2. Il PCI nel dopoguerra
3.1 Il tradimento
3.1.4 La questione di Trieste e la questione delle colonie
Due importanti questioni di politica estera di questi anni vengono lette su «l'Unità» tramite la solita chiave del tradimento degli interessi nazionali. Pietro Ingrao, ad esempio considera insieme il problema delle colonie con quello di Trieste, come la dimostrazione della politica estera di un governo asservito agli interessi dello straniero.223 Trieste è cara agli italiani, scrive Ingrao, ma non bisogna accettare di farsi trascinare dagli USA in una guerra con la Jugoslavia, dato che il loro obiettivo è proprio quello di «creare conflitti, disordini e provocazioni, che costituiscano la scintilla dell'incendio».224 Verso questo esito conduce l'esclusione della Jugoslavia dai tavoli della trattativa tra Roma e Parigi. Per Togliatti questa situazione è determinata dalla politica di asservimento del governo, che ha tolto all'Italia il ruolo di potenza europea, rendendola dipendente dagli USA.
La questione di Trieste viene usata in campagna elettorale per accusare la DC di non fare gli interessi nazionali. «Vota Fronte Popolare, Vota Trieste libera»,225 recita uno slogan che appare sulla terza pagina de «l'Unità» del 27 marzo. Per risolvere il problema basta trattare direttamente con il governo jugoslavo, dicono i comunisti. I democristiani non possono risolvere la contesa,
222Il fronte darà battaglia nel parlamento e nel paese per affermare il suo programma di
progresso e di pace, in «l'Unità», 5 maggio 1948.
223 P. Ingrao, Difendiamo Trieste e la pace, in «l'Unità», 21 marzo 1948. 224 Ivi.
perché gli americani impediscono una trattativa diretta e puntano a balcanizzare l'Europa, muovendo gli stati dell'Europa orientale contro quelli dell'Europa occidentale.
Vediamo ora come viene trattata la questione delle colonie. Nei primi mesi del 1948 «l'Unità» dedica ad essa ampio spazio, dato che l'argomento è usato polemicamente dal PCI in chiave antigovernativa. In un articolo del 14 gennaio si chiarisce definitivamente la linea del PCI sulla questione: le dimostrazioni anti- italiane in Somalia che hanno provocato morti e feriti tra i coloni italiani sono fomentate, per «l'Unità» da «“attivisti” molto recentemente immigrati dalla Somalia britannica […]che spendevano con disinvoltura grosse somme».226 Gli scontri che sono seguiti «hanno insanguinato le vie della graziosa e un tempo ridente capitale della Somalia».227 Questo precipitare degli eventi ha determinato «la irritazione dell'opinione pubblica somala verso le autorità di occupazione»228 britanniche. L'articolista precisa che «già da tempo era stata iniziata in Somalia una campagna provocatoria e intimidatoria da parte di questi elementi nei confronti degli italiani», senza però riuscire nei loro tentativi fomentatori, grazie al controllo dei propri nervi di cui hanno dato prova i nostri connazionali e i nativi». Anzi, si sono svolte, secondo il redattore, manifestazioni in cui si sventolava la bandiera italiana e si esprimeva «la volontà unanime» del popolo somalo di «vedere il paese affidato ad un'amministrazione fiduciaria italiana». I risultati di tutte queste tensioni sono però stati contrari alle intenzioni dei provocatori ed «hanno dimostrato invece la piena solidarietà che lega gli italiani e i nativi».
Il 15 gennaio «l'Unità» torna sui disordini di Mogadiscio: di nuovo la responsabilità degli scontri e dei morti tra italiani e somali è addossata interamente agli inglesi e alle loro mire imperialistiche sulla Somalia. Si accusano gli inglesi di replicare quanto fatto in Libia e in Eritrea, cioè di deportare autoctoni e italiani per distruggere i loro commerci ed estendere i propri. Lo scopo
22642 italiani e 11 somali uccisi per le mene inglesi in Somalia, in «l'Unità», 14 gennaio 1948. 227Ivi.
