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2. Il quantum dell’assegno di divorzio

2.3. Le ragioni della decisione

Secondo la giurisprudenza consolidata le <<ragioni della decisione>> vanno intese con riguardo ai comportamenti dei coniugi che hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia; si ritiene che il relativo criterio postuli <<una indagine sulle responsabilità del fallimento del matrimonio in una prospettiva comprendente l’intero periodo della vita coniugale, e quindi una valutazione che attenga non soltanto alle cause determinative della separazione, ma anche al successivo comportamento dei coniugi che abbia concretamente costituito un impedimento al ripristino della comunione familiare>>117.

Dare rilevanza alle cause determinative della separazione significa tener conto dei comportamenti che abbiano eventualmente portato all’addebito a carico di un coniuge; del resto non è infrequente che i fatti che hanno reso intollerabile la

115 In proposito si vedano le osservazioni di pag. 9 e la relativa nota n.3. 116 In questo senso le indicazione del testo a pag. 25.

117 Cass. 5 novembre 1992, n. 11978, in Mass. Giur. It., 1992 ma anche Cass. 25 agosto 1997, n.

7990, in Mass. Giur. It., 1997, Cass. 9 settembre 2002, n. 13060, in Mass. Giur. It., 2002, Cass. 11 giugno 2005, n. 12382, in Guida al diritto, 2005, 28, 73 e Cass. 28 luglio 1981 n. 4853, Giust. Civ. Rep. 1981, v. Divorzio, 44, che ha ravvisato nella stabile unione di fatto che un marito instaura con un’altra donna, seguita dalla nascita di due figli naturali, la responsabilità del fallimento coniugale; le anomalie di carattere, in quanto fatto incolpevole, non comportano responsabilità per il fallimento del matrimonio, secondo Cass. 6 dicembre 1975 n. 4050, Giust. Civ. Rep. 1975, v. Matrimonio, 101.

convivenza coniugale siano gli stessi per i quali la comunione di vita non può essere ricostruita né mantenuta, tanto più che sovente accade che i coniugi giungano al divorzio sulla base della separazione protrattasi per tre anni.

Per tali motivi non sembra condivisibile la posizione giurisprudenziale, rimasta isolata, per la quale il comportamento anteriore alla separazione resterebbe superato ed assorbito dalla valutazione fatta al riguardo dal giudice della separazione118; piuttosto i fatti sui quali il giudice della separazione si è pronunciato conservano una loro autonomia rilevante ai fini del divorzio119, ed infatti il giudice del divorzio, lungi dal limitarsi a tenere fermo l’assegno fissato in sede di separazione, dovrà valutare in via autonoma i presupposti e i fatti incidenti sul divorzio, nonché i comportamenti tenuti dai coniugi anche dopo la separazione120.

L’esame sui comportamenti dei coniugi precedenti alla separazione, avrà ugual peso sia nel caso di separazione consensuale che nel caso di separazione giudiziale, infatti la ricorrenza di una pregressa separazione consensuale non esaurisce l’indagine sulle ragioni della decisione, tenuto conto che il consenso alla separazione non evidenza di per sé le cause determinative dell’intollerabilità della convivenza, nonché, naturalmente, le condotte successive che hanno provocato il venir meno della residua comunione spirituale materiale tra i coniugi.

Secondo la dottrina maggioritari, non avrebbero alcun peso, invece, le cause previste dall’art. 3 l. div. per le quali è stato pronunciato il divorzio, poiché ciò che assume importanza sarebbe unicamente la responsabilità per il fallimento del matrimonio, <<da condurre alla stregua delle regole morali di comportamento nel consorzio familiare e non nei paradigmi della colpa in senso tecnico, estranei alla logica divorzista>>121.

In proposito si può osservare che il giudizio sulla responsabilità del fallimento matrimoniale, è cosa tutta’altro che agevole, poiché interessa vicende personali in relazione alle quali ciò che conta sono solo i valori morali dei coniugi. Le cause di

118

Cass. 23 Novembre 1976, 4419, Giust. civ.,1977, I, 239.

119 Così M. C. BIANCA, sub art. 5, in Commentario al diritto italiano della famiglia cit.,333. 120 Contra Cass. 13 marzo 1976 n. 904, in Dir. fam., 1976, 1078 e Cass. 14 febbraio 1977 n. 660,

Giust. civ. Rep., 1977, v. Matrimonio, 107 in cui nei divorzi susseguenti a separazione, si deve considerare solo il titolo della separazione, negando rilevanza a ulteriori comportamenti, siano essi antecedenti o successivi alla separazione

cui all’art. 3, in presenza delle quali la richiesta di divorzio è legittima, postulano una valutazione del legislatore circa comportamenti tanto gravi o riprovevoli da giustificare lo scioglimento del vincolo coniugale, quindi rappresentano ipotesi in cui la responsabilità del fallimento è senz’altro imputabile ad uno dei coniugi. Conseguentemente tra i comportamenti di cui il giudice deve tenere conto ai fini di valutare le ragioni della decisione, oltre alle ipotesi di violazione dei doveri coniugali (sia che abbiano portato alla separazione, sia che l’abbiano aggravata in seguito), si potrebbero collocare le cause tipizzate dal legislatore, ovvero l’avere un coniuge riportato una condanna nei casi di cui alle lettere (a, (b, (c, (d del n. 1 dell’art. 3 l. div., l’avere un coniuge, cittadino straniero, ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio, l’avere contratto all’estero un nuovo matrimonio. Quest’ultima ipotesi potrebbe fondare un giudizio di responsabilità, solo qualora il coniuge abbia ottenuto l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio all’estero, non per ragioni di opportunità, ma per svincolarsi dal legame coniugale lasciando all’oscuro l’altro, circa la sua scelta. Quanto al ruolo operativo del criterio in questione, la giurisprudenza, lo utilizza solo ai fini di ridurre l’importo dell’assegno dalla misura che consente di mantenere il tenore di vita matrimoniale ad una più bassa, quindi unicamente a detrimento del coniuge avente diritto all’assegno. Il meccanismo applicativo del criterio delle ragioni della decisione ha ottenuto l’avvallo della dottrina maggioritaria, la quale, sottolineata la funzione assistenziale dell’assegno, ritiene che la responsabilità per la disgregazione dell’assegno non potrà che avere <<pallidi riflessi>>122 sulla quantificazione dell’assegno di divorzio.

Aderendo invece alla diversa opinione per la quale la determinazione dell’assegno, svolgendo una funzione alimentare, dovrebbe avvenire con riferimento ad un tenore di vita dignitoso, il criterio in discorso riacquisterebbe efficacia operativa, comportando l’aumento dell’importo sino a consentire il mantenimento del tenore di vita matrimoniale, quando lo stesso deponga contro il coniuge obbligato, e lasciando immutata la misura predeterminata qualora la crisi matrimoniale sia riferibile al coniuge avente diritto, senza alterare la funzione

assistenziale dell’assegno, il quale sopperirebbe in ogni caso alle esigenze di sostentamento del coniuge debole, secondo la funzione che gli è propria.