• Non ci sono risultati.

1.2. Il Fantastico: tesi e teorie

1.2.1. Questioni terminologiche

Visto che si tratta di studiare il Fantastico, sembra opportuno partire direttamente dal lin- guaggio ed enunciare delle definizioni in merito, formule ed espressioni che, trattando di Fan-tastico, risultano - come si è detto in precedenza - fin troppo numerose. Ma la “definizione” per antonomasia, quella formula lapidaria che aiuta a comprendere e a precisare il significato di una parola, è molto spesso ambigua. I dizionari sono dispensatori generosi di definizioni: il loro compito è più segnaletico che normativo, dato che non stabiliscono tanto i valori semantici assoluti dei vocaboli, quanto quelli derivati dall’uso, al cui scopo citano testi e producono docu-menti, in altri termini, rimandano a cose e ad opere che possano contemporaneamente precisarli e tradurli in pratica. Per quanto concerne la “modalità” di cui ci occupiamo in questa sede, ne consegue ancora di più una sorta di circolo vizioso: leggendo il tal libro, ammirando il tal quadro, assistendo al tal spettacolo, l’individuo sembra arrivare a conoscere il sentimento del Fantastico. Interrogandoci su questo, noi cercheremo non soltanto di precisare, per quanto concesso, il si-gnificato di un termine d’uso comune qual è “fantastico”, ma anche, e soprattutto, di scoprire, attraverso una riflessione più profonda, le cause di un’impressione e di cogliere un’essenza lette-

raria. È fondamentale considerare, in una simile prospettiva, le osservazioni di Louis Vax, che sottolinea come

définir, ce n’est pas nécessairement donner une définition. Cessant de désigner un objet à élucider, le mot de fantastique devient un thème de recherche. Un thème qui, loin de se ramasser, se développe. Il n’y a pas de fantastique en soi dans la sensibilité ou dans l’entendement divins! Définir le fantastique, ce n’est pas deviner la réponse qui figurerait de toute éternité dans le livre du Maître, c’est parcourir le chemin sinueux de l’enquête, affronter le risque du choix. Notre définition va se chercher et se perdre sans fin dans l’examen des oeuvres que nous qualifions de fantastiques. Des structures affectives, des mondes singuliers s’organisent et se défont et se re-créent dans l’histoire des lettres. Leur organisation, leur sens varient. On ne saurait tout lire et tout discuter. Un choix est nécessaire, et nécessairement arbitraire - d’autant moins arbitraire pourtant qu’il se sait tel. Loin d’être immobile dans l’éternité, l’essence du fantastique ne cesse de se re-faire dans le temps. L’essence, c’est ce qui cherche à se dévoiler quand, sous la diversité du dis-cours, nous cherchons la permanence d’un vocabulaire et d’une syntaxe. Une syntaxe ne se dé-couvre que dans un langage déjà fait; mais elle ne s’y lasse découvrir que parce qu’elle y était déjà. Il ne lui manquait que de passer, à la faveur de la réflexion, de l’en-soi au pour-soi. La science n’est pas possible sans les mots, et les mots tendent vers la science. Une confrontation perpétuelle des mots - ou de ce que les mots évoquent, paraissent recouvrir ou contenir - et des oeuvres est indispensable. L’empirisme qui ne considérerait que les oeuvres prises individuel-lement dans leur irréductible singularité ne mènerait à rien, pas même à penser ensemble des oeu-vres diverses. Son discours serait vain; seul le silence serait justifié; il ne le

serait même pas, car le silence, pour être justifié, aurait encore besoin qu’on en parle. Il n’est pas de science réalisable ou même pensable sans incertitude et sans risque. La connaissance du fantastique et de l’étrange est vouée à se chercher, à se perdre et à se retrouver dans l’entre-deux qui sépare l’a

priori de l’es-sence de l’a posteriori des oeuvres. Ce mouvement de va-et-vient entre la fixité du

concept et le scintillement des phénomènes, c’est la vie même du savoir122.

