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La coerenza delle politiche di gestione delle risorse umane: il caso Mivar.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

3

1 Presentazione e analisi del caso di studio

6

1.1 Il caso Mivar

6

1.2

Il caso Mivar analizzato attraverso i 5 fattori della

coerenza esterna

8

1.2.1 Definizione e importanza della coerenza esterna

8

1.2.2 Ambiente sociale, politico, legale ed economico

10

1.2.3 Caratteristiche della forza lavoro

17

1.2.4 Cultura dell‟organizzazione

18

1.2.5 Strategia dell‟organizzazione

20

1.2.6 Tecnologia del posto di lavoro

25

1.3 La coerenza interna nel caso Mivar

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1.3.1 Definizione e criteri di misurazione della coerenza interna

26

1.3.2 Vantaggi economici

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1.3.3 Vantaggi psicologici e sociali

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1.3.4 Vantaggi relativi al reclutamento

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2

2 L’organizzazione delle risorse umane nella Mivar

tra Mercato del Lavoro Interno e High Commitment

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2.1 Il Mercato del Lavoro Interno

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2.1.1 Definizione e importanza del Mercato del Lavoro Interno

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2.1.2 Vantaggi del Mercato del Lavoro Interno

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2.1.3 Principali critiche

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2.1.4 Effetti del Mercato del Lavoro Interno

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2.1.5 Punti in comune tra il caso Mivar e il Mercato del Lavoro

Interno

42

2.2 Il sistema High-Commitment

46

2.2.1 Definizione ed obiettivi del sistema High-Commitment

46

2.2.2 Differenze sostanziali tra Mercato del lavoro Interno ed

High-Commitment

48

2.2.3 Caratteristiche del modello High-Commitment

49

2.2.4 Le diverse forme dell‟High-Committment

52

2.2.5 Punti in comune tra il caso Mivar e il sistema High

Commitment

55

Conclusioni

57

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3

Introduzione

L‟obiettivo di questo lavoro è quello di esaminare la politica della gestione delle risorse umane in un‟impresa italiana, studiando sia la sua coerenza interna che quella esterna e cercare di capire se e come la loro persecuzione abbia influito sulla storia dell‟azienda stessa. Ritengo importante questo tipo di ricerca per alcuni motivi. In primo luogo la politica di gestione delle risorse umane è essenziale per il successo o il fallimento di un‟organizzazione: questo non significa che una buona gestione in questo campo sia sufficiente per ottenere un‟impresa di successo, ma è una condizione necessaria per perseguire tale scopo. In secondo luogo, essendo lo studio della politica di gestione delle risorse umane ancora poco utilizzato in Italia, applicarla ad un‟azienda italiana potrebbe fornire dati interessanti che potrebbero spiegare i motivi di successo o meno di un‟organizzazione.

Ho cercato di portare avanti questo studio esaminando prima quale fosse (e se esistesse) la coerenza interna ed esterna dell‟azienda. Per fare questo mi sono avvalso di strumenti e nozioni appresi durante i miei studi specialistici, in particolare nel corso di “gestione delle risorse umane”, analizzando prima la coerenza dell‟impresa rispetto al contesto esterno mediante lo studio dei 5 fattori (ambiente, caratteristiche della forza lavoro, cultura, strategia e tecnologia del posto di lavoro), poi attraverso l‟analisi della coerenza interna (vantaggi psicologici, economici e reclutamento).

Nella seconda parte della tesi ho cercato di collocare l‟impresa all‟interno di due tra i modelli più importanti, internamente coerenti, e per certi versi molto diversi l‟uno dall‟altro, di politica delle risorse umane: il Mercato del Lavoro Interno e il sistema High-Commitment. Mentre la caratteristica del primo modello è quella di offrire al lavoratore uno sviluppo di carriera, sia intera che parziale, all‟interno dell‟impresa che lo adotta, il secondo tende a raggiungere l‟efficienza sfruttando l‟impegno e la dedizione dei propri dipendenti, motivati da una grande autonomia decisionale e dal coinvolgimento all‟interno dell‟azienda stessa.

L‟impresa che ho scelto di analizzare è la Mivar, un‟azienda milanese che è stata una dei più importanti produttori di televisori in Italia fino agli anni 2000, quando ha cessato questa attività a causa del rapido cambiamento delle condizioni del mercato e della crisi

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economica mondiale. Ho sentito parlare per la prima volta di questa azienda durante la frequentazione dei corsi accademici e fin da subito sono stato incuriosito dall‟originalità con la quale la Mivar veniva gestita dal proprietario Carlo Vichi. Pur adottando metodi a volte non convenzionali, l‟imprenditore milanese è riuscito a portare la sua organizzazione, creata dal nulla, ad essere una delle aziende leader del proprio settore. Ho cercato in questo lavoro di illustrare questi metodi e di cercare di capire se questi fossero o meno coerenti con la politica delle risorse umane perseguita all‟interno dell‟azienda. Quello che ne esce è il disegno di un‟impresa che, nonostante la sua inclinazione piuttosto conservatrice nei confronti del progresso è riuscita ad affermarsi, fino all‟introduzione della televisione al plasma, in un settore estremamente competitivo, facendo della semplicità e dell‟attenzione al cliente il suo punto di forza. Le politiche di gestione delle risorse umane sono senza dubbio dominate dalla figura dell‟imprenditore, personaggio singolare, dotato di una personalità dominante e autoritaria che incarna il ruolo di padrone austero e totalitario da una parte e di superiore comprensibile e amichevole dall‟altra. Questo atteggiamento ha avuto, all‟interno della forza lavoro, l‟effetto di aumentare l‟impegno e l‟identificazione con gli obiettivi dell‟impresa grazie alla creazione di un clima lavorativo familiare e amicale.

Le informazioni che mi hanno permesso di portare a termine questo lavoro provengono per lo più da riviste economiche e non da libri di testo. Per quanto riguarda la parte teorica è stato fondamentale il libo di testo del corso di “economia delle risorse umane”, mentre per la parte riguardante la Mivar mi sono avvalso, oltre che dal sito internet dell‟impresa, di saggi presenti su riviste economiche che ho trovato all‟interno di biblioteche universitarie, principalmente di Pisa e Roma.

Non essendo riuscito a trovare studi specifici riguardanti la politica della gestione delle risorse umane, uno dei maggiori problemi che ho dovuto affrontare per la stesura di questa tesi riguarda la bibliografia. In molti documenti, infatti, si pone l‟attenzione sulle strategie economiche dell‟impresa e solo marginalmente si parla di quale politica interna l‟organizzazione perseguisse. Ho cercato, pertanto, di estrapolare quanto più possibile dai testi a mia disposizione, cercando di fornire un quadro quanto più completo possibile su quelle che sono state le politiche di risorse umane di questa azienda.

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5

Ho deciso di creare un caso di studio per diversi motivi. Il contributo che spero di aver dato con questa tesi non è quello di elogiare ed evidenziare la bontà della coerenza portata avanti da una determinata organizzazione, ma bensì sottolineare quanto sia di fondamentale importanza per un‟impresa perseguirla. Il caso di studio, quindi, non deve necessariamente avere esito positivo, e se non lo ha non è un fallimento dello stesso. Durante il mio percorso accademico ho appreso, infatti, come i casi di studio che parlano di fallimenti siano altrettanto importanti di quelli che parlano di successi, in quanto entrambi raggiungono lo stesso scopo: evidenziano l‟importanza di perseguire politiche coerenti nell‟ambito delle risorse umane. L‟importanza dell‟adottare un caso di studio non si esaurisce qui, in quanto un‟impresa potrebbe essere coerente in un determinato periodo storico e successivamente non esserlo più, a causa di una serie di cambiamenti ambientali ai quali si dovrebbe reagire ristrutturando in maniera appropriata le politiche di gestione delle risorse umane. È questo ciò che è successo all‟interno di Mivar. La sua posizione conservativa, la sua chiusura al mercato estero e la sua singolare gestione dei dipendenti hanno fatto la fortuna dell‟impresa per un determinato periodo di tempo, ma potrebbero aver contribuito al suo declino nell‟era di internet e della globalizzazione.

