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Progresso contro razionalità

Il naturalismo normativo

3.3 Progresso contro razionalità

L’adozione del modello reticolare del cambiamento scientifico fa sor-gere un’ovvia domanda: se tutti gli elementi costitutivi dell’impresa scientifica, dalle teorie ai metodi ai fini della ricerca, sono soggetti a mutamenti e reciproci aggiustamenti – determinati sia dalla discussio-ne assiologica sia da scoperte fattuali – si può ancora fare uso della nozione di progresso scientifico? Una certa serie di eventi può essere definita un “progresso” «solo se è un progresso verso il raggiungi-mento di un obiettivo o di uno scopo» (ivi, p. 88). Tuttavia, come si è visto, il modello reticolare, oltre a essere compatibile con il persegui-mento di fini diversi, è caratterizzato dall’esplicito riconoscipersegui-mento del fatto che, nel corso della storia della scienza, gli obiettivi effettiva-mente perseguiti dalla comunità scientifica sono mutati.

Secondo Laudan, si può avere l’impressione che l’uso della nozio-ne di progresso nozio-nell’ambito del naturalismo normativo sia problema-tica solo a patto di assumere (a) che i giudizi del metodologo sul ca-rattere progressivo di una certa scelta teorica debbano coincidere con quelli dei fautori della teoria, e (b) che sia legittimo identificare razio-nalità e progresso. Questi errori, sostiene Laudan, sono molto comuni in particolare presso gli esponenti della cosiddetta “scuola storica”. Autori come Kuhn, Feyerabend e Lakatos, infatti, abbracciano le due seguenti dottrine:

– la tesi di razionalità (TR): nella maggior parte dei casi, i grandi scienziati hanno operato le loro scelte teoriche in mo-do razionale.

– la tesi metametodologica (TMM): una metodologia della scienza deve essere valutata in base alla sua capacità di re-plicare le scelte degli scienziati del passato, mostrandone la razionalità (1996, p. 128).8

Queste tesi hanno condotto molti esponenti della scuola storica a trar-re indebite conclusioni trar-relativistiche circa il metodo scientifico. Infat-ti, secondo Laudan è evidente che, se si adottasse come metro di va-lutazione della storia della scienza, per esempio, la metodologia pop-periana, la storia della scienza verrebbe condannata come irrazionale, poiché la fisica newtoniana venne accettata ben prima che facesse le previsioni sorprendenti confermate che, per Popper, sono così impor-tanti nella valutazione dei meriti di una teoria. Analogamente, la fisi-ca galileiana venne preferita a quella aristotelifisi-ca, nonostante quest’ul-tima soddisfacesse molto meglio della prima il requisito – imposto da Popper e Lakatos, per esempio – della generalità. Tuttavia, conclude-re sulla base di questi esempi (e dei numerosi altri che si potconclude-rebbero citare) che la storia della scienza è in larga parte irrazionale, o che tut-te le metodologie attualmentut-te sulla piazza sono inadeguatut-te, significa dimenticare che la metodologia e la teoria della razionalità andrebbe-ro tenute rigidamente distinte.

Sia pure senza pretendere di offrire una riflessione sistematica sul-la nozione di razionalità, Laudan richiama l’attenzione sul fatto che

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Si noti che TRe TMMhanno uno schietto sapore intuizionista: si fondano sul-l’assunto che il metodologo abbia saldissime intuizioni presistematiche – condivise da tutti i suoi colleghi – circa gli episodi della storia della scienza che una buona me-todologia deve poter ricostruire. Ai fini della nostra esposizione, è importante rile-vare che il naturalismo normativo presenta dunque, per Laudan, un significativo vantaggio rispetto alle sue precedenti posizioni intuizioniste: se si considera la me-tametodologia una disciplina di carattere empirico, non è più necessario postulare che i metodologi abbiano intuizioni condivise circa i casi lampanti di progresso scientifico, ed è sufficiente raccomandare loro uno studio sistematico della storia della scienza, grazie al quale possono appurare quali norme metodologiche promuo-vono certi fini meglio di altre.

questa, qualunque altra cosa sia, è sempre relativa a un agente e a un contesto specifici. Quando si dice che qualcuno ha agito in modo ra-zionale, si intende dire che questi ha agito in modi che, sulla base del-la sua conoscenza di sfondo, riteneva avrebbero promosso i suoi fini. Così, quando esprimiamo i giudizi sulla razionalità di un agente, dob-biamo tenere in considerazione, come minimo, i seguenti fattori: (a) le azioni che sono state compiute; (b) i fini perseguiti dall’agente; (c) le credenze dell’agente, che hanno determinato i suoi giudizi circa i probabili esiti delle sue azioni. Questa sintetica caratterizzazione del-la razionalità – va osservato che Laudan è consapevole di aver indica-to dei criteri necessari, ma forse non sufficienti, per un’ascrizione di razionalità – consente di respingere sia TR sia TMM, mostrando così che l’uso della nozione di progresso nell’ambito del naturalismo nor-mativo è del tutto legittimo. Infatti, appena si pone mente al fatto che, in effetti, le conoscenza di sfondo degli scienziati del passato era mol-to diversa dalla nostra attuale conoscenza di sfondo, e che i fini da lo-ro perseguiti erano diversi da quelli che gli scienziati di oggi perse-guono, diviene evidente che

la razionalità delle loro azioni [e dunque l’efficacia di tali azioni dal punto di vista metodologico] non può essere appro-priatamente determinata chiedendoci se essi abbiano adottato strategie finalizzate a realizzare i nostri fini. [...] Sarebbe ap-propriato usare i nostri metodi per valutare la razionalità de-gli scienziati del passato solo se le loro utilità cognitive fos-sero identiche alle nostre, e solo se le loro credenze di sfondo fossero sostanzialmente identiche alle nostre (ivi, p. 129).

