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Rawls e il problema del soggetto

Nel capitolo precedente, ho analizzato le speculari difficoltà di due versioni del liberalismo, quella neutralista di Ackerman - cui è assimilabile l’europeo Habermas - e quella comunitaria di Walzer. Ackerman tende a confondere uno strumento di legittimazione e di argomentazione - il dialogo - con uno strumento di identificazione del soggetto morale. Walzer rischia di assolutizzare, verso l’interno, la cultura e il contesto della comunità cui crede di appartenere, e, verso l’esterno, di celebrare le ragioni dell’arbitrio e della forza. Ackerman, tuttavia, è consapevole, sia pure con qualche incoerenza, che una metafisica del soggetto morale non può essere il fondamento ultimo dell’argomentazione pratica, perché conduce non tanto a non prendere sul serio le ragioni del dissidente e del differente, quanto a negare la stessa visibilità dell’altro nella sua statura di soggetto morale - riducendolo, tutt’al più, a una figura patologica o zoologica.

John Rawls, del quale finora ho parlato attraverso i suoi critici, sembra promettere qualcosa di diverso. La sua costruzione della giustizia come oggetto di una scelta e di un contratto potrebbe essere pensata come un'attuazione politica e terrena dell’ultraterreno mito di Er. Il soggetto morale non va inteso come una concrezione metafisica, ma ipotizzato come un'astrazione aperta, costruita in base a ciò che tutti, in quanto decisori morali, abbiamo in comune. Questo dovrebbe essere sufficiente a costruire una teoria della giustizia.

Se così fosse, gli attacchi comunitari a Rawls, fra i quali quello di Sandel può essere assunto come paradigmatico, sarebbero fuori bersaglio - perché una teoria della giustizia così formulata non si propone di descrivere i soggetti morali, ma di costruire una sintassi della prescrizione in base all’ipotesi minima della libertà di scelta. Rawls dovrebbe essere insensibile a una critica come quella di Sandel - a meno che tutta la sua costruzione non riposi, per quanto concerne l’identificazione del soggetto morale, su un'implicita, e riduttiva, descrizione.

Sandel mette in discussione il liberalismo di Rawls affermando che la sua giustizia è insostenibile non tanto perché è assiologicamente debole, quanto perché presuppone una teoria del soggetto che è frutto di una biasimevole deficienza di conoscenza. Questa critica, tuttavia, non dice nulla né sulla coerenza e sulla validità interna della sua giustizia, né sulla sua proponibilità a soggetti d'altro genere.

Sarebbe possibile opporsi alle rimostranze comunitarie con una strategia rigorosamente pratica, di stile kantiano: nessuna ontologia del soggetto è in grado di produrre una teoria della giustizia, perché una descrizione del soggetto che non lasciasse nulla alla sua libertà eliminerebbe proprio la condizione di possibilità della responsabilità morale, giuridica e politica, e cioè la libertà stessa. La libertà non può essere trattata come un valore offerto in opzione e deplorevolmente abbracciato da alcuni individui ignoranti e asociali, perché essa è condizione di qualunque valore 1. Ma Rawls ha preferito seguire una strada diversa:

dimostrare che la nostra situazione culturale, politica e sociale fa sì che noi siamo quel genere di soggetto cui si addice la sua teoria della giustizia 2.

Il volume che ricapitola la risposta di Rawls alle critiche che gli sono state rivolte, Political liberalism, propone una concezione politica della giustizia, che si addice al pluralismo delle società occidentali contemporanee, e si caratterizza per i seguenti aspetti:

a) è una concezione morale elaborata per uno specifico tipo di oggetto, e cioè le istituzioni economiche, politiche e sociali;

b) è presentata come una visione autonoma, perché può adattarsi a varie dottrine complessive ragionevoli; c) contiene idee fondamentali implicite nella cultura politica pubblica di una società democratica 3.

1. Vedi ad esempio la critica al comunitarismo di J. Waldron, Particular Values and Critical Morality, in "California Law Review",

1989, 77/3, pp. 562-89

2. A. Gutmann, Communitarian Critics of Liberalism, in "Philosophy and Public Affairs", 14/3, 1985, pp. 308-22. 3. J. Rawls, Political Liberalism cit., pp. 3-46.

