Si riproduce integralmente la memoria difensiva dell’Avvocatura
4) Sul quinto motivo di appello
Con il quinto motivo di appello, controparte ripropone i motivi del ricorso introduttivo non esaminati dal TAR.
Anche tale motivo è infondato.
Gli interessati sostanzialmente eccepiscono che nel caso in esame non sarebbero ravvi-sabili gli elementi concreti, univoci e rilevanti previsti dall’art. 143 del decreto legislativo n.
267 del 2000 ai fini dell’adozione del contestato provvedimento di rigore.
Al riguardo, si osserva che dall’attività ispettiva è emerso un quid pluris rispetto al mero compimento di atti illegittimi, attestante la presenza di un rapporto di vicinanza tra esponenti politici e burocratici dell’ente, da un lato, e soggetti controindicati, dall’altro. Gli elementi di contatto sono risultati suffragati da obiettive risultanze e tali da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della collettività amministrata il permanere alla sua guida degli organi eletti.
In proposito, merita altresì rammentare che, alla stregua del costante orientamento giu-risprudenziale, per l’apparato probatorio preordinato a confermare la ricorrenza di condizio-namenti criminali «è sufficiente la presenza di elementi “indizianti”, che consentano d’individuare la sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli am-ministratori dell’ente considerato “infiltrato”» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7862).
È stato anche precisato che le valutazioni concernenti la legittimità del provvedimento dissolutorio si devono «fondare sulla regola del “più probabile che non”, la quale ha una portata generale … per l’intero diritto della prevenzione, compresa, dunque, anche la fatti-specie … dell’art. 143 t.u.e.l. che … ha finalità preventiva e non punitiva» (ex multis, Con-siglio di Stato, Sezione III, sentenza 18 luglio 2019, n. 5077).
È compito dell’istituzione locale scongiurare il pericolo che l’Amministrazione sia per-meabile all’influenza delle consorterie malavitose e ciò non si è verificato per la compagine eletta alle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015.
Pertanto, una volta acclarato che la pressione della criminalità non ha consentito il libero e corretto esercizio del mandato elettivo di cui all’art. 51 della Costituzione, si è reso neces-sario intervenire con il contestato provvedimento di rigore per garantire la fisiologica vita de-mocratica dell’ente.
Del resto, il predetto provvedimento si connota quale misura di carattere straordinario
e sottende una finalità di prevenzione e salvaguardia della funzionalità dell’ente locale e della rispondenza a fondamentali canoni di legalità del suo apparato.
Ed invero, la misura dissolutoria in argomento deve ritenersi espressione di una logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, ai fini di una tutela avanzata nel campo del con-trasto alla criminalità organizzata. In quanto tale, la stessa prescinde dalle rilevanze probatorie proprie di un eventuale processo penale, essendo sufficiente, per la sua emissione, un quadro indiziario che sia reale ed effettivo (ex multis, T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 16 luglio 2019, n. 9381).
La misura di rigore interviene, infatti, ancor prima che si determinino i presupposti per il procedimento penale o anche per il solo procedimento di prevenzione.
La costante giurisprudenza in materia, confermata dagli orientamenti più recenti, valo-rizza «il differente grado di sufficienza del valore indiziario dei dati nel procedimento di cui qui si tratta rispetto a quello richiesto in sede penale» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 18 giugno 2019, n. 7937).
Sulla base delle circostanze raccolte e dei riscontri effettuati sono stati individuati gli elementi di cui all’art. 143, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno portato all’adozione dell’impugnato decreto del Presidente della Repubblica del 22 ottobre 2019.
Sul punto, si evidenzia come gli interessati tendano ad atomizzare le varie circostanze che sono state prese in considerazione per evincere il livello intollerabile di condizionamento mafioso sull’attività comunale, estrapolandole dal contesto e in tal modo sminuendone l’ef-fettiva consistenza e significatività.
Sennonché, è noto come la qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza delle circostanze poste a fondamento del provvedimento dissolutorio vada riferita non atomistica-mente e partitaatomistica-mente ad ogni singolo elemento o accadimento preso in esame dalla Commis-sione di indagine, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti. E invero, «lo scioglimento del Consiglio comunale “per infiltrazioni mafiose” costituisce una misura straordinaria di prevenzione … che l’ordinamento ha apprestato per rimediare a si-tuazioni patologiche di compromissione del naturale funzionamento dell’autogoverno locale
… le vicende che costituiscono il presupposto sulla base del quale può essere disposto il provvedimento di scioglimento ex art. 143 tuel devono essere, pertanto, considerate “nel loro insieme”, non atomisticamente, e devono risultare idonee a delineare, con una ragione-vole ricostruzione, il quadro complessivo del condizionamento “mafioso”» (ex multis, T.A.R.
per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 11 giugno 2019, n. 7575).
