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1. L’oralità e l’ascolto (l’auralità) nel romanzo

1.2 Per un libro da ascoltare

1.2.1 Quali definizioni per il romanzo?

Manzoni nelle sue lettere utilizza diversi appellativi per il romanzo, spesso in espressioni di modestia nei confronti dei destinatari. È curioso, però, notare come tutte queste espressioni siano in qualche modo legate all’ambito dell’oralità, e della ripetitività che la contraddistingue, diventando quasi una spia della presenza delle stesse caratteristiche anche nei Promessi sposi (corsivi miei, nelle citazioni che seguono).

Per cominciare, in più di una lettera Manzoni definisce il romanzo cantafavola. Nel

Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia (GDLI da qui in avanti),

con questo termine si intende un «racconto lungo e inverosimile, pieno di sciocchezze e di fandonie tediose», una «ciancia»

86

: questo aspetto rientra nella modestia, reale o formale, con cui Manzoni si riferisce alla propria opera. Ma cantafavola è anche un «racconto con andamento ritmico a domande e risposte, misto di prosa e di verso (nell’antico francese)»

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: che sia noiosa e sciocca, oppure no, una cantafavola è comunque un racconto dall’andamento ritmico, costruito su stili e toni diversi; è un racconto che, seppur scritto, è anche cantato e cantilenante, e dunque conserva aspetti che lo legano strettamente all’oralità e all’ascolto. Anche il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana (d’ora in poi

85 ALESSANDRO MANZONI, Ad Alfonso della Valle di Casanova, in ID. Scritti linguistici editi, a cura di ANGELO

STELLA e MAURIZIO VITALE, Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro nazionale di studi manzoniani, 2000, pp. 313-325, qui pp. 321-323.

86 SALVATORE BATTAGLIA, cantafavola, in Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. II, Torino, UTET, 1961, p. 649.

87 Ibidem.

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DELI) definisce la cantafavola un «racconto lungo, inverosimile e noioso»88

, riportando la prima attestazione del termine alla fine del XIII secolo (nella Storia di fra Michele

minorita dell’Anonimo Trecentista). Il Devoto-Oli, invece, a quest’ultima accezione,

aggiunge nuovamente quella di «fiaba poetica»

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, richiamando l’andamento ritmico e la natura fondamentalmente orale del racconto, già vista nel GDLI.

Le prime due occorrenze del termine risiedono, dunque, in due lettere del 1827, vicinissime alla pubblicazione della Ventisettana:

Questa cantafavola vi doveva esser presentata costì, senza parole e con molto rossore, dalla Giulietta mia, e, dirò anche, un po’ vostra per ammirazione e per riconoscenza: e io mi godeva tutto nell'imaginarmi un così caro pudore dinanzi a una fama pur tanto cara. Ma una incomodissima flussione alla gola mi tiene la poverina in letto, già da due giorni, e, quantunque declinata, mostra di volerla tenere per più altri in casa. Abbiatevi dunque per ora la cantafavola sola: non già ch'io intenda di condannarvi a leggerla; ma Voi la dovete pur tenere da me. E tosto che il male e il medico lo consentano, verremo a ringraziarvi dell'averla ricevuta.90

Quanto alle correzioni ch’Ella ha la bontà di fare alla mia cantafavola, non vorrei però ch’Ella si desse troppo fretta, e si pigliasse una indigestione di noia. Pigli le cose con comodo, che c'è tempo.91

Nella prima lettera, con la quale l’autore invia a Vincenzo Monti una copia del romanzo, la definizione è chiaramente usata da Manzoni come espressione di modestia; lo stesso vale per la seconda, in cui lo scrittore ringrazia l’amico Gaetano Cioni per il proposito di aiutarlo a conferire all’opera una veste linguistica migliore. L’appellativo, però, accompagna il romanzo negli anni, ripresentandosi in altre tre lettere, di molto successive a queste due.

La prima è indirizzata al compositore Errico Petrella, che nel 1869 mise in musica il libretto di Antonio Ghislanzoni, basato sul testo dei Promessi sposi, facendone un melodramma semiserio

92

:

88 MANLIO CORTELAZZO,PAOLO ZOLLI, cantàre, in DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, Bologna, Zanichelli, 1999 (seconda edizione in vol. unico), p. 287.

