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d’Europa. – 4.2 Le fonti dell’Unione Europea. – 4.2.1 Le fonti a carattere generale. – 4.2.2 Le fonti a carattere particolare. – 5. La nozione di vittima del reato nei testi internazionali.

1. Premessa

Ormai da qualche anno la vittima del reato sta divenendo, anche in Italia, non soltanto oggetto di studio delle scienze criminali, ma anche e soprattutto soggetto di interesse per il legislatore e per l’operatore del diritto.

L’attenzione a queste tematiche e la ricerca di nuove politiche - penali e sociali - attente alla posizione e al ruolo, ma anche ai bisogni e alle aspettative delle vittime, nasce a livello europeo e internazionale; a ciò si deve ascrivere la consapevolezza, poi maturata anche all’interno della società italiana, della complessità e delle conseguenze di quella riscoperta della vittima che la criminologia ha ormai segnalato da decenni.

La messa in pratica delle acquisizioni vittimologiche e l’esigenza di rimodellare il sistema guardandolo anche “dalla parte della vittima” si sviluppa, in Italia, in tempi molto recenti, sulla spinta della decisione-quadro dell’Unione europea sulla posizione della vittima nel processo penale del 15 marzo 2001. Tale decisione sarà, poi, sostituita dalla direttiva, emanata dal Parlamento europeo e dal consiglio, 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

In realtà, il tema della protezione della vittima si inserisce in un una serie di interventi europei e internazionali assai anteriori nel tempo e

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di ampia portata: risalgono, infatti, agli inizi degli anni ottanta dello scorso secolo i primi atti normativi europei in materia.

Si tratta di un interesse rintracciabile in via generale nell’attività delle organizzazioni sovranazionali – sia a carattere universale, come l’ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa e l’Unione europea63

– le quali hanno dato e continuano tuttora a dare un importante impulso ai legislatori nazionali, per molto tempo disinteressati alla vittima del reato. Infatti, prima dell’inizio della produzione di testi internazionali aventi ad oggetto la protezione

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A livello regionale, vanno menzionate le Risoluzioni e le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Si tratta del cd. diritto muto dell’Europa, cioè di una serie di documenti, non cogenti né vincolanti, spesso mal conosciuti dagli stessi Stati che ne sono i destinatari, attraverso i quali il Consiglio esprime, almeno per quanto riguarda ambiti specifici, le linee auspicabili della politica criminale europea. Elaborate in modo razionale, ponderato e approfondito, le idee enunciate in tali testi vengono spesso successivamente riprese e sviluppate in Convenzioni o, negli ultimi tempi, nei più vincolanti strumenti giuridici di cui dispone l’Unione europea. Nelle Risoluzioni e nelle Raccomandazioni, l’attenzione alla vittima costituisce il motivo di fondo che caratterizza e segna ogni approccio, tanto da essere divenuto parte integrante e imprescindibile delle politiche da attuare in quasi tutti i settori di intervento. La realizzazione della giustizia a prescindere dalla vittima sembra inesorabilmente connotarsi come un’idea senza futuro: a testimonianza si possono citare alcune Raccomandazioni, distanti nel tempo e negli argomenti trattati, ma tutte sensibili alla tematica della vittima: la Raccomandazione n. 7 del

1983 sulla partecipazione del pubblico alla politica criminale; la Raccomandazione n. 18 del 1987 sulla semplificazione della giustizia penale; la Raccomandazione n. 8 del 1996 su politica criminale e diritto penale in una Europa in trasformazione.

Oppure, per una trattazione più ravvicinata, la Raccomandazione n. 20 del 1987

sulle risposte sociali alla delinquenza minorile; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori; la Raccomandazione del 2002 n. 5 sulla protezione delle donne contro la violenza.

Ancora a livello regionale, una politica decisamente orientata alla vittima è sempre più presente come obiettivo prioritario daperseguire. Al punto 32 delle

Conclusioni del Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre del 1999, si enunciava

la necessità di elaborare norme minime sulla tutela delle vittime della criminalità, in particolare sull’accesso delle vittime alla giustizia e sui loro diritti al risarcimento dei danni, comprese le spese legali. In pronta armonia con le conclusioni di Tampere, negli atti derivati dall’Unione europea, sono state inserite disposizione relative alla protezione delle vittime, fino ad arrivare, con la decisione-quadro del 2001, alla elaborazione di una vera e propria carta dei diritti

delle vittime” in M. DEL TUFO, Linee di politica criminale europea e internazionale a

protezione della vittima, in Quest. Giust., Milano, Franco Angeli Editore, 2003,

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delle vittime, gli interventi dei legislatori nazionali sono stati sporadici e circoscritti a un numero assai limitato di Paesi.