La giustizia di Rawls è la formulazione teorica di un complesso di valori politici condivisi nelle liberaldemocrazie occidentali, che sono in grado di sovrapporsi o intersecarsi con un certo numero di teorie complessive del bene. Non è, però, essa stessa una teoria del bene, bensì una cornice compatibile con alcune visioni contenutistiche del bene - una cornice che è in grado di fare i conti col pluralismo ragionevole, il quale comporta la difficoltà politica di giungere ad un accordo complessivo sul bene individuale e comune 4.

Se la giustizia di Rawls si riduce ad un complesso di valori de facto condivisi, si può obiettare che essa è superflua, poiché i suoi valori già godono di un consenso effettuale; se, invece, questo manca, non si dispone di nessun ragionamento per sostenerli. Rawls sembra invischiato in una difficoltà caratteristica dei communitarians: se i valori condivisi si fondano esclusivamente sul fatto che sono condivisi, nulla può convincere chi, per avventura, non li condivide. La teoria viene meno proprio quando ne abbiamo il più grande bisogno, e cioè quando dobbiamo discutere con chi non è d'accordo con noi 5.

Critiche di questo genere sono già state rivolte a Rawls da più parti 6. Ma io mi propongo di affrontare la

sua giustizia da una prospettiva differente, e cioè quella del problema del soggetto. Le teorie morali che accolgono il soggetto come dato dalla teoria, si trovano a loro agio in un mondo finito e metafisicamente delimitato, mentre incontrano non poche difficoltà quando devono fare i conti con una realtà storica e aperta al manifestarsi di soggetti sempre differenti e di sempre nuove gerarchie di valori. Esse non dispongono degli strumenti per affrontare la questione - politicamente, giuridicamente e moralmente banale - di un eventuale escluso che chiede l'ammissione alla comunità etica: ai loro occhi, l'escluso rimane un invisibile, una persona che non può essere una personalità morale, perché non è compresa nella tassonomia dei soggetti su cui la teoria etica è stata costruita. Rawls, tuttavia, potrebbe sfuggire a questa classificazione.

La sua giustizia potrebbe essere letta come una posizione relativistica che, partendo da una tassonomia teoretica dei soggetti, riesce tuttavia a essere qualcosa di più dell'appendice etica di un'antropologia metafisica astorica e discriminatoria - in virtù dell'espediente di definire il soggetto solo per quel tanto che è sufficiente a elaborare una teoria della giustizia delle strutture fondamentali della società. La posizione originaria, in cui decisori morali ideali contrattano i princìpi di giustizia col vincolo di un velo d'ignoranza su alcune loro caratteristiche personali e sociali, è un modo per caratterizzare i decisori morali così che ciò che essi deliberano sia giusto per qualunque soggetto.

Il successo di una simile impresa comporterebbe la costruzione di una ben definita teoria della giustizia in base ad una altrettanto determinata teoria del soggetto. Essa riuscirebbe ad evitare sia l'indeterminatezza soggettiva delle teorie pratiche che definiscono il soggetto a partire dal bene, sia la chiusura metafisica delle teorie che definiscono il bene in base alla struttura dei soggetti e alla loro gerarchia onto-assiologica. Ma una teoria del genere può funzionare soltanto a condizione che si dimostri che il suo soggetto “sottile”, in grado di contenere molteplici differenze, non è una costruzione ad hoc, per contrabbandare un tipo di soggetto storicamente delimitato e quindi esclusivo 7.

Secondo quest'ipotesi interpretativa, gli individui che si trovano nella posizione originaria vanno assunti come indifferenziati, e caratterizzati solo per la loro capacità di deliberare. Il velo di ignoranza che rende invisibile a ciascuno le proprie condizioni particolari, rende possibile a qualunque soggetto identificarsi con loro. La giustizia di Rawls, essendo formulata da soggetti parzialmente non vedenti, ed essendo cieca

4. Ivi, pp. 47-88.

5. R. Bellamy, Liberalism and Modern Society, cit., p. 240: «The chief difficulty with the principle of neutrality is that only liberals

find it convincing».

6. Vedi ad esempio J. Habermas, Reconciliation through the public use of reason: remarks on Rawls' political liberalism, "The Journal of

Philosophy", 92/3, 1995, pp. 109-3: per Habermas, Rawls tende a confondere la validità teoretica della sua teoria con la sua efficacia empirica, cioè non chiarisce la distinzione fra le questioni di giustificazione e quelle di accettazione. Così la neutralità della sua concezione della giustizia viene ottenuta a prezzo di rinunciare alla sua pretesa di validità cognitiva.