89 GIACOMO DEVOTO, GIAN CARLO OLI, cantafavola, in Nuovo Devoto-Oli. Vocabolario dell’italiano contemporaneo, a cura di LUCA SERIANNI e MAURIZIO TRIFONE, Milano, Le Monnier, 2017, p. 353

90 Lettera a Vincenzo Monti del 15 giugno 1827, 1-4, in ALESSANDRO MANZONI, Carteggi letterari, vol. II.1, a cura di SERENA BERTOLUCCI e GIOVANNI MEDA-RIQUIER, Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro nazionale di Studi Manzoniani, 2010, pp. 217-218.

91 Lettera a Gaetano Cioni del 10 ottobre 1827, 22, in A. Manzoni, Carteggi letterari, II.1, p. 272.

92 È, questa una delle numerose testimonianze di riproduzione scenica dell’opera, che nel tempo si è prestata a rifacimenti teatrali e cinematografici di ogni genere. È interessante ciò che Ghislanzoni premette al testo del libretto (cfr. I Promessi sposi: melodramma in quattro atti di Antonio Ghislanzoni; posto in musica dal Maestro Cav.re Errico Petrella; canto con accomp. di pianoforte, riduzione di R. Lucarini, Milano, Fratelli Lucca, 1869), affermandosi convinto che il pubblico conosca già bene il romanzo, tanto da ricordare anche le parti che, per ragioni di spazio e di stile, egli non ha potuto inserire nell’opera; e aggiunge anche di essersi attenuto il più possibile all’originale, per ottenere un testo naturale e semplice, dunque ascoltabile e comprensibile, come già è quello manzoniano: «Prendendo a svolgere in forma di melodramma I promessi sposi di A. Manzoni, non credo essermi affidato ad una ipotesi troppo ardita supponendo che tutti quanti gli spettatori recheranno in teatro la piena conoscenza del romanzo. Questa convinzione mi ha dato coraggio e

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Non si tratta di adesione, ma bensì di ringraziamenti che Le devo per l’onore ch’Ella si propone di fare alla cantafavola dei Promessi Sposi.

Possano le due arti che concorreranno alla trasformazione del soggetto, dargli del loro quell’effetto drammatico, del quale non ho mai creduto che potesse avere il germe in sè!93

In questo caso il termine cantafavola si dimostra davvero appropriato, poiché riesce a richiamare il duplice aspetto del canto e della narrazione semplice, favolistica appunto, che il genere melodrammatico tiene uniti in sé.

La seconda è la lettera ad Alfonso della Valle di Casanova del marzo 1871, già citata in precedenza. Qui la parola cantafavola ricorre per ben tre volte, nel contesto della riflessione sulla revisione del romanzo e sulla necessità di diffondere tra gli Italiani l’unità linguistica:

[…] le lodi che ci ho trovate per me, e che sono troppo evidentemente dovute a un eccesso d’indulgenza, perchè io me le possa godere. Alcune però ho dovuto trovarle giustissime; e sono quelle che riguardano le correzioni fatte alla cantafavola de’ Promessi Sposi, nella seconda edizione illustrata.

[…] Ora, per venire al punto, cioè a dirle il perchè e il come io abbia, e voluto prendere e preso, per quanto ho potuto, un tal popolo per correttore della mia cantafavola, m’è necessario premettere due parole intorno allo stato miserabile, in cui essa si trovava nella prima edizione, riguardo alla dicitura, che è qui la sola cosa in discorso, e intorno alla cagione d’un tale stato.

[…] E ciò, non solo per un mio piccolo e privato motivo, che era quello di rendere un po’ più simile al vero il linguaggio de’ personaggi della cantafavola, ma anche, e molto più, perchè tali maniere di dire erano manifestazioni di quella, tanto poco osservata, e tanto preziosa parte d’unità di linguaggio, che già possediamo; e per profittarne, e negli scritti e nei discorsi tra Italiani di diverse provincie, non ci manca altro, che di conoscerla.94

Infine, l’ultima e più recente ricorrenza del termine si ha nella lettera del 13 luglio 1871 a Gianbattista De Capitani, autore del saggio Voci e maniere di dire più spesso mutate da

Alessandro Manzoni nell'ultima ristampa de’ Promessi Sposi, edito nel 1842 e ristampato

nel 1871 (la lettera di Manzoni risponde appunto alla richiesta di un’opinione, da parte di Capitani, su questa pubblicazione):

In quanto al parere che, in termini eccessivamente indulgenti, Ella mi chiede intorno a una ristampa delle dotte sue Note ad alcune varianti della mia cantafavola, non potrei meglio spiegarmi che col comunicarle ciò che, poco prima della sua proposta, ebbi a rispondere a un

mi ha, in certa guisa, appianata la via. Il pubblico (mi son detto) riempirà co’ le proprie reminiscenze le inevitabili lacune del melodramma, e sulle poche scene, sui pochi quadri che io gli andrò esponendo, ricostruirà tutto intero il romanzo. Ho dunque curato, nei tratti che mi fu dato riprodurre, di attenermi fedelmente all'originale; ho fatto quanto era da me acciò le situazioni e i personaggi non apparissero falsati.