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1. Presentazione e analisi del caso di studio

1.1 Il Caso Mivar

L‟ attività della Mivar nasce a Milano in Via Ugo Tommei 5 nel 1945. Inizialmente l‟impresa produce piccoli apparecchi radio, sotto il nome di VAR (Vichi Apparecchi Radio) dal nome del fondatore Carlo Vichi (22 anni). Dopo un periodo artigianale di 2-3 anni, intuendo l'importanza della componentistica, si specializza nel settore sviluppandosi nella successiva sede di Via Curtatone 12 e occupando 80 dipendenti (http://www.mivar.it/ Sito consultato il 14/01/2016).

Nel 1956 viene progettato e costruito un originale apparecchio radio, che verrà commercializzato con il marchio "Mivar" (Var preceduto dalla sigla " MI " Milano) il cui brillante successo porterà all'ampliamento in Via Stringelli 13 e all' occupazione complessiva di 200 dipendenti (http://www.mivar.it/.).

Nel 1958 l‟impresa inizia ad interessarsi al mercato dei televisori, viene così costruito il primo stabilimento in Via Giordani 30, sempre in Milano, dove gradualmente si occuperanno 400 dipendenti (http://www.mivar.it/).

Durante gli anni „60 la concreta affermazione del prodotto Mivar e lo sviluppo della TV a colori impongono un ulteriore passo avanti. Allo scopo viene scelta un'area in Abbiategrasso, Via Dante 45, dove verrà costruito il secondo stabilimento, che diverrà operante fra il 1968-70 occupando 800 dipendenti.

All‟inizio degli anni ‟90, consci della fondamentale importanza che la qualità dell' ambiente di lavoro ha nei rapporti aziendali si inizia la costruzione del futuro insediamento della Mivar sul fronte Alzaia Naviglio di Bereguardo in Abbiategrasso. Nel 1994 Mivar diviene leader del mercato italiano del televisore a colori, superando nelle vendite la quota di mercato di concorrenti del calibro di Philips e Sony (http://www.mivar.it/).

Negli anni 2000 si avvera il grande sogno di Vichi: viene terminato il suo nuovo stabilimento del costo complessivo di oltre 100 miliardi di lire. Per realizzarlo, l‟imprenditore ha dovuto sostenere notevoli battaglie amministrative e legali (l‟impianto

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sorge all‟interno del Parco del Ticino), ma, una volta terminato, sarebbe dovuto essere un gioiello di funzionalità ed efficienza e nello stesso tempo un luogo di lavoro confortevole e accogliente. Questo stabilimento, interamente progettato da Vichi e dai suoi tecnici, è finanziato esclusivamente con risorse proprie. A pieno regime avrebbe dovuto portare la capacità produttiva di Mivar a circa 2 milioni di televisori (http://www.mivar.it/).

Nel 2000 la Mivar ha ancora in mano il 35% del mercato nazionale con all‟incirca 1.000.000 di pezzi prodotti all‟anno, ma si verifica sul mercato un cambiamento epocale e che cambierà per sempre il futuro dell‟azienda: l‟avvento dei televisori LCD (http://www.mivar.it/).

Inizia da qui un lento ed inesorabile declino: nel 2005 la Mivar iniziò a produrre TV LCD con linee di produzione esemplari per semplicità ed efficienza, produsse qualche centinaia di migliaia di TV e li vendette con piena soddisfazione dei clienti, ma purtroppo subendo gravi perdite. A fine 2013 la Mivar ha cessato la produzione di TV ma ovviamente continua l' impegno a garantire l‟assistenza tecnica indefinitamente. Proprio durante questo periodo è avvenuto l'adattamento di speciali tavoli-sedie realizzati per il comfort degli addetti alle linee di produzione TV. Così la"MIVAR"( MIlano- Vichi- Apparecchi- Radio) dopo 70 anni di attività nel settore dell'elettronica, continua la sua attività in un altro campo ma con lo stesso nome MIVAR"( MIlano- Vichi- Arredi-Razionali) (http://www.mivar.it/).

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1.2

Il caso Mivar analizzato attraverso i 5 fattori della coerenza

esterna

1.2.1 Definizione e importanza della coerenza esterna

La più importante domanda da porsi riguardo alla gestione delle risorse umane in ogni impresa è: “Come si adattano le politiche intraprese?”. Le risorse umane sono dei sistemi composti da parti che a volte lavorano insieme, altre volte si scontrano. Queste parti sono molto importanti per i rapporti che l‟impresa ha con altri agenti come per esempio i suoi diversi stakeholders o la società che vive nel suo medesimo ambiente. La risposta alla domanda “Come si adattano le politiche intraprese?” può essere divisa in due parti: la prima parte che si occupa dell‟adattamento delle politiche di gestione delle risorse umane in un contesto più generale, riguardante l‟ambiente nel quale l‟impresa è situata o come essa opera, la seconda riguardante, invece, le singole parti all‟interno dell‟impresa, analizzando la loro coerenza o la loro complementarietà (Baron Kreps 1999).

È molto difficile per un‟azienda produrre politiche delle risorse umane che siano internamente coerenti e che al tempo stesso siano compatibili con la propria strategia, la propria tecnologia o il contesto nel quale l‟organizzazione opera.

Una comune fonte di fallimento della gestione delle risorse umane si ha quando si cerca di allestire un modello vincente ma che presuppone delle caratteristiche precise dal punto di vista ambientale, del segmento di mercato nel quale si opera e dell‟organizzazione della produzione in un contesto completamente diverso sperando che abbia successo. Uno degli errori che si potrebbero fare, per esempio, è quello di imitare la politica di gestione delle risorse umane di un‟impresa efficiente e di successo. Attuare una politica di questo genere è molto rischioso e spesso fallimentare in quanto le condizioni ambientali e di mercato dell‟impresa di successo potrebbero essere molto diverse dalle nostre. In questo caso l‟attuazione delle medesima politica riguardante le risorse umane non porterebbe alcun effetto positivo ma solo svantaggi, caratterizzati da

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un‟incoerenza interna oppure da un mal allineamento delle risorse umane con la propria strategia o l‟ambiente circostante.

Quando ci chiediamo “Come si adattano le politiche intraprese?” in una specifica situazione, potrebbe essere d‟aiuto avere una sorta di modello, di linee guida, per analizzare il caso di studio. Un buon esempio di questo è rappresentato dai 5 fattori di Porter, utilizzati per analizzare strategie di mercato. Porter ha formulato 5 categorie che sono in grado di descrivere il sistema della politica delle risorse umane in ogni organizzazione. Questi fattori sono: ambiente sociale, legale, politico; caratteristiche della forza lavoro; cultura dell‟organizzazione; strategia dell‟organizzazione; tecnologia del posto di lavoro (Baron Kreps 1999).

Andrò ora ad analizzare il caso di studio utilizzando i 5 fattori della coerenza esterna sopra elencati.

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1.2.2 Ambiente sociale, politico, legale ed economico

La televisione in bianco e nero si sviluppa in Italia dal primo gennaio 1954, portando profondi cambiamenti nella società e negli stili di vita degli individui.

Negli anni cinquanta il televisore acquisisce la caratteristica di prodotto “status symbol”, che differenziava le famiglie tra loro (Silvestrelli 1999, p. 209).

Negli anni sessanta, il settore dell‟elettronica di consumo era caratterizzato da un consistente sviluppo, risultato di cambiamenti sociali, economici e tecnologici che hanno modificato gli assetti competitivi, determinando un forte incremento della domanda. In tale periodo sono nate moltissime imprese e quelle già esistenti si sono sviluppate sia in termini dimensionali che produttivi.