In definitiva, gli elementi concreti si sostanziano nella presenza di puntuali riscontri fat-tuali; la caratteristica della univocità è data dalla coerenza di insieme di tutti i dati raccolti che non devono prestarsi ad ambivalenti interpretazioni; la rilevanza consegue al processo elaborativo e valutativo dei fatti accertati e degli elementi riscontrati, i quali possono ritenersi rilevanti se ed in quanto significativi di forme di condizionamento o interferenza (cfr. T.A.R.
per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647).
L’attività di indagine ha raccolto circostanze, confluite nella relazione prefettizia ed in quella ministeriale, sintomatiche di anomale cointeressenze degli esponenti politici e buro-cratici dell’ente, ritenute idonee a suffragare la proposta di adozione della misura di rigore prevista dall’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000, in quanto sono emersi i seguenti elementi, che risultano emblematici e da soli in grado di costituire i presupposti di fatto e di diritto, come tracciati dalla recente giurisprudenza, del provvedimento impugnato:
- sostanziale continuità con le pregresse consiliature;
- rapporti parentela, di frequentazione e comunanza di interessi tra alcuni amministratori e dipendenti comunali con esponenti di ambienti criminali;
- ripetute irregolarità e/o illegittimità nelle procedure poste in essere dall’ente nei settori dell’amministrazione locale maggiormente esposti ai condizionamenti della criminalità orga-nizzata;
- carente esercizio dei poteri di controllo e vigilanza da parte degli organi elettivi e bu-rocratici.
I rilievi mossi al civico consesso non nascono da mere congetture o ragionamenti di tipo deduttivo, ma da elementi fattuali, da vicende e accadimenti storicamente verificatisi ed ac-certati, quindi da elementi “concreti”.
Uno di tali elementi è rappresentato, come riferito dal Prefetto, dal reticolo di relazioni di parentela, affinità, frequentazione e convergenze di interessi che legano diversi mem-bri degli organi elettivi e dell’apparato burocratico del comune - alcuni dei quali con pregiudizi di natura penale - a persone controindicate ovvero a personaggi anche di spicco dei sodalizi localmente dominanti.
Una vicenda fortemente sintomatica è poi quella concernente le assidue frequentazioni tra un personaggio di primo piano della criminalità organizzata garganica e il vicesin-daco, il quale, a seguito delle consultazioni amministrative del 2015, è risultato il candi-dato che ha conseguito il maggior numero di preferenze. Inoltre, gli esiti delle intercettazioni telefoniche esperite nell’ambito dell’operazione condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bari sulla c.d. strage di San Marco in Lamis, consumatasi ad agosto 2017, hanno disvelato i rapporti di vicinanza tra alcuni componenti dei rispettivi nuclei familiari del citato vicesindaco e del personaggio in questione.
Assume altresì rilevanza emblematica la circostanza che, a febbraio 2018, il sindaco -dimessosi a marzo 2019 e al suo secondo mandato consecutivo quale organo di vertice del-l’amministrazione comunale, della quale aveva già fatto parte, in qualità di assessore e poi di consigliere, dal 1992 al 2003 - ha reso omaggio alla memoria di un istruttore sportivo, stretto parente di un soggetto di notevole spessore criminale, pubblicando parole di stima e cordoglio su un noto social network.
La commissione di indagine ha poi rilevato una sistematica violazione delle regole poste a salvaguardia della legittimità e trasparenza dell’azione amministrativa.
Il disordine organizzativo degli uffici e le diffuse irregolarità nonché l’assenza di atti dei vertici politici idonei a ripristinare la legalità hanno favorito la permeabilità dell’ente ai condizionamenti malavitosi.
ne costituiscono eloquente esempio: I) le gravi e reiterate anomalie e irregolarità riscontrate nel settore delle concessioni demaniali marittime per l’esercizio di stabili-menti balneari - stigmatizzate anche dalla ragioneria generale dello Stato a seguito di controllo ispettivo effettuato a luglio 2018 - relativamente al quale è altresì emersa la sistematica disapplicazione del protocollo d’intesa sottoscritto con la Prefettura di Fog-gia a luglio 2017, in base al quale il comune di (omissis) si era impegnato a richiedere le in-formazioni antimafia in caso di presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività ovvero di una domanda di consenso ai sensi degli artt. 19 e 20 della legge 7 agosto 1990, n.