Qualche volta ho copiato quasi testualmente; e sempre, poi, mi sono studiato di imitare, fin dove i versi lo consentono, quella naturalezza e semplicità di linguaggio, di che il Manzoni è maestro insuperabile».

93 Lettera a Errico Petrella del 7 maggio 1869, in ALESSANDRO MANZONI, Lettere, a cura di CESARE ARIETI, Milano, Mondadori, 1970, vol. III, pp. 785 e sgg.

94 A.MANZONI, Ad Alfonso della Valle di Casanova, in ID. Scritti linguistici editi, pp. 313-319.

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mio amico di Napoli, il quale, con una bontà e una pazienza ancora più eroica, avendo fatto uno stesso lavoro sul testo intero, desiderava il mio assenso per pubblicarlo.95

Manzoni, per il romanzo, utilizza anche il solo termine favola, ma in abbinamento con

storia e in un’unica occorrenza:

Le rendo nuove grazie dell'onore che Ella mi fa coll'occuparsi della mia favola-storia; e sento lietamente la speranza che Ella mi dà di potere presto aver quello di conoscerla personalmente e di esprimerle a viva voce la mia riconoscenza, e i sentimenti dell'alta stima, coi quali mi pregio di rassegnarmele.96

L’accostamento tra i due termini fa sì che la parola storia sia arricchita dai richiami alla ritmicità e all’oralità che favola porta con sé. Le accezioni riportate dai dizionari sono simili tra loro. Il DELI alla voce favola riporta: «breve narrazione in prosa o in versi, di intento morale, avente per oggetto un fatto immaginario» e «cosa non vera, frutto di fantasia»

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. Nel Devoto-Oli si leggono le due definizioni «breve vicenda, narrata in versi o in prosa, i cui protagonisti possono essere persone, animali o cose, e il cui fine è di far comprendere in modo facile e piano una verità morale» e «qualsiasi narrazione fantastica, mito o leggenda»

98

. Il GDLI infine offre un’ampia varietà di significati, tra cui i principali sono, anche in questo caso, «breve racconto fantastico (originariamente in versi), contenente un insegnamento morale, in cui agiscono e interloquiscono soprattutto animali, piante o altri esseri inanimati; apologo» e «ogni narrazione di fatti inventati;

racconto fondato su avvenimenti e personaggi di fantasia; vicenda, storia, episodio fantastico». Dal Battaglia si può citare anche una terza accezione interessante, ovvero quella di «cosa frivola, vana, priva d’importanza, di valore; futilità, sciocchezza, bagattella, inezia; ciancia, discorso inutile»

99

.

In generale, quindi, si può ricondurre anche favola alle espressioni di modestia che Manzoni adotta abitualmente nelle sue lettere; tuttavia, non va sottovalutato che il termine, come anticipato, abbia un forte legame anche con il concetto di oralità: come tutti e tre i dizionari sottolineano, infatti, favola ha origine diretta dalla voce semidotta latina

fabula, derivata a sua volta da fari, «parlare».

Un terzo appellativo che vale la pena di esaminare è filastrocca, utilizzato da Manzoni in tre lettere, tutte del 1827:

95 Lettera a Giovanni Battista De Capitani del 13 luglio 1871, 2, in A.MANZONI Carteggi letterari, vol. II.2, p.

1463.

