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LA QUESTIONE RELATIVA ALL’AUTENTICITÀ DELL’OPUSCOLO

2.3 La questione negli studi recent

Fuhrmann (1988), analogamente a Flacelière, ritiene che l’opuscolo possa

essere ragionevolmente attribuito al Cheronese.

Nella Notice, premessa alla traduzione da lui curata per Les Belles Lettres, Fuhrmann replica agli studiosi che negano l’autenticità dell’opuscolo, affermando innanzitutto che l’assenza del nome dell’autore nella maggior parte dei manoscritti non costituisce una prova a sostegno delle loro teorie, per il fatto che ciò accade anche per altri opuscoli plutarchei.

Circa l’idea poi che la raccolta non fosse ritenuta degna di Plutarco per la mancanza di contestualizzazione, Fuhrmann ribatte che non è possibile considerare inautentico in Plutarco tutto ciò che “n’est pas de haute tenue”. Inoltre, confrontando i Regum et imperatorum apophthegmata con gli

Apophthegmata Laconica, egli evidenzia che la prima raccolta non è affatto

intaccata dai difetti che caratterizzano la seconda (ad esempio aneddoti ripetuti più volte e attribuiti a personaggi differenti), difetti che sono segno di un lavoro ancora “rudimentaire” e “provisoire”.

Volkmann considerava come elemento probante dell’inautenticità l’assenza di numerosi apoftegmi citati da Plutarco altrove, mentre altri apoftegmi si rinvengono solamente nella raccolta. Ma Fuhrmann ritiene che la conclusione di Volkmann è eccessiva, se si considera che molte opere di Plutarco sono andate

46 perdute ed in esse si sarebbero ipoteticamente trovare gli apoftegmi, che noi possiamo leggere solo nella raccolta.

In merito alla lettera, Fuhrmann ritiene che essa rispecchi senza dubbio lo stile ed il pensiero di Plutarco e che alcuni studiosi, convinti dell’inautenticità della raccolta, si sono voluti adoperare ad ogni costo per dimostrare una presunta falsità della lettera. Tra questi studiosi Fuhrmann cita Volkmann di cui però non riprende, per confutarle, le argomentazioni espresse sull’inautenticità della lettera, dal momento che tali argomentazioni gli appaiono “manquer de solidité”. Lo stile della lettera si mostra tutt’altro che mediocre; pertanto, se anche fosse opera di un imitatore, essa non sarebbe certo “un faux des plus médiocre”, come sostenuto da Volkmann. Per quanto riguarda il contenuto, Fuhrmann afferma che la lettera riflette compiutamente la concezione plutarchea, espressa in tanti suoi scritti, secondo cui sono le parole, un motto, una battuta a rivelare l’indole dell’uomo; ed anzi questa raccolta rappresenta “l’expression suprême, ou, si l’on veut, élémentaire, de cette conception”.

Dopo aver ricordato i celebri passi del De tranquilliate animi (464EF) e del De

cohibenda ira (457D) in cui Plutarco scrive di aver l’abitudine di raccogliere

aneddoti durante le sue letture, Fuhrmann si interroga sulle ragioni per le quali il Cheronese avrebbe donato questa raccolta a Traiano. Sebbene sia difficile stabilire se i due si siano mai incontrati, certamente Traiano doveva conoscere Plutarco almeno per la sua fama, considerata la stretta amicizia del Cheronese con Sosius Senecio, uno degli uomini più influenti della corte traianea. Oltre a ciò, attenendosi a quanto si legge nel lessico della Suda, Traiano gli aveva conferito alcune cariche onorifiche, ragion per cui Plutarco, in segno di

47 riconoscimento, gli avrebbe fatto omaggio della raccolta. Ciò consente anche di datare l’opera al periodo in cui Traiano governò, tra il 98 ed il 117, e più probabilmente verso il 117, se si considera che nell’epistola si fa riferimento alle

Vite (172CD), composte da Plutarco in età matura.

