrativa, risultò evidente la necessità di un intervento normativo, che definisse l’intero assetto della materia.

Infatti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 1998, che analizzeremo nel prossimo paragrafo, si arrivò all’approvazione da parte del legislatore della legge 2 agosto 1999, n. 264.

3.2 La legittimità del numero chiuso: la sentenza della Corte Costituzionale