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A Sua E. il Ministro della P. I.
Il Comitato Aretino per le onoranze a Francesco Petrarca si rivolge all’E. V. come il vero e il più autorevole interprete della cultura e del sentimento nazionale. Esso dopo alterne vicende si è costituito, ed ha determinato di commemorare il sesto centenario della nascita di Francesco Petrarca avvenuta il 20 luglio 1304 con un monumento e con onoranze per quanto è possibile condegne e solenni. La memoria del suo giorno natalizio sarà in tal modo consacrata nella sua patria, né altrove potrebbe porsi giustamente e meritatamente. Arezzo poi concorse alle glorie d’Italia nelle lettere, nelle scienze e nelle arti, ma Francesco Petrarca è l’astro suo mag- giore, che serenamente splende nell’Italia e nel mondo.
Quali sieno le benemerenze del Petrarca verso l’Italia e la civiltà è vano ripetere all’E. V. che al solo annunzio resta forte- mente compreso dell’alto argomento e della nobiltà dell’im- presa. Da che il tributo di omaggio e di riconoscenza verso quel sommo non può riguardarsi siccome compito di un municipio, bensì dell’Italia, ormai felicemente nazione libera ed una. La voce del vate gentile che quale novello squillo la chiamava a redenzione, collo svolgere dei secoli, divenne un fatto, e passò di petto in petto e ancor ci commuove.
Ma se il Petrarca è l’aurora verace del nostro risorgimento, lo è pure della civiltà e delle antiche lettere, e di quanto è bello, e grande e geniale. Da lui le discipline storiche e le archeologie, tanto è a dire la critica storica; da lui il culto delle arti e dei monumenti antichi; per lui il sorgere della filosofia platonica, e il tramonto della scolastica. Egli fonda a Venezia
la prima biblioteca pubblica, donando la propria elettissima per autori greci e latini, così educando e divulgando il sapere. Ma si taccia il resto a chi meglio di noi conosce ed apprezza. L’E. V. ormai sa, che il monumento deve riflettere il senso civi- le e la riconoscenza verso il Petrarca dell’Italia tutta.
Un tale convincimento hanno espresso per primi S. M. il nostro Re, e S. M. la Regina Madre, i quali hanno benigna- mente accolto l’alto patronato di queste onoranze.
L’E. V. nell’alto suo ufficio è ora per somma ventura chia- mato ad effettuarne il concetto e l’impresa col proporre ai Rappresentanti della nazione un apposito Progetto di legge, col quale il R. Governo concorra al monumento da erigersi al Petrarca in Arezzo, città che gli diede i natali, e l’obbligo, che le passate generazioni non hanno ancora adempiuto, di curare una edizione critica di tutte le opere del Petrarca.
Questo provvedimento sollecito da noi s’invoca; e non dubitiamo, che il Parlamento seguirà concorde e volenteroso la proposta dell’E. V. molto più che avendo eretto monumenti a coloro, che efficacemente cooperarono al nostro risorgimen- to o rifulsero per altezza di ingegno, non potrà negarlo al Petrarca, che nel suo spirito costituiva l’Italia, e questa fu allo- ra glorificata per lui. Egli che primo accese quel sacro fuoco, serbato e sparso nelle valli d’Italia dai generosi cuori e dai grandi intelletti.
Noi confidiamo molto, né possiamo a meno pensando al subietto che ci muove e alla persona che ci ascolta. Quindi non preghiere né invito: che ben più alta e veneranda voce si levi sopra alla umile nostra. Ma se alle ardue imprese, a cui l’invida fortuna contrasta, come dice il Petrarca, valgono, seb- bene non vi sia d’uopo, gl’incitamenti e gli esempi, ricordiamo la Francia, nostra sorella latina. Nel 1874, anno del quinto centenario della morte di Petrarca, si costituì un Comitato ad Avignone, per solennemente onorarlo. Il Governo francese, sebbene gravato delle piaghe della fiera guerra germanica, non dubitò di assumere egli a sue spese l’opera del monumento in bronzo che ora è a Valchiusa, nella valle del Sorga, dove le aure ancora sussurrano le sue rime amorose e gentili. Il monu- mento fu il simbolo dell’omaggio della Francia verso il grande Italiano, e le gentili accoglienze e le feste si fecero dal munici-
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pio di Avignone. Si potrebbe far noi Italiani diversamente verso il nostro Petrarca? Qui si affaccia il decoro nazionale, e quindi tacciamo.
Abbiamo espresso i voti nostri e della nostra città: diciamo piuttosto i voti di quanti han senso gentile, e concetto conde- gno dell’Italia nostra, la quale risorga all’antica gloria onoran- do il meglio che sa e può i suoi magnanimi, per i quali ottenne la riverenza, l’amore e la riconoscenza di tutte le nazioni civili.
Alla saviezza, alla solerzia e all’autorità dell’E. V. questo compito affidiamo, colla certezza non solo del conseguimento, ma che la luce dello stesso monumento al Petrarca rifletterà grande decoro e dignità al vostro ufficio ed alla vostra perso- na.
6. P. Rajna, Il Centenario del Petrarca, in Il Marzocco,
20 dicembre 1903.
Caro Direttore,
il Marzocco ha centomila ragioni di propugnare il concetto che, ben più di un monumento marmoreo, nel quale solo con un grande sforzo di fantasia riusciamo a figurarci un capolavo- ro, il Petrarca ha bisogno di un’edizione critica delle opere sue.
