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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE

1.6 LA PROTEOMICA

La proteomica è una branca della biochimica che studia il proteoma ovvero l’insieme di tutte le proteine espresse dal genoma di un organismo. Diversamente dal genoma, che è un entità

relativamente stabile, il proteoma è dinamico nel tempo e si modifica in risposta a fattori esterni. Lo scopo della proteomica è quello di identificare e quantificare ciascuna proteina all’interno di una cellula e determinarne la funzione, comprendere i meccanismi alla base dell’insorgenza delle

malattie identificando lo spettro di proteine espresse sia in condizioni fisiologiche che patologiche e monitorandone l’alterazione nelle due condizioni od in seguito ad eventuali trattamenti. In sostanza è una disciplina che studia l'espressione proteica, le modificazioni post-traduzionali, le interazioni proteiche, l’organizzazione e la funzione a livello globale delle proteine.

Vi è un interesse sempre maggiore nell’applicazione della proteomica allo studio di singole malattie quali il cancro, le neuropatologie e le malattie cardiovascolari. Ma perché studiare l’assetto

proteomico di una malattia? Mentre le cause delle anomalie cromosomiche in una malattia le ritroviamo al livello del genoma, le conseguenze funzionali di queste anomalie sono espresse a livello proteico. L’obiettivo è quello di combinare le informazioni derivanti dall’analisi proteomica, con le informazioni genomiche in modo da avere un quadro completo di molte condizioni

La proteomica si suddivide in 81:

- Proteomica di espressione proteica che studia quantitativamente l’espressione delle proteine in campioni che differiscono per alcune variabili. L’espressione proteica varia infatti con le condizioni cellulari (diverse condizioni di crescita, stress o presenza di patologie/patogeni) e tale approccio permette di identificare nuove proteine di trasduzione del segnale o proteine specifiche di una malattia.

- Proteomica strutturale che ha l’obiettivo di identificare tutte le proteine all’interno di un complesso proteico o di un organello e determinare tutte le interazioni proteina-proteina. Questo studio permette di ricostruire l’architettura generale delle cellule e spiegare come l’espressione di alcune proteine conferisca alla cellula le sue caratteristiche uniche.

- Proteomica funzionale che ha l’obiettivo di definire la funzione biologica di quelle proteine, il cui ruolo è ancora sconosciuto. Consente di studiare e caratterizzare un gruppo di proteine con lo scopo di ottenere importanti informazioni sulla segnalazione proteica, i meccanismi delle malattie o le interazioni proteina-farmaco.

Le tecniche previste dalla proteomica sono la separazione delle proteine mediante elettroforesi

bidimensionale (2-DE) e la seguente identificazione di esse attraverso la spettrometria di massa

(SM) (figura 17).

Figura 17: schema della strategia generale utilizzata nella Proteomica

1.6.1 Elettroforesi bidimensionale (2-DE)

L’elettroforesi bidimensionale è una tecnica di separazione delle proteine di un campione sulla base, prima, del punto isoelettrico e successivamente del peso molecolare. Prevede l’accoppiamento

di due tecniche elettroforetiche consecutive elaborate da U.K. Laemmli e da M. Gronow e G. Griffith: la prima dimensione o isolettrofocalizzazione (IEF) e la seconda dimensione o SDS- PAGE.

La prima dimensione è la separazione che avviene sulla base del punto isoelettrico, ovvero un particolare valore di pH al quale la proteina non risulta essere elettricamente carica, per cui è importante che la carica delle proteine non venga alterata in alcun modo. Per evitare eventuali alterazioni di carica, per la solubilizzazione delle proteine sono utilizzate delle combinazioni di detergenti neutri nel range di valori di pH dell’isoelettrofocalizzazione come il CHAPS e agenti caotropici quali per esempio l’urea e la tiourea.

Per eseguire la IEF è richiesto un gel di poliacrilamide sul quale viene creato un gradiente di pH grazie ai carrier anfolitici. Gli anfoliti sono miscele di polimeri di amminoacidi dotati di cariche superficiali che corrispondono ai vari range di pH. Un tempo la base per la IEF doveva essere preparata in laboratorio, ma oggi sono disponibili in commercio strips prefabbricate con gradienti di pH immobilizzati, e ne esistono di varie lunghezze e con vari intervalli di pH lineari e non lineari. Le strips IPG prefabbricate hanno permesso di aggirare numerosi problemi aumentando così l’affidabilità e la riproducibilità dei risultati.

