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EFFETTI DI DIFFERENTI OLI EXTRA VERGINE DI OLIVA TOSCANI SU CELLULE DI NEUROBLASTOMA: INDAGINE FUNZIONALE E PROTEOMICA

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(1)

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

EFFETTI DI DIFFERENTI OLI EXTRA VERGINE DI OLIVA

TOSCANI SU CELLULE DI NEUROBLASTOMA: ANALISI

FUNZIONALE E PROTEOMICA

Relatore

:

Prof.ssa Maria Rosa Mazzoni

Correlatore

:

Candidata:

Federica Pavolini

Dott.ssa Laura Giusti

(2)

Alla mia Famiglia,

Grazie

(3)

Indice

CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE ... 6

1.1 COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’OLIO DI OLIVA ... 8

1.2 FATTORI CHE INFLUENZANO LA COMPOSIZIONE FENOLICA... 12

1.3 BIODISPONIBILITÀ DEI FENOLI DELL’OLIO DI OLIVA ... 13

1.3.1 Metabolismo dei polifenoli ... 15

1.4 STRESS OSSIDATIVO E I FENOLI DELL’OLIO DI OLIVA ... 17

1.4.1 Lo stress ossidativo ... 17

1.4.2 I Radicali liberi ... 18

1.4.3 Gli Antiossidanti ... 19

1.4.4 Lo stress ossidativo nelle malattie neurodegenerative ... 20

1.5 EFFETTI BENEFICI DELL’OLIO DI OLIVA NELLE PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE ... 24

1.5.1 Morbo di Alzheimer ... 25

1.5.2 Morbo di Parkinson ... 31

1.5.3 La Sclerosi Multipla ... 34

(4)

1.6 LA PROTEOMICA ... 38

1.6.1 Elettroforesi bidimensionale (2-DE) ... 39

1.6.2 Spettrometria di massa (SM) ... 41

CAPITOLO 2 – SCOPO DELLA TESI ... 43

CAPITOLO 3 – MATERIALI E METODI... 44

3.1 MATERIALI ... 44

3.1.1 Reagenti e strumentazioni utilizzate ... 44

3.1.2 Le cellule ... 44

3.1.3 Campioni ... 45

3.1.4 Preparazione dei campioni ... 46

3.2 DOSAGGIO PROTEICO RC/DC (BIO-RAD) ... 46

3.3 ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE ... 49

3.3.1 Preparazione dei campioni ... 49

3.3.2 Reidratazione delle Strips ... 50

3.3.3 Prima dimensione: Isoelettrofocalizzazione (IEF) ... 51

3.3.4 Preparazione del gels ... 52

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3.3.6 Seconda dimensione: SDS-PAGE ... 54

3.3.7 Colorazione e acquisizione delle immagini ... 55

3.4 ELABORAZIONE DATI ... 57

3.3.7 Analisi dei gels ... 57

CAPITOLO 4 – RISULTATI E DISCUSSIONE ... 59

(6)

Capitolo 1 – Introduzione

L’olio di oliva rappresenta uno dei punti cardine della Dieta Mediterranea (figura 1) in cui costituisce la principale fonte di grassi. L’espressione dieta mediterranea fu coniata per la prima volta da Ancel Keys un nutrizionista e fisiologo statunitense e nel novembre del 2010 fu

riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità 1. A supporto della

DM vi sono una serie di studi tra cui il “Seven Countries Study” risalente al 1958, un’indagine epidemiologica nella quale, Keys compara gli stili di vita e le abitudini alimentari di sette paesi diversi (Stati Uniti, Olanda, Finlandia, Italia, Ex Jugoslavia, Grecia e Giappone). L’ipotesi

principale a supporto dello studio consisteva nel fatto che il tasso delle malattie cardiovascolari in una popolazione sembrava variare proprio in base allo stile di vita degli individui, alle loro abitudini alimentari e soprattutto al contenuto di grassi nella dieta e ai livelli di colesterolo nel sangue 2.

I dati emersi dall’indagine erano a sostegno dell’ipotesi iniziale, le percentuali del tasso di mortalità per malattie cardiovascolari erano varie negli individui di paesi diversi, ma strettamente correlate agli stili di vita delle popolazioni, ai livelli di colesterolo nel sangue e in particolare al contenuto di grassi nella dieta tra cui gli acidi grassi saturi, che incidono positivamente sul tasso di mortalità, al contrario dei monoinsaturi che vi incidono negativamente.

Per cui, nei paesi in cui la dieta mediterranea era alla base delle abitudini alimentari, risultava un tasso di mortalità per malattie cardiovascolari e un rischio di malattie infiammatorie croniche più basso, mentre l’aspettativa di vita delle popolazioni mediterranee era aumentata e questo grazie soprattutto all’utilizzo dell’olio di oliva e al suo contenuto sia in polifenoli che in acido oleico che sembra avere un effetto protettivo nei confronti delle coronaropatie 3,86.

Per cui un consumo giornaliero, senza eccessi, di olio di oliva come suggerisce la dieta

mediterranea sembra avere risvolti positivi nei confronti del rischio cardiovascolare, nonché, grazie al suo ricco contenuto di polifenoli possiede un’attività antiossidante che contrasta la formazione di radicali liberi e quindi riduce l’invecchiamento, previene l’insorgenza di malattie, agisce come antiinfiammatorio 4 ed infine sembra avere effetti preventivi anche sulle patologie

(7)

Figura 1: Piramide alimentare della dieta mediterranea; l’olio di oliva rientra tra i prodotti da

consumare regolarmente, ma senza eccedere.

Classificazione degli oli d’oliva

L’olio di oliva viene classificato sulla base del metodo di produzione e su alcuni importanti parametri chimici ed organolettici che ne attestino la qualità.

Il Regolamento CEE n. 2568/91 e successive modifiche definiscono i tipi di olio e le metodiche analitiche necessarie a validare la conformità dell’olio alla categoria dichiarata. Affinché l’olio sia conforme con tale categoria deve rispettare dei parametri di acidità libera, ma non solo, anche dei parametri chimici che valutino la qualità del prodotto finito e della materia prima, il grado di maturazione alla raccolta e i criteri di lavorazione adottati.

Si possono sostanzialmente individuare tre categorie: - Gli oli ottenuti per spremitura meccanica;

- Gli oli raffinati e ottenuti da oli vergini lampanti;

- Gli oli di sansa ovvero quelli che contengono oli provenienti dal trattamento della sansa 5.

Per quanto riguarda l’acidità degli oli è importante sottolineare che per l’olio extra vergine di oliva i valori devono essere inferiori allo 0,8% (figura 2), inoltre deve contenere elevate concentrazioni di composti fenolici (idrossitirosolo e oleuropeina) che influiscono sia sul gusto che sulla stabilità dell’olio 6.

(8)

Figura 2: caratteristiche di alcuni oli di oliva

1.1 Composizione chimica dell’olio di oliva

L’olio di oliva che viene estratto meccanicamente dalle drupe di Olea europeae L., una pianta sempreverde appartenente alla famiglia delle Oleaceae, ha una composizione che può essere distinta sostanzialmente in due frazioni:

- Una saponificabile che rappresenta il 90-99% ed è costituita quasi totalmente da trigliceridi, ma anche fosfolipidi, acidi grassi liberi e cere.

- Una insaponificabile che rappresenta invece lo 0,4-5% costituita da componenti minori quali alcoli, polifenoli, idrocarburi saturi e insaturi, steroli e tocoferoli, ma con un importante valore nutrizionale.

Come già accennato la frazione saponificabile è costituita prevalentemente da trigliceridi: esteri del glicerolo con acidi grassi a lunga catena alifatica che possono essere saturi, monoinsaturi e

polinsaturi, tra questi i più importanti sono: - Acido oleico

- Acido linoleico - Acido palmitico - Acido stearico.

L’acido oleico è un acido monoinsaturo, che può essere indicato anche con l’acronimo inglese di MUFA (MonoUnsaturated Fatty Acid) che indica gli acidi grassi a lunga catena carboniosa, caratterizzati dalla presenza di un doppio legame all’interno di essa. L’acido oleico (figura 3) rappresenta circa il 70-80% degli acidi grassi presenti nell’olio di oliva e una serie di studi epidemiologici ha dimostrato come il suo consumo abbassi notevolmente l’incidenza di

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arteriosclerosi, di disturbi cardiovascolari e del cancro; inoltre sembra avere dei risvolti positivi anche sul mantenimento dei livelli normali di colesterolo, poiché, proteggendo le LDL

dall’ossidazione svolge un effetto ipo-colesterolemizzante, ma senza incidere sulle HDL che invece subiscono un incremento 7.

Figura 3 : Struttura dell’acido oleico

La porzione insaponificabile invece rappresenta una piccola percentuale della composizione dell’olio, ma possiede un importante ruolo nutraceutico.