Milano:

 ADMIRAL Formenti S.p.a  ATLANTIC ELECTRIC S.p.a  BRIONVEGA S.p.a

 CGE

 CONDOR S.p.a

 CRFESPI & ZANETTI S.r.l  EUROPHON S.p.a

 FIMI S.p.a  Geloso S.p.a  I.R.T

 LA VOCE DELLA RADIO  LESA COSTRUZIONI

ELETTROMECCCANICHE  PHILIPS S.p.a

 RADIO VAR S.a.S  RADIOMARELLI S.p.a

Brescia:

 ELETTROPADANA CENTURY S.n.c

Firenze:

 EMERSON ELECTRONICS S.p.a Trento:

 GALAXY ELECTRONIC COMPANY S.r.l

 INDESIT S.p.a  MAGNADYNE

 WATT RADIO ELETTRONICA S.p.a

Pavia:

 KORTING ITALIANA S.r.l  LUIGI COZZI DELL‟AQUILA

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11  SIEMENS ELETTRA S.p.a

 TELEFUNKEN S:p.a  TELEWATT S.p.a  TRIPLEX S.p.a  ULTRAVOX S.r.l  WESTMAN S.p.a Bergamo:

 DITTA PRANDONI S.p.a  PHILCO S.p.a

Rovigo:

 AUTOVOX S.p.a  VOXON FARET Napoli:

 DUMONT ITALIANA S.p.a

S.p.a Varese:  IGNIS S.p.a  PHONOLA S.p.a Bologna:  S.E.I S.p.a Viterbo:  SICE Pordenone:  ZANUSSI S.p.a

Tab1- Aziende produttrici di radio e televisori presenti in Italia negli anni sessanta distinte per locazione (P. Silvestrelli 1999 p. 210)

Negli anni settanta la leadership del mercato era detenuta dalle imprese estere, le quali, sfruttando le proprie risorse tecnologiche, finanziarie e distributive erano in grado di gestire una quota rilevante dei consumi e di influenzare il comportamento degli acquirenti. In tale contesto competitivo la Mivar rappresentava una tra le più piccole aziende che fabbricavano televisori.

Nella metà degli anni settanta lo sviluppo della domanda di beni di elettronica di consumo ha subito un forte rallentamento, in modo particolare per la televisione in bianco e nero. Alcune industrie straniere, come la Grunding e la Thompson abbandonarono il nostro mercato; molte imprese italiane di piccole dimensioni cessarono la propria attività (Tab. n.2). Numerosi furono inoltre i processi di acquisizione da parte delle aziende più grandi, che hanno accresciuto le proprie dimensioni (Tab. n.3).

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12 ANNI 1971-1978 1978-1986 IMPRESE  CONDOR  DUMONT  GELOSO  LESA  MAGNADYNE  TELEWATT  WATT RADIO  ATLANTIC  CREZAR  EMERSON ELECTRONIC  GALAXI ELECTRONIC  INDESIT (comparto televisori)  KORTING  PRANDONI  SIAREM  SICE  VOXON  WATT COLOR  WESTRANN

Tab. n.2: Imprese produttrici di televisori che hanno cessato l‟attività tra il 1971 e il 1986 (P. Silvestrelli p 211)

ANNI ACQUISIZIONI

1967 La TELEFUNKEN acquista la I.R.T IMPERIAL 1968 La PHILIPS acquista la PHONOLA

1970 La GRUNDING acquista la MINERVA

1983 LA PHILIPS acquista il 25% della quota italiana della GRUNDING, la quale ha cessato la propria attività in Italia nel 1985

1983 La THOMPSON (francese) incorpora la TELEFUNKERN dopo aver già acquistato SABA e NORMENDE

Tab. n.3: Alcuni esempi di acquisizioni aziendali nel settore dei televisori (vari anni) (Silvestrelli 1999 p. 212)

In tale contesto il Governo italiano ha attuato una politica protezionistica al fine di rallentare l‟importazione di sistemi di trasmissione “a colori”, salvaguardando le imprese italiane produttrici di televisori in bianco e nero (peraltro già in crisi) dalla concorrenza internazionale. A differenza di altri Paesi industrializzati, in cui era già stata introdotta la televisione a colori, in Italia continuavano ad essere venduti soltanto gli apparecchi in bianco e nero. Questa situazione di incertezza influenzava comunque

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negativamente la domanda di apparecchi, in quanto i consumatori italiani piuttosto che comprare un altro televisore in bianco e nero, in genere preferivano aspettare che venisse introdotta la televisione a colori.

L‟avvento di questa nuova tipologia di televisori ha rappresentato un importante fattore nella ripresa e nel seguente sviluppo del settore: le aziende estere hanno ripreso ad esportare verso il mercato italiano, mentre la maggior parte delle imprese produttrici italiane ha attuato la produzione dei nuovi apparecchi televisivi, abbandonando quella dei televisori in bianco e nero. In tale contesto la Mivar fu quasi la sola a continuare a produrre televisori in bianco e nero. Al contrario di altre imprese concorrenti, l‟azienda di Abbiategrasso ha basato il suo successo non tanto nella possibilità di innovare i propri prodotti e i processi produttivi utilizzati, ma soprattutto nella capacità di attuare politiche di mercato, in modo da cogliere le opportunità offerte dall‟innovazione. Tali opportunità erano costituite dalla possibilità di copertura di un mercato (quello degli apparecchi in bianco e nero) abbandonato da altre aziende. “La Mivar ha saputo conseguire un vantaggio competitivo basando la sua strategia sulla rapidità di adattamento ai mutamenti del marcato e di risposta alle politiche dei concorrenti” (Grant 1994).

L‟evoluzione della produzione dei televisori a colori è stata realizzata grazie alla diffusione delle conoscenze tecnologiche e ai migliori e più efficienti metodi produttivi (processi produttivi meccanizzati e specializzazione del lavoro soprattutto); questi fattori hanno determinato continui cambiamenti negli assetti concorrenziali del settore italiano dei televisori, contribuendo ad accrescere il livello di competitività. L‟arretratezza delle aziende italiane nella ricerca e sviluppo di nuovi prodotti contribuiva peraltro ad aumentare il distacco nei confronti ella concorrenza internazionale.

Negli anni ottanta, grazie agli investimenti nella ricerca e sviluppo effettuate dalle imprese straniere, soprattutto tedesche e francesi, si sono realizzate innovazioni di processo e di prodotto. Il ruolo svolto dalle imprese estere produttrici di televisori è stato determinante per lo sviluppo del settore in Italia e la loro presenza ha influito sugli assetti competitivi anche nei decenni successivi: queste ultime si distinguevano dalle imprese italiane per diversi fattori, tra cui maggiori dimensioni aziendali, strategie commerciali più efficaci, conoscenze tecnologiche più elevate, consistenti investimenti

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nelle attività di ricerca e sviluppo. La somma di questi fattori rendeva i prodotti esteri migliori di quelli nazionali, ma certamente più costosi (Silvestrelli 1999, p. 213).

Le imprese italiane produttrici di televisori, invece, attuavano una politica di imitazione dei prodotti stranieri, accompagnata però da una semplificazione produttiva e dalla riduzione dei costi. Queste ultime hanno realizzato un importante ed innovativa azione di adattamento della produzione straniera alle esigenze del mercato e del consumatore italiano, con l‟obiettivo di realizzare prodotti meno costosi e meno differenziati rispetto a quelli esteri.

Non si può pertanto sostenere che nei primi tempi l‟industria italiana abbia portato contributi innovativi nell‟ambito del progresso tecnologico della produzione dell‟elettronica di consumo: “si tratta piuttosto di innovazioni “secondarie”, cioè imitative rispetto ai modelli precedenti, ma innovative rispetto al contesto in cui sono state introdotte” (Castellano 1965). Oltre a questo c‟è da aggiungere che le aziende italiane hanno realizzato limitate esportazioni: in particolare la Mivar ha trascurato del tutto i mercati internazionali.

È interessante comunque rilevare che il ritardo tecnico, che fino agli anni sessanta ha caratterizzato l‟industria italiana di televisori rispetto alle industrie similari europee e statunitensi, è stato ridimensionato mediante alcuni fattori, quali l‟ampliamento dei mercati, la crescente diffusione delle più avanzate tecnologie, l‟estesa adozione di moderne tecniche di gestione aziendale e il progresso nel livello di istruzione professionale della forza lavoro (Cagace Gardin 1986).

Negli anni ottanta e negli anni novanta si affermano nel mercato internazionale le imprese dell‟Est asiatico, nuove concorrenti delle aziende italiane ed europee, non solo nel mercato finale dei televisori, ma anche nel mercato della componentistica. La superiorità dei prodotti giapponesi ha spinto le imprese italiane ed europee a cercare nuove forme di differenziazione dei prodotti per poter competere sul mercato, basate sulla qualità dei prodotti, sulla competitività del prezzo e sulla possibilità di offrire ai consumatori un‟attenta assistenza tecnica durante e successivamente la fase di acquisto. Il settore di televisori è stato caratterizzato da continui mutamenti, derivanti da fattori esogeni ed endogeni alle aziende stesse. In particolare, il ruolo svolto dall‟innovazione tecnologica è stato determinante, in quanto il ricorso a metodi produttivi più efficienti e

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le modifiche apportate ai prodotti in termini tecnici (passaggio dal bianco e nero ai colori, introduzione del telecomando e degli optional funzionali) hanno determinato le diverse fasi dello sviluppo dell‟intero settore (Silvestrelli 1999, p. 213).

