“politica-media”
3.1 Il quadro generale
L’operazione Provide Comfort nell’Iraq settentrionale del 1991 e l’operazione Restore Hope in Somalia del 1992-1993 furono entrambi interventi “umanitari” di grande rilievo. Le emergenti norme di intervento umanitario riscontrate nella guerra del Golfo in Iraq, a detta di numerosi commentatori si consolidarono, per lo meno dapprincipio, con l’intervento in Somalia. La volontà degli Stati Uniti di schierare truppe militari in contesti nei quali apparentemente non ci sarebbero interessi nazionali in gioco è sembrata essere la realtà al termine della guerra fredda. Entrambe le operazioni ricevettero anche un importante seguito da parte dei media: si ricordano certamente le immagini dei
marines americani che, sbarcati sulle spiagge di Mogadishu, furono
accolti dalla stampa mondiale. Ma con la fine dell’operazione Restore
Hope, ed in particolar modo con la trasmissione a livello mondiale del
soldato americano trascinato per le strade di Mogadishu, il futuro del “Nuovo ordine mondiale” di Bush e degli interventi umanitari sembrò essere inevitabilmente minato.
Le domande che andrò a pormi e ad analizzare nel corso dei successivi paragrafi riguarderanno il tipo di relazione esistente tra i media ed il governo nei confronti di questi interventi e se queste presunte operazioni furono esclusivamente il prodotto della copertura mediatica. Fornirò un breve background prima di addentrarmi in un esame approfondito delle operazioni, e dunque delle decisioni, condotte e prese in Somalia.
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3.2 La guerra civile e l’impegno statunitense
Situata vicino ad importanti giacimenti petroliferi del Medio Oriente ed a importanti rotte marittime, la Somalia era una nazione molto importante sia per l’Unione Sovietica che per gli Stati Uniti nel corso della Guerra fredda. Siad Barre prese il potere con un colpo di stato militare nel 1969 facendo rientrare il suo paese nella sfera di influenza sovietica ma, con l’inizio degli anni Ottanta, la Somalia divenne uno stato satellite degli Stati Uniti e, tra il 1980 ed il 1987, fu uno dei maggiori beneficiari nel continente africano di aiuti americani82. Tuttavia, con la fine della Guerra fredda, il supporto americano al dittatore Barre svanì e, dunque, il regime divenne instabile. Il Generale etiope Aideed condusse forze ribelli contro Barre mentre un gruppo d’élite all’interno della Somalia stessa cercava di rimuoverlo dal potere. Nel gennaio 1991 i combattimenti tra i ribelli e le forze governative raggiunsero la capitale Mogadishu e precisamente il 6 gennaio 1991 gli Stati Uniti lasciarono la Somalia e fecero evacuare il personale dell’ambasciata assieme a diplomatici di altri dieci stati83. Il
28 gennaio anche il dittatore Siad Barre lasciò il paese e da quel momento la Somalia cadde nell’anarchia poiché il conflitto passò dall’essere un conflitto tra ribelli e forze governative ad una guerra tra gruppi e sotto gruppi. In questo contesto il successo delle Nazioni Unite e gli aiuti da parte delle agenzie furono limitati tanto che nel gennaio 1991 furono ritirati. Al termine dell’anno tutti gli ufficiali delle Nazioni Unite lasciarono la Somalia.
Nonostante la Somalia fu abbandonata dalla comunità internazionale e dagli Stati Uniti, suo precedente alleato, elementi della dirigenza americana e reti di agenzie che fornivano aiuti
82 Cusimano, M. K. Operation Restore Hope: The Bush Administration’s Decision to Intervene in Somalia, Pew Case
Studies in International Affairs, Washington DC,WA: The Institute for the Study of Diplomacy, 1995, p.2.
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continuarono a prestare attenzione, sebbene da lontano, alle crisi che attraversavano il paese. È possibile dividere la risposta americana che seguì in due fasi ben distinte: la prima avvenne tra il gennaio 1991 e l’agosto 1992 quando il governo americano ordinò un ponte aereo che permettesse di ricevere aiuti; la seconda fase si riferisce alle ragioni che spinsero il governo degli Stati Uniti a prendere la decisione di intervenire in Somalia.