I composti chimici individuati nell’olio di oliva sono più di 200 e tra questi ritroviamo i polifenoli, i carotenoidi, gli steroli, gli idrocarburi, gli alcoli alifatici e triterpenici, i tocoferoli e le clorofille 7.

Tra gli idrocarburi, lunghe catene carboniose che possono presentare o meno insaturazioni, abbiamo lo Squalene, precursore nella biosintesi del colesterolo con una importante attività antiossidante.

Gli alcoli possono essere sia alifatici che triterpenici e tra questi i principali sono sicuramente il cicloartenolo e metilencicloartenolo; tra le loro funzioni vi è quella di favorire l’eliminazione del colesterolo.

I Tocoferoli o vitamina E che ritroviamo sono degli antiossidanti naturali e insieme ai carotenoidi tra cui il principale è il b-carotene o vitamina A, rappresentano il contenuto di vitamine liposolubili presenti nell’olio di oliva e sfavoriscono l’irrancidimento dell’olio.

Tra gli Steroli il principale è il b-sitosterolo, che opponendosi all’assorbimento intestinale del colesterolo, protegge da malattie cardiovascolari. Gli steroli svolgono anche un importante ruolo antiossidante, regolano la fluidità delle membrane, il metabolismo e l’attività cellulare.

(10)

La presenza della Clorofilla a e b conferisce il caratteristico colore verde dell’olio il cui contenuto varia in base alla maturazione del frutto e in relazione alle cultivar1. Inoltre agiscono da

pro-ossidanti, facilitando la degradazione dell’olio.

Nella frazione insaponificabile ritroviamo anche una porzione di componenti volatili (aldeidi, chetoni, acidi..) responsabile del profumo dell’olio vergine di oliva.

I polifenoli possono essere classificati in idrofili e lipofili; fino ad oggi sono state individuate circa 36 strutture polifenoliche, suddivise per classe sulla base delle loro caratteristiche chimiche, tra queste ritroviamo 9:

• Gli acidi fenolici • Gli alcoli fenolici • I flavonoidi • I lignani • I secoiridoidi

Come possiamo vedere in figura 4, dal punto di vista chimico i polifenoli sono caratterizzati da una struttura complessa; un’altra caratteristica comune è la loro attività antiossidante che li rende interessanti anche da un punto di vista nutraceutico.

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Figura 4: Strutture molecolari delle differenti classi di polifenoli contenuti nell’olio di oliva

Gli acidi fenolici presenti nell’olio di oliva sono numerosi e rappresentano il primo gruppo di polifenoli ad essere stati individuati; tra questi composti compare l’acido caffeico, vanillico, p- ed o-cumarico, gallico, siringico, p-idrossibenzoico e molti altri 10.

I Secoiridoidi rappresentano invece una delle classi più importanti e a differenza di altre, che si possono ritrovare anche in altre famiglie botaniche, questi sono esclusivi della famiglia delle Oleaceae; i più concentrati nel frutto sono l’oleuropeina, il verbascoside ed il ligstroside 10. La loro

struttura deriva dagli iridoidi in seguito alla rottura dell’anello ciclo pentano; sono dei monoterpeni per lo più presenti in forma di agliconi. L’oleuropeina (il più importante e principale polifenolo dell’olio di oliva) e il ligstroside sono in forma di agliconi costituiti da acido elenolico esterificato rispettivamente, con idrossitirosolo e tirosolo, mentre tutti gli altri secoiridoidi derivano da questi 8.

Anche l’oleocantale appartiene alla classe dei secoiridoidi; è un composto polifenolico molto importante per le sue attività antiinfiammatorie assimilabili a quelle dell’ibuprofene e non solo sembra essere efficace nell’arginare le malattie infiammatorie, ma riduce anche la

neurodegenerazione, la proliferazione e la migrazione neoplastica mentre promuove l’apoptosi delle cellule neoplastiche 86.

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Gli alcoli fenolici più presenti nell’olio di oliva sono l’idrossitirosolo ed il tirosolo conosciuti per le loro conclamate proprietà antiossidanti; conferiscono all’olio un sapore amaro e la loro

concentrazione aumenta con la maturazione del frutto.

L’idrossitirosolo presenta un nucleo catecolico mentre nel tirosolo ritroviamo un nucleo fenolico, entrambi sostituiti in para da una piccola catena alifatica.

I Lignani, a differenza degli altri polifenoli, non sono presenti nelle drupe, nei rametti o nelle foglie e non è ancora noto come possano passare nell’olio divenendo una delle frazioni fenoliche più importanti; inoltre li ritroviamo solo nell’olio extra vergine di oliva 9.

I Flavonoidi sono costituiti da uno scheletro di difenilpropano; si possono suddividere in vari sottogruppi, quelli che ritroviamo nell’olio di oliva sono i flavonoli, i flavoni e gli antociani 11.

1.2 Fattori che influenzano la composizione fenolica

Cercare di dare un valore, in termini di quantità, al contenuto di polifenoli nell’olio di oliva è alquanto difficile; il dato che riesce ad accordare i diversi studi che sono stati fatti a riguardo è un

range di valori che varia dai 200 ai 1000 mg/Kg. I fattori che possono condizionare la variabilità

della composizione fenolica dell’olio sono molteplici: - il clima,

- gli attacchi da parte di parassiti e le malattie, - le cultivar,

- la fase di maturazione delle olive, - il processo di estrazione 8.

L’ Olea europeae è una pianta adatta a climi caldi, la temperatura ottimale per la sua crescita è di 25°C, mentre la pianta inizia a soffrire intorno ai 3-4°C ed oltre i 45°C si ha la carenza di alcuni importanti componenti dell’olio di oliva tra cui l’acido oleico e altri componenti volatili.

Già la fase del raccolto può incidere sul contenuto dei polifenoli nell’olio; uno studio condotto sugli effetti del raccolto ha dimostrato che la produzione di olio a partire da olive più verdi ha un maggior contenuto di antiossidanti rispetto ad un olio prodotto da olive più mature 12 e persino il metodo di

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permette di ottenere un olio molto più ricco di polifenoli al contrario invece di quanto si ottiene con un processo di centrifugazione a tre fasi 13.

La temperatura è un punto critico nella presenza delle sostanze ad azione antiossidante e soprattutto dei composti volatili. La temperatura influisce sul contenuto chimico sia durante il processo di produzione dell’olio, ma anche durante la fase di conservazione. Analizzando proprio il contenuto dei composti volatili e fenolici, è stato visto che la qualità dell’olio vergine di oliva (VOO) prodotto da olive conservate a basse temperature si riduceva dopo solo una settimana, mentre al termine delle due settimane si manifestava un incremento. Da qui deriva che lo stoccaggio a basse temperature può essere utile per il mantenimento della qualità dell’olio di oliva 14.

La temperatura incide non solo durante lo stoccaggio o la preparazione, ma anche durante la cottura; infatti durante il processo di frittura la concentrazione di idrossitirosolo e dei secoiridoidi diminuisce rapidamente, già dopo la prima frittura si ha una riduzione del 50-60% mentre dopo il sesto passaggio ciò che rimane dei componenti iniziali è solo il 10% , oltre alla concentrazione diminuisce anche l’attività antiossidante di tali composti 15. Per poter beneficiare dalle proprietà

nutraceutiche dell’olio di oliva è pertanto consigliabile farne un uso a freddo, come suggerito dalla dieta mediterranea.

Anche l’abbondante irrigazione sembra avere un effetto negativo sulla composizione polifenolica; uno studio ha dimostrato come all’aumentare dell’irrigazione il contenuto di secoiridoidi diminuisca notevolmente. Alcune ricerche hanno illustrato come la concentrazione dei polifenoli nel VOO sia inversamente proporzionale alla quantità di acqua che le piante ricevono. Non è ancora chiaro se l’abbondante irrigazione associata alla maturazione dei frutti abbia delle conseguenze anche sul contenuto della componente volatile, invece è quasi certo che la perdita delle componenti volatile e fenolica sia da associarsi alla maturazione dei frutti che gioca a loro svantaggio 9,16.

Infine è importante che la conservazione dell’olio non abbia una durata superiore ai 12 mesi e che avvenga a temperatura ambiente e al buio al fine di preservare le sostanze antiossidanti contenute in esso; durante lo stoccaggio anche il materiale di imballaggio ha influenze sulla protezione e sulla qualità dell’olio, sono preferibili bottiglie in vetro oscurato 17,87.

1.3 Biodisponibilità dei fenoli dell’olio di oliva

Vista l’importanza dal punto di vista nutrizionale e salutistico del contenuto dell’olio di oliva, è fondamentale prendere in considerazione l’assorbimento e la distribuzione della componente fenolica nell’organismo e verificare che gli effetti manifestati siano i medesimi sia in vitro che in

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vivo. Per accertare la biodisponibilità di tali sostanze sono stati condotti una serie di studi in vitro,

senza però ottenere risultati soddisfacenti 7.

