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La proprietà tutelata dalla CEDU è di natura economica e consente il risarcimento del danno non patrimoniale.

Nel documento Il diritto reale europeo uniforme (pagine 106-117)

Il danno non patrimoniale da lesione del diritto di proprietà può essere tutelato nell’ordinamento sovranazionale, ed ha una sua giustificazione, in quanto, all’interno della CEDU, il diritto dominicale è modellato con una concezione prettamente giusnaturalistica. Questa costruzione teorica impatta contro la concezione accolta

      

224 R. Conti, Diritto di proprietà e CEDU, op. cit., 226 225 R. Conti, Diritto di proprietà e CEDU, op. cit., 226

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dall’art. 42 della Costituzione repubblicana italiana ove, come ampiamente esposto in precedenza, campeggia la funzione sociale del diritto dominicale226.

Il contrasto tra la Costituzione italiana e l’art. 1 Prot. n. 1 alla CEDU e dal suo diritto vivente, e l’art. 17 della Carta di Nizza – che riconosce anch’esso la proprietà nelle libertà, e, forse, ripercorre le tappe segnate dalla giurisprudenza costituzionale tedesca, è assai evidente.

La concezione giusnaturalistica accolta dalla CEDU è tuttavia un falso problema in quanto è proprio essa che permette delle limitazioni a tale diritto ai fini del perseguimento dell’interesse pubblico, sebbene queste limitazioni debbano essere ispirate al principio di legalità. Affermare una cosa del genere significa dire, sit et simpliciter, che il “caso italiano” con le occupazioni illegittime si scontra con il sistema delle limitazioni legali previste dal sistema CEDU.

La risarcibilità della lesione non patrimoniale del diritto al rispetto dei beni, operata ripetutamente in sede CEDU, non è diversa da quella costituzionale, con “ovvie conseguenze a proposito dell’agevole conformizzazione della tutela apprestata nell’un sistema rispetto a quella, poziore, che tale protezione garantisce”227.

Nel caso di eventuale contrasto fra norma interna e norma sovrannazionale, l’unico modo per risolvere l’empasse sarebbe quello di interpretare la norma interna utilizzando il diritto sovranazionale e demandando alla Consulta la risoluzione della questione ove anche l’interpretazione della norma sovranazionale non dovesse risolvere le differenza fra le due norme .

È questo, infatti, il senso della c.d. tutela multilivello di cui si va sempre più spesso parlando228.

Si sostiene229 la debolezza dell’argomentazione di alcuni autori circa la minor

rilevanza del diritto di proprietà in sede CEDU giustificata dal fatto che non sia inserita nella Convenzione ma, piuttosto, in un Protocollo Addizionale. Certamente il diritto di proprietà si distingue da tutti gli altri diritti riconosciuti nella Convenzione i quali hanno natura non patrimoniale, e questo sarebbe il motivo del suo inserimento postumo nel Protocollo piuttosto che nel corpo della Convenzione stessa.

      

226 Ramaccioni, La proprietà privata, l’identità costituzionale e la competizione tra modelli, in Eur.

Dir. Privato, 2010, 3, 861 ss

227 R. Conti, Diritto di proprietà e CEDU, op. cit., 226

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Opinando in tal modo, si ometterebbe di considerare che, in realtà, il diritto di proprietà è l’unico diritto patrimoniale riconosciuto dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo. Questa sua peculiarità non ha permesso agli Stati di trovare un accordo iniziale circa il suo inserimento nel corpo della convenzione stessa ma, certamente, non si è mai posto in dubbio l’importanza di tale diritto e il suo profondo rapporto con l’uomo.

La CEDU e la tutela approntata ai diritti in essa consacrati, grazie all’opera giurisprudenziale dei giudici preposti a vigilare sulla sua osservanza, ha una forza pervasiva molto forte e garantisce livelli di tutela superiori a quelli delle giurisprudenze nazionali. La Corte EDU mediante il riconoscimento di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione assicura la liquidazione del danno morale derivante dalla lesione del diritto dominicale così come liquida analoghi pregiudizi operati da quello stesso Giudice per tutti gli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU e dai suoi protocolli230.

