La sintetica esposizione della disciplina degli illeciti di pericolo comune previ- sta nei principali ordinamenti europei evidenzia, di riflesso, alcuni aspetti anacroni- stici che caratterizzano la normativa italiana esistente a tutela dell’incolumità pubbli- ca: ciò è alla base dell’esigenza di riforma del Titolo VI del Codice Penale.
Tra i principali progetti di modifica, merita di essere ricordato quello proposto dalla c.d. Commissione Pagliaro nel 1992, ispirato alla centralità e al primato del principio personalistico, secondo il quale la persona e i valori, ad essa connessi, rappresentano il fine cui l’organizzazione giuridica deve tendere, in armonia con l’art. 2 della Costituzione. In tale prospettiva, antitetica rispetto alla gerarchia di beni sottesa al Codice del 1930, l’oggettività giuridica, rappresentata dall’“incolumità pubblica”, viene depurata dai connotati statalistici e autoritari e inquadrata tra i beni che assumono rilievo, avuto riguardo alla comunità nel suo complesso.
Alla base di tutte le proposte di riforma del Titolo VI del Codice Penale, vi è la consapevolezza della difficoltà di coniugare le fattispecie, poste a tutela contro il pericolo originato dalle attività produttive, con il sistema penale tradizionale, ancora- to a categorie sistematiche (quali la tipicità e, in particolare, la causalità, da un lato, e la colpevolezza, dall’altro) costruite ed elaborate, dal legislatore, in riferimento ad un diritto penale dell’evento, basato su forme di offesa a beni appartenenti a soggetti determinati. Il paradigma pre-industriale, cui si ispira il suddetto modello classico di illecito penale, appare messo in crisi dalle nuove esigenze di prevenzione, che scatu- riscono dalla produzione di massa e dalla commercializzazione dei prodotti, legate allo sviluppo tecnologico e distributivo.
De jure condendo, al di là del suggestivo richiamo a beni primari quali la vita e
la salute, come chiave di volta per la costruzione della categoria dei reati contro l’incolumità collettiva, proposta dal sopra menzionato Progetto Pagliaro, la rifonda- zione di tale classe di delitti presuppone, anzitutto, una rigorosa opera di delimitazio- ne e distinzione funzionale di tipo orizzontale e verticale.
Per quanto riguarda la demarcazione orizzontale, si pone la necessità di una se- lezione “trasversale” delle fenomenologie di aggressione realmente in grado di ca- gionare, per proporzioni, dimensioni o rilevanza numerica delle vittime potenziali, un pericolo comune o collettivo.
In merito alla selezione verticale, si tratta di individuare il legittimo grado di anticipazione della tutela. Entrano in gioco i criteri di proporzione e di sussidiarietà. Il primo si esprime in rapporto al rango del bene, desunto dal quadro costituzionale, e alla gravità dell’offesa; quest’ultima dipende dal modo con cui la tutela è realizzata, ossia dalla scelta tra costruzione in termini di danno o di pericolo (quest’ultimo differenziandosi, poi, nelle sue varie forme) e, a parità di modo di protezione dello stesso bene, la gravità si lega all’intensità quantitativa dell’offesa (maggiore o mino- re danno o pericolo). Il canone della sussidiarietà si lega, invece, al piano dell’efficienza della pena, implicando un confronto tra sanzione penale e amministra- tiva, condotto secondo la rispettiva capacità a garantire l’osservanza del relativo precetto e propende per la prevalenza della sanzione amministrativa, relegando quel- la penale al ruolo di extrema ratio366.
Considerazioni simili valgono, anche, in riferimento alle fattispecie contrav- venzionali contenute nel D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, Codice Comunitario concer-
nente i medicinali per uso umano. Le frizioni esistenti tra i reati contenuti nell’art.
147 del suddetto corpus normativo, come prototipo di reato incentrato sulla violazio- ne o sull’assenza dell’autorizzazione discrezionale da parte di un’autorità ammini- strativa, con i principi costituzionali di riserva di legge, di colpevolezza e della fun- zione della pena, evidenziati nel presente studio, spingono a riflettere circa la possi- bilità di degradare tali fattispecie nell’ambito degli illeciti amministrativi. Ciò anche in considerazione della circostanza che, spesso, tali fatti non conducono ad una con- danna definitiva, a causa degli esigui margini edittali che facilitano l’operare della
prescrizione e in conseguenza all’intervento di varie cause ostative all’effettiva irro- gazione di una sanzione penale. Alla luce di ciò, l’opzione a livello legislativo, volta all’irrogazione di una misura di carattere amministrativo, potrebbe risultare mag- giormente rispettosa dei principi costituzionali e consentire l’effettiva inflizione della sanzione.
D’altro canto, però, non può trascurarsi di considerare come la scelta di perse- guire tali condotte, tramite la comminazione di una pena, risponda ad esigenze di tutela dei beni coinvolti, nell’ottica di collaborare alla costruzione di un sistema giuridico che, insieme alle norme del Codice Penale, protegga, nella massima misura consentita, tali interessi. Occorre ricordare, inoltre, che il legislatore italiano ha optato per questa soluzione anche al fine di adempiere agli obblighi comunitari, esistenti in materia di garanzia della salute umana, gravanti in capo allo Stato in considerazione dell’adesione, da parte dello stesso, all’Unione Europea.
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