La maggior parte degli studi di biodisponibilità prende in considerazione solo tre importanti

polifenoli che costituiscono la componente antiossidante dell’olio vergine di oliva: l’idrossitirosolo, il tirosolo e l’oleuropeina 18. I due alcoli fenolici vengono assorbiti in modo dose-dipendente subito

dopo l’ingestione e con picco plasmatico che si verifica dopo 1 ora. Uno studio condotto su topi a cui è stato somministrato per via endovenosa idrossitirosolo marcato con 14C, ha dimostrato come a

discapito del rapido assorbimento la sua biodisponibilità sia molto bassa e questo a causa

dell’elevato metabolismo di primo passaggio a livello intestinale ed epatico; in circa 5 minuti dalla somministrazione infatti, i suoi metaboliti sono rintracciabili nel plasma, ma scompaiono altrettanto rapidamente e anche il tempo di emivita è molto breve, circa 1-2 minuti. Molti autori attribuiscono gli effetti antiossidanti di idrossitirosolo e tirosolo proprio ai loro metaboliti 8. Alcuni dati, inoltre,

mostrano come questi, dopo l’assunzione di olio, si possano legare alle lipoproteine del plasma e ciò spiegherebbe l’effetto antiossidante finale 19.

Si ritiene inoltre che molti dei composti fenolici, una volta giunti a livello intestinale vengano convertiti proprio in idrossitirosolo e tirosolo, se così fosse questo incrementerebbe la loro biodisponibilità 18; infatti da alcuni studi di biodisponibilità emerge che l’assorbimento dei fenoli

dell’olio di oliva è superiore al 55-66%, di questo almeno il 5% viene escreto con le urine sotto forma di idrossitirosolo e tirosolo. Sebbene le percentuali di fenoli che normalmente vengono assorbiti con il normale consumo di olio previsto dalla DM, sia effettivamente elevata, sembra però che non sia comunque sufficiente a produrre un effetto antiossidante e a svolgere un’azione di protezione dall’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL), come dimostrano alcuni studi

ex vivo su animali 20.

Il meccanismo di assorbimento non è ancora noto con certezza, ma sembra possa coinvolgere sia il trasporto trans-cellulare che quello paracellulare. Per esempio l’idrossitirosolo ed il tirosolo, due molecole polari, possono essere assorbite attraverso la diffusione passiva, mentre l’oleuropeina glicoside, anch’essa polare, ma più ingombrante, può usufruire di tre tipi di trasporto: è in grado di utilizzare i trasportatori di membrana del glucosio, la diffusione passiva per via trans cellulare o la via paracellulare. Per quanto riguarda l’oleuropeina aglicone, meno polare, non ci sono sufficienti dati relativi al meccanismo di assorbimento di tale molecola 18.

Un altro punto critico nell’assorbimento delle molecole è rappresentato dalla barriera emato-encefalica (BEE), una barriera altamente selettiva che limita il passaggio a determinate sostanze. Gli agliconi dei polifenoli (per esempio l’oleuropeina aglicone) riescono in questo caso ad

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attraversare la BEE per diffusione passiva e sono assorbiti meglio rispetto ai rispettivi glicosidi; anche l’idrossitirosolo sembra in grado di attraversare la BEE e questo spiegherebbe il suo ruolo di neuroprotezione 8.

1.3.1 Metabolismo dei polifenoli

Alcuni studi mostrano che il 90% degli alcoli fenolici presenti nel plasma e nelle urine lo sono nella loro forma coniugata, con acido glucuronico e con solfato. Uno degli step più importanti del

metabolismo dei fenoli dell’olio di oliva riguarda la loro trasformazione. Pare che al livello gastrointestinale l’oleuropeina-glicoside ed -aglicone e il ligstroside-aglicone vengano scissi in idrossitirosolo, tirosolo e acido elenolico; probabilmente questa idrolisi avviene prima del loro assorbimento da parte delle cellule intestinali, dal sangue o dal fegato, sebbene, come si può vedere nella figura 5 la reazione continua ad avvenire anche una volta che questi composti sono stati assorbiti 21.

Figura 5: Rappresentazione schematica del possibile metabolismo dei Fenoli dell’olio di oliva.

Come abbiamo già visto l’idrossitirosolo subisce un importante metabolismo di primo passaggio di fase I e II; tra gli enzimi di fase II ritroviamo le glucuronosiltransferasi (UGT), le

catecolamminotransferasi (COMT) e le solfotransferasi (SULT).

Un importante passaggio è la coniugazione dell’idrossitirosolo e del tirosolo con gli acidi

glucuronico e solforico e tra i metaboliti maggiori ritroviamo il 3- e 4-O-glucuronide coniugato; uno studio sui topi ha inoltre mostrato che avvengono dei cambiamenti dose-dipendente nel

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metabolismo dell’idrossitirosolo, ovvero a basse dosi il glucurono-coniugato è effettivamente il metabolita maggiore, ma ad elevate dosi si ha una maggior produzione di coniugato solfato 21.

Un ulteriore step metabolico, che riguarda principalmente l’idrossitirosolo, è la O-metilazione ad opera delle COMT che avviene principalmente nel fegato. L’idrossitirosolo-O-metilato è uno dei principali metaboliti che ritroviamo nelle urine 21.

Oltre all’idrossitirosolo esogeno, che si assume con la dieta, è da tenere in considerazione anche la componente endogena ovvero quella che deriva dal metabolismo ossidativo della dopamina ad opera delle monoamminoossidasi (MAO). Come è possibile vedere in figura 6, le MAO catalizzano la deamminazione ossidativa sulla dopamina portando alla formazione di un metabolita il DOPAL (3,4-diidrossifenilacetaldeide) che a sua volta viene scisso in altri due metaboliti: il DOPAC (acido 3,4-diidrossifenilacetico) che è il maggior metabolita della dopamina prodotto ad opera dell’aldeide deidrogenasi ed il DOPET (3,4-diidrossifeniletanolo) o idrossitirosolo prodotto in piccola quantità da parte delle aldoso reduttasi; in caso di assunzione di alcol però, che interagisce con il

metabolismo, si ha un incremento della produzione di DOPET 22.

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1.4 Stress ossidativo ed i fenoli dell’olio di oliva

1.4.1 Lo stress ossidativo

Lo stress ossidativo è una condizione di squilibrio tra la sovrapproduzione di radicali liberi e una carenza di antiossidanti che conduce alla generazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e quindi ad un danno ossidativo 8 a carico soprattutto delle cellule neuronali.

L’ossigeno è un elemento essenziale per la vita delle cellule, ma allo stesso tempo è anche

potenzialmente pericoloso, motivo per cui viene tenuto sotto stretto controllo da una serie di sistemi regolatori 23.

L’equilibrio precario tra il beneficio e il danno legati all’effetto dei radicali liberi viene regolato da un sistema antiossidante, presente in tutte le cellule e in grado di mantenere l’omeostasi. Tale sistema è rappresentato da una serie di sostanze che sono in grado, a basse concentrazioni, di competere con i substrati ossidabili e ritardare od inibire la loro ossidazione 24 (figura 7).

Figura 7: Meccanismo di mantenimento dell’omeostasi pro-ossidanti/antiossidanti. Nella figura è

possibile vedere che per mantenere lo steady-state è necessario che vi sia equilibrio tra la produzione di ROS e di scavengers. Tra i sistemi di scavengers abbiamo alcuni enzimi quali la SOD, GSH, perossidasi e catalasi che sono molto potenti come antiossidanti, ma li ritroviamo a basse concentrazioni nelle cellule; al contrario svolgono il ruolo di scavengers anche amminoacidi

e proteine, ma nonostante le elevate concentrazioni sono molto meno attivi.

Normalmente ~ 1-2% dell’ossigenoconsumato viene convertito in ROS, ma grazie alla presenza delle difese antiossidanti, in condizioni fisiologiche, questi vengono neutralizzati 23; al contrario, in

caso di particolari condizioni fisiologiche, quali l’invecchiamento, e patologiche queste difese vengono meno e si può facilmente manifestare una perdita dell’omeostasi con conseguente stress ossidativo che caratterizza molte malattie neurodegenerative 8.

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L’ipersensibilità delle cellule neuronali a questo tipo di stress è da ricercare tra una serie di fattori anatomici e metabolici, tra questi sappiamo che le cellule del tessuto cerebrale hanno una elevata richiesta di ossigeno e un maggior fabbisogno energetico (consumano elevate quantità di glucosio per produrre ATP); inoltre questo tessuto presenta elevati livelli di acidi grassi polinsaturi molto sensibili alla perossidazione e allo stesso tempo le difese antiossidanti sono basse, tutto questo rende il tessuto cerebrale molto suscettibile allo stress ossidativo 8, 23.

