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Quest’opera s’ha da fare

“La Nuova Linea Torino-Lione rilancia la vera differenza tra chi pensa che il nostro Paese debba investire sul futuro e chi risponde alle sfide della globalizzazione con il localismo”.

(S. Esposito e P. Foietta)

Non solo No Tav. C’è pure chi sostiene le ragioni del sì e, di conseguenza, è a favore della nuova linea.

Pareri contrastanti che emergono in quanto la «realizzazione di opere di rilevanti dimensioni ed impatto territoriale, come il progetto Alta Velocità, influisce potenzialmente su un numero elevatissimo di interessi pubblici e

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privati (assai diversi fra loro, nda). Tra gli interessi pubblici si possono citare la tutela dell’ambiente, del paesaggio e delle aree protette, la tutela della salute umana, il regime dei suoli e delle acque, l’ordinato assetto del territorio, la pianificazione dei trasporti regionali, i vari piani di sviluppo economico regionale, ecc. Tra gli interessi privati: il diritto di impresa di coloro che esercitano attività che possono essere influenzate, in modo positivo o negativo, dall’esecuzione dell’opera pubblica, il diritto di proprietà dei titolari di immobili contigui all’opera pubblica, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, ecc.» (Ferlaino e Levi Sacerdotti 2005: 85).

Il parere dei Sì Tav può essere sintetizzato così: ogni attivista contrario alla Torino-Lione «non si oppone solo alla realizzazione di un’importante infrastruttura che (…) risponde a un imprescindibile interesse italiano ed europeo, ma non riconosce il processo democratico attraverso cui si è giunti alla decisione» (Bersani 2012: 9-10). Un qualunque Paese in crisi, infatti, «non può limitarsi a gestire il declino, ma deve uscirne con investimenti produttivi per rafforzare la propria competitività (…). L’Italia è l’ottavo esportatore mondiale e (…) la Torino-Lione è l’anello mancante nelle relazioni est- ovest lungo il Corridoio Mediterraneo TEN-T» (Esposito e Foietta 2012: 25-26), un percorso ferroviario di circa tremila chilometri dal sud della Spagna sino al confine dell’Unione Europea con l’Ucraina156

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Insomma, anche chi sta dalla parte del Tav fa sul serio, sostenendo la costruzione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità che costituirebbero – diversamente da quanto affermano gli oppositori – un enorme vantaggio per il Paese innanzitutto dal punto di vista ambientale: ogni passeggero produce «mediamente il 70% di gas serra in meno se viaggia in treno piuttosto che in aereo e il 60% in meno se preferisce il treno

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all’auto. Dall’entrata in esercizio dell’Alta Velocità la penetrazione dei servizi denominati Frecce (Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca157) è (…) cresciuta sottraendo sempre più viaggiatori alle altre modalità» (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 2013: 128). Ecco perché un «investimento di queste dimensioni ha, per definizione, un’importanza strategica» (Calafati 2006: 18).

In altri termini, il «sistema AV/AC (…) contribuisce al riequilibrio del sistema dei trasporti italiano oggi fortemente squilibrato a favore della strada, permette la riqualificazione e la riorganizzazione territoriale delle aree e dei nodi metropolitani attraversati, aumenta la quantità e la qualità dell’offerta ferroviaria e l’integrazione con la rete europea. Perciò, a livello sovranazionale, il sistema AV/AC italiano costituisce (…) un tassello fondamentale del Trans European Transport Network (TEN-T), la rete di trasporto europea pianificata a partire dall’inizio degli anni ’90 dalla Commissione Europea ed attualmente in fase» (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 2014: 82) di ulteriore crescita.

Precisamente, l’obiettivo «della rete TEN-T è quello di assicurare, razionalizzando e rendendo compatibili e interoperabili158 le infrastrutture, (…) la riduzione del divario economico tra le regioni del continente europeo promuovendone lo sviluppo. La nuova rete (…) eliminerà le strozzature, ammodernerà l’infrastruttura e snellirà le operazioni transfrontaliere di trasporto per passeggeri e imprese in tutta l’UE, migliorando i collegamenti fra i diversi modi di trasporto (…). Si tratterà della linfa economica del mercato unico, che consentirà una reale libertà di circolazione delle merci e delle persone (…). La rete centrale si integrerà con le reti nazionali, (…). Infatti i singoli Stati hanno provveduto a redigere piani interni di adeguamento e incremento del patrimonio

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infrastrutturale ferroviario e al 2025 risulteranno attivi ben 17.769 chilometri di ferrovie» (Esposito e Foietta 2012: 16) ad alta velocità.

