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LA QUESTIONE RELATIVA ALL’AUTENTICITÀ DELL’OPUSCOLO

2.2 Ulteriori ipotesi degli studiosi nel Novecento

Hartman (1916) con un rapido accenno, negava decisamente la paternità plutarchea della raccolta e la considerava opera di un uomo di poco valore e scarsa intelligenza (“ab homuncione quodam stupidissimo), che aveva ricavato il materiale principalmente dalle Vite Parallele.

Di parere diverso Babbitt (1931) che considera l’opera autentica e un “nonsense” l’idea che si tratti di un falso, tesi a lungo sostenuta dagli studiosi precedenti. In primo luogo egli osserva che le differenze evidenziate in passato tra la versione di un aneddoto che appare negli Apophthegmata rispetto alla versione che si legge in opere indiscutibilmente plutarchee non è argomento probante dell’inautenticità; infatti molti aneddoti di questa raccolta ricorrono in

30 Ad esempio il medesimo aneddoto è attribuito ad Antalcida nei Reg. et imp. apoph. (192B) ed a

42 altri autori con altrettante varianti. Dunque se non si dubita dell’autenticità di quelle opere, sembra irragionevole dubitare degli Apophthegmata.

Inoltre Babbitt osserva che, anche nelle opere di indiscussa paternità, raramente Plutarco racconta una storia allo stesso modo, perché egli tenta di adattarla al contesto o anche solo per evitare monotonia nella lettura, manipolando e alterando il testo dal punto di vista linguistico e contenutistico. Lo stesso fenomeno si ripete anche negli Apophthegmata e, dunque, esso non costituisce elemento a sfavore dell’autenticità perché è un tratto tipico della scrittura del Cheronese.

In conclusione è possibile che l’opera sia stata scritta da Plutarco nel modo in cui la leggiamo e che alcuni aneddoti furono da lui riportati nelle biografie e non viceversa31. Infatti sembra alquanto verosimile che Plutarco annotasse celebri frasi, come lui stesso ricordava, anche per avere il materiale che gli occorreva in “a more accessibile form”, considerando che consultare ogni volta i libri, in forma di rotolo, sarebbe stato difficoltoso.

A premessa della sua argomentazione, Ziegler (1965) scrive che lo stile e i concetti espressi nella lettera a Traiano sono analoghi a quelli di Plutarco, per cui è chiaro che l’autore di essa aveva intenzione di “farsi passare per Plutarco stesso”. Dopo aver passato in rassegna molto sinteticamente le ipotesi di alcuni studiosi sull’autenticità dell’opuscolo, Ziegler mostra di condividere le obiezioni avanzate da Volkmann contro l’autenticità della lettera e dell’intera raccolta e ritiene, al pari di Volkmann e al contrario dell’ipotesi di Wyttenbach, che tale

31 Inoltre, scrive Babbitt (op. cit., pag. 5), se questi aneddoti fossero stati estrapolati dalle Vite

“by a writer as dull witted as many would have us believe he was, it might reasonably be expected that he would have jumbled the Greeks and the Romans together as they are alternated in the Lives, but such is not the case”.

43 raccolta non può essere stata ricavata o estratta da scritti plutarchei, per il fatto che i loci paralleli appaiono non pienamente corrispondenti per estensione e spesso l’apoftegma si presenta, nella raccolta, in una veste letteraria non raffinata rispetto a come si legge in opere autentiche. Sarebbe dunque impensabile che un compilatore, avendo con sé la raccolta plutarchea, avesse deciso di alterare il testo, apportando modifiche certamente non ragionevoli. Secondo Ziegler invece è più probabile che Plutarco abbia avuto a disposizione una raccolta apoftegmatica come quella attribuita erroneamente a lui, ma presumibilmente più ampia, raccolta che egli avrebbe certamente rielaborato stilisticamente se avesse voluto pubblicarla.

Infine Ziegler ricorda che la raccolta, tramandata come opera di Plutarco, era nota a Sopatro, il quale esplicitamente ne dà notizia, chiamandola βασιλέων καὶ στρατηγῶν ἀποφθέγματα; a Sopatro doveva essere nota anche una seconda raccolta di questo tipo, attribuita anch’essa al Cheronese, raccolta che egli nomina ἀνδρῶν ἐνδόξον ἀποφθέγματα. Non è un caso, continua lo studioso, che anche nel Catalogo di Lampria due raccolte aneddotiche vengano attribuite a Plutarco. A differenza di Nachstädt, Ziegler non crede che i due titoli usati da Sopatro siano da riferire ad un’unica opera, ma che si trattasse di due raccolte distinte.

A favore dell’autenticità dell’epistola a Traiano e della raccolta è il giudizio espresso da Flacelière (1976), il quale afferma che se l’epistola è davvero opera di un falsario, come molti studiosi hanno creduto, allora questo falsario

44 deve essere stato sicuramente un uomo molto dotto ed abile, poiché lo stile riprende molto da vicino quello di Plutarco32.

Anche dal punto di vista concettuale, la lettera appare del tutto conforme alle idee espresse dal Cheronese nella Vita di Alessandro (1, 2) sull’importanza dei motti per conoscere il carattere dei personaggi. Inoltre lo studioso indica un passo del De E Delphico (384DE)33, che consente di comprendere il significato dell’espressione κἀμοῦ λιτά σοι δῶρα καὶ ξένια καὶ κοινὰς ἀπαρχὰς προσφέροντος ἀπὸ φιλοσοφίας, espressione considerata priva di senso da Volkmann. In entrambi i casi Plutarco sta paragonando i suoi scritti a primizie che egli dona a Serapione in un caso, a Traiano nell’altro. (Sul significato di quest’espressione si darà ulteriore e più approfondita spiegazione nel commento all’epistola).

In conclusione Flacelière afferma che, considerata l’evidente analogia tra ciò che si legge nell’epistola ed il pensiero e lo stile di Plutarco in generale, è molto più semplice ammettere che la lettera sia stata scritta proprio da Plutarco, invece di supporre che l’autore possa essere un falsario, fine conoscitore degli scritti plutarchei e abile imitatore. A questo punto, si chiede lo studioso, cosa impedirebbe di giudicare anche la raccolta autentica, se è Plutarco l’autore della lettera? Considerando che Plutarco stesso aveva testimoniato più volte di aver

32 Flaceliere (op. cit., p. 102): “Je suis surtout frappe par le vocabulaire et l’allure des phrases, qui

sont tout à fait conformes au style habituel de Plutarque”.

33 De E delph. 384DE ἐγὼ γοῦν πρὸς σὲ καὶ διὰ σοῦ τοῖς αὐτόθι φίλοις τῶν Πυθικῶν λόγων

ἐνίους ὥσπερ ἀπαρχὰς ἀποστέλλων ὁμολογῶ προσδοκᾶν ἑτέρους καὶ πλείονας καὶ βελτίονας παρ' ὑμῶν, ἅτε δὴ καὶ πόλει χρωμένων μεγάλῃ καὶ σχολῆς μᾶλλον ἐν βιβλίοις πολλοῖς καὶ παντοδαπαῖς διατριβαῖς εὐπορούντων.

45 annotato aneddoti, Flacelière afferma che, rispetto agli studiosi del passato, egli è propenso a considerare autentica sia la lettera sia la raccolta.

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