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Punti in comune tra il caso Mivar e il sistema High-Commitment

2. L’organizzazione delle risorse umane nella Mivar tra Mercato del Lavoro Interno e High Commitment

2.2 Il sistema High-Commitment

2.2.5 Punti in comune tra il caso Mivar e il sistema High-Commitment

Intraprendere un percorso che porti a modificare la gestione delle risorse umane fino ad arrivare ad un sistema High-Commitment risulta spesso difficile e costoso.

Per quanto riguarda la tecnologia del posto di lavoro, l‟impresa deve dare alcune garanzie riguardante l‟occupazione, i salari, una formazione completa e cross-training, e assunzioni altamente selettive. Le aziende devono pertanto fare un confronto tra i costi dell‟High-Commitment e gli eventuali benefici che questo modello può portare. I vantaggi derivano soprattutto dalla interazione tra la tecnologia del posto di lavoro e la strategia dell‟impresa (può l‟impresa competere in un mercato nel quale la qualità è la caratteristica fondamentale? È importante, per la strategia aziendale, la qualità derivante dal libero arbitro dei lavoratori? L‟organizzazione può competere sui costi in una situazione nella quale i miglioramenti procedurali sono in continua evoluzione?). Se la risposta a tali quesiti e positiva, allora i benefici dell‟High-Commitment possono essere notevoli. Nel caso Mivar i salari sono più alti di quelli delle imprese concorrenti, non perché sia richiesto un impegno che va oltre l‟orario di lavoro, ma per poter attirare un maggior numero di potenziali dipendenti altrimenti scoraggiati dalla monotonia del lavoro. La formazione, sia riguardo agli operai in fabbrica sia ai dirigenti che si occupano di attività commerciale, acquisti e contabilità, è inesistente. Per quanto riguarda gli operai, l‟approccio che Vichi adotta è quello del “learning by doing”, ovvero quello di acquisire le competenze necessarie tramite l‟esperienza maturata sul posto di lavoro. Questo, secondo l‟imprenditore, è il modo più efficace per apprendere modalità di utilizzo di macchinari e metodologie di lavoro. Credo di poter affermare che, facendo riferimento al fattore strategico, in questa azienda i costi per l‟adozione del modello High-Commitment supererebbero i benefici. La Mivar, infatti, non fa della qualità assoluta il suo punto di forza ma punta bensì sulla efficienza e la velocità delle riparazioni del prodotto. I televisori dell‟impresa milanese erano piuttosto standard senza grosse innovazioni, ed anche la gamma dei modelli offerti è piuttosto limitata. L‟autonomia dei dipendenti, infine, è pressoché inesistente: gli operai lavorano in una sorta di catena di montaggio che li porta ad avere mansioni monotone e ripetitive, mentre le decisioni a livello aziendale vengono prese direttamente e solamente dall‟imprenditore (Silvestrelli 2004, p.291).

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Il risultato del calcolo costi-benefici può essere influenzato anche dal rapporto che c‟è tra l‟ambiente esterno e la demografia della forza lavoro. Adottare questo tipo di modello potrebbe essere molto costoso in un ambiente con alti livelli di mobilità del lavoro, oppure un‟impresa con una forza lavoro male addestrata potrebbe decidere che i costi dovuti alla formazione non giustificano i rendimenti. Inoltre, l‟autonomia data ai lavoratori può essere sia un vantaggio che uno svantaggio per l‟azienda: un‟impresa tradizionale potrebbe decidere quale strategia seguire più velocemente rispetto ad una HC, ma l‟altro lato della medaglia è che la seconda impresa otterrà miglioramenti in un tempo più breve rispetto alla prima perché i propri dipendenti hanno un più alto stipendio che presuppone, come già detto, un impegno anche oltre l‟orario di lavoro. In alcuni contesti è più appropriato concedere autonomia decisionale ai lavoratori in altri meno. Nel caso di studio l‟autonomia dei dipendenti è inesistente, tuttavia l‟azienda riesce a raggiungere quell‟unione di intenti tra lavoratori e organizzazione propria del modello High-Commitment grazie al clima cordiale e amichevole che riesce ad instaurare al proprio interno ed alla fiducia e stima incondizionata che i dipendenti nutrono per il loro datore di lavoro (Silvestrelli 1999).

Come già detto, in un sistema HC viene richiesta alla forza lavoro flessibilità, autonomia e integrazione con gli obiettivi aziendali. È del tutto evidente, quindi, come questo modello non venga rispecchiato nella politica di gestione delle risorse umane di Mivar. La flessibilità e l‟autonomia dei dipendenti è pressoché inesistente, sovrastata dall‟autorità quasi totalitaria di Vichi. Esiste, invece, una comunione di intenti tra datore di lavoro e dipendenti ma non avviene, come nel modello High-Commitment, grazie ad una partecipazione dei secondi nel processo decisionale, ma grazie al clima familiare e cordiale che si respira nell‟impresa di Abbiategrasso. Un discorso analogo può essere fatto riguardo agli stipendi dei dipendenti: sia nel modello HC che in Mivar questi sono superiori a quelli delle imprese concorrenti ma, mentre nel primo caso lo sono per un impegno flessibile e spesso superiore alla giornata lavorativa, nel secondo caso lo sono per riuscire ad attrarre dipendenti scoraggiati dalla monotonia del compito svolto. Mentre in un sistema HC l‟autonomia decisionale è fondamentale perché può portare una maggiore qualità al prodotto, in Mivar questa viene totalmente soppressa e rifiutata da Vichi. In definitiva, se i punti in comune superavano le divergenze tra MLI e Mivar, ritengo, al contrario, che tra il caso di studio e il modello HC le differenze siano superiori alle uguaglianze.