241; II) la circostanza che in violazione del predetto protocollo d’intesa, soltanto ad ago-sto 2018 - su sollecitazione della Prefettura - il comune ha provveduto a richiedere le informazioni antimafia con riferimento alla segnalazione certificata di inizio attività presentata, a giugno 2018, da un’impresa - successivamente destinataria di
un’infor-mativa interdittiva - della quale risulta socio un consigliere comunale e il cui ammini-stratore unico nonché socio di maggioranza è parente convivente di un soggetto consi-derato al vertice della locale famiglia malavitosa nonché legato da stretti vincoli familiari ad altri esponenti di quella famiglia; III) l’ulteriore circostanza che nel settore delle autorizzazioni alla somministrazione di alimenti e bevande - anch’esse ricadenti nel-l’ambito di applicazione del richiamato protocollo d’intesa - l’ente ha omesso di richiedere le informazioni antimafia nei confronti di una società titolare di un chiosco bar, pur dopo che l’amministratore unico pro tempore della stessa è stato tratto in arresto il 16 ottobre 2018, in esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure restrittive della li-bertà personale emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Bari, a conclusione della summenzionata operazione condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Bari sulla c.d. strage di San Marco in Lamis; IV) l’omessa richiesta di informazioni an-timafia in ordine alle concessioni demaniali marittime per impianti di acquicoltura, es-sendosi riscontrato che il comune si è limitato in alcuni casi ad acquisire una semplice comunicazione antimafia ovvero una mera autocertificazione da parte dei concessionari, in violazione degli artt. 89 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; V) la circo-stanza che i rappresentanti legali di due delle ditte titolari di concessione demaniale per impianti di acquicoltura annoverano rispettivamente vincoli di affinità ovvero rap-porti di frequentazione con esponenti del clan territorialmente egemone e un dipendente di un’altra delle imprese concessionarie è stretto parente di un personaggio di vertice di quel clan; VI) la circostanza che per lo svolgimento del servizio, su disposizione della pubblica autorità, di trasporto di persone decedute, l’amministrazione comunale ha conti-nuato ad avvalersi, tra le altre, di una ditta di onoranze funebri già destinataria di un’informazione interdittiva antimafia, emessa dalla Prefettura di Foggia a gennaio 2019; VII) la riconducibilità a soggetti vicini o intranei alla criminalità organizzata di numerosi manufatti abusi per i quali il comune non ha intrapreso alcuna azione sanzionatoria e tra cui è compreso un impianto sportivo realizzato da un noto capoclan -sottoposto a sequestro dal corpo forestale dello Stato e dalla polizia di Stato a febbraio 2013 - rispetto al quale l’ente risulta avere introitato una cospicua somma a titolo di oblazione, pur trattandosi di un abuso edilizio non sanabile; VIII) la circostanza che in forza di un con-tratto stipulato nel 2007 con scadenza a dicembre 2016, la cui durata è stata poi ripetutamente prorogata in violazione dell’art. 106, comma 11, del decreto legislativo 18 aprile 2018, n.
50, il servizio di riscossione dei tributi locali è stato svolto da una società mista - con parte-cipazione maggioritaria del comune di (omissis) - che annovera tra i propri dipendenti e organi direttivi soggetti vicini per rapporti familiari o di frequentazione a figure apicali dei sodalizi locali; VIII) la circostanza che uno di tali soggetti riveste altresì la carica di am-ministratore dell’impresa subentrata nella predetta società mista, in luogo dell’originario socio privato, e che soltanto il 30 novembre 2017 - successivamente alla presa d’atto del su-bentro, avvenuta con determina dirigenziale del 2 ottobre 2017 - l’ente ha inoltrato richiesta di informazioni antimafia nei confronti della impresa subentrante, risultata poi destinataria di interdittiva antimafia.
In conseguenza degli effetti prodotti nella gestione comunale dai collegamenti eviden-ziati, la struttura politica e burocratica dell’ente è risultata compromessa ed inadeguata a ga-rantire gli interessi della collettività.
