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3. Possibili bersagli terapeutici

3.5 Vaccini DC

Studi in vitro dimostrano che le cellule dendritiche (DC) sono adatte ad essere utilizzate come vaccini. (Sallusto et al. 1994).

Le cellule dendritiche (DC) sono cellule APC specializzate nel riconoscimento di antigeni. Le DC possono internalizzare l'antigene e processarlo per la sua presentazione ai linfociti T, oppure mantenerlo sulla loro superficie in forma nativa e capace di reagire coi linfociti B specifici per quel determinato antigene. Le cellule dendritiche sono presenti in piccole quantità nei tessuti a contatto con l'ambiente esterno, principalmente la pelle, nel

rivestimento interno del naso, polmoni, stomaco e intestino. Possono trovarsi in uno stato immaturo nel sangue. Una volta attivate, migrano nei tessuti linfoidi dove interagiscono con le cellule T e le cellule B per dare avvio e configurare la risposta immunitaria

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adattativa. Le cellule dendritiche perlustrano le superfici corporee fagocitando i patogeni invasori, ad esempio i batteri. Sono cellule APC ovvero cellule presentanti l'antigene, essenziali per l'attivazione della risposta immunitaria specifica mediata dai linfociti. (Carnaud e Bachy 2010).

Infatti, fondamentale per la genesi della risposta è il processo di presentazione

dell‘antigene da parte dei linfociti T, macrofagi e linfociti B che costituiscono le principali cellule che presentano l‘antigene (APC).

Tra queste, le cellule dendritiche (DC) hanno la capacità unica di attivare i linfociti T

naive, attivando la risposta immunitaria primaria. (Burchell et al. 2016).

(Fig.10)

Figura 10 Interazione tra DC e cellule T naive. Ci sono tre segnali richiesti per iniziare una risposta

immunitaria adattativa. Il primo è la presentazione dell'antigene da parte delle cellule dendritiche alle cellule T tramite l'interazione MHC II-TCR (recettore per le cellule T). In secondo luogo, le molecole costimolatorie sulle cellule dendritiche come CD40, CD80, CD86 e si legano ai rispettivi recettori presenti sulla cellula T per amplificare il segnale. Infine, il terzo segnale, le citochine, prodotte da cellule T attivate, inclinano la risposta delle cellule T verso Th1, Th2, Th17 o Treg. (Burchell et al. 2016).

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L‘attivazione ottimale dei linfociti T dipende da una serie di segnali:

 Segnale 1: è fondamentale l‘interazione tra l‘antigene e il complesso maggiore di istocompatibilità MHC su APC. Si crea, così, il complesso antigene-MHC. È necessario, infatti, un segnale antigene-specifico tra il recettore delle cellule T e MHC.

 Segnale 2: le molecole di costimolazione (CD80, CD86, CD40) sulla superficie di APC agiscono per amplificare il segnale 1 che sarebbe insufficiente per attivare i linfociti T.

 Segnale 3: APC secernono numerose citochine per reclutare le cellule T. (Carnaud e Bachy 2010).

Le cellule dendritiche possono esprimere alte quantità di MHC di classe I e di classe II insieme alla produzione di una vasta gamma di molecole di costimolazione, come CD80, CD86 e CD40, le quali sono efficaci nel fornire i segnali 1 e 2 ai linfociti T, infine le DC secernono citochine importanti per la differenziazione delle cellule T CD4+ che possono prendere due vie distinte.

Possono diventare cellule T helper naive (Th0), capaci di differenziarsi ulteriormente in Th2 che cooperano con cellule per la produzione di anticorpi oppure in Th17, in grado di indurre forti risposte infiammatorie, o in Treg (regolatorie).

Seguendo l‘altra via di differenziazione le cellule T possono diventare cellule T helper 1 (Th1), produttrici di citochine proinfiammatorie capaci di collaborare con le cellule CD8+ per avviare risposte citotossiche. (Pulendran et al. 2001; Palucka et al. 2007).

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Figura 11 Cellule DC. Per attivare i linfociti T helper CD4+ e citotossici CD8+ a svolgere la loro funzione è necessaria l‘interazione cellula-cellula con APC professioniste, come le DC, dotate in membrana di tutti i segnali molecolari (rappresentati nelle esplosioni) necessari per attivare i linfociti T.

Da dove originano le cellule dendritiche?

Gli studi (Banchereau et al.1998) mostrano che le DC migrano dal midollo osseo ai tessuti periferici dove vengono catturate, processate e associate alle molecole di MHC di classe I e II. Una volta mature, le DC migrano verso le aree dove si ritrovano i linfociti T, ovvero negli organi linfoidi secondari, ed entrano in contatto con questi linfociti antigene- specifici. Qui, in queste condizioni, iniziano la loro attivazione.

Tutto questo è confermato da studi in vitro (Carnaud e Bachy 2010), nel quale si dimostra come le DC si siano differenziate e ampliate nel midollo osseo, nel sangue periferico e nelle cellule staminali del cordone ombelicale. Dopo la loro maturazione si caricano con l‘antigene di interesse e reinfuse nel donatore originale.

L‘antigene, sotto questa formulazione, si consegna solo ai APC rilevanti, maturati in modo appropriato. (Banchereau et al.1998; Carnaud e Bachy 2010).

Questo tipo di vaccinazione ha riscontri clinici benefici anche nei confronti di malattie importanti, spesso con esito fatale, come il cancro.

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Si evidenzia, infatti, un raffronto positivo nel trattamento contro il melanoma, il carcinoma renale, il tumore al colon e al polmone; i pazienti dimostrano una drastica regressione alla malattia, una buona tollerabilità al vaccino, senza segni di sviluppo di autoimmunità. (Zitvogel et al. 2000; Fong et al. 2001).

I dati incoraggianti, ottenuti in campo oncologico, incentivano a ricercarli anche contro le malattie prioniche. A tal proposito, uno studio identifica due gruppi di MHC di classe II che, se iniettati direttamente insieme ad un adiuvante in topi PrP deficienti, ma non in topi WT, sono in grado di stimolare la le cellule T CD4+.

I due potenti stimolanti sono:

 PrP 98-127  Prp 158-187

La ricerca è, dunque, estesa a dimostrare che le DC caricate con questi due peptidi possono superare la tolleranza nei topi WT, generando cellule CD4+ con la capacità di produrre l‘interleuchina 4 (IL-4) e l‘interferone  (IFN). Dopo l‘iniezione di cellule DC, infatti, i topi WT sviluppano la cellule T CD4+ che producono IL-4 e INF in modo antigene- dipendente. (Gregoire et al. 2004).

Inoltre, le cellule dendritiche caricate con PrP 158-187 suscitano risposte, attivando i linfociti T di tipo Th1 e Th2 con conseguente produzione di IFN e IL-4, invece, quelle caricate con PrP 98-127 orientano la risposta esclusivamente su IL-4. (Carnaud e Bachy 2010).

Si dimostra un modesto successo nel ritardare la progressione della malattie di scrapie (ceppo 139 A) nei topi trattati con cellule dendritiche caricate con il peptide PrP 98-127: su dieci topi infettati, due non muoiono e otto mostrano un prolungamento della

sopravvivenza rispetto agli standard della malattia. (Burchell et al. 2016).

DC evocano buone risposte di cellule T e cellule B e buoni anticorpi come epitopi naive di PrPc che hanno la capacità di prevenire la conversione di PrP, evitando la formazione della proteina anomala e bloccando, quindi, l‘espansione del prione.

Tutto ciò porta ad un rallentamento della progressione della malattia e ad un aumento del periodo di sopravvivenza. (Carnaud e Bachy 2010).

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