Una volta caricati i campioni sulle strips, queste vengono sottoposte ad un campo elettrico in modo da permettere il movimento delle proteine. L’estremità acida del gradiente verrà posta in prossimità dell’elettrodo positivo (anodo) mentre l’elettrodo negativo (catodo) si troverà in corrispondenza dell’estremità basica. Le proteine con carica netta positiva migreranno verso il catodo mentre quelle con carica netta negativa verso l’anodo e la corsa elettroforetica terminerà quando le proteine raggiungeranno il gradiente di pH in cui la loro carica netta è zero, ovvero rappresentante il loro punto isoelettrico (figura 18). La zona di focalizzazione è molto ristretta e questo rende la IEF una tecnica ad alta risoluzione.

La seconda dimensione consiste in una separazione sulla base del peso molecolare (PM) (figura 19). Per cui le proteine precedentemente sottoposte ad IEF, vengono ora denaturate dal sodio

dodecilsolfato (SDS), un detergente anionico che conferisce carica negativa alle proteine

mascherando la loro carica intrinseca, in modo tale che la corsa elettroforetica possa svolgersi dal catodo verso l’anodo. Normalmente una molecola di SDS viene legata ogni due residui

amminoacidici.

Il gel di poliacrilamide svolge la funzione di setaccio molecolare per cui le proteine si fermeranno a varie altezze nel gel in base alla loro dimensione. Le proteine ad elevato PM migreranno verso il basso più lentamente a causa del maggiore attrito, mentre le proteine a basso PM migreranno più rapidamente verso il polo positivo.

Per poter individuare gli spot proteici durante l’analisi dei gels, questi vengono colorati utilizzando delle tecniche che non dovranno avere alcuna influenza sulla spettrometria di massa o altre tecniche necessarie per l’analisi 82,83.

Figura 19: Migrazione delle proteine sulla base del PM

1.6.2 Spettrometria di massa (SM)

La spettrometria di massa è una delle metodiche analitiche più diffuse per l’identificazione delle proteine. Si effettua mediante l’analisi dei peptidi che provengono dalla digestione delle proteine ad opera di enzimi proteolitici specifici come p.e. la tripsina. La SM è una tecnica molto sensibile che può fornire informazioni sul peso molecolare. Una volta conclusa l’elettroforesi bidimensionale, gli spot proteici individuabili sul gel della 2-DE, vengono trattati direttamente con proteasi specifiche e in seguito la miscela peptidica ottenuta sarà analizzata mediante SM.

Questa tecnica analitica a differenza di altre è un metodo di analisi distruttivo (la molecola non rimane intatta dopo l’analisi) e si basa sulla ionizzazione di una molecola che sarà successivamente frammentata in ioni, per mezzo di campi magnetici statici od oscillanti, che saranno poi

discriminati sulla base del loro diverso rapporto massa/carica (M/z) e rilevati da un detector che li confronterà con uno standard di molecole già riconosciute.

La ionizzazione del campione avviene in un’apposita camera di ionizzazione, dove la molecola viene fatta attraversare da un fascio di elettroni ad elevata energia cinetica; il fascio può essere prodotto da varie sorgenti ioniche scelte sulla base della tecnica utilizzata. Le molecole

frammentate in ioni sia positivi che negativi avranno una loro frammentazione specifica e caratteristica che dipenderà sia dalla natura della molecola che dalle condizioni operative. Le tecniche di ionizzazione si distinguono in tecniche HARD, ad elevata energia, molto potenti che portano ad una frammentazione spinta e in tecniche SOFT, a più bassa energia che producono un numero inferiore di ioni; tra quest’ultime in proteomica è utilizzato il sistema di ionizzazione MALDI (Matrix Assisted Laser Desorption/Ionization) in cui viene sfruttato un brevissimo ed intenso impulso di luce laser UV per produrre ioni molecolari protonati.

Alla fase di ionizzazione segue quella di separazione degli ioni, questa fase viene eseguita con l’analizzatore che permette di differenziare gli ioni sulla base del loro rapporto m/z e fa si che l’ingresso al rivelatore avvenga in maniera ordinata per favorire l’analisi.

Il rivelatore rappresenta l’ultimo step dell’analisi, è costituito da una serie di elettrodi ed ha lo scopo di amplificare il segnale emesso dagli ioni che verrà digitalizzato ed elaborato dal calcolatore. I segnali elettrici sono trasmessi in relazione al rapporto m/z che il calcolatore tradurrà in uno spettro di massa. Ciascun picco dello spettro corrisponde alla massa di uno ione frammentato. I PM trovati sono confrontati con gli standard di laboratorio per essere identificati 83-85.

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