Vedi inoltre J. Raz, Facing Diversity: The Case of Epistemic Abstinence, in Id., Ethics in the Public Domain. Essays in Morality, Law and

Politics, Clarendon Press, Oxford 1994, pp. 45-81. Raz afferma che l'accettabilità - per quanto sia un indubbio pregio, per una teoria

politica - non può essere la sua virtù principale: non tutte le dottrine accettabili sono valide. Inoltre l'accettabilità nella nostra cultura non fonda la validità di una dottrina, a meno di non presupporre -senza poterlo dimostrare, a causa della astinenza epistemica - che la nostra cultura sia giusta.

7. Una critica di questo tipo viene rivolta a Rawls da I.M. Young (Justice and the Politics of Difference, Princeton U.P., Princeton

1990, trad. it. di A. Bottini, Le politiche della differenza, Feltrinelli, Milano 1996, capitolo IV). Rawls critica l’utilitarismo affermando che i soggetti sono plurali, e dunque la giustizia deve essere contrattata. Il velo di ignoranza, però, rimuove qualsiasi caratteristica differenziatrice, garantendo così che tutti ragioneranno a partire da identici assunti e dal medesimo punto di vista universale. La contrattazione è in realtà esclusa - in nome di un universalismo non soltanto falso, ma di comodo.

anch'essa a ciò che distingue un soggetto dall'altro, è una giustizia che si addice anche agli invisibili rispetto a qualsivoglia tassonomia teoretica. Rawls definisce la giustizia a partire da una teoria del soggetto, ma caratterizza il soggetto in modo tale da mettere tra parentesi ciò che rende diversi fra loro i soggetti storici e concreti. Il compito politico della giustizia è parziale e limitato: essa non ha bisogno di una teoria complessiva del bene di e per ciascuno di noi, ma può fondarsi senza difficoltà su ciò che i membri della società hanno idealmente in comune. In questo modo, chiunque può riconoscersi nei decisori razionali che deliberano nella posizione originaria.

Possiamo costruire una teoria della giustizia partendo da una teoria del soggetto solo in base a ciò che i soggetti possono decidere concordemente assieme: per questo dobbiamo fare astrazione da ciò che li differenzia fra loro. Se stabiliamo che la giustizia sia qualcosa che viene deliberato da una moltitudine di individui omogenei, nulla esclude che domani una creatura diversa e imprevista non si ritrovi affatto in ciò che gli altri hanno stabilito. Ma se caratterizziamo i decisori nella posizione originaria con le sole proprietà che servono loro per decidere, dovremmo avere la garanzia che la giustizia possa valere per tutti i soggetti possibili che siano in grado di deliberare.

Trattare gli individui come indifferenziati è diverso dal trattarli come omogenei: gli individui indifferenziati sono individui, per così dire, non ancora censiti, mentre gli individui omogenei sono individui già censiti, che risultano godere di proprietà comuni. Un teorico politico che usa come base di riferimento, nell'ignoranza di ciò che un censimento effettuale potrebbe produrre, le scelte ipotetiche, in una posizione originaria, di individui deliberanti indifferenziati si vale di uno strumento potente. La giustizia, in questa prospettiva, è identica a ciò che sceglierebbero dei decisori razionali, indipendentemente dalle loro preferenze storiche. Per questo motivo, essa ha la possibilità di valere prima ed a prescindere dalle opinioni e dalle condizioni degli individui risultanti da un censimento effettuale.

Una teoria della giustizia che riuscisse a fondarsi sulle preferenze di individui genuinamente indifferenziati avrebbe la potenza conoscitiva di una affermazione del tipo: “tutti, indipendentemente dai loro caratteri particolari, preferirebbero - avendo la possibilità di scegliere - una Ford modello T nera”. Di contro, un teorico che usasse come base di riferimento le scelte ipotetiche di individui omogenei, ci offrirebbe una tautologia, necessariamente vera, ma del tutto inutile: la giustizia diventerebbe ciò che sceglierebbero individui che hanno in comune caratteristiche tali da far loro preferire quel tipo di giustizia. Ne rimarrebbero fuori gli individui che non soddisfano le caratteristiche assunte come omogenee. In questo ultimo caso, l'argomento del teorico sarebbe analogo ad una affermazione - per nulla informativa - del tipo: “tutti coloro che sono fatti così da preferire una Ford modello T nera, preferiscono - potendo scegliere - una Ford modello T nera”.