1.4.2 I Radicali liberi

La scoperta dei radicali liberi nel materiale biologico risale a circa 50 anni fa e poco dopo Denham Harman ipotizzò che i radicali dell’ossigeno si formassero come sottoprodotti di reazioni

enzimatiche in vivo. Nel 1956, sempre Harman parlò per la prima volta di teoria radicalica

dell’invecchiamento, attribuendo ai radicali liberi la responsabilità di questo processo degenerativo

e di altre problematiche quali il danno cellulare 24.

I radicali liberi sono molecole altamente reattive ed instabili, caratterizzate dalla presenza di un elettrone spaiato nell’orbitale esterno. Possono avere effetti sia dannosi che benefici nei sistemi biologici e questo dipende dall’ambiente, svolgendo ruoli importanti nella trasduzione del segnale; hanno ruoli fisiologici nella risposta infiammatoria difendendo l’organismo dalla noxa25, ma

rispondono anche allo stress ed a molte malattie. La sovrapproduzione di radicali liberi crea danni a carico di molte biomolecole quali lipidi, proteine e acidi nucleici con il risultato, nel lungo periodo, di provocare tutta una serie di patologie quali cancro, artrite reumatoide, disturbi cardiovascolari, sclerosi multipla, Alzheimer, e Parkinson.. 23.

I radicali liberi più conosciuti sono sicuramente i ROS; tra questi vi sono l’anione superossido (O2-),

il radicale idrossilico (OH×) e il perossido di idrogeno (H2O2). Altri radicali conosciuti sono le

specie reattive dell’azoto (RNS) prodotte a partire dall’ossidazione dell’arginina ad opere delle NO sintasi (NOS), tra questi l’ossido nitrico (NO×) e il perossinitrito (ONOO-) 24.

L’anione superossido si ottiene dalla riduzione univalente di 3O2 ad opera degli enzimi NAD(P)H

ossidasi o attraverso altre vie non enzimatiche (figura 8); a sua volta l’anione può essere trasformato ad opera delle SOD (superossido dismutasi) in perossido di idrogeno (H2O2), tossico per le strutture

cellulari; in presenza di metalli di transizione (Fe2+ o Cu2+) l’anione superossido può inoltre essere

trasformato nel radicale idrossile altamente reattivo e nocivo. Un’ulteriore reazione è la conversione di H2O2 in H2O ad opera delle catalasi o della glutatione perossidasi (GSH perossidasi) 24. Questo

meccanismo dimostra come, in condizioni fisiologiche, le cellule riescano a neutralizzare tali specie reattive e nocive per la cellula stessa, trasformandole in composti non dannosi.

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Figura 8: schema della produzione dell’anione superossido

I fattori responsabili della produzione di ROS, possono essere sia endogeni che esogeni. La produzione endogena di ROS avviene principalmente in seguito

• Al metabolismo del citocromo P450,

• Durante il processo infiammatorio dove sono prodotti ad opera di cellule fagocitarie, quali i granulociti polimorfonucleati neutrofili e macrofagi;

• A processi metabolici e redox delle cellule.

I mitocondri rimangono il maggior sito di produzione dei ROS, motivo per cui contengono anche una certa varietà di molecole antiossidanti per proteggersi dall’eventuale danno ossidativo 25.

Tra i processi esogeni che possono concorrere alla formazione di radicali abbiamo le radiazioni, il fumo di sigaretta, i farmaci, i raggi UV e l’inquinamento.

È stato visto anche che la presenza di tracce di ferro, rame, alluminio, mercurio e arsenico possano contribuire alla produzione dei radicali liberi 8.

1.4.3 Gli Antiossidanti

Gli antiossidanti sono molecole in grado di stabilizzare o disattivare i radicali liberi, l’organismo umano è ricco di sistemi antiossidanti, sia enzimatici che non, che interagendo tra di loro oppure

“lavorando” singolarmente sono in grado di proteggere le cellule dell’organismo dal danno dei

radicali 25.

Gli antiossidanti ideali dovrebbero essere assorbiti rapidamente e altrettanto rapidamente essere in grado di eliminare i radicali liberi e chelare i metalli ridotti.

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Gli antiossidanti si possono classificare in endogeni ed esogeni (sintetici o naturali), i primi svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi cellulare, ma non sono

comunque sufficienti, motivo per cui è richiesto anche un supplemento che possiamo assumere con la dieta ed alcuni di questi alimenti non eliminano direttamente i radicali liberi, ma vanno ad incrementare l’attività endogena e per questo possono essere comunque considerati antiossidanti 25.

Un ulteriore suddivisione classifica i sistemi antiossidanti in enzimatici e non; il sistema più efficace per eliminare le specie tossiche è sicuramente la catalisi, infatti gli scavengers enzimatici hanno sviluppato sistemi di catalisi evoluti, tra questi abbiamo la glutatione perossidasi e le catalasi che si occupano più che altro di eliminare il perossido di idrogeno e gli altri perossidi organici, mentre la superossido dismutasi è coinvolta nell’eliminazione dell’anione superossido 27.

Tra i sistemi non enzimatici troviamo le vitamine E e C, i tioli antiossidanti come il glutatione, la tioredossina e l’acido lipoico, i flavonoidi, i carotenoidi, la melatonina, ecc.. 25

Molti antiossidanti è possibile ritrovarli anche nelle piante e nei frutti di Olea europaee L.; come già indicato persino l’olio extra vergine di oliva vanta potenti attività antiossidanti, grazie al suo contenuto in fenoli che sono in grado di contrastare lo stress ossidativo che si può manifestare a livello delle cellule nervose. Queste proprietà antiossidanti sembrano essere correlate alle loro abilità di migliorare la stabilità dei radicali liberi attraverso la formazione di legami a idrogeno intramolecolari. Queste interazioni avvengono tra gli idrogeni dei gruppi ossidrilici e dei radicali fenossile. In particolare le strutture come le orto-difenoliche hanno proprietà antiossidanti più elevate rispetto p.e. al tirosolo che presenta un solo sostituente -OH. Indagini di tipo struttura-attività hanno dimostrato come l’struttura-attività antiossidante dei flavonoidi sia correlata al numero dei sostituenti ossidrile sull’anello aromatico.

L’oleuropeina svolge direttamente il suo ruolo di radical scavengers ed è in grado di contrastare l’ossidazione delle LDL 6.

L’idrossitirosolo anch’esso un potente antiossidante, svolge inoltre un’attività antiinfiammatoria inibendo le cicloossigenasi (COX) 8.

L’oleocantale ha un effetto antiinfiammatorio che esplica inibendo le COX, la sua attività, come è stato dimostrato, è molto simile a quella dell’ibuprofene 26.

1.4.4 Lo stress ossidativo nelle malattie neurodegenerative

Le malattie neurodegenerative sono patologie debilitanti e non curabili, colpiscono le cellule nervose cerebrali e spinali, si manifestano soprattutto negli anziani e sono caratterizzate dalla perdita delle strutture nervose, delle funzioni motorie e cognitive e infine portano a morte cellulare.

(21)

I sintomi che accompagnano tali malattie sono principalmente l’atassia2 e la demenza. Le malattie

neurodegenerative influenzano non solo la qualità della vita, ma anche la durata; tra le principali vi sono il morbo di Alzheimer (AD), il morbo di Parkinson (PD), la malattia di Huntington (HD), la sclerosi multipla (MS) e la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) 28,23. Alla base sia delle malattie

neurodegenerative che dell’invecchiamento esistono una serie di fattori ambientali e genetici, ma lo stress ossidativo con la produzione di radicali liberi catalizzata dalle reazioni enzimatiche e di ossido-riduzione dei metalli occupa sicuramente un ruolo molto importante nella patogenesi delle malattie neurodegenerative così come le disfunzioni mitocondriali, l’eccitotossicità e l’apoptosi23

(figura 9).

La patogenesi di queste malattie è da ritrovarsi anche nell’accumulo ed errata aggregazione delle proteine che innescano una risposta infiammatoria che a sua volta induce un elevato rilascio di ROS e quindi stress ossidativo.

Figura 9: Ruolo dello stress ossidativo nello sviluppo di AD, PD, SLA, HD

Come abbiamo già visto le cellule nervose sono particolarmente sensibili allo stress ossidativo causato da ROS e da RNS che vengono ampiamente prodotte in condizioni patologiche ad opera dei mitocondri danneggiati e durante il processo infiammatorio della microglia attivata 29.

(22)

Nel mitocondrio hanno luogo una serie di reazioni metaboliche tra cui la fosforilazione ossidativa, l’ultima fase della respirazione cellulare, responsabile sia della produzione di ATP sia della produzione della maggior parte dei ROS, tra cui in particolare l’anione superossido (×O2-) 29.