96 Lettera a Charles Swan del 25 gennaio 1828, 19, in A.MANZONI Carteggi letterari, vol. II.1, p. 344.

97 M.CORTELAZZO,P.ZOLLI, fàvola, in DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, p. 566.

98 G.DEVOTO,G.C.OLI, favola, in Nuovo Devoto-Oli. Vocabolario dell’italiano contemporaneo, p.839.

99 S.BATTAGLIA, Favola, in Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. V, p. 747.

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L’onore che mi viene da una così graziosa domanda mi tornerebbe, a dir vero, troppo in rimprovero, se, dopo l’accoglienza da Lei fatta a’ miei poveri lavori, dopo d’essere io medesimo stato favorito del dono dei nobilissimi suoi, avessi veramente dato fuori qualche cosa senza valermi tosto del vantaggio, già acquistato, di poter farlene omaggio. La filastrocca della quale Ella ha la bontà di richiederne, è bensì stampata in gran parte, ma nulla ne è ancor pubblicato, nè sarà che ad opera compiuta.100

Se l'autore di questa filastrocca avesse potuto immaginarsi che il chiarissimo Cav. Dott. De Filippi volesse dare alla lettura di essa una parte del suo tempo prezioso, non avrebbe certamente indugiato fin ora a pregarlo di gradirne una copia, e a cogliere una opportunità così fortunata di attestargli la sua distintissima considerazione.101

Gradisca i miei più vivi ringraziamenti e del presente, e della benignissima lettera con cui s'è compiaciuta d'accompagnarlo, e del troppo indulgente giudizio di che Ella onora la mia filastrocca.102

È chiaro che il termine, anche in questo caso, è inserito in espressioni di modestia da parte dell’autore; in effetti, l’uso di filastrocca con l’accezione di elenco sconclusionato o di narrazione lunga e noiosa, inventata, talvolta creata per accontentare un interlocutore in cerca di risposte, torna in Manzoni anche in altri contesti:

- Nel Fermo e Lucia Agnese, per difendersi dal pressante interrogatorio della fattora, in attesa di essere chiamata con Lucia al cospetto di Geltrude, «andava già componendo una filastrocca nella sua mente, perchè vedeva di non potersi sbrigare senza raccontar qualche cosa» (FL II

I

37).

- nel testo della Quarantana si trova la «filastrocca di persone e di famiglie intere» (Q XXXIII 56) che don Abbondio nomina a Renzo per elencare, «cominciando da Perpetua», i morti in paese a causa della peste.

- nella Storia della colonna infame è definita «indegnissima filastrocca» «quella pazza novella, anzi quelle due»

103

, che vengono riferite in supporto ai capi d’accusa per don Giovanni de Padilla.

- nella quinta redazione del trattato Della lingua italiana Manzoni conclude un elenco di modi di dire affermando che «per un saggio, ce n'è già più del bisogno, e voi vedete quanto sarebbe facile allungar la filastrocca»

104

.

100 Lettera a Diodata Saluzzo di Roero del 12 marzo 1827, 2, in A.MANZONI, Carteggi letterari, vol. II, tomo 1, p. 210.

101 Lettera a Giuseppe de Filippi del 18 giugno 1827, in Tutte le lettere di Alessandro Manzoni, vol. I, a cura di CESARE ARIETI e DANTE ISELLA, Milano, Adelphi, 1996, p. 418.

102 Lettera a Luigi Guicciardi del 10 dicembre 1827, 2, in ALESSANDRO MANZONI, Carteggi familiari, vol. I, tomo 1, a cura di MARIELLA GOFFREDO DE ROBERTIS e EMANUELA SARTORELLI, Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, 2006, p. 13.

103 ALESSANDRO MANZONI, Storia della colonna infame, VI 33, a cura di CARLA RICCARDI, Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, 2002, p. 140.

104 ALESSANDRO MANZONI, Della lingua italiana. Quinta redazione, I 369, in ID. Scritti linguistici inediti, vol.I, a cura di ANGELO STELLA e MAURIZIO VITALE, Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale di Studi Manzoniani, 2000, p. 404.

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In ogni caso, la parola rimanda anche agli aspetti di ripetitività, ritmicità e semplicità che caratterizzano una narrazione orale come quella tipica della filastrocca.

Del resto, in corrispondenza di questa voce, tutti i vocabolari riportano definizioni coerenti con entrambe le accezioni. Nel GDLI si legge: «discorso prolisso, sconclusionato e poco costruttivo; chiacchierata o racconto particolarmente lungo sugli argomenti più disparati, senza una struttura unitaria; sproloquio. – Discorso ripetuto con monotona insistenza. – Tiritera»; «formula cadenzata, generalmente in metri brevi, costruita con rime facili, talvolta anche senza senso; poesiola o canzonetta infantile. Litania; serie di brevi preghiere, di invocazioni (o anche di bestemmie, di imprecazioni)»; il vocabolario indica che per estensione filastrocca può significare anche «Elenco prolisso, numerazione interminabile» e, in senso figurato, «

s

erie, filza, assortimento di cose o persone disposte in fila; serie di fatti che si susseguono l’uno all’altro»

