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1.3 Il difficile rapporto tra le società a partecipazione pubblica e la disciplina concorsuale

1.3.1 La questione della natura delle società a capitale pubblico

In via preliminare occorre sottolineare che le società a capitale pubblico costituiscono soggetti formalmente privati disciplinati da norme che, in alcuni casi, derogano in chiave pubblicistica alla disciplina di diritto civile; si distinguono, pertanto, dagli enti pubblici economici, caratterizzati dal fatto di essere soggetti formalmente pubblici che operano in regime di diritto privato. Il proliferare delle società pubbliche coincide con la progressiva diminuzione degli enti pubblici economici.

Dunque, la scelta operata dal codice civile è quella di una piena, ordinaria, riconduzione dell’azionariato pubblico al diritto privato commerciale e alle relative logiche: salvo diverse previsioni di legge, le società a partecipazione pubblica sono soggette al medesimo regime giuridico delle altre società (a partecipazione privata); sono cioè, a tutti gli effetti, persone giuridiche di diritto privato. Il socio pubblico di controllo esercita, quindi, dei poteri privatistici: poteri assai potenzialmente pervasivi ma nel rispetto dei limiti previsti dal diritto

96 PIPERATA G., Le società a partecipazione pubblica nella gestione dei servizi degli enti locali, op. cit.,

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societario comune, non diversi da quelli di un qualunque altro socio di controllo97.

Il ricorso allo schema societario soddisfa l’esigenza di alleggerire il bilancio dello Stato e, per quanto riguarda le società miste, di poter disporre di capitale privato; l’opzione per le società a totale partecipazione pubblica deriva, invece, dalla convinzione di poter conseguire migliori risultati in termini di efficienza ed economicità attraverso l’utilizzo di una forma organizzativa che si fonda sullo scopo di lucro e non presenta gli elementi di rigidità delle amministrazioni

pubbliche98. La scelta della forma societaria come modalità di organizzazione

pubblica comporta la necessità di conciliare la struttura tipica delle società,

imperniata sul fine di lucro99, con l’interesse pubblico che si intende realizzare; è

compito del legislatore risolvere questo elemento di criticità mediante

l’approvazione delle leggi che istituiscono le società pubbliche100.

Le società in mano pubblica sono, insomma, enti pienamente privatistici anche e soprattutto perché lucrativi, ai sensi dell’art. 2247 c.c., norma che non è affatto disapplicabile, bensì ben vigente ed inderogabile da parte dell’autonomia

97 GOSIS F., La natura delle società a partecipazione pubblica alla luce della più recente legislazione di

contenimento della spesa pubblica, p.2.

Peraltro la Relazione al Codice Civile (Relazione del Ministero Guardasigilli, n. 998), nel riecheggiare l’osservazione dottrinale per cui costituire una società di capitali significa, per l’ente pubblico, ‹‹spogliarsi, per ragioni varie, di quella posizione di supremazia indubbiamente inerente alla sua qualità di persona giuridica pubblica››, si legge che, nei vari casi di partecipazione pubblica a società, ‹‹…è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggior snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici; dunque, la disciplina comune delle società per azioni e con esse lo scopo di lucro, di cui all’art. 2247 c.c., deve applicarsi anche alle società con partecipazione dello stato e di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongono diversamente››.

98 Cfr. URBANO G., Le società a partecipazione pubblica tra tutela della concorrenza, moralizzazione e

amministrazione, in rivista telematica ‘Amministrazione in cammino’, op. cit.

99 Lo scopo di lucro va modernamente inteso non solo come distribuzione di dividendi ma anche come

perseguimento della piena capacità di produzione di ricchezza da parte della società, ossia di creazione di valore per tutti i soci, con ciò quindi certamente ammettendo anche reinvestimenti dell’utile in vista dell’efficienza produttiva dell’impresa. GOISIS F., La natura delle società a partecipazione pubblica alla

luce della più recente legislazione di contenimento della spesa pubblica, p.4.