Il descritto contesto generale di diffusa illegalità, messo in luce dall’attività di indagine espletata, denota come la cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferito agli
am-ministratori sia stata del tutto pretermessa e come l’impegno assunto nei confronti degli elettori non sia stato rispettato.
Al riguardo, si rammenta che «la giurisprudenza ha più volte affermato - a tale proposito - che lo scioglimento ex art. 143 cit., in virtù della natura “non sanzionatoria” che lo con-traddistingue, è legittimo sia qualora sia riscontrato il coinvolgimento diretto degli organi di vertice politico-amministrativo sia anche, più semplicemente, per l’inadeguatezza dello stesso vertice politico-amministrativo a svolgere i propri compiti di vigilanza e di verifica nei con-fronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, che impongono l’esigenza di intervenire e apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per una effettiva e sostanziale cura e difesa dell’interesse pubblico dalla compromissione derivante da ingerenze estranee riconducibili all’influenza ed all’ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzata»
(cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 5 febbraio 2019, n. 1433).
Si legge inoltre nel gravame che «il provvedimento impugnato e i suoi atti presupposti (proposta del ministro e relazione della Prefettura) hanno completamente omesso di consi-derare le azioni condotte dagli odierni ricorrenti durante il loro mandato, al fine di contra-stare l’illegalità e il fenomeno mafioso».
Sennonché, l’Amministrazione procedente non aveva alcun onere di prendere in con-siderazione eventuali iniziative “legalitarie” poste in essere dall’istituzione locale atteso che
«compito dell’organo ispettivo era quello di delineare i fatti ritenuti rilevanti per la dimo-strazione del rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata dell’ammini-strazione dell’ente e del suo apparato burocratico, sicché una volta acquisiti gli elementi fattuali necessari per sostenere la richiesta di scioglimento, correttamente nella relazione non si è fatto cenno agli elementi contrari (quali ad esempio gli atti amministrativi regolari, le delibere conformi a legge, e quindi anche le iniziative richiamate dai ricorrenti), in quanto ritenuti insufficienti - in comparazione con la complessità degli elementi negativi emersi in sede istruttoria - a far cadere l’impianto “accusatorio” (Cons. Stato n. 2895/2013). Del resto - se bastasse qualche operazione “di facciata” per lenire il rischio di dissoluzione - sarebbe ben agevole farvi ricorso, eludendo in questo semplice modo la finalità perseguita dalla norma di cui all’art. 143 (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 24 settembre 2018, n.
9544; Consiglio di Stato, Sezione III, sentenza 31 luglio 2018, n. 4727).
E invero, «il provvedimento di scioglimento del Consiglio Comunale ex art. 143 t.u.e.l.
non richiede alcun giudizio di bilanciamento di circostanze favorevoli e non favorevoli, alla stregua di quanto avviene nel procedimento penale, dato che l’azione amministrativa deve essere sempre ispirata ai principi di legalità e di buon andamento ed è, in quanto tale, attività doverosa che in nessun caso può essere invocata come esimente di condotte parallele che a tali principio non sono conformi» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 16 lu-glio 2019, n. 9381; Id., sentenza 3 aprile 2018, n. 3675).
Parimenti priva di pregio è la doglianza secondo cui gli atti impugnati «sono inficiati dalla violazione del principio di proporzionalità … posto che al momento della nomina della commissione straordinaria, il Comune di (omissis) era già amministrato (sempre in via stra-ordinaria) da un commissario prefettizio - ai sensi dell’art. 141 tuel. Pertanto … il ministro degli interni non avrebbe dovuto proporre la (sproporzionata) misura della gestione com-missariale per diciotto mesi, ma (più proporzionalmente) le misure necessarie, a carico dei soggetti non amministratori, per porre rimedio alla situazione, ai sensi dell’art. 143, comma 5, tuel».
Tale argomentazione è palesemente capziosa e infondata, alla luce del chiaro dettato
normativo del più volte citato art. 143, il quale, al comma 13, espressamente dispone che «si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi, a norma del presente articolo, quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorché ricorrano le condizioni previste dal-l’articolo 141».
La norma, pertanto, non esclude affatto che la misura dissolutoria per infiltrazioni della criminalità organizzata sia adottata in un momento cronologicamente successivo all’affidamento della gestione amministrativa dell’ente a un commissario straordinario nominato per altra causa.