Qualora il mitocondrio abbia subito un danno la produzione di ROS risulta incontrollata contribuendo così alla perdita dell’omeostasi e quindi all’insorgenza dello stress ossidativo. I mitocondri sono organelli particolarmente sensibili al danno ossidativo, motivo per cui l’elevata produzione di ROS che produce perossidazione lipidica, danni agli acidi nucleici e l’ossidazione di proteine, può determinare la frammentazione mitocondriale e di conseguenza portare ad una disfunzione che ha come risultato un ulteriore produzione di ROS; tutto ciò implica la formazione di un circolo vizioso che va ad amplificare il danno ossidativo (figura 10). Alcuni studi hanno messo in evidenza la relazione tra lo sviluppo di AD e lo stress ossidativo associato alla disfunzione mitocondriale 30.

Figura 10: Effetti e conseguenze dello stress ossidativo sui mitocondri.

Recenti indagini hanno mostrato che al contrario di quanto si potrebbe pensare non è lo stress ossidativo a provocare la neurodegenerazione o l’invecchiamento cerebrale, ma il fatto che esso sia coinvolto nei processi di eccitotossicità e di apoptosi, le due cause principali di morte neuronale; ciò è stato dimostrato attraverso uno studio condotto su topi transgenici di SLA, sui quali si è osservato la protezione dei motoneuroni da parte delle COX2 29.

Durante l’apoptosi, oltre alla cascata biochimica che attiva le proteasi (p.e. le caspasi), enzimi che mediano il suicidio programmato della cellula, si verifica a livello neuronale un eccessiva

stimolazione glutammatergica. Il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio del sistema nervoso centrale (SNC) responsabile di molte funzioni neurologiche. L’eccessiva

(23)

controllato dei livelli di calcio intracellulare e questo porta ad un’alterata permeabilità delle membrane mitocondriali. In risposta all’attivazione glutammatergica ed all’ingresso di calcio all’interno della cellula si ha l’attivazione di una serie di enzimi tra cui la fosfolipasi A2, la xantina

ossidasi e le NOS che promuovono la formazione di ROS e RNS che, se in eccesso, innescano il processo di apoptosi. Tale meccanismo di eccitotossicità sembra essere implicato nella patogenesi di molte malattie neurodegenerative 29.

Esiste una correlazione tra la disomeostasi dei metalli, lo stress ossidativo e l’insorgenza delle patologie neurodegenerative. Il ferro, lo zinco ed il rame sono tra i metalli più abbondanti nei mammiferi ed il loro afflusso a livello cerebrale viene controllato dalla BEE. Nell’AD la loro concentrazione risulta molto elevata e questo contribuisce alla produzione di radicali liberi che alimentano lo stress ossidativo 31. Oltre ai metalli Zn2+, Fe2+ e Cu2+ anche l’arsenico ha proprietà

neurotossiche; da alcuni studi fatti sui topi, a cui è stata somministrata acqua inquinata con As, è emerso che l’esposizione a questo semi-metallo porta ad un elevato consumo di ossigeno e quindi ad una sovrapproduzione di ROS, che genera stress ossidativo, compromette il funzionamento dei mitocondri al livello cerebrale e infine induce apoptosi. L’As si distribuisce nei vari tessuti, è in grado di attraversare la BEE e passare nel tessuto cerebrale dove si accumula 32; l’esposizione ad

elevati livelli di arsenico sembrano essere correlati con l’insorgenza sia di patologie neurologiche come Alzheimer e Parkinson che di patologie non neurologiche come ipertensione, malattie cardiovascolari e neoplasie.

Differenti studi effettuati su topi trattati con arsenito di sodio (NaAsO2) hanno mostrato che i topi

esposti a 5 mg/kg/die di NaAsO2 in combinazione con 30 mg/kg/die di oleuropeina per 15 giorni

riportavano dei miglioramenti. Quindi l’oleuropeina grazie alle proprietà antiossidanti, migliorava la tossicità indotta dall’As, ciò era dimostrato dalla normalizzazione dei livelli, precedentemente aumentati, di malonildialdeide cerebrale (MDA) e di NO biomarkers dello stress ossidativo indotti dall’arsenico 41. Un secondo studio ha preso in considerazione la somministrazione ai topi di 8

mg/kg/die di idrossitirosolo per 8 settimane e ha mostrato un incremento dell’attività enzimatica delle catalasi e della superossido dismutasi mitocondriale a testimonianza di un miglioramento nell’attività antiossidante mitocondriale e di un ruolo protettivo nella neurodegenerazione 42.

(24)

1.5 Effetti benefici dell’olio di oliva nelle patologie

neurodegenerative

Come è stato già accennato nel paragrafo precedente le malattie neurodegenerative sono caratterizzate da un progressivo danno alle cellule nervose e da una perdita neuronale che

compromette le funzioni motorie e cognitive. Le malattie neurodegenerative rappresentano uno dei principali problemi di salute soprattutto nella popolazione anziana, per esempio AD è la quarta principale causa di morte nei paesi sviluppati e il 70% dei casi di demenza nella popolazione anziana 33, mentre PD è la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa e colpisce circa l’1-2%

della popolazione sopra i 65 anni 34.

Uno studio a lungo termine ha valutato l’effetto dei fenoli dell’olio extra vergine di oliva

sull’invecchiamento cerebrale nei topi. Attraverso dei test comportamentali è stato dimostrato che effettivamente il trattamento con i fenoli ha migliorato la memoria e ridotto il deterioramento nella coordinazione motoria legato all’età e questo effetto è reso possibile grazie alla riduzione della perossidazione lipidica. Dallo studio emerge, quindi, che un apporto giornaliero di olio extra vergine di oliva (EVOO), con un contenuto di polifenoli sufficientemente elevato, possa migliorare alcune disfunzioni legate all’età 35 e migliorare i biomarkers dello stress ossidativo come le TBARS

(sostanze reattive dell’acido tiobarbiturico) a livello della corteccia cerebrale; inoltre incrementa l’attività della glutatione perossidasi in molte regioni cerebrali tra cui il cervelletto 8.

Da ulteriori studi è stato visto come l’idrossitirosolo sia in grado di proteggere le cellule dalla perdita di ATP e dalla depolarizzazione delle membrane microsomiali, contrastando il Fe2+ e la

citotossicità indotta dall’ossido nitrico (NO) responsabili di questi danni 36.

L’oleuropeina (OL) ha svariati ruoli farmacologici tra cui effetti antiipertensivi, anti-cancro, attività antimicrobica e in particolar modo un’attività antiossidante che svolge come scavenger di radicali, chelante di metalli e radicale anti-ossigeno. Studi in vitro hanno dimostrato l’attività

dell’oleuropeina come scavenger di NO e la sua capacità di ridurre il danno ossidativo grazie all’aumento degli enzimi antiossidanti. L’OL ha un ruolo nella neuroprotezione in quanto riduce la citotossicità contrastando la neuroinfiammazione e una sua somministrazione orale protegge anche dalla perdita dei neuroni domapinergici dovuta al danno da stress ossidativo 37.

Sia l’oleuropeina che l’idrossitirosolo svolgono la loro attività antiossidante tramite l’attivazione della via Keap1-Nrf2 con conseguente incremento di enzimi citoprotettivi quali la glutammato-cisteina ligasi, la HO-1 (eme ossigenasi-1), la NQO1 (NADPH quinone ossido-reduttasi 1) e la tioredossina reduttasi. Questi polifenoli esplicano la loro funzione neuroprotettiva ed antiossidante

(25)

sia agendo sulla rimozione dei radicali liberi, ma anche grazie all’attivazione di Nrf2, che per quanto riguarda l’idrossitirosolo è essenziale per svolgere il ruolo nella neuroprotezione poiché, come è stato dimostrato una riduzione dell’espressione di Nrf2 si traduce con una perdita dell’attività.

Nrf2, ovvero il fattore di trascrizione nucleare eritroide-2, è un fattore di trascrizione antiossidante che regola l’espressione genica di enzimi citoprotettivi durante la fase II di disintossicazione 37-39.

Alcuni esperimenti, condotti su topi sottoposti a riossigenazione in seguito a ipossia cerebrale, hanno dimostrato che il trattamento di questi con olio vergine di oliva (VOO) faceva si che la morte cellulare dovuta alla riossigenazione a seguito di ipossia, determinata in termini di efflusso di LDH (lattico deidrogenasi) era ridotta di circa il 42,5% rispetto ai topi non trattati. L’assunzione di VOO svolge quindi un’attività antiossidante e protettiva nei confronti delle cellule neuronali,

preservandole dall’ischemia cerebrale grazie alla riduzione della perossidazione lipidica, alla

limitata riduzione delle riserve di glutatione ed all’inibizione della sovrapproduzione di PGE2 e NO che si ottiene inibendo l’attività della iNOS 40.