L’avere aderito l’Italia alla CEDU, far parte dell’UE, che riconosce valore giuridico alla Carta di Nizza, implica che il giudice debba compiere un’interpretazione della Costituzione volta a tutelare al massimo il diritto di proprietà. Alla luce di tali premesse non è necessario disapplicare la norma costituzionale ma semplicemente utilizzare lo strumento della interpretazione convenzionalmente orientata231, di cui

      

230 I pregiudizi arrecati ai diritti tutelati dalla CEDU sono in linea di massima integralmente risarciti,

tale insegnamento è derivato dalla questione relativa all’irragionevole durata dei processi.

231 Tale canone interpretativo è stato inaugurato dalle sentenze gemelle della Corte costituzionale del

2007 e rappresenta la fine di una evoluzione giurisprudenziale che ha preso vita dalla sentenza Corte Cost. n. 388/1999 che attribuiva al legislatore il compito di dare attuazione alla CEDU, sebbene la stessa avesse un ruolo decisivo nel processo decisionale della Consulta, al punto da necessitare di coordinamento tanto da ritenere che i diritti previsti dalla Costituzione e dalla CEDU “al di là della coincidenza nei cataloghi di tali diritti, si integrano, completandosi reciprocamente nell’interpretazione”. In tali decisioni, ed in particolare in Corte Cost. n. 349/2007, è stato confermato che “il giudice” è tenuto ad interpretare in modo conforme il diritto interno alla Convenzione—« [...] Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme ».

Passaggio ulteriormente ribadito quando la Corte riconosce che « [...] L’applicazione e l’interpretazione del sistema di norme è attribuito beninteso in prima battuta ai giudici degli Stati membri, cui compete il ruolo di giudici comuni della Convenzione ». L’attribuzione di “giudice comune della Convenzione” ribadisce conferma la tesi dottrinaria che rinviene nell’art. 117 1ˆcomma Cost. l’obbligo di interpretazione conforme. Ove non si fosse giunti a livello interpretativo ad un risultato compatibile con la CEDU si sarebbe azionato il sindacato di costituzionalità. La Corte Costituzionale ha, in buona sostanza, riconosciuto che il tema dei diritti fondamentali è sottratto all’esclusiva competenza del legislatore nazionale per essere riservato a quello sovranazionale. Tuttavia restava il limite della legge interna che rappresentava un vincolo costituito dalla lettera della legge che non consentiva all’interprete – il giudice comune- di forzarne il significato. A risolvere la questione provvedeva la Consulta con la sentenza n. 311/2009, disponendo che « Nel caso in cui si

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alle note sentenze del 2007 al fine di tutelare adeguatamente i danni patiti per la perdita della proprietà.

        profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica». Ulteriormente importante e la sentenza Corte cost. n. 239/2009 che ha osservato che « in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa » poichè « al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte delle relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.”

110 SEZIONE III CEDU e indennizzo

1 Strasburgo e l’ indennizzo espropriativo.

La materia dell’indennizzo espropriativo è stato oggetto, come già rilevato, di attento interessamento della Corte EDU la quale, nel tempo, ha valutato alla luce del principio di proporzionalità l’esistenza di un indennizzo spettante nel caso di perdita della proprietà. La Corte ha escluso che all’esproprio non consegua un indennizzo232.

Altro requisito enucleato dalla corte è costituito dal pagamento di un ragionevole indennizzo che garantisca il giusto contemperamento fra gli opposti interessi in campo, in quanto, se mancasse qualunque tipo di ristoro , a meno che non si tratti di casi eccezionali, la tutela data dalla norma sovranazionale sarebbe inefficace233.

Il riferimento, infatti, alla ragionevolezza sembrava dimostrare l’ampio margine di apprezzamento ancora una volta riservato ai singoli Stati nella quantificazione del ristoro, tanto da far dire in dottrina che il criterio della “ragionevolezza” può assumere dei contorni talmente elastici da consentire alla Corte un atteggiamento di estrema flessibilità al momento di valutare la congruità dell’indennizzo.