105

. Anche il DELI definisce la filastrocca un «componimento in versi brevi, con ripetizioni di sillabe e parole», o un «discorso prolisso, sconclusionato»

106

. Infine, il Devoto Oli riporta entrambe le accezioni, di

«successione lunga e fastidiosa di parole» e di «composizione cadenzata, discorsiva o in versi, svolta secondo assonanze o accostamenti meramente occasionali»

107

. Aggiunge anche (in linea con quanto riportato dal DELI) che l’etimologia del termine, pur non essendo del tutto chiara, risiede probabilmente nell’unione di due voci di origine settentrionale: l’imperativo di filare e un «adattamento del veneto strucar ‘spremere, stringere’, con riferimento alle due operazioni successive di tirare il filo e di stringerlo tra le dita, che si ripetono nella filatura»; ed è importante, qui, portare l’attenzione proprio sui rimandi alla ripetitività e alla ritmicità insiti anche in questo termine.

Un ultimo appellativo simile ai precedenti per significato, anche se con sfumature proprie, è tiritera. Manzoni lo accosta al romanzo, anche in questo caso, in tre lettere:

Le rendo poi molte grazie, col rossore d’averle tanto ritardate, dell’avermi Ella procurato ricapito in Firenze, per la vendita della mia nuova tiritera presso il signor Vieusseux, col quale non mancherò di prendere le opportune intelligenze.108

Ho trovate persone che riuniscono in sommo grado la scienza e la compiacenza; e quantunque io ne usi e ne abusi principalmente per la revisione della mia tiritera, pure ne hanno abbastanza anche per soddisfare alle mie richieste intorno alle cose generali della lingua.109

105 S.BATTAGLIA, filastrocca, in Grande Dizionario della Lingua Italiana, vol. V, pp. 986-987.

106 M.CORTELAZZO,P.ZOLLI, filastròcca, in DELI - Dizionario Etimologico della Lingua Italiana p. 580.

107 G.DEVOTO,G.C.OLI, filastrocca, in Nuovo Devoto-Oli. Vocabolario dell’italiano contemporaneo, p. 859.

108 Lettera ad Alessandro Torri del 5 novembre 1826, 10, in A.MANZONI, Carteggi letterari, vol. II.1, p. 198.

109 Lettera a Tommaso Grossi del 17 settembre 1827, 15, in A.MANZONI, Carteggi letterari, vol II.1, p. 253.

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Vi ringrazio del benevolo giudizio che portate della mia tiritera, e dell'egualmente benevolo desiderio che mostrate, di sapere s'io abbia in pronto qualche altro lavoro.110

Il GDLI definisce la tiritera, a seconda dei casi, come «discorso o scritto lungo, prolisso, noioso e ripetitivo (anche in espressioni di modestia)», come «lunga sequela di espressioni, lodi, insulti, ecc.», come «cantilena, filastrocca. – anche: poesia recitata con tono cantilenante», o come «componimento in versi alquanto lungo, insulso e prolisso»

111

. Nel DELI alla voce tiritera si legge «cantilena, filastrocca», o, per estensione, «discorso prolisso e noioso»

112

. Similmente, nel Devoto-Oli la tiritera è definita come «filastrocca, cantilena, o discorso che noiosamente insiste sulle medesime cose», e si riconduce l’etimologia del termine a «sicutera con sostituzione della parte iniziale con tiri, tratto da

tiri eleison ‘tiritera noiosa’ (dal gr. Kýrie eléēson ‘Signore, abbi pietà’)»113

.

Per concludere, anche questo termine viene utilizzato da Manzoni in un altro scritto, in questo caso nella conclusione del breve dialogo Sopra la staffilata del Monti ai romantici, dove assume la medesima accezione di discorso ripetitivo e prolisso vista finora:

– […] Ho gittata quella parola tanto per dir qualche cosa, non mai credendo di tirarmi addosso tutta questa tiritera. I letterati se la sbrighino tra loro che a me non fa nulla. E parliamo d'altro. – Tiritera! dicevo io tra me, mentre egli andava cercando in suo cuore l'appicco d'un altro discorso. Tiritera? scriverò queste belle ragioni che ho dette, le manderò al giornale, e il pubblico dirà poi s'ella è stata una tiritera.114