Quindi l’assunzione di olio vergine di oliva, in quantità di 25-50 ml/die come previsto dalla dieta mediterranea, grazie al contenuto in MUFA e soprattutto di polifenoli sembrerebbe apportare dei benefici alle funzioni cerebrali, migliorando la memoria e le funzioni cognitive. Questi effetti positivi sarebbero spiegati dalle numerose attività fino ad ora manifestate dai polifenoli tra cui: il ruolo di scavengers di radicali liberi, di chelanti di metalli e la loro capacità di modulare attività enzimatiche22,43.

Come è stato dimostrato da studi in vitro, sono richieste concentrazioni di polifenoli di centinaia micromolare perché si possa manifestare l’attività di antiossidante diretta, cosa che in vivo è altamente improbabile che si raggiungano poiché la concentrazione di polifenoli nei neuroni non supera 1-5 µM. Pertanto, l’attività antiossidante che realmente si manifesta sarebbe spiegata e supportata dall’attivazione di vie secondarie di segnalazione intracellulare come nel caso dell’idrossitirosolo e del fattore Nrf2 43.

1.5.1 Morbo di Alzheimer

L’Alzheimer è una delle patologie neurodegenerative più comuni; si contano più di 30 milioni di pazienti nel mondo e dalle stime pare che questo dato si possa incrementare di molto entro il 2050. Questo disturbo colpisce prevalentemente pazienti anziani e dopo i 65 anni la percentuale di probabilità aumenta progressivamente 44.

(26)

L’Alzheimer è una patologia ad eziologia multifattoriale, in cui si considerano fattori di rischio sia fattori genetici che ambientali. Lo stress ossidativo, le disfunzioni mitocondriali e infine l’apoptosi giocano un ruolo di base nella patogenesi di questa malattia 33. Inoltre durante il processo di

invecchiamento, il cervello è maggiormente sottoposto all’accumulo e misfolding delle proteine che possono influire sul danno ossidativo e infiammatorio. Dal punto di vista patologico l’Alzheimer è caratterizzata da un incremento di placche intercellulari di peptide b-amiloide (Ab) e di grovigli neurofibrillari intracellulari (NFT). Lo stadio terminale della malattia si contraddistingue per

l’atrofia dell’ippocampo e della corteccia cerebrale e l’allargamento dei ventricoli, rispetto a quanto previsto dall’età 44.

La b-amiloide è un peptide costituito da 36-43 amminoacidi prodotto a partire dalla proteina precursore b-amiloide (APP) ad opera di due enzimi proteolitici : b-secretasi e g-secretasi (figura 11). Lo squilibrio tra la produzione, la clearance e l’aggregazione di questi peptidi porta

all’accumulo di Ab (in particolare di Ab42 tossico per le cellule) considerato il fattore principale nella patogenesi dell’Alzheimer; questo meccanismo supporta la cosiddetta Ipotesi b -Amiloide. I peptidi di Ab si auto-aggregano spontaneamente in molteplici forme tra cui gli oligomeri a 2-6 peptidi. Il problema insorge quando questi aggregati si accumulano nelle regioni corticali e ippocampali formando oligomeri solubili e amiloidi intermedi che rappresentano la forma neurotossica di Ab responsabile del danno cognitivo della malattia; si ritiene inoltre che il danno ossidativo possa essere iniziato proprio da Ab, poiché è il principale produttore di ROS e RNS 44-45.

Figura 11: Formazione di b-amiloide a partire da APP ad opera di b- e g-secretasi.

Gli NFT sono inclusioni filamentose all’interno dei neuroni piramidali che si ritrovano sia nell’Alzheimer che in altre patologie neurodegenerative chiamate taupatie. Gli NFT sono

(27)

principalmente formate da proteine tau iperfosforilate e mal aggregate. Fisiologicamente le proteine tau favoriscono l’assemblaggio e la stabilizzazione dei microtubuli, ma nel caso delle taupatie o dell’Alzheimer, a causa dell’eccessiva attività delle chinasi e/o della ridotta attività delle fosfatasi, risultano essere insolubili, non hanno affinità per i microtubuli e si auto-aggregano in strutture filamentose accoppiate ad elica (PHF) (figura 12). Come per gli oligomeri Ab, le formazioni intermedie prodotte dalle tau sono citotossiche. Alcuni esperimenti hanno mostrato come l’incremento dello stress ossidativo e di altri fenomeni associati all’invecchiamento cellulare,

accelerino l’accumulo di Ab che sembra precedere e regolare l’aggregazione delle proteine tau nella malattia di Alzheimer 45.

Figura 12: Struttura e funzione delle proteine tau

La Ab rappresenta un potente veleno per i mitocondri; il suo accumulo infatti ha un’azione inibitoria su molti enzimi mitocondriali coinvolti in numerose funzioni fisiologiche, per cui il trasporto di elettroni, la produzione di ATP, il consumo di ossigeno ed il mantenimento del potenziale di membrana sono compromessi. Come conseguenza a questa alterazione si ha un eccessiva produzione del radicale superossido che viene convertito in H2O2 e quindi si ha stress

ossidativo ed infine apoptosi. Come mostrato in figura 13 la perossidazione lipidica generata dai radicali liberi produce tossine mitocondriali tra cui malonildialdeide (MDA) e idrossinoneale (HNE). Sempre dalla figura è possibile vedere come Ab attacchi la citocromo C ossidasi

(28)

(complesso IV del trasporto di elettroni) e gli enzimi chiave del ciclo di Krebs, e danneggi anche il DNA mitocondriale. I prodotti della perossidazione lipidica promuovono l’aggregazione delle proteine tau che inibiscono il complesso I.

Figura 13: Stress ossidativo e disfunzione mitocondriale

Esistono due forme di Alzheimer: la forma ereditaria, caratterizzata da un precoce sviluppo della malattia (prima dei 50 anni), è legata alla mutazione del gene che codifica per APP e dei geni che codificano per PS1 e PS2 e la forma definita sporadica, che colpisce la maggior parte della popolazione, la cui eziologia ancora non è nota. Entrambe le forme di Alzheimer presentano disfunzioni mitocondriali, stress ossidativo, disordine nel metabolismo degli ioni metallici, perdita del calcio, infiammazione, ma soprattutto accumulo extracellulare di Ab e incremento di NFT formate dall’aggregazione di tau iperfosforilate, che rappresentano le due caratteristiche principali della patologia 8,46.

Non esiste una vera terapia farmacologica che possa attenuare le cause del morbo di Alzheimer; i farmaci in commercio sono volti piuttosto ad alleviarne i sintomi. Da una serie di studi però è emerso che l’aderenza alla dieta mediterranea può ridurre notevolmente il rischio e la progressione dell’Alzheimer 47. In particolare è stato visto che il contenuto di antiossidanti fenolici dell’olio

extra vergine di oliva (EVOO) ha proprietà protettive sull’invecchiamento cerebrale. A tal proposito è stato dimostrato che l’idrossitirosolo e l’oleuropeina hanno proprietà antiossidanti migliori

(29)

rispetto a quelle della vitamina E, mentre l’acido oleico ha un effetto benefico sull’invecchiamento e un ruolo protettivo nei confronti del declino cognitivo legato proprio all’età 48.

Uno studio condotto sui topi SAMP83 ha esaminato gli effetti dell’EVOO sull’apprendimento e la

memoria. Dopo 6 settimane, i topi trattati con EVOO mostravano un miglioramento delle loro capacità di riconoscimento del labirinto T rispetto ai topi trattati con olio di cocco o burro. Inoltre è stato riscontrato un incremento del glutatione cerebrale, indice di ridotto danno ossidativo,

suggerendo quindi un possibile effetto protettivo. È stato anche osservato un incremento dell’attività della glutatione reduttasi e della SOD mentre i livelli di 4-HNE e di 3-nitrotirosina risultavano ridotti. Questi risultati hanno perciò suggerito il ruolo benefico dell’EVOO nel

migliorare l’apprendimento ed il deficit della memoria legati all’invecchiamento e a malattie come l’Alzheimer in cui si verifica una sovrapproduzione di Ab 49. Uno studio successivo si è concentrato

maggiormente sull’effetto del consumo di EVOO sulla progressione delle patologie legate

all’accumulo di b-amiloide e tau quali l’Alzheimer e l’angiopatia amiloide cerebrale (AAC). Sono stati utilizzati dei topi TgSwDI sottoposti ad un’alimentazione prevalentemente a base di EVOO per circa 6 mesi prima dell’inizio dell’accumulo di Ab. Al termine della dieta è stato osservato un effettivo decremento di Ab e di tau ed un miglioramento del comportamento cognitivo del topo. Tale miglioramento è da attribuirsi alla migliorata clearance di Ab ed ad una ridotta produzione di essa a partire da APP. Eseguendo il solito esperimento, ma somministrando una dieta ricca di EVOO solo dopo l’inizio dell’accumulo di Ab, si è riscontrato un incremento della clearance attraverso la BEE e la riduzione dei livelli di Ab, ma non si sono verificate influenze sull’accumulo di tau o miglioramenti delle funzioni cognitive dei topi. Da questi dati risulta quindi che il consumo, precoce e a lungo termine di EVOO è efficace nella protezione contro l’Alzheimer 50.