L’unico limite che risultava incontestabilmente emergere dal diritto vivente del giudice europeo era rappresentato dall’impossibilità di accampare, fra le circostanza eccezionali idonee a ridurre fino ad annientare detto indennizzo, erano le enormi conseguenze finanziarie che sarebbero derivate dal pagamento del ristoro, avendo, la Corte, sempre negato la possibilità di giustificare una legislazione con efficacia retroattiva fondata su ragioni di bilancio234.

Per il resto, sembrava pacifico che proprio l’esistenza dell’obiettivo della pubblica utilità, sotteso alla privazione della proprietà legittimamente compiuta, potesse giustificare un indennizzo non uguale al valore integrale del bene, soprattutto se la

      

232 Corte EDU, 30 giugno 2005, Jahan c. Germania, pag. 94 233 Corte EDU, 8 luglio 1986, Lithgow, par. 120

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privazione del dominio fosse connessa a progetti di nazionalizzazione235 e non a

singoli provvedimenti di esproprio.

Peraltro, la Corte dei diritti umani aveva tradizionalmente riservato particolare attenzione alle concrete modalità di pagamento dell’indennizzo richiedendo, anche in assenza di un’espressa previsione sul punto, che l’indennizzo fosse corrisposto in un tempo ragionevole.

La giurisprudenza della Corte europea in materia d’indennizzo espropriativo ha più volte sottolineato come accanto al canone del c.d. margine di apprezzamento spettante ai singoli Stati nell’individuazione del “ragionevole indennizzo” dovuto al proprietario occorre considerare, allo stesso tempo, il rispetto del principio di proporzionalità della misura riduttiva, proprio al fine di evitare che nella situazione concreta l’applicazione del diritto interno comprimesse eccessivamente le prerogative proprietarie.

In questa prospettiva la Corte è pervenuta all’accertamento della violazione a carico dello Stato per avere indennizzato il proprietario colpito da un’espropriazione legittima con un valore uguale a quello del fondo espropriato, ritenendo che, nella situazione concreta, quell’indennizzo, ancorché quantizzato nell’integrale ristoro del pregiudizio subito per effetto dell’atto ablatorio, non poteva comunque apparire adeguato al caso concreto, dovendo il proprietario—privato del fondo sul quale esercitava l’attività agricola — sopportare un peso superiore per riprendere l’attività originariamente espletata236. Questo caso, oggetto di esame da parte della dottrina237,

riguardava un compendio immobiliare adibito da un agricoltore francese alla produzione del latte. Il sistema francese prevedeva in caso di procedimento ablativo il pagamento del valore venale dei beni espropriati oltre a riconoscere, in caso di esproprio parziale, un’ulteriore somma per il mancato guadagno relativo al periodo necessario alla riorganizzazione dell’attività agricola, oltre al pagamento delle spese necessarie per tale riorganizzazione. In Francia è ulteriormente riconosciuta la

      

235 Padelletti M.L., La tutela della proprietà nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Milano,

2003, che riferisce di come l’effetto delle nazionalizzazioni in campo internazionale abbiano eroso il principio del pagamento integrale dell’indennità di esproprio.

236 Corte EDU , 11 aprile 2002, Lallement c. Francia

237 Padelletti M.L., I problemi dell’indennizzo nella convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in La proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali , a cura di M. Comporti, 2005, 122 ss

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possibilità di cedere “l’intera azienda” allo Stato nel caso in cui dopo l’esproprio si fosse determinata una frammentazione tale da impedire la prosecuzione dell’attività aziendale.

Il proprietario-ricorrente riteneva che l’indennizzo riconosciuto dall’autorità francese, sebbene superiore al prezzo di mercato, non era sufficiente a ripagarlo integralmente del danno patito in quanto nella zona non vi erano terreni idonei a svolgere tale attività, e per questo motivo si rivolse alla Corte EDU.

Il giudice di Strasburgo osservò come nella fattispecie sottoposta l’indennizzo liquidato non copriva la perdita specifica rappresentata dallo “strumento di lavoro”, dovendo l’indennizzo espressamente ristorare qualunque utilità che il bene ablato contemplava238.