Nel marzo 1991, un anno e mezzo prima dell’intervento che avrà luogo nell’agosto 1992, l’assistente del Segretario di Stato Herman Cohen dichiarò che la Somalia si trovava in un conflitto civile così disastroso che l’ufficio per l’assistenza ai disastri esteri (Office of
Foreign Disaster Assistance) cominciò a finanziare interventi di
assistenza al paese. Dunque, ancora prima della decisione finale di intervento, componenti della dirigenza americana stavano già rispondendo alla guerra e alla carestia che affliggevano la Somalia. Solo a partire dalla primavera e dall’estate 1992 il paese divenne una seria questione politica da gestire e risolvere. Una combinazione di coordinate attività di lobby da parte di elementi della dirigenza americana unite ad un aumento dell’attenzione da parte dei media innalzarono il profilo della Somalia. Si ritiene che sia stato il telegramma intitolato Una giornata all’inferno, scritto dall’ambasciatore americano in Kenya Smith Hempstone Jr, a focalizzare l’attenzione personale del presidente Bush84 sulla crisi.
Infatti il 14 agosto 1992 l’amministrazione Bush ordinò un imponente ponte aereo per garantire assistenza alla Somalia. A questo intervento fu dato il nome di operazione Provide Relief. Questo ponte aereo fu un’importante intensificazione del coinvolgimento americano e fu il simbolo dell’impegno da parte dell’amministrazione Bush ad intervenire in Somalia.
84 Oberdorfer, D. The Path to Intervention, https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1992/12/06/the-path-to-
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Mentre il ponte aereo incrementò il flusso di aiuti diretti in Somalia, garantire sicurezza all’interno del paese continuava ad essere problematico. Episodi di corruzione e furto aumentarono sempre di più: somali ridotti alla fame erano indotti alla corruzione da parte di bande rivali le quali permettevano, in alcuni casi, il passaggio sul territorio degli aiuti alimentari provenienti dagli Stati Uniti. Parallelamente numerose scorte di cibo venivano solitamente razziate. Oltre a questo caos generale le agenzie per gli aiuti umanitari dipendevano, in maniera sempre maggiore, da uomini armati che garantivano loro una certa protezione. A causa di ciò 500 militari sotto la bandiera dell’ONU furono inviati in Somalia nel settembre 1992 con il supporto di quattro navi militari americane e 2.100 marines85. In
quel periodo il presidente Bush supportò pubblicamente l’uso di forze speciali per la sicurezza in Somalia. Con questi sviluppi, e con gli aiuti aerei in corso, l’attenzione da parte dei media raggiunse l’apice e poco dopo che iniziò la campagna presidenziale del 1992 la Somalia scomparve quasi totalmente dalle notizie annunciate dai telegiornali. Ricerche portate avanti da Jonathan Mermin, tra il 19 settembre e l’8 novembre solo 250 secondi complessivi, tra le maggiori emittenti televisive, furono dedicati alla crisi somala86.
Nel mese di novembre, in concomitanza con la fine della campagna presidenziale, la situazione in Somalia si era molto aggravata dal momento che la gran parte degli aiuti alimentari non riuscivano ad oltrepassare il porto di Mogadishu. Grazie all’aumento delle richieste da parte della comunità internazionale di proteggere la scorte alimentari, di rendere effettivi i soccorsi e di intraprendere azioni più efficaci in Somalia, l’attenzione degli alti funzionali dell’amministrazione Clinton si rivolse alla questione87. Il 9 novembre
1992 i senatori Paul Simon, Nancy Kassebaum e Harris Wofford
85 Robinson, P. op.cit.
86Mermin, J. Television News and American Intervention in Somalia, Political Science Quarterly, 1997, p.400. 87 Cusimano M.K., op.cit.
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richiesero un’azione immediata88. Arrivati a questo punto, l’assistente
del Segretario di Stato Robert L. Gallucci abbozzò una lettera con la quale avvisava il Segretario di Stato Lawrence Eagleburger del necessario intervento da mettere in atto in Somalia ed in Bosnia. Gallucci si incontrò con Eagleburger e, con grande risolutezza, affermò che gli Stati Uniti avevano tutte le carte in regola per porre fine alle devastanti crisi umanitarie che attraversavano i due paesi. È lo stesso Gallucci a dichiarare che il Segretario di Stato ascoltò la situazione illustratagli riguardante la Bosnia ma rispose che semplicemente non aveva tempo per risolvere anche quella89. Promise,
però, che avrebbe riferito tutto al presidente. Il 12 novembre l’assistente del Segretario di Stato riuscì a convincere Lawrence Eagleburger che gli Stati Uniti avrebbero condotto una coalizione per salvare la Somalia dalla fame con l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad utilizzare tutti i mezzi necessari90. Oltre a ciò le agenzie per gli aiuti umanitari americane e membri del Congresso portando le loro attività di lobby a livelli decisamente maggiori chiedendo azioni più efficaci in Somalia. Il 16 novembre i massimi rappresentanti delle organizzazioni di soccorso americane che lavoravano per cercare di risolvere la crisi in Somalia si incontrarono con ufficiali ONU a New York domandando maggiore protezione. Esattamente il giorno dopo 11 gruppi di soccorso iniziarono ad abbozzare una lettera da inviare all’amministrazione Bush con la quale dichiaravano che le agenzie umanitarie non potevano lavorare in maniera efficace e sicura in Somalia senza una maggiore sicurezza che sarebbe dovuta essere garantita loro. Oltre alle agenzie umanitarie, in quelle giornate, anche una delegazione del Senato capeggiata dal senatore Paul Simone ed un’altra alla cui guida vi era il repubblicano John Lewis, dopo aver visitato la Somalia, richiesero una maggiore
