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3. Possibili bersagli terapeutici

3.7 Proteine eterologhe

Un‘altra strada percorribile nel trattamento delle malattie prioniche è quella fornita dalla proteine eterologhe, le quali costituiscono un‘innovazione nel campo della genetica applicata.

Per espressione eterologa, infatti, si intende un processo che permette il funzionamento di proteine specifiche in un organismo che normalmente non le produrrebbe.

Nuovi approcci dimostrano che le proteine prioniche eterologhe interferiscono nella formazione di PrPres su due livelli:

 Blocco dell‘acquisizione della proteasi – resistenza quando si passa da PrPc

a PrPres.  Eliminazione dell‘accumulo di PrPres

a livello cerebrale. (Horiuchi et al. 2000; Vorberg et al. 2003).

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Per comprendere meglio questi meccanismi, si descrive di seguito uno studio in vitro sui topi infettati con scrapie RML- Chandler.

Viene attivata la terapia con HetPrP (proteina prionica eterologa) usando un HaPrP, proteina espressa nei batteri purificata, con la tecnica del DNA ricombinante, che ha una variazione a livello dell‘amminoacido 23-231. (Skinner et al. 1994).

Successivamente si inocula intracerebralmente 0.01% di omogenato di cervello, infettato con scrapie RML- Chandler, combinato con uno dei due dosaggi di HaPrP.

Nei giorni seguenti la terapia è somministrata oralmente.

Per valutare gli effetti della proteina eterologa, si procede con due tipi di trattamento uguale, ma con diverso dosaggio: nel primo si utilizzano dosi di proteina ricombinante di 0,7 mg/ml, nel secondo, invece, si procede con la metà della dose di partenza, 0.35 mg/ml. Per valutare l‘impatto del trattamento e la clinica della malattia l‘animale è seguito

giornalmente subito dopo l‘infezione, settimanalmente durante il primo mese e giornalmente durante l‘ultimo mese, per un totale di 18 mesi.

Le conclusioni sono incoraggianti, in quanto, con il trattamento ad alte dosi si riscontra un ritardo nella comparsa dei sintomi clinici e la sopravvivenza risulta prolungata rispetto ai topi non trattati. (Skinner et al. 1993).

Lo studio si è concluso dopo 452 giorni dall‘infezione e la maggior parte dei topi trattati con l‘alto dosaggio è risultato libero e privo dei sintomi tipici della scrapie, la parte restante di animali, invece, presenta un ritardo significativo nell‘insorgenza dei sintomi. A questi successi si va a sommare un altro risultato notevole: negli animali trattati con l‘alto dosaggio si riscontra, infatti, un minor accumulo di PrPres

, sia nel cervello sia nella milza, rispetto a quelli trattati con un basso dosaggio.

Si deve sottolineare anche il fatto che la presenza di HaPrP abbia parzialmente mitigato le conseguenze neuropatologiche derivanti dall‘infezione prionica, generando una minor tendenza all‘attivazione degli astrociti negli animali trattati con entrambi i dosaggi. (Seelig et al. 2016).

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Figura 13 Terapia con proteine eterologhe. Il trattamento con HaPrP eterologo ricombinante ritarda

l'insorgenza dei sintomi e la sopravvivenza è prolungata. La scala di valutazione di Kaplan-Meier mostra l‘andamento della sintomatologia e della sopravvivenza in topi con il veicolo (linea arancione), topi trattati a basso dosaggio (linea blu), topi trattati ad alte dosi (viola) e topi non infetti (rosso).

A) Sviluppo rilevabile dei sintomi associati alla scrapie, comprese andatura atassica, perdita di peso, e cifosi.

B) Misurazione del tempo di sopravvivenza. Si riscontra una differenza statisticamente significativa tra il gruppo ‗finto‘ infetto e il gruppo ad alto dosaggio. Il gruppo a basso dosaggio non riporta dati significativamente diversi rispetto al gruppo di controllo ‗finto‘ trattato. I topi di controllo non infettati mostrano tempi di sopravvivenza significativamente più lunghi rispetto ai 3 gruppi di topi infetti. (Skinner et al. 2015).

Attualmente, il meccanismo attraverso il quale le proteine eterologhe possono funzionare, è poco noto.

Si ipotizza che HetPrP si leghi sia all‘isoforma anomala PrPres

sia a quella fisiologica PrPc, ma che riesca a bloccare selettivamente la produzione e l‘allungamento delle catene dell‘isoforma PrPres

. A questa funzione si somma anche la capacità di bloccare la formazione di amiloidi, evitando, così, il loro accumulo patologico a livello cerebrale. (Seeling et al. 2016).

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Figura 14 Funzionamento della proteina eterologa. Modello di inibizione della proteina prionica eterologa

di fronte a proteine mal ripiegate, nucleazione e formazione di amiloide. Le proteine prioniche cellulari normali, PrPc, si legano tra loro ad assumere la conformazione del mal ripiegamento, diventando una proteina prionica PrPres proteasi resistente. Questo processo continua, portando a oligomeri di proteine mal ripiegate, che allungano e creano depositi di amiloidi. Le proteine prioniche eterologhe inibiscono questo processo. Si ipotizza che il meccanismo di inibizione sia dato da un legame diretto tra le proteine prioniche eterologhe e le proteine PrPc e PrPres e che non riescano ad adattarsi all‘isofroma PrP res , bloccando così, la formazione e la progressione di amiloidi. (Seeling et al. 2016).