100LA MALFA S., Le società strumentali delle amministrazioni regionali e locali, Articolo del

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statutaria, espressamente riaffermata dal legislatore del 2002101, nonché, infine,

rafforzata dalla riforma del 2003 del diritto societario102. La giurisprudenza,

infatti, è arrivata ad affermare la neutralità del modello societario rispetto alle finalità che si intendono perseguire103; questa interpretazione risulta avvalorata

dalla tendenza dell’ordinamento comunitario ad essere indifferente al profilo nominalistico, rilevando, invece, la sostanza delle funzioni esercitate e la tipologia degli interessi perseguiti104.

In questo quadro la Cassazione, in una pronuncia del 2013105, è pervenuta ad una

serie di conclusioni sistematiche assolutamente rilevanti rispetto a questo tema. Innanzitutto i giudici di legittimità (Cassazione n. 58/79106) hanno affermato un

principio, poi ripreso dalle successive pronunce (per tutte, Cassazione, Sezioni Unite n. 7799 del 2005), secondo il quale una società non muta la sua natura di soggetto privato solo perché un ente pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale. Le numerose sentenze che si sono susseguite e che ribadiscono tale principio trovano fondamento nell’incontestabile rilievo che il rapporto tra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, posto che l’ente può incidere sul funzionamento e sull’attività della società non già attraverso l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti

101 Cfr. l’art. 190, comma 17, legge n. 289 del 2002.

102 L’ultima riforma organica del diritto delle società di capitali mirava, in conformità ai criteri di delega,

alla valorizzazione della loro natura imprenditoriale e lucrativa, ossia a rendere possibile ‹‹il proficuo svolgimento dell’impresa sociale…›› (art. 1, comma 4, lett a), Legge 366 del 2001).

103 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, nn. 1206 e 1207 del 2001 e nn. 4711 del 2002, con nota di PIZZA P., Società

per azioni di diritto singolare, enti pubblici e privatizzazioni: per una rilettura di un recente orientamento del Consiglio di Stato, in Dir. Proc. Amm., 2003. Di diverso avviso è la dottrina: cfr. FIMMANO’ F., Il fallimento delle società pubbliche, in Crisi di impresa e fallimento, 18 dicembre 2013 e SCOCA F. G., Il punto sulle c.d. società pubbliche, in Diritto dell’economia, 2005, p. 239 e ss.

104 Così CARINGELLA F., Corso di diritto amministrativo. Profili sostanziali e procedurali, Milano,

2011.

105 Cassazione 27 settembre 2013, n. 22209 in Ilcaso.it.

106 La fattispecie discussa riguardava la fallibilità su una S.p.A. concessionaria dello Stato e partecipata

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dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina.

La Suprema Corte ha richiamato l’art. 4 della Legge n. 70/75, che nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non espressamente attribuita da una disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco. Eventuali norme speciali che siano volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non incidono sul modo in cui essa opera nel mercato né possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell’affidamento dei terzi contraenti contemplate dalla disciplina privatistica. L’eventuale divergenza causale rispetto allo scopo lucrativo, si legge sempre nella sentenza, non appare sufficiente ad escludere che, laddove sia stato adottato il modello societario, la natura giuridica e le regole di organizzazione della partecipata restino quelle proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice civile. Insomma per i giudici di legittimità ciò che rileva nel nostro ordinamento, ai fini dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale, non è il tipo di attività esercitata ma la natura del soggetto. Se così non fosse si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato, cui si affida in concessione la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale, sarebbero esentate dal fallimento. Viceversa, dalla scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso

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lo strumento privatistico, deriva l’assunzione dei rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela a disposizione dell’ordinamento; tenuto conto anche della necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato

con le stesse forme e le stesse modalità107.

1.3.2 Possibili soluzioni sul problema della fallibilità alla luce dei più recenti