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Femme Fatale

2.3. Quando un bacio trasformò la Femme Fatale in Vamp

Eredi della seduzione al peccato di Eva verso Adamo e, insieme, della seduzione alla steri-lità e al male di Lilith - icona emblematica, come si è detto in precedenza, della sessualità non procreativa - le Femmes Fatales, queste creature appassionate e funeste, non scompariranno mai, moltiplicandosi, anzi, all’infinito come in frammenti di specchi675, e

dilagando nella moda, nella pubblicità ed, eminentemente, nello spettacolo, prima nel teatro, poi nel cinema. Vamp è il termine inglese che ha contratto la parola “Vampire” e che ha assunto un significato proprio, impiegato per designare la donna fatale della Settima Arte, modellata contemporaneamente sulla donna-vampiro dei drammi danesi (come Asta Nielsen, la “Sarah Bernhardt scandinava”che fu tra le iniziatrici del Femminismo, attrice con sangue zingaro, alta, slanciata, dai fianchi stretti, dal volto pallido, dai capelli corvini, dalle labbra sottili e dallo sguardo ipnotizzante, che riuscì a diventare famosa anche e soprattutto per questo suo fisico così atipico, abilmente ostentato in pellicole quali Abisso (1910) e

L’ammaliatrice o La via senza gioia (1925) di Urban Gad, La ballerina (1911) di August

Blom, Ebbrezza (1919) di Ernst Lubitsch - tratto dal romanzo Delitto e delitto (1899) di Strindberg - Vanina (1922) di Arthur von Gerlach - tratto dalla nouvelle stendhaliana Vanina

Vanini (1829) - Hedda Gabler (1924) di Frank Eckstein - tratto dall’omonima pièce in tre atti

di Ibsen (1890) - e Tragedia di prostitute (1927) di Bruno Rahn) e sulla donna mortifera, sanguinaria e lussuriosa - di ispirazione dannunziana - dei melodrammi italiani (un po’ alla

675 Sulle immagini della Femme Fatale cfr. anche AA.VV., All’insegna della Femme Fatale, Trento, New Magazine, 1994;

AA.VV., Cantami o Diva: i percorsi del femminile nell’immaginario di fine secolo, cit.; e i primi due numeri della rivi-sta “Ver Sacrum”, dedicati rispettivamente al Vampirismo, 1 (marzo 1993) e a L’Immagine femminile nella letteratura ed arte Decadente, 2 (giugno 1993).

ma-niera della “divina” Lydia Borelli teatrale nella Salomé di Oscar Wilde o cinematografica in Rapsodia satanica (1917) di Nino Oxilia). La prima vera Vamp del cinema fu però, probabil-mente, Alice Hollister, che, con la pellicola The Vampire (1913) di Robert G. Vignola, trasferì su celluloide l’immagine della femmina crudele, egoista e distruttrice (già tratteggiata da Rudyard Kipling nell’omonimo poem del 1897), del Femminile che “dissangua”, fisicamente e moral-mente. Ma colei che, come una Diabolique di Barbey d’Aurevilly riconfezionata per il grande pubblico, divenne l’indiscussa, mitica pioniera della schiera delle nuove Femmes Fatales / Vamp dello schermo d’argento fu Theodosia Burr Goodman, una timida e delicata fanciulla ebrea del Midwest di origini danesi, più nota con il nome d’arte di Theda Bara (anagramma - con volute assonanze funbri italiane - d’un esotico quanto improbabile “Arab Death”), che, tintasi di nero gli angelici capelli biondi, divenne l’incubo più desiderato del maschio americano dei primi del Novecento676. La definizione che

lo studioso Bram Dijkstra fornisce di questa attrice esotica e mi- steriosa - che lasciava credere di essere figlia di un artista francese e di una principessa medio-rientale, di essere stata allattata con sangue di serpente e di essere cresciuta tra scheletri e ragnatele, e che raggiunse le vette del successo proprio grazie alle sue frequenti677 ed estremamente con-vincenti

