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Con queste parole Bruno Bonomo apre il suo volume sulla storia orale: «L’uso di fonti orali nella ricerca storica è al tempo stesso un fenomeno relativamente recente e una pratica con radici molto antiche» . Si nota immediatamente una certa affinità con 85

la visual history, almeno sotto il profilo della posizione della storia “tradizionale” nei confronti di nuove metodologie di indagine. L’autore prosegue affermando che la storia orale si distingue in due sotto-categorie, di cui, la prima, come vedremo, ha reso scettici gli storici di fronte all’utilizzo delle fonti orali: la storia orale, intesa come “tradizione orale”, è «un complesso di credenze e conoscenze trasmesse oralmente da una generazione all’altra per garantire la perpetuazione del patrimonio di sapere collettivo di una comunità. La tradizione orale è una forma di memoria collettiva che costituisce un elemento caratterizzante delle società prive di scrittura aperta (anche dette a oralità primaria)» , mentre la storia orale, intesa sotto il profilo dello storico «rimanda […] a 86

una ricostruzione storiografica basata (anche) su fonti orali, cioè su racconti e memorie personali raccolti attraverso la realizzazione di interviste con persone a vario titolo implicate o comunque informate sulle vicende indagate» . 87

Ne consegue che la storia orale è la storiografia che si fonda su “fonti orali”, ossia sulla registrazione su supporto elettronico di interviste audio e/o video. Dunque ci si riferisce prevalentemente alla produzione e all’uso di interviste con testimoni, parole e immagini che non esisterebbero se il ricercatore non avesse deciso di sollecitare le interviste. Si tratta di fonti fortemente intenzionali, per questo assai diverse da quelle archivistiche tradizionali. Sono il risultato della ricerca di un narratore, oppure di un sociologo, di un antropologo o di uno storico. Per la loro intenzionalità esse non sono solo documenti, perché rappresentano, nello stesso tempo, la registrazione di un percorso di ricerca fissato in una certa fase: si potrebbe dire che sono documenti di quel percorso. Dal momento che incorporano i principi epistemologici della disciplina che

B. Bonomo, Voci della memoria: l’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Roma, Carocci,

85 2013, p. 9. Ivi, p. 13. 86 Ivi, pp. 13-14. 87

produce la ricerca, esse sono preliminarmente orientate dal contesto disciplinare al quale lo studioso-produttore fa riferimento. Sebbene possano costituire una fonte anche registrazioni audio o video non intenzionali (si vedano per esempio le registrazioni di manifestazioni e grandi eventi pubblici, come le filmine degli anni Sessanta e Settanta per gli ambienti privati e/o domestici), sono prevalentemente gli storici contemporaneisti e gli antropologi quelli che utilizzano più di frequente il metodo dell’intervista libera. È dunque necessario un chiarimento linguistico condiviso e condivisibile: «Con la locuzione storia orale di seguito si intenderà quindi sia la storiografia che si accosta, attraverso l’utilizzo dell’intervista, alle tematiche antropologiche, sia l’antropologia che, nella misura in cui indaga il passato prossimo, entra in contatto con il mondo della ricerca storica. Con tale espressione ci si riferirà anche alle interviste registrate in audiovisivo, che permettono di conservare la mimica del parlante, spesso molto significativa e talvolta capace addirittura di modificare il senso di quanto viene detto. L’uso della videoregistrazione, inoltre, consente di utilizzare le foto e di documentare i vecchi procedimenti produttivi, che difficilmente anziani artigiani o contadini riescono a descrivere verbalmente» . 88