Un ulteriore studio ha dimostrato come i polifenoli dell’EVOO possano migliorare alcune

disfunzioni legate all’età. Trattando topi di mezza età con EVOO a ricco contenuto di polifenoli alla dose di almeno 6 mg/kg/die, dopo 6/12 mesi di trattamento, utilizzando test comportamentali, si è potuto verificare un miglioramento della memoria, paragonabile a quella di topi più giovani ed anche un miglioramento nella coordinazione motoria correlata alla riduzione della perossidazione lipidica nel cervelletto 35.

Recenti ricerche hanno esaminato la capacità dell’oleuropeina, il polifenolo più abbondante dell’olio di oliva, di ostacolare l’aggregazione dell’amilina e di Aβ42 in vitro e di promuovere

3 topi caratterizzati da deficit di apprendimento e memoria correlati all’età e dovuti all’incremento di proteina Ab e stress ossidativo cerebrale.

(30)

l’aggregazione di oligomeri non tossici. In vivo gli studi sono stati condotti su ceppi transgenici di

C. elegans e hanno confermato quanto era stato appreso dagli studi in vitro 51.

E’ stato valutato l’effetto protettivo di tirosolo (T) e idrossitirosolo (HT) nei confronti della tossicità indotta da Aβ, su cellule N2a di neuroblastoma. La tossicità in queste cellule si manifestava con una riduzione del glutatione, con l’attivazione del fattore di trascrizione NF-kB e infine con l’apoptosi. Dai dati ottenuti è emerso che l’apoptosi diminuiva quando le cellule venivano trattate con T o con HT, tuttavia i due alcoli fenolici non sono in grado di prevenire la riduzione di glutatione indotta da H2O2, mentre sono in grado di ridurre l’attivazione di NF-kB. I risultati confermano quindi il ruolo

di T e HT nella neuroprotezione nei confronti di Aβ e nella prevenzione dall’Alzheimer 52. È

interessante il fatto che questi due composti riducano la traslocazione nucleare di NF-kB indotta dall’esposizione ad Aβ, suggerendo quindi un meccanismo più antiinfiammatorio anziché antiossidante 8. Da successivi studi risulta però che l’idrossitirosolo migliora la disfunzione

mitocondriale, riduce l’infiammazione neuronale e l’apoptosi, ma non ha effetti sull’accumulo di Aβ. Per l’esperimento sono stati utilizzati dei topi transgenici APP/PS1 ai quali per 6 mesi sono stati somministrati 5 mg/kg/die di HT. Gli effetti di HT sono stati messi in evidenza dal

miglioramento dell’EEG e si è verificato un decremento dei prodotti di perossidazione lipidica mitocondriale tra cui 4-HNE e un incremento del glutatione, dell’espressione della SOD2 mitocondriale indici del miglioramento della disfunzione mitocondriale da stress ossidativo 53.

Perciò, ancora una volta, sono state confermate le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie di HT ed è stato messo in evidenza come l’aderenza alla dieta mediterranea e al consumo di EVOO possa ridurre il rischio di Alzheimer.

L’altra principale causa della neurodegenerazione nell’Alzheimer è rappresentata dal misfolding delle proteine tau iperfosforilate che si aggregano a formare NFT. Alcuni studi mostrano come l’oleocantale, oltre alle attività antiossidanti, antiinfiammatorie e antitrombotiche, esplichi in vitro un’azione antiaggregante nei confronti delle proteine tau attraverso un meccanismo di formazione di legami covalenti, in cui si forma un addotto con i residui di lisina della proteina tau. Lo studio risulta però avere delle limitazioni poiché è stato eseguito utilizzando l’esapeptide PHF6, non rappresentativo del sistema proteico e non adeguato a dedurre il meccanismo d’azione esatto dell’oleocantale 8. Oltre all’azione sulla polimerizzazione delle tau, l’oleocantale riduce la

formazione delle placche di Aβ, ha un ruolo sulla degradazione di tali placche ed incrementa la clearance di Aβ attraverso la BEE determinando l’aumento dell’attività delle due principali proteine di trasporto, la PGP (P-glicoproteina) e la LRP1 (proteina 1 legata al recettore della lipoproteina LDL) 54.

(31)

Considerando che l’infiammazione è anche alla base della patologia di Alzheimer, da recenti studi è emerso come l’oleocantale, un polifenolo dell’olio di oliva con potenti attività antinfiammatorie, possa essere utile nella prevenzione della patologia. Tali studi in vitro hanno dimostrato la capacità dell’oleocantale di ridurre l’attivazione infiammatoria degli astrociti, di aumentare la clearance e la degradazione di Ab ed infine di essere in grado di inibire l’aggregazione delle proteine tau

iperfosforilate 88.

In conclusione questi dati richiamano l’attenzione sul fatto che in assenza di una vera e propria terapia farmacologica per la demenza e in particola modo per il morbo di Alzheimer, seguire uno stile di vita adeguato che comprenda l’approccio alla dieta mediterranea e quindi il consumo di olio di oliva con il suo ricco contenuto in polifenoli, ha portato a risultati promettenti per la riduzione del rischio di Alzheimer.

1.5.2 Morbo di Parkinson

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta, ma progressiva, più diffusa nei pazienti anziani, e caratterizzata da bradicinesia, rigidità muscolare, tremore a riposo e perdita dell’equilibrio, ed è anche accompagnata da disturbi psichici, cognitivi e sensoriali.

Il morbo di Parkinson è caratterizzato da una graduale perdita dei neuroni dopaminergici nella

substantia nigra pars compacta e dalla comparsa di inclusioni intracellulari note come corpi di Lewy. Rappresenta la seconda malattia neurologica più comune nel mondo, colpisce circa l’1-2%

della popolazione e l’esordio si manifesta intorno ai 60 anni 33,55.

Il Parkinson è una patologia ad eziologia multifattoriale, tra le cause della malattia che non sono del tutto note, rientrano fattori genetici tra cui le mutazioni del gene che codifica per la proteina a-sinucleina, componente importante dei corpi di Lewy. Tra gli altri fattori responsabili della perdita dei neuroni dopaminergici ritroviamo la disfunzione mitocondriale, l’eccitotossicità, lo stress ossidativo responsabile dello squilibrio dopaminergico, la neuroinfiammazione, la perdita di glutatione e della segnalazione del fattore neurotrofico e l’accumulo anomalo di proteine 8,33. Da

studi epidemiologici è inoltre emerso che l’esposizione a pesticidi o tossine ambientali sia da soli che in combinazione ai fattori scatenanti indicati sopra hanno un ruolo nella patogenesi 56.

La maggior parte dei casi di Parkinson sono sporadici, mentre solo il 10% dei pazienti ha una componente familiare ed è principalmente legata alle mutazioni del gene codificante per

l’a-sinucleina, ma vi sono anche altri geni coinvolti nella forma familiare quali, parkin, DJ-1, PINK-1 e LRRK2 57. La scoperta di questi geni ha permesso di fare ipotesi sulla patogenesi della malattia,

(32)

scoprendo nuovi possibili meccanismi in cui sono coinvolti lo stress ossidativo ed altri meccanismi biologici cellulari modulati da proteine (figura 14) 59.

Figura 14: Meccanismi che portano allo stress ossidativo nella malattia di Parkinson e il ruolo dei

fattori genetici in questo processo.

Tra i meccanismi patogenetici responsabili della degenerazione dei neuroni dopaminergici rientra l’immagazzinamento errato della dopamina (DA) nelle vescicole. In tale meccanismo sembra essere coinvolta l’a-sinucleina che gioca un ruolo fondamentale nella struttura delle vescicole

presinaptiche, per cui una sua mutazione potrebbe influire notevolmente sulla riduzione del loro numero. Come mostra la figura 15 la DA che non viene immagazzinata rimane libera nel

citoplasma, qui viene ossidata a formare ROS tra cui H2O2,il radicale superossido e la DA-chinone

un sottoprodotto citotossico che contribuisce alla neuro degenerazione. La DA può essere anche degradata dalle MAO a H2O2 e DOPAC un metabolita inerte 58.