In senso metaforico e nella sua forma aggettivale esclamativa, il termine in questione vie-ne correntemente adoperato in espressioni del tipo “È fantastico!” oppure “Questa esperienza è stata fantastica” per evocare qualcosa di straordinario, di sorprendente, di formidabile, di sensa-zionale. In tal modo si attribuisce un carattere positivo alle situazioni quotidiane, concrete, come se l’uomo cercasse un che d’incredibile e di inverosimile nella realtà vissuta, come se bramasse di trovare e di assaporare ciò che esiste soltanto su un piano astratto, quasi quello materiale fosse definito secondo canoni a lui estranei e opposti rispetto alle idee inculcategli. In tal senso, è si-gnificativo che Nodier ponga in epigrafe nel Trésor des

Fèves et Fleurs des Pois questi versi di Bruscambille: “Tout ce que la vie a de positif est

mauvais. / Tout ce qu’elle a de bon est imagi-naire”123. L’etimologia di “fantastico” risale

all’aggettivo del latino tardo cristiano phantasticus (impiegato con una certa frequenza soprattutto nella Patristica), “che concerne l’immaginazione, incorporeo”, a sua volta derivato dal sostantivo greco phantastikós, dal verbo phantázein, “far vedere in apparenza”, “dare l’illusione”, ma anche “mostrarsi”, “apparire”, detto specialmente

di fenomeni straordinari124. Esso indicherebbe, in definitiva, il prodotto dell’immaginario

122 VAX, La Séduction de l’étrange, cit., pp. 7-8.

123 Ch. NODIER, Trésor des Fèves et Fleurs des Pois, in Contes, cit., p. 560.

124 La phantásia è un’apparizione, esattamente come il phántasma, vocabolo che designa anche uno spettro, un “fanta- sma” appunto (e in questo senso il termine viene impiegato, tra gli altri, in Eschilo e in Euripide). L’aggettivo phan-tastikón può aver dato luogo al sostantivo (téchne) phantastikè, da intendersi come “la facoltà di creare delle immagini vane” (Aristotele). In Sant’Agostino, il sostantivo latino corrispondente phantasticum indica il “fantasma”, il “dop-pio”. Uno dei significati più frequenti dell’aggettivo “fantastico” in ambito medievale compare nel Dictionnaire di Fré-déric Godefroy, in cui, accostato al termine “démoniacle”, equivale a “indemoniato, posseduto” (valore, quest’ultimo, che evidenzia la futura propensione della produzione letteraria fantastica a trattare in maniera più che approfondita il fenomeno della follia): “Duquel [couteau] il se tua de ses propres mains par grand courroux et ire et comme fantastique et démoniacle” (F. GODEFROY, Dictionnaire de l’ancienne langue française […], Genève-Paris, Slatkine, 1982, voll. 10; t. III E-Fildron, ad vocem). Francis Dubost sostiene addirittura (nella sua tesi consacrata agli Aspects Fantastiques de la littérature narrative médiévale (XIIe-XIIIe siècles): l’autre, l’ailleurs, l’autrefois, Paris, Champion, 1991) come, nel Medioevo, coesistano ben due tipi di letteratura dell’immaginario: l’una - il phantasma - “pura” (ammesso che si possa parlare di creazione ex nihilo), l’altra - la phantasia - profondamente ancorata nel reale e anticipatrice, per certi aspetti, di una delle accezioni fondamentali del Fantastico moderno. Aggettivi dell’epoca quali fantasial, fantasieus e fantasique tendono gradualmente a laicizzarsi e ad assumere il significato di “insensato”, “ingannevole”, “bizzarro, stravagante”. Nel Rinascimento, “fantastico” equivale a “guidato dall’immaginazione”, “visionario”, “nutrito di chimere”: “Tu seras de vulgaire appelé frénétique / Insensé, furieux, farouche, fantastique”, predice la musa a Ronsard ne L’Hymne de l’au-tomne (1555, vv. 31-32), a cui fa eco Mathurin Régnier, nella sua nona satira (1608), parlando del poeta: “Il avait le cerveau fantastique et rétif”. La notevole concorrenza subita dalla parola fino al XVII secolo è, senza dubbio, una delle cause principali della dispersione semantica della stessa: nel 1600 si tratta semplicemente di un vocabolo vago, dai va-lori mal definiti (in quanto eccessivamente dilatato, come si è visto, dal punto di vista del significato), e tendente ad ac-quisire indifferentemente connotazioni più o meno peggiorative. Antoine Furetière definisce il termine nel suo Dic-tionnaire Universel, sia senza sfumature negative, come “imaginaire, qui n’a que l’apparence”, sia con un tono decisa-mente più dispregiativo, come “invraisemblable, bizarre, extravagant, qui est en dehors de la realité” (A. FURETIÈRE, Dictionnaire Universel, […], La Haye-Rotterdam, Arnout & Reinier Leers, 1690, voll. 3; t.