I decisori razionali di Rawls sono indifferenziati oppure sono omogeneizzati da una teoria ad hoc? La risposta a questa domanda dipende dal carattere della posizione originaria, dei soggetti che si trovano in essa, e delle conoscenze che possono trasparire attraverso il velo di ignoranza. Si danno due possibilità:

a) gli individui nella posizione originaria sono dei puri decisori indifferenziati, descritti in modo da conciliarsi colle peculiarità di qualsiasi soggetto, e dunque ciò che essi scelgono funge da norma per la razionalità delle decisioni politiche e giuridiche fondamentali di chiunque;

b) la posizione originaria è solo un espediente per rappresentare l'overlapping consensus, ovvero il fatto che, in un'effettuale situazione di pluralismo ragionevole, noi (cittadini liberali occidentali) preferiamo tutti - sia pure per motivi diversi - la giustizia come definita dalla teoria di Rawls.

Allo scopo di capire quale di queste risposte sia più corretta, rileggerò A Theory of Justice chiedendomi in che modo la giustizia di Rawls si connette con la sua teoria del soggetto.

Giustizia e soggetto

A Theory of Justice si proponeva il compito di costruire una teoria della giustizia, allo scopo di vagliare la validità delle «nostre convinzioni intuitive sul primato della giustizia» 8. La giustizia è intesa come virtù non

dei singoli, ma delle strutture fondamentali della società, o, più esattamente, del modo in cui le maggiori

8. J. Rawls, A Theory of Justice, Oxford U.P., Oxford 1973, p. 4 (trad. it. di U. Santini, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano

istituzioni sociali distribuiscono i doveri e i diritti fondamentali e determinano la suddivisione del benefici della cooperazione sociale. La società è qui considerata come un sistema chiuso isolato dalle altre società 9.

Quando Rawls parla delle “nostre” intuizioni sulla giustizia, a chi precisamente si riferisce? “Noi” è il più ambiguo fra i pronomi personali: chi dice “noi” può sia includere arbitrariamente chi in “noi” non si riconosce affatto, sia escludere senza giustificazione chi del “noi” si sente parte. Per chi devono aver valore - una volta sistematizzate - intuizioni sulla giustizia indeterminatamente “nostre”? Per rispondere a questa domanda, consideriamo come Rawls connette la sua teoria della giustizia alla teoria del soggetto.

Visto che la giustizia riguarda le società, possiamo supporre che i suoi protagonisti siano delle creature viventi in società. Ma coloro che decidono di conservare o cambiare le strutture della società sono gli individui: per Rawls, una concezione della giustizia è più ragionevole di un'altra se, in una situazione opportunamente definita, persone razionali sceglierebbero i suoi princìpi piuttosto che quelli dell'altra. Il problema della giustificazione viene determinato risolvendo un problema di deliberazione 10. Dunque, la

teoria della giustizia viene costruita a partire dalle preferenze dei soggetti assunti come soggetti morali e come decisori razionali. Perché le loro scelte devono avere valore normativo anche per “noi”? Che rapporto c'è fra le loro scelte e le “nostre” intuizioni morali?

Rawls definisce la posizione originaria in cui i soggetti deliberanti stabiliscono princìpi che debbono aver valore anche per “noi” come una situazione in cui soggetti razionali liberi e uguali prendono decisioni sotto il vincolo del velo di ignoranza. Nessuno conosce il proprio posto nella società, la sua posizione di classe e il suo status sociale, la sua fortuna nella distribuzione delle doti e delle capacità naturali, la propria concezione del bene, e le proprie caratteristiche psicologiche particolari. Inoltre le parti non conoscono le circostanze specifiche della loro società, cioè la sua generale situazione politica ed economica e il suo livello di civiltà e cultura. E “noi” accettiamo la prescrizione di ciò che sarebbe pattuito in una ipotetica posizione originaria perché le condizioni incorporate nella sua descrizione sono quelle che di fatto accettiamo, o riconosciamo come ragionevoli dopo riflessione filosofica 11.