Quando si dice così, si pensa soprattutto alle opere latine, che ancora siam ridotti a leggere nelle edizioni difettosissime del secolo XVI, e segnatamente in quelle, ad accrescimento della vergogna nostra, di Basilea. Quanto alle Rime, ci possia- mo dire a buon punto. Ci siamo, dopo che due stranieri, Pietro de Nolhac e A. Pakscher, indipendentemente e a bre- vissimo intervallo, riscovarono alla Vaticana l’autografo o semiautografo delle liriche, dando così modo al Mestica di fondarsi su di esso; e dopo che da Carlo Appel, professore a Breslavia, si sono avuti, or sono due anni, in un grosso volu- me, frutto di lunghe e sagaci fatiche, Die Triumphe Francesco
Petrarcas in kritischem Texte. Trionfi del Petrarca: non trionfi
italiani!
E l’obbligo nostro riguardo alle opere latine ci fu energica- mente ricordato dal de Nolhac per l’appunto, il più benemeri- to, oso dire, fra i cultori non italiani degli studi petrarcheschi.
Facendo cenno, allorché nel 1886 annunziò la scoperta del canzoniere, di due altri autografi vaticani, di quelli cioè del
Bucolicum carmen e dello scritto De sui ipsius et multorum ignorantia, disse che essi “seront extrèmement précieux… le
jour où l’érudition italienne se décidera à donner cette édition critique des oeuvres latines de Pétrarque, que toute l’Europe savante est en droit de lui demander”. E ciò ripeté poi un anno dopo nell’ottimo libro sulla Bibliothèque de Fulvio
Orsini322.
Ma se non si muovono coloro che hanno il dovere, par che si muovano quelli che un dovere non l’hanno. Di recente fu qui a collazionare un codice laurenziano, importante assai, dei libri Rerum memorandarum, il signor Leone Dorez della Biblioteca Nazionale di Parigi. Lo collazionò, perché attende ad allestire un’edizione, qual contributo alla solennità del Centenario, insieme con Enrico Cochin: un deputato che sa meritarsi onore anche fuor della Camera, e che in questi gior- ni ha pubblicato un attraentissimo volumetto su Gherardo di Ser Petracco, Le frère de Pétrarque.
Appunto quest’esempio mi fece sentire più viva la vergogna dell’ignavia nostra; e rinnovai a me stesso la domanda, che m’ero rivolto da un pezzo senza venir mai a una conclusione, se, pur potendo far poco io medesimo, non potessi spingere ed avviare altri a fare. Decisi quindi di prendere di mira le opere latine del Petrarca in una serie di conferenze libere, che soglio tenere ogni anno al nostro Istituto di Studi Superiori per addestrare i giovani nella tecnica delle edizioni critiche. L’annunzio di questo proposito mi fruttò subito una grata sor- presa. Trovai che del testo delle Egloghe petrarchesche s’era occupato un tempo Ermenegildo Pistelli. Ora egli promette di ripigliare il più sollecitamente che possa il lavoro e di condur- lo a termine. Chi non sa ch’egli farà cosa esemplare? E ottima- mente adempirà il suo compito Orazio Bacci, indottosi di buon animo a rimettersi alle Epistolae sine titulo su cui aveva lavorato scolaro323.
A queste due opere, così ben allogate, aggiungerò terze le Epistole metriche, che prende sopra di sé Arnaldo della Torre; un provetto che non sdegna di partecipare alle mie modeste conferenze. Le quali non mettono per ora troppo in alto la
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mira: si propongono di promuovere e dirigere l’esame accura- to di tutto il materiale manoscritto che per le opere latine del Petrarca possiedono le biblioteche di Firenze.
Ciò che qui si fa spero si faccia al modo medesimo altrove; a Roma segnatamente ed a Milano, che hanno biblioteche quanto mai cospicue, i cui tesori non sono in nessun modo amovibili: là sotto la scorta di Ernesto Monaci, qui di Francesco Novati. E chi sa che, senza che ci sia stato alcun accordo, essi pure non si siano già messi in cammino?
Con ciò saranno poste delle fondamenta; ma per edificare ci vorranno aiuti. Le cave italiane non son già le sole a cui s’abbia da rivolger l’indagine; e le pietre dovranno poi essere lavorate, trasportate, messe in opera; il che non sarà possibile senza gravi spese. E l’indagine stessa preliminare avrà ad esse- re ben pertinace, quindi costosa, in ossequio a un concetto del de Nolhac, convinto che delle più fra le opere abbiano da esserci pervenuti gli autografi.
Verrà in soccorso lo Stato? Verrà in soccorso la patria del Petrarca? O penseranno che lapidi, statue, banchetti, discorsi, concorso di popolo e di dotti, bastano esuberantemente ad onorare la memoria dei nostri grandi? Per verità, trovandomi ad Arezzo fra lo strepito del Centenario, a me parrebbe di sentire la voce di Messer Francesco tuonare adirata: “Che s’a- spetti non so, né che s’agogni / Italia, che suoi guai non par che senta, / vecchia oziosa lenta. / Dormirà sempre e non fia chi la svegli? / Le man’ l’avessi io avolto entro’ capegli!”.
Mi creda di cuore.