umano che compie uno sforzo per allontanarsi dalla realtà, finendo comunque per restarne ancorato, al fine di meglio esprimerne il versante “altro”, più minaccioso ed enigmatico, o che presenta una dimensione alternativa, in maniera tale che in essa abbondino leggi e fenomeni inspiegabili. Il senso comune di “fantastico” diventa, perciò, equivalente a quello di soprannaturale, di favoloso, di bizzarro, di insolito, rimandando direttamente all’universo della fiaba, del mito, della finzione.

All’inizio del XIX secolo, il termine “fantastique” - utilizzato in maniera differente in In-ghilterra, dove “fantastic(al)” indicava il romanzo nero o “gotico”- viene contemplato dai di-zionari francesi, dal punto di vista letterario, esclusivamente come aggettivo (non come sostan-tivo, di attestazione più tarda, come si dirà in seguito), associato a conte per designare, in man-canza di un vocabolo più appropriato125, un certo tipo di opere contraddistinte dalla

contaminazione di una quotidianità banale (o pittoresca) ad opera del soprannaturale o dell’irrazionale: nello specifico, le opere sconcertanti di Hoffmann126. Soltanto in un secondo

tempo, in seguito alle nu-merose imitazioni dell’autore tedesco da parte di scrittori come Charles Nodier, Honoré de Bal-zac, Gérard de Nerval, Prosper Mérimée e, soprattutto, Théophile Gautier127 (che si presenta come un vero e proprio epigono di Hoffmann per quanto

riguarda il Fantastico)128, il termine ac-quisterà un carattere più specifico, indicando una forma

di scrittura e di composizione di contes in grado di produrre gli effetti tipicamente hoffmanniani. Dal punto di vista del vissuto giornalie-ro, invece, esso conserva la connotazione di ciò che esiste soltanto nell’immaginazione, che non è reale: Nodier, nel

Dictionnaire Universel de la langue française (da lui rivisto e corretto nel 1827)129, non lascia

ancora intuire alcuna modificazione al riguardo. All’epoca si utilizzava “fan-tastique” anche con un’altra accezione, quella di “capriccio”, inteso come sinonimo di “fan-tasia”: nel

Nouveau Dictionnaire de la langue française del 1828130, infatti,“caprice”, adoperato

soprattutto in ambito musicale, è “un recueil d’idées singulières et sans liaison que rassemble une imagination échauffée, et qu’on peut même composer à loisir”. Come “volonté subite qui vient sans aucune raison”, e come “saillie d’esprit d’imagination”131, la nozione di “caprice”- e,

di conseguenza, anche quella di “fantastique”- appare dunque legata a un genere di compo- sizione in cui l’artista, in completa balìa della propria ispirazione, crea senza assoggettarsi a nessuna forma o regola predefinita, in maniera del tutto incostante e anomala. Allo stesso

II F-O, ad vocem). Nessuno, a quell’epoca, avrebbe mai lontanamente pensato di usare il sostantivo “fantastique” per definire, anche a grandi linee, un qualsiasi genere letterario o artistico. Sprovvisto di un significato preciso, esso si prestava particolarmente ad esse-re investito di nuove accezioni. Si spiega facilmente, pertanto, come i Romantici non abbiano esitato ad impadro-nirsene: più difficile risulta comprendere perché non abbiano colmato il suo vuoto semantico (cfr. MALRIEU, op. cit., pp. 13-14 e J. -L. STEINMETZ, La Littérature fantastique, Paris, PUF, 1993, pp. 3-4).