Riformuliamo questa tesi nei termini dell'impostazione basata sul nesso fra problema della giustizia e problema del soggetto: Rawls costruisce la sua teoria della giustizia a partire dalle preferenze dei soggetti, ma descrivendo i soggetti in modo tale che ciascuno di “noi” possa riconoscersi in essi. “Noi” - così come siamo - non potremmo accordarci su una concezione della giustizia comune a tutti, perché siamo diversi, in quanto abbiamo differenti doti naturali, differenti concezioni del bene, una differente psicologia e un differente ruolo nella società così com'è. Proviamo, allora, a eliminare tutto ciò che ci rende diversi, e costruiamo una immagine del decisore morale in cui tutti “noi” possiamo riconoscerci, perché basata solo su ciò che abbiamo in comune. Possiamo aderire senza difficoltà ad un contratto sulla giustizia pattuito da una pluralità di decisori morali in una situazione di scelta, la posizione originaria, che include solo ciò che “noi” condividiamo.

Una controprova del modo di ragionare di Rawls è costituito dalla sua critica all'utilitarismo classico. Per l'utilitarismo non c'è differenza fra il calcolo del bene individuale e quello del bene collettivo: un ideale osservatore imparziale simpatetico si immedesima con ciascuno degli individui che fanno parte della società, e decide qual è il suo assetto migliore in base a una somma algebrica dei piaceri e dei dolori di tutti. L'assetto migliore della società è quello che massimizza questa somma. Così procederebbe un individuo razionale che desiderasse massimizzare la propria felicità: la linea di condotta da seguire è quella che, a lungo termine, produce la felicità più grande. Ma questa strategia funziona per una società solo a condizione di trattare una pluralità di individui differenti come se fossero un unico macroindividuo: e “noi” - obietta Rawls - non siamo quel genere di soggetto. “Noi” siamo una moltitudine di individui diversi, ciascuno dei quali ha o può avere una differente concezione della propria felicità. Non tutti sono disposti a sacrificare la propria felicità personale in nome della sommatoria della felicità collettiva. Per questo, i princìpi della scelta per un solo uomo non possono essere estesi alla società - perché essa non è un intero individuale, bensì un complesso composto da una pluralità di persone con diversi sistemi di fini. Se vogliamo prendere sul serio la pluralità e la diversità degli individui, dobbiamo vedere la giustizia come l'oggetto di un accordo 12.

9. Ivi, p. 7 (trad. it. p. 24). 10. Ivi, p. 17 (trad. it. p. 32). 11. Ivi, p. 21 (trad. it. p. 35). 12. Ivi, p. 27-33 (trad. it. pp. 40-44).

La strategia argomentativa usata da Rawls contro gli utilitaristi non è pratica, ma teoretica: le proposte degli utilitaristi sono sconvenienti soltanto perché “noi” non siamo il soggetto che essi credono. Rawls stesso è un fautore dell'eudemonismo etico: il bene di una persona è un piano di vita che conduce, a lungo termine, alla soddisfazione dei suoi interessi. Questo piano di vita deve essere razionale: ma qui la ragione è semplicemente uno strumento al servizio del nostri fini 13. Il bene, dunque, così come la giustizia, viene

definito a partire dalle preferenze dei soggetti che sono assunti come decisori morali. E' perciò fondamentale assumere dei decisori morali nei quali tutti “noi” possiamo riconoscerci: altrimenti, sarebbe possibile sottrarsi alla giustizia dicendo, semplicemente, “io non sono quel genere di soggetto”.

Chi sono, dunque, i decisori morali di Rawls? I vincoli della posizione originaria ce li fanno pensare come esseri dotati di una razionalità esclusivamente strumentale, liberi e uguali, reciprocamente disinteressati 14.

Essi, inoltre, pur non sapendo nulla delle proprie circostanze e interessi particolari, riconoscono il valore di alcuni beni sociali principali. I beni sociali principali sono, per Rawls, quei beni che si suppone un individuo razionale voglia - indipendentemente dalla sua concezione della felicità, e cioè diritti e libertà, opportunità e poteri, reddito e ricchezza - nonché la coscienza del proprio valore 15.

Secondo Rawls, una società è in armonia con i princìpi della giustizia come equità quanto più si avvicina all'idea di un disegno o progetto volontario, poiché soddisfa i princìpi che individui liberi e uguali