È interessante constatare come le proteine eterologhe possano costituire una svolta nel trattamento delle malattie prioniche, tuttavia il successo sembrerebbe poter essere estendibile a tutte le altre malattie neurodegenerative che hanno come denominatore comune l‘accumulo di proteine mal ripiegate a livello cerebrale.

A tal proposito, per garantire una terapia sempre più efficace e mirata, è obbligatorio concentrare gli studi su come avvenga biologicamente la loro azione.

Si teorizzano, quindi, due possibili meccanismi. (Horiuchi et al. 2000).

 1° sistema di legame: il legame di HetPrP con l‘oligomero di PrPres

crea un aggregato funzionalmente impotente, incapace di generare successivamente interazione steriche necessarie per il mantenimento della produzione della proteina mal ripiegata PrPres.

 2° sistema di legame: l‘oligomero di PrPres

presenta due siti di legame, identificati come ‗sito di conversione‘ e ‗sito di non conversione‘. Si pensa che HetPrP si leghi

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stabilmente al ‗sito di conversione‘ bloccandolo e non interferendo in alcun modo con il ‗sito di non conversione‘.

Tuttavia questi due meccanismi biochimici non sono gli unici studiati, infatti, è possibile che HetPrP evochi una risposta immunitaria capace di bloccare la formazione di PrPres , garantendo una funzione protettiva.

Sulla base di studi in vivo e in vitro (Seelig et al. 2016) risulta sempre più evidente che il trattamento con HetPrP inibisce il processo di conversione da PrPc a PrPres e ciò fornisce una nuova prospettiva nelle cura delle malattie prioniche. (Seelig et al. 2016).

Da queste premesse è fondamentale trovare metodi sempre più semplici ed efficaci per la somministrazione della terapia.

Il trattamento che prevede la somministrazione intracerebrale delle proteine eterologhe, seguita dal trattamento per via orale non è l‘ideale nei pazienti già affetti dall‘infezione prionica, allo stesso tempo è impensabile procedere con l‘iniezione intracerebrale previa manifestazione della malattia perché si correrebbe il rischio di colpire tutte le PrP indistintamente e inattivarle.

I nuovi approcci terapeutici ricercano vie d‘accesso più sicure, ma che garantiscano sempre una buona risposta clinica. A tal proposito si ipotizza di poter somministrare le proteine eterologhe attraverso il flusso sanguigno a tutte le aree del cervello, visto e considerato che alcuni studi dimostrano la peculiarità delle proteine di poter attraversare la barriera

ematoencefalica. (Begley et al. 2009).

In alternativa, si potrebbero utilizzare peptidi derivanti da HetPrP piuttosto che le proteine intere: studi in vitro basati sull‘utilizzo di peptidi sintetici, derivanti da topi e criceti, dimostrano la capacità di inibire la conversione dall‘isoforma fisiologica a quella anomala. In ultima battuta, si potrebbe pensare ad un approccio basato sulla terapia genetica,

utilizzando vettori lentivirali, un tipo particolare di vettori retrovirali. (Chabry et al. 1999). Per terapia genetica si intende una tecnologia biomolecolare nella quale il DNA è

direttamente utilizzato come una sostanza farmaceutica. Con questa tecnica, i geni o frammenti di questi si inseriscono nel corpo umano con lo scopo di prevenire, trattare o curare una malattia. Il trasferimento del gene nell'organismo umano si ottiene tramite vettori di origine non virale o virale.

Ad esempio, in laboratorio si crea un modello di topo knock-out con ritardato sviluppo di PrP. (Mallucci et al. 2002).

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Si osserva che l‘eliminazione specifica di PrP mitiga le conseguenze cliniche e neuropatologiche tipiche delle malattie prioniche.

In un altro studio di genetica si utilizza un gene silenziato utilizzando un RNAi capace di ridurre l‘espressione di PrPc

, evitando così la sua evoluzione nella forma mal ripiegata. (White et al. 2008).

Un‘altra ipotesi è legata all‘utilizzo di lenti-shRNA diretto contro PrPc

, il quale provoca down regulation dei recettori che esprimono la proteina, portando ad un ritardo della progressione della malattia. (White et al. 2008).

Infine, si dimostra che l‘iniezione cronica di un vettore lentivirale ricombinante, che esprime una proteina prionica dominante negativa, direttamente nel cervello dei topi infetti dalle malattie prioniche, porta ad una riduzione del numero di astrociti e ad un

prolungamento del periodo di sopravvivenza. (Toupet et al. 2008).

In conclusione possiamo sicuramente affermare che le proteine eterologhe sono agenti terapeutici utili ed efficaci contro le malattie prioniche e potrebbero costituire una risorsa anche per le altre malattie neurodegenerative. Sicuramente sono necessari ulteriori studi, ma la crescente consapevolezza del ruolo delle proteine mal ripiegate in tutte le malattie neurodegenerative suggerisce che le strategie funzionanti contro le malattie prioniche siano estendibili ed applicabili anche a tutte le altre patologie. (Seeling et al. 2016).

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