Nessuna delle condizioni indicate in questo passo è soddisfatta, come mostra, per esempio, il caso di Newton. Questi, come è noto, riteneva che uno dei fini principali della filosofia naturale fosse mostrare la ma-no di Dio nei dettagli della sua creazione, ed era ima-noltre persuaso che gli scienziati dovessero aspirare a scoprire teorie vere, o almeno

alta-mente probabili. Se a Newton fosse stato chiesto di operare una scelta fra due teorie rivali, l’avrebbe ovviamente compiuta ispirandosi a que-sti fini, che però non paiono coincidere con quelli che uno scienziato di oggi sarebbe pronto a far propri. Certo, qualcuno potrebbe obietta-re che c’è comunque una parziale e significativa sovrapposizione tra i fini perseguiti da Newton e quelli perseguiti dagli scienziati di oggi, visto che, interrogati in proposito, molti di questi affermerebbero che il loro fine cognitivo è “cercare teorie vere”. Laudan, però, sostiene che tale apparente sovrapposizione è il risultato di una lettura molto approssimativa della storia della scienza, favorita, tra l’altro, dalla va-ghezza con la quale fini come “cercare teorie vere” vengono definiti: sembra, infatti, quantomeno molto improbabile che Newton aspirasse a teorie vere nel senso in cui il termine “vero” viene inteso dopo Tar-ski (ivi, p. 260, nota 15). Inoltre, anche se si potesse mostrare che Newton perseguiva almeno alcuni dei fini perseguiti dagli scienziati di oggi, non ne seguirebbe ancora che la loro razionalità può essere valu-tata in relazione ai fini degli scienziati di oggi, poiché la loro cono-scenza di sfondo è inevitabilmente molto diversa da quella degli scien-ziati di oggi: «la razionalità [l’efficacia dei mezzi usati nel persegui-mento di certi fini] è una cosa; la fondatezza metodologica [giudicata dal nostro punto di vista] è una cosa alquanto diversa» (ivi, p. 131).

Come si è detto, secondo Laudan queste considerazioni sulla razio-nalità e sul mutamento dei fini perseguiti dalla comunità scientifica nel corso della storia non precludono la possibilità di fare appello al-la nozione di progresso scientifico. La ragione per cui diamo tanto credito all’impresa scientifica, afferma Laudan, è che questa ha carat-tere manifestamente progressivo. Certo, tale affermazione riporta in primo piano la domanda con la quale abbiamo aperto il presente para-grafo: “Progressivo rispetto a quali standard?”. Per Laudan, è ovvio che la scienza

ha successo sulla base dei nostri criteri; è progressiva in base ai nostri standard. La scienza della nostra epoca è migliore (sulla

base dei nostri criteri, si capisce) di quella di cent’anni fa, e la scienza di un secolo fa rappresentava un progresso (di nuovo, sulla base dei nostri criteri) a paragone con il suo stato di un se-colo prima (ivi, p. 139).

Tali valutazioni sul carattere progressivo dell’impresa scientifica pos-sono essere espresse in modo del tutto indipendente dalle valutazioni sulla razionalità degli scienziati del passato, poiché, diversamente dal-la razionalità, il progresso non è una nozione che si applica a un cer-to agente.9Pertanto, la metodologia non deve essere intesa come una teoria della razionalità, bensì come una teoria del progresso: per valu-tare le norme metodologiche non occorre chiedersi se la loro applica-zione sarebbe stata razionale in certi frangenti della storia della scien-za, bensì se la loro applicazione avrebbe promosso la realizzazione dei nostri fini cognitivi.10

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A questo proposito, Laudan insiste in particolare sull’importanza delle

conse-guenze non intenzionali di qualsiasi azione umana, anche al di fuori del contesto

scientifico (1996, p. 139). Non di rado capita di definire progressivo un certo svi-luppo storico, anche se coloro che lo hanno realizzato perseguivano fini molto di-versi da quelli perseguiti da coloro che esprimono il giudizio di progressività. Lau-dan cita, per esempio, il caso della Magna Charta. Un democratico di oggi potreb-be considerare la sua concessione da parte della corona inglese come un progresso nella direzione di una più equa distribuzione del potere politico; ma un’equa distri-buzione del potere politico – o almeno, un’equa distridistri-buzione di tale potere nel sen-so in cui un democratico contemporaneo intende il termine “equa distribuzione” – non rientrava certo tra i fini perseguiti dai signori feudali che si adoperarono per ot-tenere la concessione della Magna Charta. Analogamente, afferma Laudan, «uno dei principali motori storici del cambiamento assiologico è stato, secondo me, l’emergere di teorie che, considerandole retrospettivamente, possiedono proprietà che si è giunti a considerare genuine virtù epistemiche, anche se tali proprietà non

erano le virtù a cui aspiravano i fautori originari della teoria in questione» (ivi, p.

161).

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Per considerazioni analoghe sulla distinzione tra razionalità e progresso, si ve-dano Curtis (1986) e Wykstra (1980).