degli inglesi sarebbe di «scagliare i somali contro gli italiani e di far deviare in senso anti-italiano ogni ragione di malcontento di quelle popolazioni oppresse dal regime e dalle manovre dell'amministrazione britannica».229 Per Di Vittorio le responsabilità inglesi non occultano quelle del governo italiano, che non ha saputo far valere le prerogative dell'Italia «rinunziando senza alcuna contropartita a tutte quelle possibilità del gioco diplomatico e politico, che il quadro delle potenze chiamate a decidere sulla sorte delle ex colonie italiane offriva obiettivamente alla nostra diplomazia».230 Nello stesso giorno l'organo di stampa comunista torna sull'eccidio di Mogadiscio, descritto come «una brutale aggressione che ha precedenti solo nelle pagine più oscure dell'Africa barbara». La responsabilità ovviamente, ricade «sull'imperialismo di governi sedicenti democratici e sul servilismo d'un ministro sedicente nazionale».231
Pietro Ingrao, tre giorni dopo, in prima pagina, prende le difese della popolazione di Taranto insorta contro l'approdo dei tre cacciatorpedinieri americani e contro l'eccidio di Mogadiscio. L'arrendevolezza di fronte alle pretese americane di cui viene accusato il ministro degli esteri Sforza da un lato, dall'altro l'incapacità del governo democristiano di difendere le «legittime pretese» italiane sulle colonie africane sono la dimostrazione, per Ingrao, del
problema, che sta, imperioso, dinanzi al popolo italiano: la crescente aggressività dell'imperialismo americano, il suo intervento non più solo indiretto, non più solo “politico”, ma di natura dichiaratamente militare, nella vita stessa del nostro paese, nel cuore del Mediterraneo – e in contrapposto la carenza, la colpevole capitolazione degli uomini, cui spetterebbe la difesa della nostra indipendenza e che confessano, invece, per la testimonianza stessa dei fatti, di essere ormai legati mani e piedi agli imperialisti.232
La presenza americana nel Mediterraneo, oltre che pericolosa per la sicurezza e l'indipendenza dei popoli europei, prosegue Ingrao, è insensata dal
229Giuseppe Di Vittorio, Vittime dell'imperialismo, in «l'Unità», 15 gennaio 1948. 230Ivi.
231Le prime vittime del vallo africano, in Ivi.
punto di vista storico e culturale. I governanti democristiani ne sono ben consapevoli, ma sminuiscono la gravità della cosa; proprio questo è il loro scopo:
Mascherare la minaccia imperialista, addormentare il popolo italiano, stemperarne la vigilanza, ecco l'unica politica estera di cui è stata capace la quinta colonna americana al governo.[...] Il sangue di Mogadiscio e la vendita di Tripoli ne sono la drammatica conferma.233
L'articolo di Ingrao termina con un parallelo storico:
Educati ad una tradizione, non certo nazionale, per cui si invocavano i francesi, gli austriaci, a sparare su Garibaldi e su Mameli, eredi di Pio IX e di papa Bresciani, come volete che costoro capissero la lezione di Taranto? […] Che le cento città d'Italia, memori di una tradizione gloriosa, ansiose di prosperare libere in un Mediterraneo libero, uniscano il loro sforzo e le loro bandiere a quella di Taranto, che si è levata ad ammonire i soldati americani: “Abbiamo combattuto con voi per l'indipendenza dei popoli. Questa indipendenza siamo pronti a difenderla contro chiunque”.234
Il 22 gennaio Ruggero Grieco in un articolo di fondo interviene sui fatti di Mogadiscio: alle rivendicazioni di tipo nazionalistico, che abbiamo incontrato finora, prevale in questo caso il carattere internazionalista. «La nuova democrazia italiana doveva condannare risolutamente il colonialismo, che è stato anche una sorgente di sciagure per l'Italia, e mettersi al fianco delle popolazioni coloniali».235 Purtroppo però, prosegue Grieco, le cose sono andate diversamente: le vecchie classi dirigenti sono tornate alla guida del paese aggrappandosi alla scialuppa democristiana. L'Italia è stata così condotta nel blocco di potenze occidentali contrarie all'indipendenza dei popoli coloniali ed ha perso l'occasione per stabilire un'amministrazione fiduciaria in Somalia che prevedesse nuove condizioni, tramite la quale condurre le popolazioni locali all'indipendenza. L'Italia si è così privata anche della simpatia delle popolazioni locali ed ha proseguito la politica colonialista del fascismo mantenendo il ministero per l'Africa italiana. E conclude
233Ivi. 234Ivi.
Grieco in polemica con il governo: «Noi ribadiamo, oggi, quelle nostre posizioni a commento dei dolorosi fatti di Mogadiscio. Le ribadiamo, sebbene esse siano state gravemente compromesse da tutta la politica del governo italiano – umiliante, servile, senza nessuna fierezza democratica e nazionale».236
Le conseguenze dei fatti di Mogadiscio vengono costantemente seguite nelle settimane seguenti: si portano prove a conferma dell'accusa mossa all'amministrazione coloniale britannica di avere fomentato la popolazione somala contro quella italiana. Mesi più tardi, un articolo pre-elettorale sulla “strage di italiani” perpetrata dai somali, istigati dagli inglesi, parla di violenze indiscriminate, culminanti nello stupro di una donna.
Impressionante è il racconto che gli scampati hanno fatto della strage. In una casa che un italiano, armato di un fucile da caccia e di una trentina di cartucce, difese fino all'ultimo, e rimasta, unica testimone del massacro una bimba di due anni, ferita alla testa, che fu raccolta più tardi accanto al cadavere del padre sfigurato a colpi di pugnale, della madre e della sorella diciassettenne, cui la canaglia aizzata dai gendarmi aveva orribilmente tagliuzzato i seni. In un bar presso la sede del “club” i gendarmi uccisero il figlio del proprietario e al corpo di quest'ultimo, ferito e creduto morto, legarono la moglie. La povera donna fu così violentata quattro volte ed impazzì dal dolore.237