La Corte dei diritti umani ritenne che la CEDU pone quale obiettivo la protezione di diritti reali ed efficaci, sottolineando che « l’oggetto e lo scopo della Convenzione, come strumento per la protezione degli esseri umani, chiamati a comprendere e applicare le sue disposizioni in modo che le richieste la rende efficace».

Ciò ha comportato che, nel caso di specie, l’indennizzo riconosciuto al proprietario fosse in concreto inidoneo a ristorarlo dal pregiudizio sofferto alla propria azienda che, privata di un fondo necessario alla conduzione della stessa, era irrimediabilmente danneggiata.

Il caso è particolarmente interessante in quanto, come ha rilevato la dottrina che se n’è occupato239, se pur nella specificità dello stesso, il principio enucleato dalla Corte

è di applicazione assolutamente generale, oltre che finalisticamente orientato a salvaguardare la totalità degli interessi lesi del proprietario colpito da un provvedimento ablativo.

Per la Corte europea non bisogna quindi considerare il valore astratto del bene oggetto di esproprio ma la specifica destinazione impressale dal proprietario, in sostanza conta l’uso che questi ne fa in relazione al suo lavoro, grazie al quale ne trae il sostentamento per la sua esistenza240.

      

238 Corte EDU , 11 aprile 2002, Lallement c. Francia , par. 18.

239 Padelletti M.L., I problemi dell’indennizzo nella convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in La proprietà nella Carta europea dei diritti fondamentali , a cura di M. Comporti, 2005, 122 ss

240 A questo tipo di argomentazione la Corte è giunta in quanto la valutazione dei Tribunali nazionali

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Conferma ulteriormente tale assunto un precedente della Corte europea riguardante un esproprio posto in essere da un’autorità amministrativa francese241. In questo caso

il provvedimento espropriativo aveva ad oggetto un’area inedificabile, un edificio industriale e un appartamento, al cui proprietario era stato riconosciuto solo il valore di tali beni, ma non l’ulteriore indennizzo relativo al danno costituito dal mancato introito del canone di locazione riferito ai tre cespiti, già concessi in locazione ad una società.

In applicazione del diritto interno, il giudice nazionale aveva infatti rigettato questa voce di danno, chiarendo che il proprietario espropriato non poteva ottenere l’integrale riparazione delle perdite prodotte dall’espropriazione.

La Corte EDU ha escluso che nell’operato del giudice francese risultasse evidente una violazione dell’art. 1 Prot. n. 1 CEDU.

La Corte ritiene che, in caso d’interferenza con il diritto al rispetto della proprietà, l’esproprio e tutte le conseguenze che da esso derivavano, devono assicurare un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della comunità e le norme che tutelano i diritti fondamentali della persona. Questa situazione comporta che il proprietario ablato debba ottenere un indennizzo ragionevole, sebbene non obbligatoriamente parametrato al pieno valore di mercato del bene, in quanto gli Stati hanno, sul punto, un ampio margine di apprezzamento. Argomentando in tal modo, la Corte EDU ritiene priva di censura la decisione adottata dal giudice nazionale242.

La riflessione su tali sentenze porta a ritenere che il giudice di Strasburgo tutela il proprietario ex art. 1 Prot. n. 1 alla CEDU in maniera molto efficiente in caso di ablazione, benché legittima, di un bene. Questo tipo di tutela involge sia la sfera statica ma soprattutto, e significativamente, dinamica, finalizzata a valorizzare l’effettiva utilità traibile in concreto dal bene da parte del proprietario. L’intensità di questa tutela giunge al punto di considerare e valutare, ai fini della quantificazione dell’importo dell’indennizzo, l’utilizzazione del bene quale strumento di lavoro in caso di esproprio. È interessante notare come questa qualificazione dinamica e piena

        peculiarità del caso quale l’ubicazione del terreno in una zona dove si poteva, e solo lì, esercitare l’attività di trasformazione del latte.

241 Corte EDU, Roux c. Francia, 25 aprile 2006

242 Un punto particolarmente rilevante ai fini della decisione, è costituito dal richiamo che la Corte fa

al mancato richiamo da parte dei ricorrenti della natura di “strumenti di lavoro” dei beni oggetto di procedimento ablativo, argomentando , a contrario, con la sentenza LALLEMENT C. FRANCIA, par. 18,

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del diritto di proprietà porti a un condizionamento del criterio di indennizzo delle aree da sottoporre a esproprio o a vincoli che ne conformano pesantemente il contenuto dominicale243.

