Il naturalismo normativo
3.4 Realismo scientifico e induzione pessimistica
Nella parte finale di La scienza e i valori, Laudan ricorre agli strumen-ti concettuali per la discussione assiologica messi a disposizione dal modello reticolare al fine di sottoporre a un’aspra critica il realismo scientifico.11
Considerando la letteratura epistemologica contemporanea, si può essere tentati di dire che esistono tante forme di realismo scientifico quanti sono i realisti scientifici, e a questo proposito Laudan osserva che, al pari di altri -ismi filosofici, «il termine “realismo” copre una quantità di peccati» (1984, p. 138).12Ai fini della nostra esposizione, sarà comunque sufficiente seguire le brevi osservazioni sulle varie versioni del realismo svolte da Laudan. Si può distinguere, innanzi-tutto, il realismo semantico, cioè la dottrina secondo cui le teorie scientifiche sono o vere o false. In secondo luogo, c’è il realismo che Laudan definisce intenzionale, cioè la tesi che le teorie sono intese da coloro che le propongono come asserzioni vere sull’esistenza del-le entità a cui i termini che compaiono neldel-le teorie fanno riferimen-to. Laudan non mette in discussione queste due versioni del reali-smo, e concentra la sua attenzione sul realismo epistemico, cioè la te-si che «certe forme di evidenza o di sostegno empirico hanno una tale forza probativa che qualsiasi teoria le esibisca può essere legit-timamente ritenuta vera, o quasi» (1984, p. 138). L’articolata argo-mentazione antirealista di Laudan può essere sinteticamente rico-struita come segue.
I realisti scientifici – il bersaglio polemico di Laudan è costituito principalmente da autori come Hilary Putnam, Richard Boyd e
Wil-11
L’argomentazione antirealista di Laudan era stata da lui anticipata in (1981b).
12
Susan Haack (1987, p. 284) ha sostenuto che, «poiché la parola “realismo” ha così tanti sensi, in larga parte indipendenti l’uno dall’altro, raramente è illuminante, e spesso è fuorviante, classificare un filosofo definendolo semplicemente come un realista o un antirealista». Un’ampia panoramica sul dibattito fra antirealisti e reali-sti nell’ultimo ventennio è offerta da Psillos (1999).
liam Newton-Smith13 – affermano che il realismo epistemico è la mi-gliore spiegazione del successo della scienza. Infatti, se le teorie scientifiche non fossero almeno approssimativamente vere, allora il successo della scienza sarebbe un autentico miracolo, una sorta di coincidenza cosmica. Secondo i realisti, deve esserci una connessione esplicativa fra il successo empirico delle teorie e la loro verità (alme-no approssimata), anche a proposito delle entità e dei processi (alme-non os-servabili che queste postulano. I realisti, dunque, difendono le due se-guenti tesi:
(1) Se una teoria è (almeno approssimativamente) vera, allora la teoria avrà successo esplicativo e predittivo;
(2) Se una teoria ha successo esplicativo e predittivo, allora la teo-ria è probabilmente (almeno approssimativamente) vera. La prima tesi riguarda quello che Laudan definisce il «cammino dal-l’alto verso il basso [downward path]» (ivi, p. 152) nella spiegazione del progresso scientifico, la seconda riguarda il «cammino dal basso verso l’alto [upward path]» (ivi, p. 156). Entrambe le tesi, afferma Laudan, si fondano sul presupposto che le nostre attuali teorie scien-tifiche siano almeno approssimativamente vere. Tuttavia, è sufficien-te considerare per un attimo la storia della scienza per rendersi conto che questa depone fortemente contro tale assunto. Sono infatti molto numerose le teorie che, a suo tempo, vennero abbracciate con piena fi-ducia dalla comunità scientifica, ma nel frattempo si sono rivelate fal-se e sono state quindi abbandonate, poiché si è appurato che alcuni lo-ro termini centrali che denotavano entità teoriche in realtà non aveva-no un riferimento. Laudan compila un breve elenco, «che potrebbe essere esteso fino alla nausea» (ivi, p. 157), di tali teorie:
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Si vedano, in particolare, Putnam (1975), Boyd (1980) e Newton-Smith (1981; 1988).