125 Nella recensione redatta da Nodier del testo di Chamisso La Merveilleuse Histoire de Peter Schelmilh (pubblicato da Ladvocat nel 1822), apparsa sul “Journal des Débats” del 20 marzo 1822, l’autore scrive: “Ouvrage difficile à définir, appartenant à une littérature bizarre, qu’on ne définit pas facilement […] on s’occupe très peu du nom qu’on peut donner à ces fantaisies” (citato in BOZZETTO, L’Obscur objet d’un savoir, cit., p. 111).

modo, nel Dictionnaire de l’Académie Française del 1835132, “fantaisie” assume una

connotazione as-sai simile: “caprice, boutade, bizarrerie”. Il Dictionnaire de la Langue

française di Émile Littré (redatto tra il 1859 e il 1872) la definisce così: “Terme de peinture.

Ouvrage où l’on a suivi son caprice et son imagination en s’affranchissant des règles. Des arabesques sont des fantaisies. […]. Terme de musique. Réunion d’airs pris selon le caprice du compositeur, et liés entre eux par des transitions ou ritournelles”133. Il significato di

“fantaisie” esprime, nel francese ufficiale del periodo romantico, una certa idea di irregolarità,

126 Una delle prime opere dello scrittore tedesco, una raccolta di testi riunita sotto il titolo Fantasiestücke in Callots Ma- nier (1815), era stata tradotta in francese da Loève-Veimars, piuttosto approssimativamente, come Contes fantastiques (1829). Letteralmente avrebbe dovuto essere resa come Fantaisies à la manière de Callot: perché, allora, un simile tradi- mento nella versione francese, tenendo anche conto del fatto che Hoffmann non ha mai utilizzato il termine “Fantasti-co” per qualificare nessuna delle proprie pubblicazioni? La risposta è evidente se si considera che la parola “fantaisie” (buon equivalente del termine tedesco Fantasiestücke, trasposto dal vocabolario della pittura e della musica al panorama letterario), malgrado si adattasse perfettamente a indicare il miscuglio di elementi, apparentemente affrancati dalle norme tradizionali di composizione, che caratterizzava l’opera dell’autore tedesco, evocava di più l’amabile “capriccio”, il desiderio e tutta una serie di visioni serene e leggiadre, che l’immaginazione - generalmente cupa, come quella hoff-manniana - e il mistero, vale a dire il vero phantastikón. È proprio per via di una vaga omofonia che si sono quasi im-mediatamente potuti operare un accostamento e una sostituzione tra i termini “fantasia” e “fantastico”, atti che hanno successivamente condotto alcuni a reputare Loève-Veimars un pessimo germanista per essere incappato in un contro-senso tanto grossolano. Questi fece precedere, inoltre, la propria traduzione da un articolo di Walter Scott che contribuì, in una certa maniera, alla nascita della moderna concezione del Fantastico, e che apparve sul primo numero della “Revue de Paris” (a cui lo stesso Veimars collaborava) del 12 aprile 1829 con il titolo Du Merveilleux dans le roman, versione considerevolmente più corta (data la soppressione, ad opera di Auguste-Jean-Baptiste Defauconpret - uno dei traduttori ufficiali di Scott - di almeno dieci pagine dell’articolo originale) di un testo inizialmente composto tra il 2 e il 7 maggio 1827 per la “Foreign Quarterly Review” - su richiesta del direttore Robert Pearse Gillies (scrittore romantico scozzese, amico di Scott e traduttore, a sua volta, di letteratura tedesca) - e intitolato On the Supernatural in Fictitious Composi-tions; and particularly on the Works of Ernest Theodore William [sic] Hoffmann. In una traduzione fin troppo disin-volta, contraddistinta da molteplici lacune (nella quale, in media, compaiono due frasi su tre del testo originale) e che tende, in generale, ad impoverire il vocabolario impiegato da Scott, in funzione di una poetica più che altro dogmatica, si passa, in un primo tempo, dal termine inglese “supernatural” al francese “merveilleux” e, in un secondo tempo - nell’edizione di Loève-Veimars -, al francese “fantastique” (il titolo dell’articolo, nel frattempo, si è infatti trasformato - e semplificato - in Sur Hoffmannn et les compositions fantastiques). Sotto il patrocinio del tutto involontario dell’auto-revole romanziere scozzese (che si proponeva semplicemente di sostenere il proprio impiego personale del cosiddetto “merveilleux historique”), il nome di Hoffmann viene lanciato sul mercato editoriale francese e, associato suo malgrado al vocabolo “fantastico”, innalza subito quest’ultimo al rango di “genere”, imponendolo, di fatto, nel panorama lette-rario dell’epoca. All’interno di quella che lo stesso Scott presenta come una vera e propria definizione, il definiendum compare in lettere maiuscole “Le goût des Allemands pour le mystérieux leur a fait inventer un genre de composition qui peut-être ne pouvait exister que dans leur pays et leur langue. C’est celui qu’on pourrait appeler le genre FANTASTIQUE, où l’imagination s’abandonne à toute l’irrégularité de ses caprices et à toutes les combinaisons des scènes les plus bi-zarres et les plus burlesques. Dans les autres fictions où le merveilleux est admis, on suit une règle quelconque: ici l’imagination ne s’arrête que lorsqu’elle est épuisée. Ce genre est au roman plus régulier, sérieux ou comique, ce que la farce, ou plutôt les parades et la pantomime sont à la tragédie et à la comédie” (W. SCOTT, Sur Hoffmann et les composi-tions fantastiques, in E. T. A. HOFFMANN, Contes Fantastiques; traduction de Loève-Veimars - chronologie, introduc-tion, notices et notes par José Lambert, Paris, Garnier-Flammarion, 1979-1980, voll. 2; t. I, 1979, citato in MALRIEU, op. cit., p. 49). Nel punto in cui Scott parla di “fantastic mode of writing” - di cui “mode d’écriture fantastique” avrebbe potuto costituire un equivalente abbastanza fedele - Defauconpret, modificando referenzialmente la parola, parla - come si è visto - di “genre FANTASTIQUE” (cfr. Ibid., pp. 8-10).