2 La giusta indennità nell’art. 17 della Carta di Nizza

L’importanza, altrove commentata, dell’art. 17 della Carta di Nizza, la sua precettività, i suoi rapporti con le altre Carte, è fuori discussione. Quello che qui preme ricordare è, invece, il fatto che esso preveda due fondamentali tutele per il proprietario espropriato. Queste garanzie sono costituite dal pagamento di un’indennità “giusta” e dal versamento della stessa in “tempo utile”. Le stesse garanzie rappresentano una rilevante forma di tutela del contenuto minimo che la proprietà deve avere senza tener conto degli aspetti solidaristici della stessa.

Dal confronto dell’art. 17 si può rilevare che rispetto al “diritto al rispetto dei propri beni” di cui all’art. 1 del primo protocollo alla CEDU, è stato inserito il diritto « di godere della proprietà dei beni che ha acquistato legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità ». L’art. 17 della Carta di Nizza fa riferimento al pubblico interesse, mentre non vi è alcun cenno al rispetto dei principi generali del diritto internazionale invece presenti nella CEDU per giustificare la privazione della proprietà.

      

243 Di particolare chiarezza è di grande utilità è la sentenza del CGA che riguarda l’ indennizzabilità

del vincolo a verde pubblico. Cons. Giust. amm. Sez. 1,27 febbraio 2012 n.354, in

www.giustiziaamministrativa.it. Dove si afferma il principio secondo cui: “se l’ente pubblico vuol destinare un’area a uso pubblico (generale) deve procurarne l’espropriazione, non potendo altrimenti costringere il proprietario a comprimere il suo godimento al di là del contenuto minimo essenziale della proprietà. Ciò implica natura ineluttabilmente espropriativa, essendo esso preordinato all’esproprio, del vincolo consistente nella destinazione di un’area privata a “verde pubblico” (nella specie “attrezzato”, ciò che ovviamente avverrà a cura e spese del soggetto pubblico espropriante, o di soggetti concessio.”

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3 La Carta di Nizza e la Convenzione EDU: paragone fra garanzie dominicali.

La Corte di Strasburgo, posto che nell’art. 1 del Prot. Add. n. 1 non vi era alcuna norma che prevedesse un ristoro per il proprietario soggetto a un esproprio, aveva enucleato il principio in forza del quale fosse necessario un ristoro integrale del bene ablato, salvo dar atto della presenza di regole che ponevano in termini di eccezionalità situazioni in cui non era giusto riconoscere l’integrale ristoro del bene espropriato.

Quando si è trattato di codificare a livello comunitario il diritto di proprietà, non poteva non tenersi conto della legislazione vigente nella maggior parte dei Paesi europei.

Nel redigere la norma che tutela la proprietà, come ampiamente detto, non poteva non riconoscersi il ruolo delle normative nazionali oltre che il rinvio alle tradizioni costituzionali comuni dei Paesi membri entrate nel novero dei principi generali del diritto comunitario per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Si era, così, venuto a creare un sistema nel quale gli ambiti di discrezionalità del giudice di Lussemburgo erano davvero significativi, non essendosi mai affermato con chiarezza che l’opera di emersione dei diritti fondamentali dovesse fondarsi su uno standard di tutela offerto da uno o più Stati ovvero se la Corte tendesse ad enucleare forme autonome di tutela in funzione armonizzatrice.

Il tema dell’indennizzo era piuttosto variegato in Europa in quanto Francia, Spagna e Paesi di Common Law riconoscevano un ristoro integrale mentre altri Paesi come l’Italia e la Germania, per effetto della funzione sociale e del bilanciamento degli interessi pubblico con quelli privati, tendevano a riconoscere un valore inferiore a quello pieno.

A tutto ciò va aggiunto come prima della sentenza del 2004 la Corte EDU non aveva espresso alcun principio in ordine all’indennizzo.

Sulla base di tali norme e del diritto vivente si poteva argomentare che la “giusta

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