L’attenzione delle organizzazioni sovranazionali si è nel corso degli anni amplificata grazie anche al diffondersi di una criminalità di dimensione transnazionale, dovuta all’incremento del fenomeno della immigrazione, che colpisce, in particolar modo, soggetti particolarmente vulnerabili64 e, dunque, bisognosi di una particolare protezione e assistenza.

2. Le ragioni di una tutela della vittima in sede europea

Prima di analizzare i testi inerenti la protezione della vittima sinora prodotti, è necessario individuare la loro ratio giustificatrice, cioè le generali ragioni politico-criminali e i principi che giustificano e, contemporaneamente legittimano, un intervento del legislatore europeo in tale materia.

Per quanto concerne le più generali ragioni di carattere politico- criminale, esse vanno ricercate nella necessità di potenziare e armonizzare nei Paesi dell’Unione europea gli strumenti di protezione delle vittime; necessità che si fa sempre più incombente in ragione del costante aumento nell’area europea del numero delle vittime di reato, spesso provenienti da Paesi diversi da quello di commissione del fatto criminoso, come conseguenza della rimozione delle frontiere interne e della creazione di uno spazio unico ove i cittadini europei possono circolare liberamente65.

Vi sono, poi, più specifiche basi giuridiche di interventi di armonizzazione in materia di tutela delle vittime, che devono essere individuate nei principi della libera circolazione delle persone e

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Si pensi, ad esempio, ai fenomeni di riduzione in schiavitù e di tratta di esseri umani.

65 Secondo le statistiche, nell’Unione Europea ogni anno oltre 75 milioni di persone rimangono vittime di gravi reati (circa il 15% della popolazione dell’Unione); sul punto v. http://ec.europa.eu/.

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dell’uguaglianza dei cittadini dell’Unione europea. Infatti, l’assenza di norme minime per la protezione della vittima in tutti gli Stati dell’Unione può comportare una violazione di detti principi: si pensi, ad esempio, a come la mancata previsione in un dato Paese UE di un sistema pubblico di indennizzo per le vittime che non possono beneficiare del risarcimento ad altro titolo possa disincentivare l’ingresso in quel Paese dei cittadini degli altri Stati dell’Unione; oppure a come l’operatività di questi sistemi pubblici di indennizzo unicamente a favore di vittime che abbiano la cittadinanza nello Stato in questione possa causare – come affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza Cowan del 2 febbraio 1989 66 – una violazione del divieto di discriminazione tra i cittadini dell’Unione, sancito oggi all’art. 18 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Inoltre, la mancata armonizzazione nei Paesi UE dei diritti delle vittime può rappresentare un ostacolo all’affermazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, ove dovrebbe essere

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Tale sentenza viene emanata all’esito di un ricorso pregiudiziale presentato da un cittadino britannico, il quale, rimasto vittima di un’aggressione all’uscita di una stazione della metropolitana durante un soggiorno a Parigi, presenta istanza di indennizzo ex art. 706-3 del codice di procedura penale francese alla Commission

d’indemnisation des victimes d’infraction del Tribunal de grande instance di Parigi.

Tuttavia al Cowan viene negato l’indennizzo poiché privo dei requisiti richiesti per usufruirne. Infatti, secondo l’art. 706-15 possono fruire dell’indennizzo in questione solo le persone di cittadinanza francese o quelle di cittadinanza straniera che dimostrano di essere cittadine di uno Stato che ha concluso con la Francia un accordo di reciprocità per l’applicazione di dette norme oppure essere titolari del documento denominato tessera di residente. La Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale, poiché secondo il Cowan la disposizione invocata contrasterebbe con il divieto di discriminazione di cui all’art. 7 del Trattato CEE, ha individuato un contrasto tra l’art. 706-15 del codice di procedura penale francese e il divieto di discriminazione di cui all’art. 7 del Trattato di Roma, da interpretarsi nel senso che uno Stato membro, per quanto riguarda i soggetti cui il diritto comunitario riconosce la libertà di recarsi in detto Stato, in particolare quali destinatari di servizi, non può subordinare la concessione di un indennizzo statale volto alla riparazione del danno subito sul suo territorio al requisito del possesso di una tessera di residente o della cittadinanza di uno Stato che abbia concluso un accordo di reciprocità con questo Stato membro.

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garantito un livello minimale dei diritti fondamentali, tra i quali sono fatti rientrare pure i diritti delle vittime del reato.