88 Mermin, J, op.cit.
89 Intervista con Robinson, P., il 16 gennaio 2001 in The CNN effect. The myth of news, foreign policy and intervention,
Routledge, 2002.
90 Oberdorfer, D. The Path to Intervention, https://www.washingtonpost.com/archive/politics/1992/12/06/the-path-to-
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sicurezza91. Il 18 novembre Bush ed il neo presidente eletto Bill Clinton si incontrarono. Tra quella data ed il 20 novembre Frederick C. Cuny e la sua agenzia per gli sviluppi internazionali americana (United States Agency for International Development) sostennero pubblicamente che la situazione era così tragica e le Nazioni Unite così lente ed inefficaci che le forze militari americani dovettero intervenire repentinamente senza attendere l’approvazione da parte dell’ONU92.
A partire dal 20 novembre dunque l’attenzione da parte di importanti policy-makers era garantita ed il primo di una serie di incontri tra le agenzie ebbe luogo. Lo scopo di questi incontri era quello di delineare e sviluppare linee politiche da mettere in atto e, infatti, Cuny aveva informato il Pentagono ed il Dipartimento di Stato prima di dare il via all’incontro. Stando a quanto riportato da Oberdorfer, il secondo di questi incontri segnò un punto di svolta riguardante la possibilità di schierare truppe sul territorio. Riporta Oberdorfer:
“Jeremiah, che si coordina giornalmente con il capo di Stato maggiore Powell, prese alla sprovvista il gruppo affermando che se qualcuno avesse pensato che un arrivo delle forze americane in Somalia fosse stato necessario, allora loro avrebbero potuto svolgere il lavoro93.”
Secondo Frank Wisener, Sottosegretario di Stato, questo cambiamento derivò dal desiderio di un coinvolgimento delle forze militari americane in una missione apparentemente “facile” rispetto ad una complicata come quella vigente in Bosnia che, si temeva, sarebbe stata affrontata dall’amministrazione Clinton in maniera non
91 Oberdorfer, op.cit.
92 Gelb, L., Shoot to Feed Somalia, New York Times, 19 novembre 1992. 93 Oberdorfer, op.cit.
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opportuna. Oberdorfer sostiene che la dichiarazione di Jeremiah trasformò l’utilizzo delle truppe di terra americane – un’opzione che prima era considerata impensabile dai policy-makers che non facevano parte del reparto militare – in una possibilità da perseguire. Il 24 novembre, il giorno in cui il Segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali scrisse al Consiglio di Sicurezza per sollecitare un intervento in Somalia94, le agenzie nel corso dei loro incontri ragionarono su tre opzioni. La prima suggeriva di continuare con le operazioni di aiuto umanitario già in corso cercando di rafforzare la presenza ONU in Somalia. La seconda proponeva una coalizione di forze internazionali sotto il comando delle Nazioni Unite nella quale le truppe d’aria, di mare ed il supporto logistico e comunicativo degli Stati Uniti venivano messi a disposizione, fatta eccezione per le truppe di terra. La terza ed ultima soluzione riguardava l’opzione di inviare una o più divisioni di truppe americane sotto il comando ed il controllo degli Stati Uniti. Il 25 novembre ci fu un incontro del Consiglio di Sicurezza nazionale nel quale si decise di prendere in considerazione la terza opzione, offrendo alle Nazioni Unite 28.000 truppe militari americane95 con il fine di capeggiare un intervento diretto ad assicurare l’arrivo degli aiuti alimentari. Il 3 dicembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votò a favore dell’intervento.
Risoluzione 794 (1992) adottata dal Consiglio di Sicurezza al suo 3145esimo incontro il 3 dicembre 1992, Nazioni Unite96.
94 Somalia, UNOSOM, http://www.un.org/en/peacekeeping/missions/past/unosom1backgr2.html. 95 Robinson, P., op.cit.
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Il presidente Bush, con un proclama televisivo alla nazione il giorno successivo, annunciò che truppe militari americane sarebbero state presto inviate in Somalia97. Il 9 dicembre le prime truppe di terra americane giunsero nel continente africano.