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Conclusioni

Mi appresto in quest‟ultima parte a rispondere al quesito principale di questa tesi: le politiche riguardanti la gestione delle risorse umane attuate da Mivar sono coerenti oppure no?

Basandomi sui dati che ho riportato in questo studio, ritengo che si possa rispondere a questa domanda creando uno spartiacque nella storia di Mivar, analizzando l‟impresa prima e dopo il 21esimo secolo. La mia conclusione è che lo sviluppo del settore tecnologico e il cambiamento della società nella quale Mivar era inserita hanno prodotto un mutamento nelle condizioni che l‟impresa si è trovata ad affrontare.

Mi sento di poter affermare che Mivar fosse un‟impresa coerente, internamente e esternamente, se analizzata primi degli anni 2000. La strategia che perseguiva era basata sulla leadership di costo e sulla fedeltà dei propri clienti, obiettivo che l‟impresa raggiungeva grazie alla velocità delle riparazioni per la disponibilità immediata dei pezzi di ricambio. La concorrenza era rappresentata da multinazionali, superiori per quantità e qualità di modelli prodotti ma che non potevano competere con l‟azienda milanese sulla velocità e il costo delle riparazioni o dei ricambi. La forza lavoro era omogenea, provenendo dalla zona milanese, e la cultura si basava sul conformismo e sul lavoro di gruppo. Era composta prevalentemente da pedoni, ai quali veniva richiesto un impegno massimo per il bene dell‟azienda. La politica di gestione delle risorse umane era identificabile con un Mercato del Lavoro Interno, dove i licenziamenti erano minimi e i salari più alti dei concorrenti a causa dello stress lavorativo prodotto dal continuo controllo dell‟imprenditore sui dipendenti e del lavoro monotono. L‟autonomia era pressoché inesistente in quanto le decisioni venivano prese unicamente da Vichi.

Dopo gli anni 2000 i fattori con i quale l‟impresa deve raffrontarsi cambiano in maniera evidente. Con l‟entrata nel mercato di imprese asiatiche aumentano i concorrenti e i prodotti che devono essere costruiti per non uscire dal mercato non sono più televisioni a colori ma LCD. Quello dei televisori, oggi, è un mercato in continua evoluzione caratterizzato da un grande sviluppo tecnologico, molto più che in passato. Per le imprese che agiscono in questo mercato l‟innovazione e lo sviluppo tecnologico sono diventate molto più importanti. A mio parere quindi, assumono sempre più rilevanza i

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lavoratori stella che non i pedoni, tipologia della quale Mivar non era molto fornita. L‟azienda milanese, inoltre, non ha mai puntato sul progresso per volere del proprio proprietario, non aprendo mai una sezione ricerca e sviluppo. C‟è da menzionare inoltre il fatto che, per scelta dell‟imprenditore, non erano presenti sindacati all‟interno dell‟azienda. Credo che negli anni 2000 la coscienza dei lavoratori sia diventata tale da sapere quali siano i loro diritti e da esigerne il rispetto. Non penso che un posto di lavoro nell‟azienda milanese, senza protezione sindacale e in balia delle decisione che il datore di lavoro prendeva in completa autonomia, potesse essere visto come uno dei più appetibili. Questa avversione al progresso ha fatto si che l‟impresa reagisse troppo tardi al cambiamento del settore, concedendo notevoli vantaggi ai concorrenti. In questo caso Vichi, a mio modesto parere, non si è reso conto tempestivamente della direzione che stava prendendo il mercato, reagendo così troppo lentamente. È lui stesso che spiega le cause di questa mancata reazione sul sito internet dell‟azienda, scrivendo: “Va detto che la tecnica LCD è totalmente in mano agli Usa, come del resto tutta l‟elettronica, che a sua volta è un suo dominio assoluto. Ebbene: perché non ci hanno concesso l‟uso a giusto prezzo di questo miracolo? Perché lo hanno concesso in modo poco chiaro all‟Asia?” (http://www.mivar.it/. Sito consultato il 14/04/2016). Quello che dice l‟imprenditore è senz‟altro vero: le imprese americane hanno sempre investito in materia di ricerca e sviluppo e molto probabilmente hanno sviluppato una tecnologia tale da guadagnarsi un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza. Se però analizziamo la storia della Mivar, notiamo come l‟azienda milanese abbia agito nello stesso modo anche quando ha dovuto affrontare il passaggio epocale dalla televisione in bianco e nero a quella a colori. In quel caso, la politica conservativa di Vichi si era rivelata corretta in quanto l‟impresa si era aggiudicata il quasi monopolio del mercato delle tv in bianco e nero, raggiungendo un buon profitto. Credo quindi che le scelte strategiche di Mivar siano state condizionate in parte da una tecnologia che non era in grado di riprodurre, in parte dalla influenza di politiche precedenti rivelatesi proficue. Il cambiamento del fattore ambientale influisce in maniera evidente anche sulla strategia dell‟impresa. Questa rimane pressoché invariata rispetto ai decenni precedenti. Rispetto al passato, però, oggi i tempi di consegna dei pezzi di ricambio di imprese straniere sono sensibilmente diminuiti, diventando cortissimi con l‟avvento di Internet. Vengono meno, quindi, quelli che erano i punti di forza di Mivar.

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È mia opinione che il modello organizzativo dell‟impresa milanese non si sia rivelato efficace al mutare delle condizioni competitive. Anche se si tratta solo di una ipotesi, credo che molte delle cause di questo mancato adattamento siano da ricondurre alla figura di Vichi. L‟ imprenditore ha mantenuto la stessa politica e la stessa gestione delle risorse umane in epoche molto diverse da loro, non prendendo in considerazione i cambiamenti sia sociali che tecnologici.

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