Per quanto riguarda la provenienza degli apoftegmi della raccolta, lo studioso ipotizza che egli li abbia ripresi direttamente dalle Vite, spesso semplificandoli, là dove si osserva che essi sono citati nel medesimo ordine, come si può notare comparando, ad esempio, la Vita di Focione e la sezione di Focione negli

Apophthegmata; negli altri casi dovrebbe averli tratti da altri suoi scritti

anteriori e da appunti che aveva annotato dalla letttura delle fonti.

Lo studio più recente a sostegno dell’autenticità della raccolta è quello di Beck

(2002), di cui si indicano, in questa sede, solamente i punti fondamentali,

poiché esso verrà citato ampiamente nel commento all’epistola a Traiano.

Beck esamina accuratamente l’epistola dedicatoria, mostrando che sia dal punto di vista linguistico sia concettuale essa non si discosta affatto dagli scritti plutarchei e può essere considerata autentica.

Nella lettera si leggono tre aneddoti, relativi ad Artaserse, Licurgo e Siramne, atti ad illustrare alcuni concetti; è, questa, una caratteristica peculiare della scrittura di Plutarco, che si può agevolmente riscontrare nelle sue opere.

Per quanto riguarda l’espressione tanto contestata da Volkmann, κοινὰς ἀπαρχὰς...ἀπὸ φιλοσοφίας, Beck la giudica niente affatto oscura; egli ricorda che già Flacelière aveva dimostrato, seppure con brevi cenni, che Plutarco aveva fatto ricorso ad un’espressione analoga nel De E Delphico (384DE) per riferirsi ad un suo scritto di contenuto filosofico. Oltre a ciò Beck indica anche un altro

48 scritto plutarcheo, l’opuscolo Adversus Colotem (1117D), ove ricorre un’espressione del tutto simile.

In aggiunta Beck compara il passo della lettera con le parole che si leggono nel

Protagora (342A-343B) di Platone, ove Socrate dice che i Sette Saggi erano

giunti insieme a Delfi per offrire al dio Apollo brevi e sentenziose frasi, che rappresentavano le primizie della loro saggezza (343AB οὗτοι καὶ κοινῇ ξυνελθόντες...ἀπαρχὴν τῆς σοφίας).

Altro punto su cui Beck si sofferma è il problema, sollevato da Volkmann, sul significato da attribuire al termine σύνταγμα34; Volkmann riteneva inappropriato l’uso di tale termine in riferimento alle biografie, poiché, a suo avviso, esso ha il significato di libro. Ma Beck risponde che Plutarco avrebbe potuto forse concepire le Vite Parallele come un unico libro, sebbene pubblicato in numerosi volumi. Tale concezione potrebbe essere stata espressa dal Cheronese nella coppia non pervenuta di Epaminonda e Scipione, che è probabile contenesse l’introduzione a tutto il corpus.

L’altra espressione, contestata sempre da Volkmann, δείγματα τῶν βίων καὶ σπέρματα35, per Beck è assolutamente chiara nel significato. Plutarco sta infatti dicendo che gli apoftegmi rappresentano un saggio, un esempio, una traccia delle biografie; e possono essere definiti semi da cui germogliano le Vite, perché, secondo la ricostruzione di Beck, è possibile che Plutarco abbia costruito ed ampliato le biografie “around a psichic core consisting primarly of apohthegms”.

34 172C καίτοι καὶ βίους ἔχει<ς,> τὸ σύνταγμα τῶν ἐπιφανεστάτων παρά τε Ῥωμαίοις καὶ

παρ' Ἕλλησιν ἡγεμόνων καὶ νομοθετῶν καὶ αὐτοκρατόρων·

35 172D ἐνταῦθα δὲ [καὶ] τοὺς λόγους αὐτοὺς καθ' αὑτοὺς ὥσπερ δείγματα τῶν βίων καὶ

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CAPITOLO 3

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