676 Cfr. GIOVANNINI, Il libro dei vampiri, cit., p. 197.

677 La sua filmografia da Femme Fatale /Vamp è, in effetti, sterminata, tanto da crearle intorno un’aura molto particolare, capace di affascinare ancora oggi generazioni intere che non l’hanno vista, né mai potranno riuscire a vederla, forse, sullo schermo (dato che una parte delle pellicole da lei interpretate andò distrutta in seguito a un devastante incendio sviluppatosi negli studi della Fox). Fra le produzioni più famose a cui prese parte - escludendo The Stain (1914) di Frank Powell, che sancì il suo debutto davanti alla macchina da presa, sebbene in un ruolo minore, e il celeberrimo A Fool There Was (1915), sempre di Powell, che la trasformò definitivamente da Theodosia Goodman di Cincinnati in Theda Bara, immagine che le resterà incollata addosso fino alla morte e oltre -, quasi tutte dai titoli piuttosto eloquenti: The Kreutzer Sonata (1915) di Herbert Brenon (tratto dall’adattamento teatrale del 1902, ad opera del drammaturgo ucraino Jacob Gordin, dell’omonimo romanzo di Tolstòj (1889)); The Clemenceau Case (1915) di Herbert Brenon (trat-to dall’omonimo roman di Alexandre Dumas fils (1867)); The Devil’s Daughter (1915) di Frank Powell (tratto dal-l’omonima novella di Gabriele D’annunzio); The Two Orphans o The Hunchback (1915) di Herbert Brenon (tratto dal melodramma teatrale Les Deux Orphelines (1874) di Adolphe Ennery ed Eugène Cormon); Lady Audley’s Secret (1915) di Marshall Farnum (tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice vittoriana Mary Elizabeth Braddon (1862)); Sin o The Jewels of the Madonna (1915) di Herbert Brenon; Carmen (1915) di Raoul Walsh (tratto dall’omonima nouvelle di Prosper Mérimée); The Galley Slave (1915) di J. Gordon Edwards (tratto dall’omonimo melodramma romantico del drammaturgo americano Bartley Campbell (1879)); Dectruction (1915) di Will S. Davis (tratto dal roman Travail (1901) di Émile Zola); Siren of Hell (1915) di Raoul Walsh; The Serpent o Fires of Hate (1916) di Raoul Walsh; Gold and the Woman o Retribution (1916) di James Vincent; The Eternal Sapho o Bohemia (1916) di Bertram Bracken (trat-to dal romanzo Sapho di Alphonse Daudet); East Lynne (1916) di Bertram Bracken (tratto dall’omonimo romanzo di Mrs. Henry Wood (1861), pseudonimo della scrittrice inglese Ellen Wood); Under Two Flags (1916) di J. Gordon Ed-wards (tratto dall’omonimo romanzo di Ouida (1867), pseudonimo della scrittrice inglese Maria Louise de la Ramé); Her Double Life (1916) di J. Gordon Edwards; Romeo and Juliet (1916) di J. Gordon Edwards (tratto dal capolavoro teatrale shakespeariano, ma quasi interamente incentrato sulla figura di Giulietta, qui piuttosto cupa e tenebrosa); The Vixen o The Love Pirate (1916) di J. Gordon Edwards; The Tiger Woman o Behind the Throne (1917) di George Bellamy e J. Gordon Edwards; Her Greatest Love o Redemption o The Greatest Sacrifice (1917) di J. Gordon Edwards (tratto dal ro-manzo Moths (1880) di Ouida); Heart and Soul (1917) di J. Gordon Edwards (tratto dal romanzo Jess (1887) dello scrittore inglese Henry Rider Haggard); Camille (1917) di J. Gordon Edwards (tratto dal roman La Dame aux camélias (1848) di Alexandre Dumas fils, dall’autore stesso adattato per il teatro, nel 1852, in una pièce in cinque atti), Cleopa-tra (1917) di J. Gordon Edwards (tratto dall’omonima pièce di Victorien Sardou ed Émile Moreau (1890)); Madame du Barry (1917) di J. Gordon Edwards (tratto da diverse caratterizzazioni della favorita di Luigi XV contenute nelle opere di Alexandre Dumas père); The Rose of Blood (1917) di J. Gordon Edwards; The Darling of Paris (1917) di J. Gordon Ed-wards (tratto dal roman Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, in cui Theda interpreta il ruolo della bohémienne Esmé-ralda), The Forbidden Path (1918) di J. Gordon Edwards, Salome (1918) di J. Gordon Edwards (tratto dalla storia della bellissima principessa giudaica tramandata da Flavio Giuseppe); When a Woman Sins (1918) di J. Gordon Edwards; Un-der the Yoke (1918) di J. Gordon Edwards; The Soul of Buddha (1918) di J. Gordon Edwards (ispirato alla vita