– la teoria medica degli umori; – la teoria elettrostatica degli effluvi;
– le teoria geologica catastrofista, impegnata a sostenere un diluvio universale (di Noè);
– la teoria chimica del flogisto; – la teoria vibratoria del calore;
– le teorie fisiologiche della forza vitale; – la teoria dell’inerzia circolare;
– le teorie della generazione spontanea» (ibidem).
Alla luce dei dati storici, sostiene Laudan, sembra del tutto ragionevo-le procedere a una semplice induzione per enumerazione (la cosiddet-ta “induzione pessimistica”), la quale conduce alla conclusione che, con ogni probabilità, le nostre attuali teorie si riveleranno false (o, al-meno, che si riveleranno più probabilmente false che vere), poiché i termini che vi compaiono per denotare entità e processi non osserva-bili non hanno riferimento.
Il legame esplicativo postulato dai realisti fra successo empirico e verità di una teoria, afferma Laudan, non sussiste. Infatti, a ben guar-dare, quelli citati sopra sono solo alcuni dei controesempi al realismo epistemico, poiché ci sono anche molte teorie del passato che, sebbe-ne avessero un autentico riferimento e un certo successo empirico, non saremmo disposti a considerare approssimativamente vere. A tale riguardo Laudan menziona, fra l’altro, le teorie chimiche degli anni intorno al 1920, caratterizzate dall’assunto che il nucleo atomico sia strutturalmente omogeneo, e le teorie geologiche del periodo fra il 1920 e il 1960, che si sono rivelate sbagliate per quel che concerne i meccanismi fondamentali della costruzione tettonica. L’upward path e il downward path non riescono dunque a collegare successo e veri-tà (almeno approssimata) nel modo che sarebbe necessario per conva-lidare il realismo epistemico, e non c’è ragione di ritenere – anzi, ci sono tutte le ragioni per dubitare – che le nostre attuali teorie siano ap-prossimativamente vere.
La critica laudaniana del realismo scientifico ha generato un am-plissimo dibattito, di cui qui non è possibile dar conto nemmeno som-mariamente. Possiamo tuttavia menzionare alcune delle obiezioni sol-levate contro l’induzione pessimistica. In primo luogo, è stato osser-vato che i casi citati da Laudan non sono abbastanza numerosi per rendere probabile la sua conclusione (si vedano, per esempio, Devitt 1984 e McMullin 1984), e taluni hanno addirittura ravvisato nell’in-duzione pessimistica una fallacia (Lewis 2001 e Lange 2002). Inoltre, è stata richiamata l’attenzione sul fatto che la nozione di successo em-pirico sulla quale si fonda l’argomentazione di Laudan («assumo che una teoria ha successo in quanto essa abbia funzionato ragionevol-mente bene, ossia in quanto abbia funzionato in una quantità di con-testi esplicativi, abbia condotto a svariate predizioni confermate ed abbia posseduto un ampio spettro esplicativo», 1984, pp. 143-144) è tutt’altro che rigorosa (si vedano Hardin e Rosenberg 1982, McMul-lin 1987, Worrall 1994), visto che nessun realista sarebbe pronto a ri-conoscere, per esempio, che la teoria medica degli umori era una teo-ria di successo.14
Queste obiezioni, pur importanti, paiono tutt’altro che risolutive, poiché se da un lato consentono di sfoltire la lista dei controesempi proposti da Laudan, dall’altro non mostrano la sussistenza del lega-me fra successo e verità (allega-meno approssimata) postulato dai reali-sti. A ogni modo, ai fini della nostra esposizione è più importante mettere in luce in che modo gli strumenti di critica assiologica pre-sentati nel paragrafo precedente vengono impiegati da Laudan con-tro il realismo.