(33)

Figura 15: Ruolo dell’a-sinucleina nella formazione delle vescicole e stoccaggio della DA

all’interno di esse

Alcuni dati sperimentali, inoltre, suggeriscono che la perdita dei neuroni dopaminergici nel cervello di pazienti affetti da Parkinson sia dovuta alla sovrapproduzione di ROS 59.

Anche per la patologia di Parkinson la terapia farmacologica può servire solo per alleviare i sintomi, non ci sono ancora farmaci in commercio per curarne le cause o ritardarne l’insorgenza. Uno dei trattamenti sintomatici sicuramente più utilizzati è quello a base di Levodopa (L-DOPA); nonostante sia uno dei farmaci più in uso, dopo molti anni di terapia può provocare gravi effetti indesiderati come la discinesia coreiforme. Gli altri trattamenti farmacologici si basano sull’utilizzo di farmaci DA-agonisti, DA-rilascianti, inibitori di MAO e di COMT e farmaci anticolinergici che possono comunque presentare effetti collaterali 60.

Oltre agli approcci farmacologici sono da considerare anche quelli nutraceutici, vista la correlazione della malattia con lo stress ossidativo. Questi rimedi si sono concentrati principalmente sull’uso di antiossidanti, per cui sono da prendere in considerazione le sostanze antiossidanti 61 come i

nutraceutici dell’olio di oliva che sembrano avere effetti benefici sul Parkinson. Gli studi eseguiti a tal proposito riportano però solo dati ottenuti dal trattamento di colture cellulari, per cui sono necessari ulteriori studi in vivo per poter avere una conferma degli effetti neuroprotettivi dei fenoli di olio di oliva osservati negli esperimenti in vitro.

Recenti studi hanno dimostrato che il tirosolo presenta proprietà neuroprotettive nei confronti di diverse patologie neurodegenrative tra cui il Parkinson. Al fine di valutare l’effetto antiossidante del tirosolo contro lo stress ossidativo dei neuroni dopaminergici è stata utilizzata, come induttore di morte neuronale, la tossina che induce il Parkinson, MPP+ (1-metil-4-fenilpiridina). La tossina che è

(34)

stata testata su cellule dopaminergiche CATH, entra selettivamente nei neuroni attraverso i

trasportatori della DA e blocca a livello del mitocondrio la catena di trasporto di elettroni riducendo così i livelli di ATP intracellulare, promuovendo la produzione di ROS e infine causando

l’apoptosi. In queste cellule CATH trattate con la tossina, il tirosolo esplica la sua funzione di neuroprotezione, che risulta essere dose e tempo dipendente, attraverso l’attenuazione della disfunzione mitocondriale, l’incremento dell’espressione di enzimi antiossidanti, quali SOD-1, SOD-2 e DJ-1, e l’aumento dell’attivazione della proteina chinasi Akt e proprio da questa via di segnalazione di Akt sembra essere dipendente il meccanismo di protezione del tirosolo 62.

Un altro studio in vitro ha mostrato le capacità dell’oleuropeina di proteggere dalla degenerazione neuronale un modello dopaminergico cellulare di Parkinson; per lo studio sono state utilizzate cellule differenziate PC12 esposte alla potente tossina 6-idrossidopamina (6-OHDA). Lo studio in

vitro dimostra l’effetto neuroprotettivo di dosi picomolari di oleuropeina se somministrate come

pretrattamento rispetto all’esposizione delle cellule PC12 alla 6-OHDA. I dati risultanti confermano la capacità dell’oleuropeina di ridurre notevolmente la morte neuronale, di mitigare lo stress

ossidativo e di ridurre la produzione di ROS a livello mitocondriale, confermando ancora una volta le proprietà antiossidanti di OL che sembra essere in grado anche di modulare e ripristinare il processo autofagico 63.

Un secondo esperimento eseguito su cellule dopaminergiche SH-SY5Y trattate sia con la tossina 6-OHDA che con la tossina MPP+ ha dimostrato l’effetto protettivo dell’idrossitirosolo contro il

danno indotto sia dalla DA che da 6-OHDA, mentre si è mostrato scarsamente attivo verso la citotossicità legata a MPP+. Inoltre lo studio ha dimostrato che nelle cellule dopaminergiche

l’idrossitirosolo a concentrazione di 20 µM risulta essere un potente induttore degli enzimi di fase II, tra cui NQO1, che contribuisce all’effetto neuro protettivo, e HO-1. Di conseguenza i risultati suggeriscono l’effetto benefico dell’olio di oliva nella prevenzione e/o rallentamento della progressione del Parkinson 64.

1.5.3 La Sclerosi Multipla

La sclerosi multipla (SM) è una patologia infiammatoria cronica e neurodegenerativa del sistema nervoso centrale (SNC), che si contraddistingue per l’infiammazione immuno-mediata, la

demielinizzazione e infine per il danno assonale. La SM è una delle cause più comuni di disabilità negli individui giovani e secondo l’OMS nel mondo ci sono più di 2 milioni di persone che ne soffrono 65. A causa sia dell’eterogeneità clinica ed immunopatologica della SM che dei numerosi

(35)

migliorare il benessere dei pazienti con SM è possibile integrare la terapia farmacologica con una dieta ricca di polifenoli, le sostanze antiossidanti per eccellenza, e di acidi grassi polinsaturi in grado di contrastare la risposta infiammatoria associata alla SM 67.

La SM è una patologia complessa, eterogenea e multifattoriale ad eziologia sconosciuta. Sono possibili agenti causali l’alterazione della risposta immunitaria, la predisposizione genetica e fattori ambientali, infettivi e/o nutrizionali 67.

Nella patogenesi della malattia sono coinvolte le alterazioni della BEE ed altre diverse componenti del sistema immunitario tra cui le cellule T autoreattive, i macrofagi, le cellule della microglia, gli anticorpi e gli enzimi correlati all’infiammazione come la COX-2 e le iNOS, infine le citochine come INF-g, TNA-a e IL-17 e IL-10 66.

La demielinizzazione che caratterizza la SM è da associarsi ai macrofagi e alla microglia attivata coinvolti nella patogenesi della malattia. La microglia è costituita dalle cellule dell’immunità innata del SNC, che hanno un ruolo importante nelle risposte sia infiammatorie che immunitarie. Se da una parte, la microglia promuove la ri-mielinizzazione degli assoni attraverso il rilascio di molecole antiinfiammatorie, la fagocitosi e la riparazione dei tessuti, dall’altra, come cellule presentati

l’antigene secernono molecole pro-infiammatorie che danneggiano gli oligodendrociti e la guaina mielinica. Il cross-talk con le cellule immunitarie porta all’attivazione delle cellule T CD4+

(specialmente Th1 e Th17) che attraversano la BEE insieme ai macrofagi, arrivano a livello della guaina mielinica che riveste gli assoni ed iniziano una risposta infiammatoria locale 67,68.

Anche lo stress ossidativo è coinvolto nella patogenesi della SM ed infatti dati recenti hanno dimostrato che l’attivazione della microglia porta alla produzione di ROS e NO che hanno un ruolo nel processo di demielinizzazione e di neurodegenerazione della patologia 68. Lo stress ossidativo

può essere alimentato anche dall’eccitotossicità legata all’eccesiva attivazione glutammatergica, che amplificata dal rilascio di molecole pro-infiammatorie da parte di microglia e di macrofagi, stimola i recettori AMPA del glutammato e di conseguenza porta ad un incremento di Ca2+ intracellulare

che può essere tossico per neuroni e oligodendrociti. Il Ca2+ intracellulare avvia una cascata di

eventi che determina un danno mitocondriale e quindi produzione di ROS che ha come risultato finale la neurodegenerazione (figura 16) 69.

(36)

Figura 16: Possibili interazioni tra infiammazione, eccitotossicità da Ca2+e autofagia nella SM.

Sembra vi sia una relazione tra la sclerosi multipla e l’alterazione della metalloproteasi di matrice 9 (MMP-9) coinvolta nella migrazione di leucociti nel SNC, responsabile dell’alterazione della permeabilità della BEE, della distruzione della mielina e dei rimanenti assoni demielinizzati. Inoltre, pare che nei pazienti con SM, ad un incremento dei livelli di MMP-9, corrisponda la formazione di lesioni a livello cerebrale 70,71. In quest’ottica sono stati studiati gli effetti dei

polifenoli di olio di oliva sull’espressione e attività di MMP-2 e MMP-9 coinvolte nella patogenesi della sclerosi multipla. Lo studio è stato condotto su astrociti primari di topo stimolati con

lipopolisaccaride (LPS) e su campioni di siero di pazienti con SM trattati con l’estratto di olio di oliva. I risultati hanno mostrato una riduzione dei livelli di mRNA e dell’attività di MMP-2 e -9 da parte dei polifenoli dell’olio di oliva, rivelando un effetto inibitorio sull’espressione e sull’ attività delle metalloproteasi della matrice 72.

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