interpretazioni di predatrice sessuale bella ma terribilmente spietata e divoratrice - non è altro che una significativa rassegna delle Femmes Fatales più celebri - e più temute - della storia dell’Umanità: “Era l’invadente altro dei timori di ciascuno: Salomè, Giuditta, Astarte; Lilith, la lussuriosa Eva primigenia che rubava il seme agli uomini addormentati; Làmia, sua figlia, la regi-na serpente. Semitica, mascolinizzata, era anche Shylock, Svengali, Dracula: la “Morte Araba” appunto678. Inoltre - come ricorda Emanuela Martini - già il look della Bara,

“contrassegnato da lunghissimi capelli corvini che scendevano fin oltre la vita, occhi bistrati, trucco orientaleggiante, con dei serpenti aggrovigliati al posto del reggiseno […], lascerà in eredità le caratteristiche di una donna in cui avidità ed esotismo si intrecciano e [in cui], ad una quasi assoluta, per gli sche-mi del tempo, libertà sessuale si accompagna un dominio assoluto sull’uomo, metaforicamente avvolto nelle sue spire”679.

In Europa, solo la francese Musidora le faceva concorrenza, interpretando Irma Vep (un altro anagramma, chiaramente da “Vampire”), l’acrobata imprendibile le cui prodezze criminali incarnavano le inquietudini di un’epoca; la sinuosa assassina dai grandi occhi bistrati, con il corpo avvolto in un’aderentissima calzamaglia di seta nera che alimentava l’immaginario collettivo, protagonista della serie di dieci lungometraggi intitolata Les

Vampires (realizzati tra il no-vembre del 1915 e il giugno del 1916) e diretta dal re dei serials

francesi, Louis Feuillade. Mu-sidora - pseudonimo dell’attrice-regista-scrittrice Jeanne Roques probabilmente suggeritole da Pierre Louÿs, suo ottimo amico - era il nome che Théophile Gautier aveva attribuito alla giovane cortigiana romantica protagonista di Fortunio, morta per la puntura di uno spillone avvelenato trovato nel portafogli rubato all’uomo di cui per la prima volta si innamora davvero: il cinema eu-ropeo dei primi decenni del XX secolo non perdeva, dunque, i contatti con la cultura letteraria ottocentesca della Femme Fatale. Musidora, nata in una famiglia di artisti, ex-soubrette alle Fo-lies Bergères, amica di Colette e di molti artisti, studentessa di belle arti colta e spregiudicata, as-surse presto a moderna icona francese e a musa dei surrealisti. Nella miniserie sempre di Feuil-lade intitolata Judex (undici episodi - in media di mezz’ora ciascuno, più un prologo piuttosto lungo - realizzati nel 1917), questa Femme Fatale incarna ancora, ovviamente, un’antieroina: è Diana Monti, un’avventuriera d’alto bordo nascosta sotto le vesti di un’istitutrice che sa trasfor-marsi

della spia Mata Hari); The She Devil (1918) di J. Gordon Edwards; The Light (1919) di J. Gordon Edwards; A Woman There Was (1919) di J. Gordon Edwards; Kathleen Mavourneen (1919) di Charles Brabin, futuro marito di Theda (tratto dall’omo- nima pièce teatrale del drammaturgo irlandese Dion Boucicault (1868)); La Belle Russe (1919) di Charles Brabin; When Men Desire (1919) di J. Gordon Edwards; The Siren’s Song (1919) di J. Gordon Edwards; The Lure of Ambition (1919) di Edmund Lawrence; The Unchastened Woman (1925) di James Young; infine, la commedia Madame Mystery (1926) di Richard Wallace e Stan Laurel, l’ultima interpretazione nota di Theda Bara prima del suo ritiro definitivo dalle scene in- terpretazione che, per la prima volta, tende quasi a ridicolizzare la figura della Vamp” con cui, per tanti anni, l’attrice aveva affascinato il proprio pubblico.