Ecco perché – sostengono i Sì Tav – la costruzione dell’opera deve proseguire a ogni costo, senza lasciarsi spaventare dalle proteste di chi ha deciso di ostacolare il progresso e la crescita del Paese. D’altronde, i «progetti di grandi interventi suscitano quasi sempre vivaci controversie. Questo è del tutto normale (…). La loro realizzazione rimette in discussione gli equilibri esistenti per quanto riguarda gli usi del suolo e delle risorse ambientali, e questo facilmente produce problemi nuovi o riacutizza conflitti sopiti. È di conseguenza altrettanto normale che la decisione finale, positiva o negativa che sia, lasci un certo grado di insoddisfazione» (Bobbio e Zeppetella 1999: 9) e malcontento.

Insomma, i dubbi e gli interrogativi dei No Tav restano, ma non sono da meno le risposte di chi è a favore dell’alta velocità, nello specifico tra Italia e Francia. Ecco alcuni esempi (Esposito e Foietta 2012): esistono sufficienti volumi di merci e

passeggeri per una nuova linea ferroviaria? È senz’altro

sbagliato basare la scelta di realizzare una nuova opera sui flussi di traffico esistenti, che sono spesso effetto di limitazioni strutturali delle infrastrutture disponibili. Sulla base di questo schema, non sarebbe neppure stata realizzata la galleria del Fréjus nel 1871, considerandosi sufficienti, per i traffici di allora, le mulattiere di Moncenisio e Monginevro. I No Fréjus dell’epoca sostenevano questo; perché fare una nuova linea

ferroviaria quando ne esiste già una poco utilizzata? Tutti i

nuovi tunnel di attraversamento delle Alpi, realizzati o in corso di realizzazione, hanno caratteristiche simili e costituiscono il naturale rinnovo di infrastrutture ultracentenarie che hanno ormai concluso il proprio ciclo di vita e devono essere sostituite;

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se la nuova linea è davvero così utile, perché non la finanziano i privati? Finora per nessuna delle infrastrutture strategiche

europee TEN-T i costi sono stati sostenuti da privati, piuttosto il finanziamento è arrivato dall’Europa e dagli stati interessati (Francia, Germania, Olanda, Spagna, Belgio, Svizzera). Questo accadrà anche con la Torino-Lione, progetto su cui l’UE continuerà a investire, trattandosi di una delle opere con il più alto valore aggiunto dell’intero continente. In tutta Europa, i privati non stanno investendo i propri capitali in infrastrutture di grandi dimensioni poiché tali operazioni, in un contesto generale di forte incertezza economica, sono considerate troppo rischiose; il project financing comporterebbe tempi di recupero dell’investimento troppo lunghi e senza adeguate garanzie per le imprese private; in Italia siamo in grado di fare la Nuova Linea

con i conflitti di interesse e con le infiltrazioni mafiose? Dove

gira molto denaro può accadere che vi siano delle infiltrazioni malavitose; questo vale per l’Italia e per le Grandi Opere Pubbliche, ma anche in Europa e negli Stati Uniti. Naturalmente occorre evitarlo applicando le regole con rigore ed esercitando controlli rigidi. Si ritiene per questo inaccettabile la scelta di non

fare soltanto perché l’Italia ha un peccato originale fatto di

mafia, mazzette e corruzione; qual è la sostenibilità energetica

della Nuova Linea? Nella pubblicistica No Tav, una delle tesi a

contrasto alla nuova linea è la presunta scarsa sostenibilità energetica della NLTL. Si tratta, però, di una tesi scientificamente infondata, poiché basata su degli studi ormai obsoleti e condotti analizzando opere diverse dalla Torino- Lione.