L‟evoluzione della tecnologia rappresenta un ulteriore elemento problematico per le imprese produttrici di apparecchi televisivi. L‟introduzione della tecnologia digitale e lo sviluppo delle applicazioni multimediali determineranno consistenti modificazioni negli apparecchi sia a livello tecnologico che a livello di funzioni del prodotto (Lim 1998). All‟inizio del nuovo millennio l‟industria televisiva è fortemente interconnessa ad altri settori, come per esempio hi-fi, computer, tecnologia dell‟informazione e della

comunicazione e apparecchi elettronici in genere. Tutto questo rende più soffusi i confini tra questo settore e gli altri, ma al tempo stesso, aumenta la concorrenza tra i settori coinvolti (Kogut 1991, p. 36).

L‟industria elettronica, e in particolar modo quella riguardante la produzione di televisori, è stata caratterizzata negli ultimi anni da un grande sviluppo. Secondo il Rapporto Annuale dell‟ANIE (Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche) nel 2014 in Italia l‟industria elettronica ha conseguito un fatturato di 9668 milioni di Euro, con una variazione dell‟ 1,6% rispetto all‟anno precedente

(http://anie.it/relazione-attivita-assemblea-anie-2015/?contesto-articolo=/chi-siamo/documenti-istituzionali/#.VhzpUfntmko. Sito consultato il 10/01/2016).

L‟industria televisiva, in questo periodo, è caratterizzata da tre fattori: innovazione tecnologica, sviluppo economico di nuovi Paesi e la crescita manageriale ed economica del sistema commerciale.

Le innovazioni tecnologiche possono essere considerate il fattore principale dell‟evoluzione di questo settore, avendo determinando significanti cambiamenti sia nei prodotti che nei sistemi d produzione (Leifer et al 2000). Questi cambiamenti sono stati talvolta radicali (come il passaggio dal bianco e nero alla televisione a colori), ed hanno creato nuovi segmenti di mercato modificando in maniera consistente gli accordi e le modalità di competizione. Nella maggior parte dei casi i cambiamenti sono avvenuti in modo “incrementale”, modificando cioè il prodotto in termini di dimensione, performance e optional offerti (Henderson Clark 1990; Gallinaro 2004). L‟origine dell‟innovazione, invece, ha spesso luogo all‟interno del settore, con grandi investimenti

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nel settore della ricerca e sviluppo mediante il quale le grandi compagnie creano innovazione.

Alcune aziende cercano di trovare un modo per differenziare i propri prodotti, ma a partire dagli anni 2000 il settore televisivo è diventato molto omogeneo, tanto da essere definito “intercambiabile” in termini qualitativi: la tecnologia all‟interno delle parti e dei componenti è ora standardizzate praticamente conosciuta da tutte le aziende a livello mondiale. La standardizzazione è una diretta conseguenza della globalizzazione (Levitt 1983).

Un altro aspetto che ha cambiato la struttura globale e gli accordi circa la competizione nel settore televisivo è lo sviluppo economico di alcuni Paesi Orientali. Si possono identificare due diverse ondate che hanno influenzato il settore (Silvestrelli 2008): la prima negli anni ‟90 da parte delle multinazionali asiatiche (per lo più coreane come la Grunding e la Samsung), la seconda agli inizi degli anni 2000 dalle aziende indiane e cinesi. Queste nuove entrate hanno seriamente compromesso non solo la competitività delle aziende europee e giapponesi, ma anche la sopravvivenza delle piccole e medie imprese, producendo sia il prodotto finale che i componenti.

La reazione competitiva delle aziende europee si è sviluppata in termini di innovazione di prodotti e diverse forme di collaborazione sia con i diretti competitori che con le imprese a monte (Andersen 1999; Tidd Bessant & Pavitt 2001). Queste risposte hanno dato come risultato un effetto positivo solo temporaneo, non sufficiente a placare la crisi di molte compagnie europee, che hanno cessato l‟attività (o sono state inglobate da altre aziende) tra gli anni ‟90 e i primi anni 2000.

Le poche aziende europee sopravvissute sul mercato hanno aumentato i loro affari, facendo così crescere l‟industria televisiva europea. È comunque possibile far alcune distinzioni tra i vari paesi europei: nel 2008 paesi come Olanda, Inghilterra, Francia e Germania hanno aumentato le loro vendite mentre altri paesi come Italia e Spagna sono rimasti pressoché fermi.

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1.2.3 Caratteristiche della forza lavoro

Il titolare segue direttamente il sistema di gestione del personale e si occupa del reclutamento delle risorse umane qualitativamente e quantitativamente, in relazione ai differenti compiti da svolgere. L‟attività di selezione avviene in modo arbitrario ed è certamente vincolata dal giudizio dell‟imprenditore.

Le persone che entrano a far parte dell‟impresa solitamente sono nati e cresciuti in aree limitrofe rispetto a quella dove è situata l‟impresa produttrice.

Un aspetto singolare che caratterizza la scelta del personale risiede nella particolare tipologia di tali dipendenti: in molti casi intere generazioni di famiglie si sono succedute nel lavoro in fabbrica. Questo ha consentito un sempre maggiore coinvolgimento degli operai, permettendo la trasmissione di una conoscenza profonda di processi produttivi ed anche del clima aziendale (Silvestrelli 2004, p. 285). Quella del personale è una precisa scelta di politica del personale, dal momento che si ritiene che, assumendo familiari e amici del personale già in organico, si accresca il senso di identificazione degli operai con la fabbrica.

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1.2.4 Cultura dell‟organizzazione

L‟affezione al lavoro, la lealtà e la collaborazione verso i colleghi, l‟inclinazione di proporre e realizzare innovazioni sia pure incrementali, la possibilità di migliorare la propria posizione lavorativa ed economica nell‟ambito dell‟organizzazione indipendentemente dal titolo di studio, il rispetto verso un titolare riconosciuto come manager capace e competente, un‟elevata competitività tra i dipendenti nel contribuire meglio degli altri al conseguimento degli obiettivi produttivi e commerciali, hanno costituito i valori che hanno permesso alla Mivar in questa fase di diventare leader del proprio segmento di sviluppo (Silvestrelli 2004, p.285).

L‟informalità sta alla base della cultura dell‟organizzazione e questo si riscontra anche nella politica di incentivazione e responsabilizzazione del personale: non vengono costituiti formali gruppi di lavoro, non vengono organizzate riunioni di coinvolgimento, non vengono utilizzati documenti per informare il personale circa eventuali progetti da realizzare o problemi da risolvere. Non si usano strumenti informativi di sensibilizzazione dei lavoratori sugli obiettivi aziendali. Il circuito informativo si basa sulla comunicazione informale e sul contratto diretto tra le persone: questa si realizza nei reparti produttivi mediante il ricorso a forme intermedie ed i responsabili della qualità e della progettazione. Queste forme intermedie vengono chiamate “maestre di linea” e svolgono una funzione di integrazione tra gli operai e l‟imprenditore senza però essere caratterizzate da una differente collocazione gerarchica (Silvestrelli 2004, p.290). L‟atmosfera aziendale è ben fotografata dall‟immagine del titolare che pranza ogni giorno (o quasi) nella mensa della fabbrica e stando al tavolo con i propri tecnici e capi-operai parla del lavoro fatto e da fare, risolvendo così anche qualche problema tecnico di progettazione o di produzione.