678 DIJKSTRA, Perfide Sorelle, cit., p. 303.

679 E. MARTINI, Introduzione, in AA.VV., La donna fatale nel cinema e nella letteratura, Bolzano, Centro Documenta- zione ed Informazione della Donna, 1996, pp. 7-8.

abilmente assumendo diverse identità, e che agisce soltanto per mero interesse personale680.

Ma i giornali coniarono appositamente per Theda Bara il soprannome di “Vamp”, in occasione dell’uscita, nel gennaio del 1915, del suo film di maggior successo in assoluto, A

Fool There Was (sia ispirato al già menzionato poem di Kipling, che tratto, per buona parte,

dall’omonima pièce teatrale di Porter Emerson Browne, grande successo di Brooadway nel 1909, con quasi cento repliche), in cui, per la prima volta nella storia del cinema, un’attrice baciava sulla bocca il suo compagno di scena, con una sensualità così feroce da evocare il bacio-morso con cui i Vam-piri aspiravano la forza vitale dalle loro vittime681.

È difficile - osserva ancora Dijkstra - descrivere l’effetto che questa scena può aver avuto su spettatori per i quali lo spettacolo pubblico di una donna che baciava un uomo sulle labbra rappresentava ancora un tabù. Perfino nei testi scritti dai medici per altri medici le descrizioni di specifiche pratiche erotico-sessuali erano per lo più esposte in latino, di modo che soltanto i pro-fessionisti responsabili e gli uomini di pari livello capissero ciò che veniva discusso. I baci nelle prime pellicole, se mai fossero previsti dalla sceneggiatura, tendevano a essere limitati a innocui bacetti sulle guance o a un rapidissimo sfiorarsi di labbra. Per cui, lo sfacciato e prolungato as-salto compiuto da Theda Bara alla bocca dell’uomo civilizzato fu più che la violazione di una sa-cra interdizione. Rappresentando il potere assoluto di una donna su un uomo, quel bacio diventò una violazione del principio stesso della virilità: in effetti, nel film in questione, una donna per la prima volta “violentava” un uomo. E non stupisce che le folle che accorsero numerose a vedere l’ultima opera di Frank Powell riconoscessero nella protagonista un’autentica seguace del demo-nio682. La Femme Fatale dalla pelle lunare di A

Fool There Was e il suo celebre “Kiss me, my Fool!” - una specie di “Baciami, stupido mio!”

- divennero un modello popolare per indicare tutte quelle donne rapaci che si servivano del proprio corpo per adescare i maschi borghesi “pu-rosangue” - validi, cioè, sul piano fisico e altrettanto solidi su quello finanziario - e condurli alla rovina683.

Anche se il termine “Vamp” o l’espressione “fare la Vamp” potrebbero apparire

680 Da un certo punto di vista, se questi personaggi femminili sono, da un lato, sorprendentemente premoderni, dall’altro svolgono una funzione rassicurante, stabilizzante. A ben guardare sono, infatti, devianti e criminali, senza fissa dimo-ra, senza passato: esistono unicamente nel presente, pongono il problema della “donna nuova”, della “donna alla deri-va”, della donna “fuori posto” nell’ordine sociale (non soltanto francese). Eppure la soluzione a tale problema esiste e consiste nel debellare completamente le figure in questione (uccidendole nella finzione cinematografica), quasi a sugge-rire che mantenere l’equilibrio nell’ambito dei “generi” avrebbe puntellato i confini della vera disciplina su altri, più im-portanti, campi di battaglia.