Sulla base di quanto detto, possiamo notare come le parti siano sempre più distanti e incapaci di dialogare, nonostante la consapevolezza «di stare esaminando una decisione di grande importanza strategica per l’Italia. Una decisione, inoltre, molto

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rischiosa, nel senso di incerta nei suoi effetti finali, come sono

le decisioni i cui effetti si proiettano su un arco temporale molto lungo, che dipendono da un contesto sociale ed economico soggetto a profondi cambiamenti nel tempo e che conducono all’impiego di ingenti risorse. Caratteristiche che accomunano i megaprogetti» (Calafati 2006: 19).

In presenza di una frattura tanto ampia159, il paradosso più inquietante consiste probabilmente «nell’afasia della (…) politica, nella sua incapacità a decifrare i cambiamenti che la stanno investendo (…). Ciò su cui, invece, occorre riprendere a ragionare pubblicamente sono, appunto, i cambiamenti profondi che (…) riflettono, invece, altri processi, tendenze, discontinuità. Bisogna mettere di nuovo in agenda il paese reale, coi suoi difetti e le sue pulsioni, in luogo di quello virtuale in cui tutti si riconoscevano ma nessuno ha trovato posto» (Calise 2000: 6). In fondo, i Sì Tav e gli attivisti contro l’alta velocità ferroviaria lottano entrambi, ogni giorno, per costruire un’Italia migliore, anche se lo fanno da prospettive differenti.

109 Capitolo 4

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4.1 Motivi e obiettivi dell’indagine

“Il cosiddetto movimento No Tav (…) si è rivelato un’entità piuttosto sfaccettata e articolata, costituita da diverse anime fra loro distinte”.

(M. Roccato, A. Rovere e G. Bo)

“Studiare internet (…) porta a focalizzare l’attenzione sulla questione relativa all’impatto delle reti digitali sulle comunità e sulle forme di capitale sociale”.

(D. Bennato)

Dobbiamo considerare i primi tre capitoli del presente lavoro come degli universi paralleli – rispettivamente incentrati su Internet, capitale sociale e protesta contro l’alta velocità ferroviaria –, anche se non privi di elementi in comune. È giunta l’ora di favorire una commistione di questi mondi separati, attraverso la ricerca intitolata No Tav e capitale sociale, tra

piazza e mouse, promossa dal corso di dottorato in Sociologia e ricerca sociale160 dell’Università degli Studi di Verona.

L’indagine nasce dalla volontà di mettere a confronto un tema (la lotta contro il Tav), sul quale è stato detto e scritto poco (almeno in ambito scientifico), con un altro (il capitale sociale) che al contrario «si è diffuso in tutte le scienze sociali e ha prodotto una letteratura immensa» (Colozzi 2011: 9). Tale confronto – reso necessario dalla crescente importanza che il terzo settore attribuisce a sentimenti quali fiducia e solidarietà (§ 2.5) – è inoltre considerato in un’ottica Internet-centrica161: nell’ultimo quarto di secolo, infatti, le principali aree di interesse

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sociologico sono state ridefinite proprio in base al rapporto tra la società e il network per antonomasia (Livingstone 2009, trad. it. 2010), tra la democrazia e il web 2.0. Perché «guardare ai rapporti tra democrazia e web come realtà in movimento significa (…) tenere conto di una complessità inestricabile di possibilità e occasioni, per di più in continuo divenire» (Colombo 2014: 31-32).

Anche i discorsi e gli avvenimenti connessi al Tav sono in continuo divenire, sospesi tra le ragioni del sì e quelle del no, tra chi sostiene la necessità di realizzare opere quali la Torino- Lione e chi invece le considera inutili, tra chi ricorda con piacere i primi «viaggi in ferrovia che mutano la conoscenza del territorio e incrementano le competenze visive degli uomini dell’Ottocento» (Frezza 2008: 43) e chi sottolinea il fatto che oggi i treni veloci trasformino esclusivamente il territorio, nella maggior parte dei casi danneggiandolo. Sia chiaro: la mia ricerca non si basa su questo dualismo, mi interessano relativamente le ragioni a favore o contro l’alta velocità ferroviaria. Piuttosto, sono intenzionato a esplorare il mondo dei No Tav con le seguenti finalità cognitive:

1. indagare l’uso (soprattutto quello orientato alla protesta) che essi fanno della CMC (comunicazione mediata dal computer) e di Internet;

2. verificare se e quanto le relazioni fra i No Tav, e quelle tra No Tav e soggetti esterni alla lotta, siano contraddistinte da fiducia e aiuto reciproco (le due dimensioni costitutive del capitale sociale);

3. capire il modo in cui gli strumenti e i percorsi di

navigazione online dei No Tav vadano

eventualmente a influire sui loro processi di produzione di capitale sociale (associativo,

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generalizzato nei confronti di persone/istituzioni), e viceversa.