Esiste una limitata attività di formazione rivolta ai dirigenti che si occupano delle attività commerciali, acquisti e contabilità. Per quanto riguarda il personale operaio, invece, l‟approccio del “learning by doing” sembra essere quello che maggiormente permette di apprendere modalità di utilizzo dei macchinari e metodologie di lavoro. C‟è comunque da dire che l‟elevato grado di integrazione verticale e la meccanizzazione

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delle fasi del processo produttivo non consentono alcuna autonomia nella gestione del lavoro, ma, anzi, rendono l‟attività lavorativa piuttosto standardizzata e ripetitiva. Uno dei fondamenti della cultura d‟impresa si basa sul principio che per ottenere validi risultati dai propri dipendenti occorre che l‟imprenditore dia per primo il buon esempio. Per questa ragione Vichi cerca di trasmettere a tutti i dipendenti i valori della dedizione al lavoro, recandosi in fabbrica anche la domenica, e del lavoro, facendo capire a tutti che nell‟azienda come nella vita non si concede alcun lusso. In fabbrica l‟imprenditore non dispone di un ufficio lussuoso, né di segretarie personali: lavora su di una scrivania in mezzo al reparto produttivo, sulla quale in realtà non passa molto tempo, dato che normalmente si aggira tra i reparti produttivi a controllare il lavoro, a dare consigli, a raccogliere opinioni (Silvestrelli 2004, p.293).

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1.2.5 Strategia dell‟organizzazione

La Mivar riesce ad ottenere un grande sviluppo economico grazie a due strategie: leadership di costo e marketing concentrato. La prima è intesa come la ricerca della massima efficienza operativa, al fine di produrre televisori di buona qualità ad un basso costo e di vendere tali prodotti a prezzi inferiori a quelli dei concorrenti. La seconda strategia è diretta ad offrire i prodotti aziendali soltanto nel segmento di mercato dove la domanda tende a crescere (Silvestrelli 2004, p.281).

Nell‟ambito delle strategie realizzate dalla Mivar nel percorso di crescita, indubbiamente opportuna è risultata la scelta negli anni ‟70 di continuare a produrre e a commercializzare televisori in bianco e nero, quando già le altre imprese concorrenti avevano eliminato tale articolo dalla propria gamma produttiva e si sono incentrati solo sulla produzione di nuovi apparecchi a colori. Proprio in quel periodo alcune grandi imprese oligopolistiche italiane ed europee hanno abbandonato completamente la fabbricazione di televisori in bianco e nero per sfruttare al massimo la domanda di apparecchi televisivi a colori, la quale si manifestava decisamente in espansione, soprattutto nel mercato italiano. L‟idea vincente del titolare della Mivar fu appunto quella di non mettersi in gara per vendere i nuovi tv color: egli preferì continuare a soddisfare efficacemente la richiesta di televisori in bianco e nero che proveniva ancora da diverse fonti, quali piccoli centri urbani, tv per la seconda casa, richiesta delle famiglie meno abbienti (Silvestrelli 2004, p.283).

Mentre le imprese più innovative si sono trovate a fronteggiarsi in un processo competitivo sempre più duro che deprimeva i prezzi di vendita, la Mivar si trovò ad agire come un‟azienda monopolistica nella produzione e nella commercializzazione degli apparecchi in bianco e nero per un periodo superiore a dieci anni.

Questa strategia ha consentito a Vichi di continuare ad avvalersi del personale dipendente già esistente all‟interno dell‟impresa per molti anni. Ciò ha accentuato da un lato la sicurezza del posto di lavoro per i dipendenti, accompagnata da una parziale immutabilità delle modalità e delle prassi lavorative, dall‟altro, la persistenza di un atteggiamento paternalistico e sovente autoritario del titolare nei confronti del personale.

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Relativamente alla politica di comunicazione, l‟impresa non ha mai realizzato investimenti in attività pubblicitaria, ricorrendo però a forme di comunicazione che si sono rivelate particolarmente efficaci, come effettuare sconti promozionali per sollecitare la domanda quando questa tendeva a diminuire. Si è potuto inoltre riscontrare che l‟impresa vendeva i suoi televisori ad alberghi, scuole, comunità di istituzioni. Senza programmare alcuna forma di comunicazione, in realtà la Mivar ha realizzato in tal modo una forma di propaganda, che si è rivelata un potente mezzo attraverso il quale è stato possibile migliorare la conoscenza dei prodotti presso i consumatori e determinarne le preferenze (Valdani 1986).

Un‟altra forma di propaganda che è stata realizzata si basa sul particolare contratto che la legava alla RAI. L‟impresa infatti rifornisce la maggior parte degli studi televisivi di suoi apparecchi, concedendo alla RAI il pagamento di un prezzo forfettario, sostanzialmente un costo d‟uso, in quanto i televisori vengono utilizzati per un certo periodo e poi restituiti all‟azienda. Questo non aveva l‟obiettivo di far conseguire guadagni, ma ha un‟efficacia forse superiore a qualsiasi altra forma di pubblicità, contribuendo in modo significativo ad accrescere la garanzia e l‟affidabilità dei prodotti (Silvestrelli 200, p. 285).

Tutto questo ha portato una notevole diffusione del marchio e dell‟immagine dell‟azienda. La Mivar è riuscita a far conoscere il proprio prodotto senza ricorrere ad investimenti pubblicitari, ma prestando particolare attenzione alla qualità della sua offerta nella consapevolezza che il soddisfacimento del consumatore è la miglior forma di pubblicità.

Un altro interessante aspetto da rilevare è rappresentato dalla essenzialità della gamma produttiva offerta. Il numero di modelli è infatti sufficientemente elevato da soddisfare le diverse esigenze dei consumatori. A differenza delle imprese concorrenti, l‟azienda offre un assortimento poco ampio e poco profondo, che ha permesso di unificare il più possibile il processo produttivo e di conseguire elevate economie di costo. Un‟occasione di risparmio nasce anche dalla ristretta varietà di optional. Questa scelta, sebbene penalizzi l‟azienda dal punto di vista dell‟offerta al cliente, consente di ridurre al minimo i costi di riattrezaggio. La rapidità di attuazione delle modifiche è una costante nella gestione delle operazioni di produzione. Si racconta che un giorno Vichi notò che nel reparto collaudo l‟operaio per azionare il televisore doveva prima sfilare il

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telecomando dall‟apposita custodia e poi reinserirlo (perdita di tempo e rischio di caduta del telecomando). Vichi decise subito di affrontare il problema e dopo mezza giornata vengono immesse in produzione delle custodie con una finestra all‟altezza dei comandi che, oltre ad ovviare al problema, diventano un elemento caratteristico del televisore Mivar (Silvestrelli 2004, p. 286).

La strategia di leadership di costo si basa su una particolare organizzazione del lavoro all‟interno della fabbrica, dovuta alla velocità con la quale le informazioni venivano rilevate per poi essere rielaborate dando luogo al processo decisionale. La figura del titolare, accentrando su di se tutto il potere decisionale ed organizzativo e spostandosi personalmente da un posto ad un altro della fabbrica, permette alle informazioni di circolare nei modi e nei tempi opportuni, evitando inefficienze burocratiche, ritardi, urgenze e discontinuità, mirando perciò a ridurre il proprio ciclo produttivo. (Rispoli 1989). Il lay-out degli impianti non è casuale, ma nasce da un attento studio della funzionalità e dei flussi operativi. Esso è tipicamente a forma di ferro di cavallo, con una disposizione dei vari reparti in due aree distinte: la parte elettronica e la parte meccanica. Ciascun‟area è collegata alle altre da una zona di passaggio, al fine di favorire le comunicazioni e lo scambio di informazioni tra le varie stazioni di lavoro (Silvestrelli 2004, p.290).

Un importante aspetto nell‟ambito della politica di prodotto è costituto dall‟assistenza tecnica che l‟impresa può garantire ai consumatori in caso di guasto e difettosità dell‟apparecchio nel momento successivo all‟acquisto. L‟assistenza tecnica rappresenta di fatto un supporto fondamentale per i consumatori perché quanto più un prodotto è tecnologicamente sofisticato, tanto più le vendite dipendono dalla quantità e dalla disponibilità dei servizi per il consumatore ad esso associati (Ferrero 1984).

L‟assistenza tecnica rappresenta un indubbio punto di forza per la Mivar, la quale sembra avere compreso perfettamente il suo ruolo strategico, al punto di includerla tra le più importanti attività d‟impresa. Quest‟ultima infatti si configura come un‟azienda “service intensive”, in quanto offre ai consumatori un insieme di servizi che la rendono forse unica in Italia: essa si differenzia dalle imprese concorrenti nella capacità di effettuare riparazioni in un tempo di gran lunga inferiore a quello necessario alle altre aziende del settore. Questo risulta possibile in quanto tutti i componenti di ricambio sono già nei laboratori tecnici delle agenzie di rappresentanza, nelle quali personale

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tecnico competente risolve in breve tempo gli eventuali problemi relativi al televisore. Un‟altra considerazione da fare è che spesso le imprese estere che operavano in Italia non avevano una rete di assistenza, ed inoltre presentano talvolta consistenti difficoltà nel far pervenire nel mercato italiano i componenti utili per le riparazioni, in quanto fabbricati all‟estero (Silvestrelli 2004, p.285).