Del resto, la prevalenza accordata a tale soluzione corrisponde anche alla necessità di evitare che la complessa procedura di scioglimento del consiglio comunale, conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di stampo mafioso, possa essere vanificata da una iniziativa strumentale degli stessi consiglieri comunali o del sindaco che, con l’espediente delle dimissioni, potrebbero in qualunque momento impedire l’intervento dell’Amministrazione centrale, volto a contrastare gli anzidetti fenomeni criminali.
E invero, come precisato in giurisprudenza, le due misure previste rispettivamente dagli artt. 141 e 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 rispondono a fattispecie ed a finalità di-verse e non sono quindi sovrapponibili. Il provvedimento adottato ai sensi dell’art. 143 sosti-tuisce il commissario precedentemente nominato con una commissione straordinaria composta di tre membri, ritenuta dalla vigente normativa maggiormente adeguata a fronteggiare feno-meni di infiltrazione mafiosa nelle istituzioni (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 26 gennaio 2009, n. 447; Id., Sezione I, parere 26 maggio 2010, n. 3811/2009; T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 20 luglio 2015, n. 9873).
Per quanto poi riguarda il richiamo alle misure di cui all’art. 143, comma 5 - in disparte ogni considerazione sulla circostanze che la valutazione in ordine alla sussistenza dei presup-posti previsti dalla norma da ultimo citato è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione - è sufficiente richiamare il pacifico principio giurisprudenziale in base al quale sulla legitti-mità della misura dissolutoria «non può incidere la circostanza che il condizionamento ma-fioso sia esercitato da dipendenti all’insaputa degli amministratori o da alcuni degli amministratori ad insaputa degli altri: non trattandosi, infatti, di una misura sanzionatoria, essa non è finalizzata a punire condotte illecite caratterizzate da coscienza e volontà; ciò che conta, in definitiva, è la constatazione che l’attività dell’ente risulti asservita, anche solo in parte, agli interessi delle consorterie mafiose, giacché tale constatazione denuncia che l’or-gano politico non è in grado, per complicità, connivenza, timore o mera incompetenza, di prevenire o di contrastare efficacemente il condizionamento mafioso» (cfr. T.A.R. per il Lazio - Roma, Sezione I, sentenza 28 maggio 2019, n. 6647; Id., sentenza 5 febbraio 2019, n. 1433).
Ancora, ad avviso dei ricorrenti «il provvedimento che ha adottato la misura della ge-stione commissariale straordinaria, quale atto conclusivo dell’iter previsto dall’art. 143 del tuel, è illegittimo anche per ragioni procedimentali: nello specifico, per violazione del termine per la conclusione dei lavori della commissione incaricata dal Prefetto di Foggia a svolgere le indagini di rito presso il Comune di (omissis) … dalla relazione prefettizia risulta che la Commissione di accesso si è insediata in data 9 gennaio 2019 e, su richiesta, ha ottenuto … dal Prefetto di Foggia una proroga di ulteriori tre mesi per concludere i lavori. Pertanto, la Commissione di accesso avrebbe dovuto terminare gli accertamenti e rassegnare le proprie conclusioni entro il 3 luglio 2019, ossia nei successivi tre mesi decorrenti dalla data della concessione della proroga prefettizia (4 aprile 2019) o, in ogni caso, entro l’8 luglio 2019, considerando sei mesi dalla data di insediamento della Commissione di accesso (9 gennaio
2020). in entrambe le ipotesi, il termine di legge per la conclusione dei lavori non risulta ri-spettato perché la relazione prefettizia attesta che la Commissione di accesso “ha depositato, in data 9 luglio 2019, la propria relazione».
Sennonché, anche tale eccezione risulta palesemente infondata.
Ed invero, la relazione della commissione di indagine - se pur depositata il 9 luglio 2020 - porta la data dell’8 luglio 2020. Inoltre, per regola generale, il termine a mesi si verifica nel mese di scadenza nel giorno corrispondente al giorno del mese iniziale (cfr. art. 2963 del co-dice civile).
In ogni caso - come è dato evincere dalla giurisprudenza più recente - i termini di cui all’art. 143 devono considerarsi non perentori e manifestano l’intenzione del legislatore a in-dirizzare l’Amministrazione ad attivarsi nel più breve tempo possibile (cfr. T.A.R. per il Lazio
In ogni caso - come è dato evincere dalla giurisprudenza più recente - i termini di cui all’art. 143 devono considerarsi non perentori e manifestano l’intenzione del legislatore a in-dirizzare l’Amministrazione ad attivarsi nel più breve tempo possibile (cfr. T.A.R. per il Lazio