681 Cfr. GIOVANNINI, Il libro dei vampiri, cit., pp. 197-198.

682 Cfr. DIJKSTRA, Perfide Sorelle, cit., pp. 17-18.

683 In A Fool There Was, Theda Bara veniva presentata semplicemente come “The Vampire”, ma soltanto nei termini me- taforici di corruttrice e distruttrice di uomini menzionati sopra e che sempre connotarono il suo personaggio. L’unica ec- cezione, in realtà, poco prima del ritiro dalle scene, fu la commedia a Broadway The Blue Flame (1920), in cui l’attrice, richiamata dai morti dal fidanzato scienziato, appariva per la prima volta quale “vero” vampiro.

anacro-nistiche in rapporto al periodo preso in esame nel nostro lavoro, il concetto che sta alla base di entrambi è assolutamente svincolato da qualsiasi barriera temporale definita: si tratta, infatti, del-l’idea - fortemente radicata in tutte le epoche storiche, come si è ripetutamente avuto modo di constatare - che la donna (troppo) seducente resta sempre, immancabilmente mortifera. Nella Vamp confluisce, infatti, non soltanto lo spettro della la donna-vampiro classica, ma anche una genealogia di mostri femminili al contempo analoga e diversa, quella rappresentata, cioè, dalle Belles Dames sans Merci e dalle Femmes Fatales di cui si è detto sopra. Le prime, di keatsiana memoria, sono creature che hanno l’abitudine di uccidere, come la mantide religiosa, l’uomo che si impongono temporaneamente di amare, facendo del “cannibalismo erotico” un vero e proprio marchio distintivo della loro specie. Più precisamente, nella Vamp si ritrova l’archetipo origi-nario della Femme Fatale, simbolo della ribellione del Femminile nei confronti del Maschile, a partire dalla sfera sessuale: si tratterebbe, in altri termini, dell’eterna protesta di Lilith, che non accetta di essere sottomessa ad Adamo - cioè di giacere simbolicamente “sotto di lui” - e reclama l’uguaglianza dei loro corpi e delle loro anime. Nella Vamp è dunque riscontrabile l’im-pulso ancestrale della Donna a non subire, ad agire, a porsi come tessitrice di trame d’amore, co-me reggitrice di un rapporto erotico dai tratti sinistri, come creatrice di un proprio equilibrio in cui al ricevere non corrisponde quasi mai il dare (ma soltanto un eterno promettere), come sor-gente inesauribile di un fascino non contrattabile, come dominatrice dell’uomo, che deve neces-sariamente piegarsi al suo cospetto. La Vamp è una delle incarnazioni più moderne del serpente infernale o del demoniaco che spinge la Donna a fare qualcosa che l’Uomo non intende conce-dere razionalmente, trasformandola in quel veicolo di peccato e di trasgressione contro il quale già la Patristica aveva incessantemente provveduto a scagliarsi. Femme Fatale e Vamp sono, al- lora, le donne che non sono scelte, ma scelgono, sono le donne malvagie, la parte cupa della fiamma di una candela, quella che resta attaccata allo stoppino (la parte che più è radicata alla terra), del tutto antitetiche rispetto alle donne angeliche, la parte bianca della stessa fiamma, che prende forma da quella scura, ma che poi sembra distaccarsi da essa (o semplicemente repri-merla, perché la “donna”, in fin dei conti, sempre “donna” è) per innalzarsi verso il cielo684. Di fronte a queste creature, l’uomo è spiazzato, perché non ha strumenti per intessere

un rapporto di maggiore o pari potere e, in molti casi, finisce irrimediabilmente per soccombere. Quando la natura femminile, espressa soprattutto in ambito sessuale, non è occultata - vale a dire, non viene contenuta e civilizzata - diventa una forza selvaggia che fa regredire il maschio ad uno stato animalesco, trasformandolo in schiavo delle proprie pulsioni, privo di ogni minimo barlume di raziocinio.

L’abbandono masochistico di un uomo al fascino muliebre lo condanna inesorabilmente, tra l’altro, all’isolamento e al disprezzo da parte dei suoi simili, perché, ai

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