Vengono assicurati alla clientela tre elementi essenziali: competenza del personale tecnico, disponibilità delle parti componenti di ricambio in zona e velocità nelle prestazioni svolte nei laboratori e nella logistica.

Una particolare attenzione viene dunque riservata ai prezzi di ricambio, che vengono prodotti in numero maggiore rispetto alle esigenze di produzione: alla fine degli anni ‟90 si contavano 20 centri assistenza dislocati in ogni regione italiana. Questo ha consentito all‟azienda di assicurare un efficiente servizio tecnico post-vendita, che contribuisce a sviluppare la fiducia e la sicurezza dei consumatori nei suoi confronti. L‟organizzazione e la gestione delle attività di assistenza è prevalentemente affidata agli agenti con deposito, i quali, come operatori economici autonomi, assicurano la vendita dei pezzi di ricambio a commercianti, a tecnici-riparatori ed a consumatori, assumendo anche l‟onere economico della gestione scorte.

Questa attività è fondamentale per il successo di mercato dell‟impresa, la quale ha instaurato un rapporto di cooperazione amministrativa con tali intermediari. Con il termine cooperazione amministrativa si intende la definizione di Dawson e Shaw, cioè una cooperazione gestita dal partner che presenta un maggiore potere nella relazione dualistica; questo significa che la dipendenza può essere usta strategicamente per aumentare le cooperazioni e per diminuire il conflitto (Dawson Shaw 1989).

Il televisore Mivar quindi si configura come un prodotto ampliato, nel senso che esso è costituito, non soltanto dalle sue caratteristiche tangibili, ma anche dall‟insieme di servizi per e post-vendita che l‟impresa offre e garantisce all‟acquirente.

Vichi non ritiene opportuno rivolgersi ai mercati esteri per due ragioni: ritiene che ci sia ancora possibilità di espansione sul nostro mercato e al tempo stesso non ritiene che Mivar conosca sufficientemente i gusti dei consumatori e le caratteristiche dei mercati fuori del nostro Paese. Non vuole commettere l‟errore delle grandi multinazionali, che, nell‟ottica della globalizzazione del commercio hanno cercato di uniformare le esigenze

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dei differenti mercati nazionali. A queste motivazioni ne aggiunge una terza di carattere più personale: ritiene che gli stranieri non si fidino più degli italiani a causa dell‟atteggiamento tenuto dal nostro Paese durante l‟ultimo conflitto mondiale (Vichi parla del tradimento verso i Tedeschi).

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1.2.6 Tecnologia del posto di lavoro

L‟azienda non ha mai avuto una struttura organizzativa, ma è un‟azienda gestita da un imprenditore che ne è anche l‟unico proprietario. Il potere è dunque autoritario e l‟imprenditore esercita un potere tra l‟autoritario e il paternalistico, seguendo direttamente e controllando tutte le attività. La delega del potere decisionale è molto limitata e comunque mai formalizzata, per questo si può parlare di decentramento organizzativo (Brusa 1986).

Utilizzando la classificazione di Mintzeberg si può definire la struttura organizzativa della Mivar di tipo “semplice” in quanto presenta le seguenti caratteristiche: un limitato vertice strategico, una supervisione diretta, un limitato ricorso alla formazione, un sistema di pianificazione e controllo poco sviluppato, bassa specializzazione dei compiti e scarsa formalizzazione dei comportamenti (Mintzberg 1985).

L‟impresa ha mantenuto inalterati i tratti tipici di un‟impresa e gestione individuale centrata sulla figura dell‟imprenditore. È evidente che l‟imprenditore accentra le funzioni strategiche: svolge, infatti, la funzione di direttore generale e di responsabile della produzione. In maniera atipica la direzione commerciale e quella amministrativa sono affidate alla responsabilità di un unico dirigente, il sig. Ferretti, che ha affiancato Vichi fin dalla nascita dell‟azienda. Gli unici compiti che Feretti può svolgere autonomamente sono quelli relativi alla gestione di vendita interna (operante nelle filiali) e della forza di vendita indiretta (con agenti di commercio).

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1.3 La coerenza interna nel caso Mivar

1.3.1 Definizione e criteri di misurazione della coerenza interna

Esistono tre aspetti che riguardano la coerenza interna: la coerenza che riguarda il singolo dipendente, quella che riguarda il trattamento riservato a tutti i dipendenti e la coerenza temporale.

Il primo aspetto si occupa dell‟integrazione del singolo individuo all‟interno del progetto di gestione delle risorse umane dell‟azienda. Per esempio se un‟impresa adotta una politica di specializzazione e aggiornamento nei confronti dei propri dipendenti, allora sarà coerente integrare tali politiche con altre di compensazione, promozione e reclutamento per ridurre i costi (Baron Kreps 1999).

La coerenza rispetto al singolo dipendente riguarda la coerenza di trattamento attuato nei confronti dei vari lavoratori. Se il dipendente A viene trattato in un certo modo, allora anche il dipendente B, che ha un situazione simile ad A, deve essere trattato nella stessa maniera ( Baron Kreps 1999).

Il terzo aspetto riguarda la continuità con la quale vengono attuate determinate politiche delle risorse umane. Le imprese devono dimostrare un certo livello di coerenza temporale e continuità. Dimostrarsi coerente non è affatto facile e può dipendere da molti fattori, primo tra i quali il tasso di cambiamento dell‟ambiente. In generale, però, possiamo dire che il modo in cui è trattato un determinato dipendente non dovrebbe differire radicalmente da come è stato trattato in passato (Baron Kreps 1999).

Tali aspetti portano l‟azienda ad ottenere diversi vantaggi, che dopo andrò ad analizzare: vantaggi economici, psicologici e sociali, nel reclutamento e nella selezione. Più difficile è capire come poter misurare la coerenza. Mentre per quanto riguarda la coerenza tra i viari dipendenti e quella temporale la risposta è abbastanza semplice (uniformità di pratiche e trattamenti simili ad individui con mansioni simili e portare avanti con continuità una stessa filosofia di gestione delle risorse umane), più difficile è capire come misurare la coerenza riguardante il singolo individuo. Sfortunatamente non esiste una formula da utilizzare per capire se l‟attuazione di una politica di gestione

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delle risorse umane è più coerente rispetto ad un‟altra ma possiamo provare ad utilizzare la cosiddetta logica dei vantaggi.

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1.3.2 Vantaggi economici

I vantaggi economici possono riguardare, per esempio, la formazione dei lavoratori. Se un‟azienda sceglie di investire nella formazione dei suoi dipendenti vedrà incrementare il proprio valore adottando politiche che hanno lo scopo di diminuire il turn-over. Quando la formazione sul lavoro richiede parecchi anni, intraprendere politiche caratterizzate da mansioni che riguardano l‟esperienza, e quindi la riduzione del turn-over tra i lavoratori con un trascorso importante nell‟azienda, ha senso. Se si adotta una politica delle risorse umane volta a incrementare gli investimenti nella formazione dei lavoratori questo porterà ad una maggiore stabilità dell‟occupazione. Non avrebbe alcun senso per l‟impresa sostenere i costi per la formazione di uno o più individui e poi non mantenerli all‟interno dell‟azienda stessa. Se questo succedesse non solo si dovrebbero sostenere dei costi inutili, ma si rischierebbe anche di avvantaggiare imprese concorrenti che potrebbero usufruire delle nozioni apprese dal lavoratore nei corsi di formazione precedenti (Baron Kreps 1999).

Queste ragioni riguardano il singolo lavoratore, ma allo stesso tempo la coerenza temporale e quella tra lavoratore e lavoratore ha diversi vantaggi, avendo a che fare con l‟ammortizzazione dei costi di amministrazione (Baron Kreps 1999).