Il realismo scientifico – in particolare, ma non solo, nella sua ver-sione epistemica – non è solamente una teoria che spiega il succes-so della scienza, ma anche una tesi normativa circa quelli che do-vrebbero essere i fini della scienza. La tesi che gli scienziati
dovreb-14
Si veda Niiniluoto (1999, pp. 190-192) per una rapida panoramica sulle rea-zioni all’induzione pessimistica.
bero aspirare alla scoperta di teorie vere è logicamente indipenden-te dall’affermazione fattuale che, nella maggioranza dei – o, alme-no, in un significativo numero di – casi, sono effettivamente riusci-ti a scoprirne. Tuttavia, se, come Laudan pretende di aver fatto, si riesce a mostrare che la tesi secondo cui il realismo è la spiegazione migliore del successo della scienza è falsa, anche la tesi normativa diviene maggiormente controversa. A ogni modo, ci sembra ragione-vole ipotizzare che Laudan continuerebbe a osteggiare il realismo anche se risultasse acclarato che l’induzione pessimistica è un non sequitur. Alla base del suo atteggiamento antirealista c’è infatti un’epistemologia radicalmente empirista i cui tratti possono essere evidenziati prendendo le mosse dal passo che segue:
qualsiasi fine venga proposto per la scienza deve essere tale che abbiamo buone ragioni per credere che sia realizzabile; in man-canza di tale realizzabilità, non vi sarà alcun mezzo per la sua realizzazione, e dunque nessuna epistemologia prescrittiva (ivi, pp. 156-157).
Questa insistenza sulla realizzabilità dei fini non può certo sorpren-dere, alla luce dell’idea che i fini (dimostrabilmente, semanticamen-te ed epissemanticamen-temicamensemanticamen-te) utopici devono essere abbandonati: i vincoli imposti dal modello gerarchico sui fini della scienza hanno, come subito vedremo, un ruolo molto evidente nella critica laudaniana del realismo. Infatti, Laudan può ritenere che il realismo suggerisca un fine chiaramente non realizzabile della ricerca scientifica solo per-ché identifica la realizzabilità con l’accertabilità empirica.
Quest’ultimo punto risulta piuttosto evidente se si considera il fi-ne che Laudan propofi-ne per la scienza. Le teorie, afferma, devono avere la maggiore efficacia possibile nella risoluzione di problemi. L’efficacia nella risoluzione di problemi si manifesta, in primo luo-go, nella capacità delle teorie di fare previsioni confermate; e poiché questa capacità è una proprietà empiricamente accertabile, le
dottri-ne assiologiche laudaniadottri-ne rispettano tutti i vincoli imposti dal mo-dello gerarchico sui fini ammissibili della ricerca scientifica. Per contro, la realizzazione dei fini della scienza suggeriti dal realista epistemico – trovare teorie almeno approssimativamente vere anche per quel che concerne le entità e i processi non osservabili – non è empiricamente accertabile, poiché, naturalmente, i valori di verità delle affermazioni sulle entità e i processi non osservabili non pos-sono essere empiricamente controllati in modo diretto. Per usare il linguaggio di Laudan, la verità – anche solo approssimata – di teo-rie che oltrepassano il dominio dell’osservabile è un fine «trascen-dente, e dunque chiuso all’accesso epistemico» (ivi, p. 78). Qui è opportuno insistere sulle conseguenze che, secondo Laudan, discen-dono da tali considerazioni:
Di solito consideriamo bizzarre, se non patologiche, quelle per-sone che in tutta onestà si accingono a fare ciò che, con forti ra-gioni, riteniamo impossibile. I ricercatori della fontana della giovinezza, coloro che aspirano all’immortalità fisica, i costrut-tori di macchine del moto perpetuo, e tutto quell’assortimento di persone che perseguono altri obiettivi chiaramente irraggiun-gibili sono di solito, a buon diritto, condannati come tipi eccen-trici e irragionevoli (1984, p. 72).
Il realista scientifico, dunque, è tutt’altro che in buona compagnia. Secondo Laudan, la sua situazione risulta ancor più disperata quan-do si considera che «non abbiamo ancora una caratterizzazione se-mantica soddisfacente della nozione di verisimilitudine» (1996, p. 78). Il realista epistemico, pertanto, abbraccia un fine utopistico an-che sotto il profilo semantico. Quest’ultima affermazione è davvero sorprendente: Laudan, infatti, decide semplicemente di ignorare il lavoro svolto nell’ultimo trentennio dagli autori impegnati nel pro-gramma di ricerca metodologico delle teorie post-popperiane della verisimilitudine, i quali hanno offerto diverse caratterizzazioni
rigo-rose di tale nozione. Nel seguito della presente trattazione avremo modo di tornare su questi temi; per prima cosa, però, nel prossimo capitolo discuteremo la componente metametodologica del naturali-smo normativo.
In questo capitolo si analizza la componente metametodologica del