Un ruolo fondamentale è giocato dall’intervistatore. Anche se spesso è oscurato dalla centralità dell’intervistato, l’intervistatore è colui che sollecita e conduce l’intervista, la trascrive e infine la interpreta, utilizzandola per scrivere un testo del quale è autore. Ma è accaduto di sovente che non ci si sia interrogati sul ruolo di chi pone le domande e che spesso interpreta anche le risposte. Alcuni decidono addirittura di cancellarsi nel momento di trascrivere le interviste, sopprimendo le proprie domande e ricucendo le risposte a un racconto continuo. Così facendo si trasforma un’informazione intermittente, sollecitata e talvolta contraddetta o interrotta dall’intervistatore, in un coeso flusso informativo che sembra provenire solo dal testimone. Proprio per l’importanza strategica dell’intervistatore è opportuno tuttavia che egli non solo non sparisca da un’eventuale trascrizione del testo orale, ma che registri in qualche forma le sue impressioni sul colloquio, subito dopo, “a caldo”. Per i

A tal proposito si veda il portale http://www.treccani.it/enciclopedia/storia-

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futuri utilizzatori sarà ancora più importante trovare, accanto alle note relative all’intervista, un lavoro di interpretazione del materiale raccolto nella forma di un vero e proprio testo.

Queste precisazioni, seppur ovvie, sono necessarie per poter intraprendere un’intervista e mostrare, da un lato, tutte le possibilità di reperimento di informazioni altrimenti non “udibili” e, per contrario, i limiti intrinseci del racconto orale stesso . 89

Ma è proprio questa sua peculiarità a renderla interessante e, forse, proficua per lo studio qui condotto.

Concretamente, intendo intervistare gli ispettori scolastici che hanno operato direttamente a contatto con la scuola elementare degli anni Settanta e Ottanta sulle tematiche della cultura materiale, chiedendo loro l’andamento della produzione dei sussidi e dell’arredamento, lo stato delle scuole e l’organizzazione delle infrastrutture.

Le interviste, inoltre, saranno arricchite da interventi di esperti del settori, quali: direttori di musei dell’educazione, della scuola e della didattica, agenti scolastici (ovvero coloro che si occupano di presentare il materiale prodotto dalla casa editrice) e alti funzionari dello Stato o di associazioni direttamente coinvolte con l’organizzazione spaziale degli ambienti scolastici.

L’obiettivo delle interviste è quello di fornire alla narrazione storica una serie di informazioni altrimenti non rintracciabili, ovvero che sfuggono sia al dettato normativo che alle restanti fonti fin qui prese in analisi. Attraverso le memorie di coloro che hanno direttamente partecipato alla costruzione dei sussidi, alla loro produzione e/o alla divulgazione spero di poter far emergere i significati che tali oggetti hanno avuto per il loro usufruitore.

È altresì importante dichiarare ai fini metodologici che sono stati contattati tutti i Dirigenti tecnico-amministrativi (ex ispettori scolastici) in servizio sul territorio nazionale, oltre che un cospicuo numero di Ispettori e Dirigenti/Presidi scolastici in pensione. Il numero complessivo di personale scolastico contattato supera le duecento

Del resto, però, la stessa interpretazione delle fonti “tradizionali” è soggetta ai medesimi

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limiti: pur essendo più dettagliata e meno sensibile di, per esempio, un ex-partigiano che ricorda la Resistenza, l’ideologia (o le ideologie) dello storico condiziona comunque l’andamento del racconto storico.

unità, delle quali, purtroppo, hanno aderito e dato la propria disponibilità a essere intervistati solo in minima parte e principalmente localizzati nell’Italia centrale. Le motivazioni sottostanti alla relativamente scarsa adesione sono da imputare a una serie di incompatibilità, per esempio impegni pubblici e personali, economici e logistici, tra gli intervistati e chi scrive.

Le interviste condotte sono state comunque interessanti per tracciare una storia della materialità scolastica italiana dagli anni Sessanta sino alle porte del nuovo millennio a “grandi linee”. La speranza è ovviamente quella di poter arrivare a una visione sempre più dettagliata persino dove le restanti fonti non riescono a fornire nessuna informazione relativa a un tema di crescente interesse come quello della “vita scolastica”.

Inoltre, possono fungere da spunto per ulteriori e più approfonditi lavori centrati sul medesimo argomento, in quanto, ad oggi, completamente assenti.