Per quanto riguarda il caso di studio, non vi è all‟interno della Mivar un investimento nella formazione del personale. Le mansioni che i lavoratori devono svolgere sono semplici e ripetitivi, caratterizzati da un autonomia decisionale praticamente nulla. Il fatto che non si investa in formazione, però, non implica il fatto che non sia possibile fare una carriera all‟interno dell‟azienda. Chi entra nella Mivar, al contrario, ha la sostanziale garanzia di un impiego a vita, durante il quale se dimostra di essere capace può scalare tutti i gradini della carriera: una delle ultime responsabili a dirigere la produzione è stata infatti una donna entrata in fabbrica a 18 anni con la qualifica di operaia.

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1.3.3 Vantaggi psicologici e sociali

Il secondo motivo per il quale è vantaggioso perseguire una coerenza interna riguarda i vantaggi psicologici e cognitivi. Grazie alla psicologia sappiamo che i messaggi sono più facili da ricordare quando gli stimoli e le sensazioni che trasmettono sono semplici e supportano lo stesso argomento, come avviene in una campagna pubblicitaria. La coerenza, che in questo caso implica semplicità, è quindi desiderabile perchè aiuta il processo di apprendimento che gli individui devono intraprendere, per capire cosa l‟impresa si aspetta da loro e cosa loro possono aspettarsi dall‟impresa (Baron Kreps 1999).

È importante anche il modo nel quale l‟azienda monitora i suoi lavoratori. Essa potrebbe perseguire una politica volta a monitorare da vicino il personale oppure fidarsi dei dipendenti. Nel primo caso i lavoratori potrebbero percepire di non essere considerati responsabili e cambiare i loro comportamenti agendo in modo conforme alle regole, dimostrandosi così degni di fiducia. Un controllo troppo stretto, però, potrebbe cozzare con l‟autonomia e la fiducia e quindi compromettere la performance lavorativa del dipendente. Controllare i lavoratori basandosi esclusivamente sulla fiducia, invece, potrebbe esser rischioso: essi potrebbero reagire tradendo la fiducia che gli era stata data (Baron Kreps 1999).

Anche i vantaggi psicologici possono essere analizzati prendendo in considerazione i rapporti tra un lavoratore e l‟altro e il piano temporale: un dipendente può supporre che come lui saranno stati trattati altri nel passato e quindi questo potrebbe fornirgli dati per capire come sarà trattato in futuro. Se le politiche riguardanti le risorse umane cambiano di frequente o variano sensibilmente nei confronti di lavoratori che hanno ruoli simili, allora il processo di apprendimento relativo a ciò che si devono aspettare e ciò che in realtà sarà potrebbe essere seriamente compromesso.

Analizzando il caso di studio è possibile notare come ci sia uno stretto monitoraggio attuato direttamente dal proprietario dell‟azienda nei confronti dei dipendenti. Vichi passa in rassegna ogni settore per controllare, verificare e giudicare l‟operato di ogni singolo dipendente con lo scopo di massimizzare l‟impegno e la produttività di ogni singolo lavoratore. Il tono autoritario ma amichevole, quasi paterno, che l‟imprenditore

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ha nei confronti di propri sottoposti, fa si che il clima che si respira all‟interno dell‟impresa non sia un clima di terrore, ma piuttosto sia un clima sereno, informale e disteso, ma che non da tregua a sfaticati ed assenteisti: ogni giorno Vichi in persona scrive i loro nomi su una lavagna nera all‟ingresso dello stabilimento. La Mivar si presenta coerente prendendo in considerazione il trattamento dei vari lavoratori. Nell‟azienda erano occupate anche la moglie e le figlie di Vichi, ma questo non ha mai provocato conflitti di interesse. La gestione di un‟impresa familiare tende infatti a far coincidere le esigenze della famiglia con quelle dell‟impresa, ma poiché questi due sistemi hanno proprie finalità, molto spesso il tentativo di conciliazione è piuttosto difficile. I conflitti e le contraddizioni si verificano quando le norme e i comportamenti alla base della gestione familiare non coincidono con quelli relativi alla gestione aziendale e qualsiasi strategia di compromesso determina debolezze nell‟attività aziendale (Schillaci 1990).

Non esistono nodi conflittuali tra gli interessi della famiglia e quelli dell‟impresa, ne tanto meno vi sono forme di favoritismo nei confronti dei membri del clan familiare. Il proprietario considera i suoi familiari come tutti gli altri dipendenti e richiede a questi il massimo impegno, dirigendoli con atteggiamento autoritario. Proprio perché il potere decisionale e il controllo sulle principali attività sono accentrati nelle sue mani, non vi è alcun rischio che si possano verificare comportamenti di tipo individualistico e non conformi agli obiettivi aziendali.

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1.3.4 Vantaggi relativi al reclutamento

Il terzo punto riguarda i vantaggi nel reclutamento e nella selezione del personale. I lavoratori non sono tutti uguali, hanno diverse qualità e renderanno meglio in un‟organizzazione nella quale essi possano esprimere le loro qualità. Alcune imprese potrebbero sperare che coloro che sono in cerca di lavoro capissero quale sia l‟azienda nella quale potersi esprimere al meglio, di fatto auto-selezionandosi. Questo vantaggio dell‟impresa coerente non è da sottovalutare perché snellisce e non poco il processo di selezione e assunzione dei candidati, evitando coloro che non hanno i requisiti necessari per l‟occupazione oppure non sono convinti appieno delle mansioni che andranno a svolgere. Se il lavoro svolto non corrisponde ai loro gusti, i dipendenti potrebbero non essere felici e sentirsi inadeguati, limitando così la propria produttività. Perseguire un comportamento coerente in questo caso è molto importante: coloro che si candidano per un posto di lavoro hanno tutti gli strumenti per comprendere quelle che saranno le loro mansioni e l‟ambiente nel quale andranno a porsi, ci sarà una correlazione tra le preferenze di colui che viene assunto e le persone già presenti all‟interno dell‟impresa, creando così un ambiente di lavoro omogeneo per quanto riguarda le preferenze di dipendenti ed una grande coesione tra i lavoratori (Baron Kreps 1999).

Nel caso della Mivar le caratteristiche che si dovevano avere per poter diventare un dipendente dell‟azienda erano molto chiare: provenire dalla zona milanese, essere disposto al massimo impegno ogni giorno, mettere il benessere dell‟impresa al primo posto, essere disposto a svolgere un lavoro ripetitivo e tal volta noioso, essere disposto ad essere monitorato continuamente, non avere alcuna voce in capitolo nei processi decisionali, non essere rappresentato da nessun sindacato.

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2. L’organizzazione delle risorse umane nella Mivar tra

Mercato del Lavoro Interno e High Commitment

2.1

Il Mercato del Lavoro Interno

2.1.1 Definizione e importanza del Mercato del Lavoro Interno

Quando si parla di mercato del lavoro interno (MLI) si intende un modello all‟interno del quale la carriera di un lavoratore, o di alcune tipologie di lavoro, si sviluppa interamente o principalmente in una singola organizzazione. Gli individui vi entrano attraverso un numero limitato di porte d‟ingresso per poi non uscirne più. In alcuni casi, le imprese potrebbero attingere dall‟esterno e assumere dipendenti ma solo per impieghi specifici che abbisognano di competenze altrettanto mirate. (Baron Kreps 1999).

La definizione di mercato del lavoro interno comprende vari elementi: la presenza di un contratto di lavoro, la promessa di stabilità della professione, un sistema di promozione interna piuttosto esplicito, l‟esistenza di una gerarchia di competenze acquisite sul lavoro, l‟esistenza di regole formali spesso in forma scritta e una forte enfasi nei confronti dell‟anzianità (Baron Kreps 1999).

Il termine “mercato del lavoro interno” è in realtà un termine improprio, in quanto esso non è un mercato a tutti gli effetti ma un sistema amministrativo per l‟organizzazione del lavoro. Ciò che distingue tale modello da un mercato vero e proprio è la mancanza, in tutte le caratteristiche sopra citate, dei prezzi che in questo specifico caso potrebbero essere identificati con il salario, cioè lo scambio di una prestazione lavorativa per un compenso (Baron Kreps 1999).