La quotidianità degli attivisti contro il Tav – al pari della vita giornaliera di qualunque altra persona – «è costituita da un’ampia varietà di pratiche sociali che (…) comprendono il lavoro, la famiglia, la socialità, il consumo, la salute, i servizi sociali, la sicurezza, l’intrattenimento e la costruzione di significati attraverso le percezioni dell’ambiente socioculturale» (Castells et al. 2007, trad. it. 2008: 96). Queste pratiche (sempre più facilitate dall’accesso alla grande rete) sono permeate dell’opposizione all’alta velocità e delle relazioni costruite

all’interno della e intorno alla162

protesta stessa. Perché mentre

il treno, diversamente da qualsiasi altro luogo sociale, impone delle disposizioni prossemiche per periodi di tempo che possono essere prolungati163, trasformandosi (Deni 2002: 149) spesso da spazio topico (luogo d’azione) in spazio eterotopico (luogo di sospensione di qualsiasi azione), al contrario la lotta nei confronti dei treni particolarmente rapidi è a tutti gli effetti un ambito nel quale diventa essenziale (inter)agire, sia al computer che face to face.

Perciò quando si parla di No Tav è opportuno tenere conto della natura relazionale del capitale sociale. Chi nega tale aspetto «può solo osservare la sua presenza o assenza, la sua maggiore o minore efficacia, ma non può spiegare il come e il perché venga generato o sia assente. Mentre chi adotta la prospettiva relazionale può dare ragione dei processi generativi del capitale sociale e dei differenti benefici che esso può produrre164» (Donati 2011: 10), a seconda del valore sociale aggiunto delle relazioni che lo costituiscono.

Relazioni da indagare stando molto attenti: innanzitutto perché lo «studio di fenomeni come (…) la rapida e inattesa

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mobilitazione politica attivata mediante reti e relazioni informali, i meccanismi di diffusione e distorsione di notizie a partire da un evento drammatico (…) richiedono al ricercatore di farsi trovare pronto a entrare sulla scena prima che tutto sia già terminato» (Albano e Paccagnella 2006: 119); spesso, poi, alcuni analisti tendono a “diventare dei nativi”, ovvero «assimilano (…) così profondamente il punto di vista dei soggetti studiati che diventano o si sentono membri della loro comunità» (Marradi 2007: 92). In questo caso, però, dato che l’avversione nei confronti dei treni ad alta velocità non costituisce il fine del mio lavoro, ma soprattutto un mezzo per parlare d’altro, il problema non si pone.

Nello svolgimento delle operazioni di ricerca, comunque, ho sempre cercato di assumere l’atteggiamento del marziano – contrapposto da Davis (1973: 336-338) a quello del convertito165 – che individua nella distanza e nel distacco emotivo la garanzia di scientificità. Un marziano pronto a non dare nulla per scontato, in grado «di lasciarsi sorprendere dalle cose apparentemente banali. Se (…) Isaac Newton “scoprì” la forza di gravità dopo aver osservato una mela che cadeva dall’albero, allora (…) noi possiamo costruire un frammento di conoscenza scientifica osservando una conversazione, una trasmissione televisiva» (Albano e Paccagnella 2006: 11) o una chat166.

E proprio la chat – lo vedremo nei prossimi paragrafi – costituisce uno strumento centrale nell’ambito di questa ricerca, uno spazio ambiguo, in bilico «tra due ere tecnologiche (la

galassia di Gutenberg e la Galassia di internet), che oscilla tra il

punto di vista di una dominante visuale e il punto d’essere di una dominante tattile (…), tra lo schermo e il mouse» (Massidda 2007: 69), a metà tra l’eterotopia e l’utopia (luogo senza luogo). Un po’ come il treno.

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