• Non ci sono risultati.

III I SITI DELLA GUERRA

III.3 Approcci e Problemi: il caso studio di Cu Chi

III.3.5 Propaganda e immagine parziale

Secondo molti studiosi, tra cui Goulding e Domic (2009) e Stone (2010), i siti bellici sono molto delicati dal punto di vista interpretativo, perché offrono l’opportunità di scrivere o riscrivere la storia della vita delle persone, delle sofferenze e delle morti, con lo scopo di fornire qualche tipo di descrizione politica degli eventi passati o, secondo Ivanov (2009), essere usati come strumento per fare propaganda dei successi del regime. I siti bellici in Vietnam, infatti, rispecchiano questo ultimo punto. In generale, nella maggior parte dei siti che ho visitato ho visto un forte nazionalismo comunista. Il modo in cui la guerra viene descritta non va di certo a contraddire ciò che ho appreso dai libri di storia, ma supporta un punto di vista che è solidale quasi solamente con i (nord)vietnamiti. In alcuni luoghi la retorica comunista usata e l’immagine parziale offerta della guerra è molto più evidente che in altri, ma in generale si può dire che ci sia un trend che accompagna tutti i siti. Ad esempio, in quasi tutti i musei che ho

97

visitato, anche in quelli non dedicati puramente alla guerra come il museo della Donna, c’era una sezione dedicata alle proteste internazionali e all’opposizione alla guerra. Questa sezione tendeva ad enfatizzare il lato propagandistico, e ho avuto come l’impressione che data la presenza di una sezione dedicata alla guerra americana, il museo l’abbia adoperata come scusa per includere anche una parte sulla resistenza, dove la retorica usata contro gli Stati Uniti era sempre molto forte.

Keyes (2012) ad esempio, pur supportando l’idea che la guerra fosse sbagliata e non necessaria, si sentì comunque spesso a disagio durante la visita al Museo dei Resti della Guerra a Ho Chi Minh City. Si spiegò facendo l’esempio di una raffigurazione di un uomo americano presente nel museo, lodato perché durante la guerra egli decise di bruciarsi vivo in segno di protesta. Egli viene ritratto come un eroe, un martire venerato per aver combattuto con la sua vita per far terminare una guerra moralmente ingiusta e la sua morte viene ora celebrata (Keyes, 2012). E’ giusto che una struttura come un museo possa celebrare la morte di una persona, nonostante essa sia stata compiuta per una giusta causa?

La rappresentazione dell’America chiaramente opposta al resto del mondo, nella quale sembra non ci siano pareri politici contrastanti, aiuta a mostrarci il disegno unilaterale e in qualche modo semplificato che posti come questo danno della guerra. Ribadisco che in nessun modo queste strutture forniscono informazioni erronee sulla battaglia, tuttavia il semplice fatto che mostre sull’argomento dell’opposizione al conflitto appaiano in così tanti musei - siano esse completamente rilevanti o meno nel contesto della esposizione, e che ignorino anche la grossa fetta di popolazione che supportava la guerra, le rendono un po’ meno credibili agli occhi del turista. Si leggono, infatti, queste recensioni lasciate su TripAdvisor riguardanti il Museo dei Resti della Guerra:

“L’esposizione ci mostra momenti realmente scioccanti della guerra. Tuttavia, esso è molto parziale contro americani/francesi/cinesi. Sarebbe interessante vedere in contrasto i crimini di guerra dei Vietcong” [chrschaffrath, Germania. 20 giugno 2018]

“… Retorica molto amara nei confronti degli americani, anche comprensibile, ma sarebbe stato meglio anche sentire l’altra parte [con dettagli] quali perché l’America venne coinvolta inizialmente” [Bigjockkneww, 19 giugno 2018]

98

“Questo museo è interamente dedicato a raccontare un lato della storia della “guerra americana”. […] I soldati americani sono descritti come criminali di guerra che pensano solo ad uccidere donne e bambini, [mentre] i soldati nord vietnamiti e i giornalisti che sono stati uccisi nella battaglia sono descritti come martiri. […] Propaganda intensa ma merita una visita” [Don_G_Wright, Canada, 16 giugno 2018]

“[…] Merita di certo una visita, tuttavia, il contenuto viene presentato in maniera parziale. Se non avessi saputo [della guerra] avrei pensato che nessuno negli Stati Uniti si opponeva ad essa” [Aeneken, Minnesota, 28 maggio 2018]

(Tripadvisor,2018)

Anche uno studio condotto da Laderman sulle opinioni raccolte dal libro dei visitatori nel museo ha rilevato commenti simili (Laderman, 2005).

Ci si focalizza sempre sulle atrocità compiute dal “nemico”, ma vengono continuamente ignorate quelle compiute dai vietnamiti. Un altro esempio, anch’esso molto evidente, l’ho trovato nelle prigioni di Hoa Lo. Nella sezione dedicata al periodo coloniale francese, quasi tutte le foto mostravano i prigionieri vietnamiti venire torturati dagli europei, permettendo al visitatore di simpatizzare con il dolore vietnamita. Nella sezione del periodo della guerra americana, tuttavia, c’erano solo foto di soldati americani sorridenti, accompagnate da descrizioni di come essi venivano trattati bene, di tutte le attività che era permesso loro di svolgere, la libertà religiosa di cui essi potevano godere e infine i souvenir e la cerimonia che essi ricevettero una volta rilasciati. Presenti anche indumenti e foto del senatore americano John McCain, ritratto sempre apparentemente felice in scene dove egli veniva curato da dottori vietnamiti, il che farebbe pensare al turista (soprattutto a quelli meno esperti) che egli fosse sempre al sicuro e felice all’interno della struttura. Tuttavia, durante molte delle sue interviste sul suo periodo in carcere a Hoa Lo, il senatore ha descritto come egli veniva brutalmente torturato e picchiato (Schwenkel, 2009). La sua dura vita in prigione venne anche raccontata nella sua auto biografia “Faith of my fathers” (1999), diventata in America un best-seller.

Si vede quindi molto chiaramente come queste strutture turistiche vogliano creare un’immagine idealizzata del Vietnam in guerra.

99