Le imprese che adottano tale schema non sono tutte uguali, ma possono presentare delle differenze rispetto al disegno originale. Una variazione potrebbe essere quella riguardante i criteri di avanzamento della carriera all‟interno dell‟organizzazione: nelle imprese giapponesi produttrici di automobili, per esempio, gli operai avanzano

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attraverso otto livelli di lavoro, dove il livello occupato da ciascun individuo dipende dalle competenze acquisite nell‟impresa. In altre aziende, invece, possono essere privilegiati altri criteri di avanzamento, quali per esempio anzianità, superamento di determinati esami, prestazioni oppure criteri meno formali come la lealtà. Un altro tema di variazione è dato dalla quota di forza lavoro che viene utilizzata: alcune organizzazioni cercano di attuare politiche volte a creare nei lavoratori un senso di appartenenza nei confronti dell‟impresa. Starbucks, una famosa catena americana di caffetterie, per esempio, fornisce ai propri dipendenti (che sono anche soci) stock-options verso tutti coloro che lavorano per almeno 20 ore a settimana, sia che questi siano lavoratori fissi o che siano part-time. Molte volte la definizione tra i dipendenti che sono utilizzati nel MLI e quelli esclusi è molto netta: in alcune imprese manifatturiere giapponesi vengono inglobati nel mercato del lavoro interno i giovani ragazzi neo-diplomati, ma ne vengono spesso escluse le ragazze o le donne, che vengono utilizzate solo come part-time o come dipendenti stagionali. Infine, l‟ultimo aspetto che può variare da un modello di mercato MLI all‟altro è quello delle caratteristiche strutturali e culturali: alcune organizzazioni possono ricordare burocrazie inflessibili, altre adottano politiche di risorse umane atte ad aumentare la flessibilità della forza lavoro e l‟impegno intrinseco per l‟organizzazione (Baron Kreps 1999). È possibile affermare, in termini generali, che molti fattori che favoriscono impieghi a lungo termine favoriscono anche il mercato del lavoro interno: ogni volta che le competenze necessarie per lo svolgimento di un lavoro derivano da una spesa del datore di lavoro, lo stesso titolare avrà l‟intenzione di ammortizzare i costi di formazione del personale con una durata più lunga di occupazione. All‟interno di un impresa possono essere distinte due tipi di competenza: quelle professionali e quelle specifiche. Le prime si riferiscono alle competenze che riguardano un lavoro particolare in una determinata azienda: per un impiegato addetto alla spedizione, per esempio, le competenze specifiche del processo dovrebbero includere la conoscenza delle forme di trasporto utilizzate dall'impresa in questione, la conoscenza degli spedizionieri della società, e così via. Le seconde, invece, riguardano una conoscenza più generale sull‟organizzazione. Il mantenimento della stessa forza lavoro è favorito, dunque, sia dalle capacità del primo tipo, sia dall‟impossibilità da parte del datore di lavoro di attuare una formazione quotidiana per aumentare le competenze specifiche dei propri dipendenti (Baron Kreps 1999).

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2.1.2 Vantaggi del Mercato del Lavoro Interno

I principali vantaggi del mercato del lavoro interno sono quattro: incentivi, vantaggi riguardanti lo screening, benefici riguardanti le assunzioni ed effetti sociali (Baron Kreps 1999).

I vantaggi derivanti dagli incentivi sono di natura psicologica. Le concessioni che il datore di lavoro regala ai propri dipendenti (trattamento equo e giusto, possibilità di fare carriera) potrebbero essere recepite come doni. In risposta a questo comportamento, quindi, il lavoratore, in segno di gratitudine, si impegnerà con maggiore dedizione nei suoi compiti per il bene dell‟azienda. Analogamente, questo tipo di vantaggio può essere visto anche dal punto di vista del datore di lavoro: se l‟imprenditore riesce a creare un mercato del lavoro interno con regole chiare, eque e condivise da tutti e a rispettare impegni di promozione e carriera interna promesse ai dipendenti, allora si aggiudicherà la piena e totale dedizione dei propri stipendiati agli obiettivi aziendali. Un altro aspetto di questo beneficio riguarda la possibilità di monitorare i lavoratori: alcuni aspetti dell‟operato dei dipendenti diventano evidenti, e quindi valutabili, solo dopo il trascorrere di un determinato periodo di tempo. Gli incentivi che motivano efficacemente questi aspetti, quindi, necessitano di una relazione a lungo termine tra datore di lavoro e lavoratore (Baron Kreps 1999).

I vantaggi riguardanti lo screening si riferiscono alla selezione dei candidati per un‟eventuale assunzione. Come è stato già fatto notare in precedenza, attingere dal personale che si trova all‟interno dell‟impresa è vantaggioso in quanto colui che sarà scelto avrà più informazioni e più conoscenze riguardo all‟organizzazione e alla propria mansione, rispetto ad un dipendente preso dal mercato esterno. La funzione di screening può servire anche per scoraggiare i propri stipendiati a lasciare volontariamente l‟impresa: poiché l'azienda che adotta un mercato del lavoro interno ha una conoscenza superiore sui propri dipendenti, coloro che la lasciano, allora, potrebbero apparire meno capaci agli occhi di un osservatore esterno. Ovviamente questo non è sempre vero, talvolta un dipendente può decidere di abbandonare il proprio posto di lavoro e la propria azienda per le scarse prospettive di carriera oppure per offerte più vantaggiose provenienti da altre imprese, ma giocarsi la carta del mercato del lavoro interno può risultare utile all‟organizzazione per trattenere un proprio salariato (Baron Kreps 1999).

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Per quanto riguarda i vantaggi riferiti alle assunzioni, è lecito dedurre che, avendo le stesse informazioni riguardo ai lavoratori esterni e interni all‟impresa, sarebbe comunque preferibile, dal punto di vista del reclutatore, puntare su coloro che si trovano già nell‟azienda per una ragione economica. I candidati interni, infatti, saranno in numero inferiore rispetto agli eventuali candidati esterni, e la loro valutazione comporterebbe un consumo di risorse maggiore in termine di costi, selezione e formazione (Baron Kreps 1999).

L‟ultimo beneficio è di tipo sociale. L‟assunzione di un discreto numero di nuovi impiegati al livello più basso della scala gerarchica nello stesso periodo di tempo può migliorare le prestazioni lavorative. È quello che accade in alcune aziende giapponesi, dove l‟assunzione di numerosi diplomati ha portato un impegno maggiore dei dipendenti che già erano all‟interno dell‟organizzazione ed occupavano i livelli gerarchici superiori. Queste nuove assunzioni al livello più basso possono creare sana competizione, e quindi un maggiore impegno da parte di tutti (Baron Kreps 1999).

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2.1.3

Principali critiche

Secondo l‟opinione di alcuni, il mercato del lavoro interno non è altro che un sistema per sfruttare la forza lavoro: questo modello permetterebbe all‟impresa di avere una posizione di forza nei confronti del lavoratore, grazie alla quale il datore di lavoro utilizzerebbe il MLI per non far lasciare l‟azienda ai propri dipendenti. Le organizzazioni sono in grado di placare le ire dei lavoratori e ridurre i costi per monitorarli e disciplinarli facendo coincidere i propri interessi a lungo termine con quelli dei loro salariati e promulgando regole che favoriscono l‟illusione di equità. Oltre a questo, aumentando i costi di uscita per un lavoratore, abbassano il potere contrattuale del lavoratore stesso nel caso in cui sorgessero conflitti tra lavoratore e supervisore (Baron Kreps 1999).

Altre critiche vengono mosse al mercato del lavoro interno perché manipola e divide la forza lavoro incoraggiando sottogruppi di dipendenti a competere tra loro (per le promozioni, la sicurezza del lavoro ecc.) e minaccia implicitamente la forza lavoro privilegiata attraverso l‟avvertimento che ci sarà sempre pronta una squadra a prendere il loro posto. I critici sostengono anche che le regole e le strutture formali, presenti in questo modello, istituzionalizzano le disuguaglianze all'interno della forza lavoro (forse volutamente), soprattutto a discapito delle donne, delle minoranze etniche, e di altri gruppi svantaggiati. Tuttavia, evidenze empiriche recenti suggeriscono che le azioni disciplinari e i costi sono sati ridotti da accordi derivanti da MLI, e che le organizzazioni con lunga permanenza della forza lavoro e un mercato del lavoro interno ben sviluppati richiedono una supervisione meno invasiva per controllare i dipendenti. (Baron Kreps 1999).

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