127 Studi di Marcel Breuillac (Hoffmann en France: Étude de littérature comparée, in “Revue d’Histoire Littéraire de la

France”, 13 (1906), pp. 427-457 e 14 (1907), pp. 74-105); di Jean Giraud (Alfred de Musset et trois romantiques alle-mands: Hoffmann, Jean-Paul, Henri Heine, I, Alfred de Musset et Hoffmann, in “Revue d’Histoire Littéraire de la France”, 18 (1911), pp. 297-334 e Charles Baudelaire et Hoffmann en France, in “Revue d’Histoire Littéraire de la France”, 26 (1919), pp. 412-416); di Sybrandi Braak (Introduction à une étude sur l’influence d’Hoffmann en France, in “Neophilo-logus”, 223 (1938), pp. 271-278); di Léon Guichard (Un emprunt de Gautier à Hoffmann, in “Revue de Littérature Comparée”, 21 (1947), pp. 92-94); di René Guise (Balzac, lecteur des “Elixirs du Diable”, in “L’Année Balzacienne”, 11 (1970), pp. 57-67); di Marie-France Jamin (Quelques emprunts possibles de Balzac à Hoffmann, in Ibid., pp. 69-75); di Elizabeth Teichmann (La Fortune d’Hoffmannn en France, Genève-Paris, Droz-Minard, 1961); di Lucie Wanuffel (Pré-sence d’Hoffmann dans les oeuvres de Balzac, in “L’Année Balzacienne”, 11 (1970), pp. 45-56); di Pierre-George Castex (Le Conte fantastique, cit.) e di

di movimento, di esagerazione e di follia134 legata ad un’estetica barocca135, e si oppone al

senso di “imagination”, che conserva, invece, un valore derivato dall’inventio latina, dunque potenzialmente positivo.136 In questo tipo di Fantasti-co, prodotto di una fantasia sfrenata,

l’immaginazione tende a generare delle forme bizzarre, in cui “bizarre” rimanda, da un lato, al concetto di “fantasque” (vale a dire, di ciò che è soggetto a fantasie) e, dall’altro, a quello di

“extravagant” (vale a dire, di ciò che si allontana dal gusto137 comune in un modo contrario al

buonsenso). Gautier descrive efficacemente il concetto ricorren-do a una serie di immagini “esperpentiche”:

Rosemary Lloyd (Baudelaire et Hoffmann: affinités et influences, Cambridge-New York-Melbourne, Cambridge University Press, 1979) testimoniano la profonda influenza di Hoffmann su Balzac (collaborato-re della “Revue de Paris” e conoscente di Loève-Veimars) (cfr. TEICHMANN, op. cit., p. 77), Nerval, Nodier, Gautier, Erckmann-Chatrian, Baudelaire e numerosi altri autori, appartenenti, in particolare, alla prima generazione del Fanta-stico francese. Per quanto concerne più specificatamente Balzac, oltre ad aver partecipato attivamente alla pubblicazio-ne della traduzione completa dello stesso Loève-Veimars, egli asserisce di aver letto “en entier” l’opera hoffmanniana (cfr. Ibid., p. 105).

128 Théophile Gautier si dedicò al Fantastico per ben trentacinque anni della propria carriera letteraria - iniziando con La Cafetière, conte fantastique (1831), per terminare con Spirite, nouvelle fantastique (1866) - vale a dire per una durata e con una frequenza superiori a quelli di molti altri importanti autori fantastici del XIX secolo, da Nodier, a Balzac, a Mérimée, a Villiers de l’Isle-Adam, fino a Maupassant. La straordinaria costanza con cui l’autore praticò questo “gene-re”, perfezionandone la tecnica narrativa e trasponendovi più di un’esperienza personale, risponde all’ennesimo pro-getto scaturito dal bisogno inestinguibile di creazione artistica che sempre lo contraddistinse. L’epiteto “fantastique” compare con una certa ricorrenza all’interno della sua produzione narrativa, come nell’intento di abbozzare uno scenario il più persuasivo possibile per il lettore. (cfr. M. EIGELDINGER, Introduction (Une Théorie éparse du fantastique), in Récits Fantastiques, Paris, Flammarion, 1981, p. 17). Nel poema Albertus (1832), ad esempio, Gautier pretende, riferen-dosi ad Hoffmann, di ritrovare “la réalité des contes fantastiques” (Th. GAUTIER, Albertus ou l’Âme et le Péché, légende théologique, in Poésies Complètes de Théophile Gautier, Paris, Nizet, 1970, voll. 3; t. I, p. 132, str. XI), mentre, nella prefazione a Les Jeunes- France, egli dichiara, dopo essersi autodefinito un buono a nulla, di aver interamente consacrato la propria esistenza a comporre “des préfaces et des contes fantastiques”, un’attività che “n’est pas si bien que rien”, ma che, in ogni caso, “c’est presque aussi bien, et c’est quasi synonyme” (ID., Préface, in Les Jeunes-France, romans gogue-nards, in Romans, Contes et Nouvelles, Paris, Gallimard, 2002, voll. 2; t. I, p. 21). Il narratore di Omphale sostiene di aver intrapreso la professione di “conteur fantastique”, una scelta piuttosto biasimevole, a causa della quale l’aristo-cratico zio l’avrebbe senza dubbio “mis à la porte et déshérité irrévocablement” (ID., Omphale, histoire rococo, in Ibid., p. 201). Il narratore di Fortunio, invece, si attribuisce una “qualité de romancier fantastique” (ID., Fortunio, in Ibid., p. 691).

129 P. C. V. BOISTE, Dictionnaire Universel de la langue française […] - 8e édition, Paris, Lecointe et Pougin, 1834, ad vocem.

130 J.-C. T. DE LAVEAUX, Nouveau Dictionnaire de la langue française […], Paris, Deterville, 1828, voll. 2; t. I A-K, ad vocem.

131 P.-É. LITTRÉ, Dictionnaire de la langue française, Paris, Hachette, 1873, voll. 4; t. I A-C, ad vocem. 132 ACADÉMIE FRANÇAISE, Dictionnaire de l’Académie Française - 6e édition, op. cit., t. I, ad vocem.

133132 LITTRÉ, op. cit., t. II D-H., ad vocem. Nell’Ottocento, in letteratura, come nel campo delle arti plastiche e musicali,

Documenti correlati