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Sui rapporti con la confessione

La dottrina si è soffermata altresì sulle connessioni esistenti fra la dichiarazione ricognitiva di diritti e l’istituto della confessione, disciplinato negli artt. 2730 e ss. c.c.

Dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942, infatti, la linea di discrimine fra le due figure è stata tradizionalmente individuata nel fatto che la confessione è affermazione di un fatto, mentre il riconoscimento si riferisce ad un rapporto giuridico303.

Alcuni autori hanno correttamente osservato che l’art. 2730 c.c. ha fugato i dubbi sull’ oggetto della confessione: l’art. 1356 del codice civile del 1865 infatti si riferiva a tale dichiarazione senza specificarne il contenuto e, consentendone la ritrattazione per errore di diritto, aveva giustificato anche interpretazioni estensive304.

Vi erano dunque tesi volte a ritenere che la confessione potesse avere ad oggetto anche rapporti giuridici, di fatto ricomprendendo in sé la ricognizione.

Tale commistione risultava particolarmente evidente nella figura della confessione di debito: la giurisprudenza, muovendo anche dall’ampio significato del termine confessio nel diritto comune, riteneva che essa altro non fosse che una delle possibili forme della confessione stragiudiziale305.

Una parte della dottrina aderiva a tale orientamento ritenendo che chi riconosce come esistente un debito (e più in generale un rapporto) rappresenta implicitamente il fatto che ne costituisce il fondamento, non potendosi riconoscere il diritto senza ammettere il fatto stesso306.

Altri autori hanno, del resto, concentrato le loro attenzioni proprio sulla confessione, soprattutto stragiudiziale, sul suo valore probatorio e sui rapporti con le contra se

pronuntiationes concernenti situazioni giuridiche soggettive.

Nello specifico, una parte della dottrina, muovendo dal valore vincolante della confessione stragiudiziale resa alla parte o al suo procuratore, ha affermato che la confessione avrebbe

302 A. LENER, Attività ricognitiva e accertamento negoziale, cit., 15. Tale autore rileva anche che l’effetto di

relevatio ab onere probandi dovrebbe essere negato anche tenendo conto dell’abrogazione dell’art. 634 c.c. del

1865, unica norma che lo prevedeva con riguardo alla ricognizione della servitù.

303

F. CARNELUTTI, Confessione e ricognizione, cit., 235

304

C. GRANELLI, Confessione e ricognizione nel diritto civile, cit., 432

305L’orientamento è ricordato da A. LENER, Attività ricognitiva e accertamento negoziale, cit., 22 306Ibidem

55 valore di regola negoziale ed ha ammesso che attraverso la stessa sarebbe possibile fissare/riconoscere/accertare un rapporto giuridico307.

Altra opinione, invece, ha rilevato come la confessione stragiudiziale sia un istituto di carattere eminentemente processuale, in grado di garantire la sicurezza dei traffici patrimoniali e la certezza delle relazioni giuridiche: l’ordinamento attribuisce, infatti, massima intensità alla dichiarazione che il debitore (o più in generale il soggetto passivo del rapporto) emette contra se, assumendo come esistente il rapporto o lo stato giuridico dichiarato308.

In tal senso, la confessione stragiudiziale, introdotta e provata nel processo, assumendo valore di prova legale309,sarebbe in grado di comprendere in sé tutte le ipotesi di accertamento stragiudiziale e/o di riconoscimento di situazioni giuridiche310, ivi comprese le ipotesi disciplinate nell’art. 1988 c.c..

Una simile reductio ad unitatem, tuttavia, è stata oggetto di vivaci critiche.

Si è rilevato, infatti, come la disciplina della ricognizione di debito e della confessione differiscano nel loro contenuto e soprattutto non possano considerarsi l’una superflua ripetizione dell’altra311.

Appare corretto, invece, ritenere che la confessione nel nostro ordinamento riguardi solamente i fatti e che l’espressione di valutazioni giuridiche sfavorevoli al dichiarante esuli da tale istituto e non soggiaccia all’applicazione della relativa disciplina312.

Si è affermato, quindi, che gli atti di ricognizione, nell’ipotesi di maggiore intensità, possono giungere ad una definizione provvisoria della regola giuridica in atto, attraverso il meccanismo della relevatio ab onere probandi, come contemplato dall’art. 1988 c.c. e in passato dall’art. 634 c.c. 1865313. Essi, tuttavia, non possono avere il valore vincolante, rectius di prova legale, attribuito alla confessione.

Più precisamente, concentrandosi sul profilo effettuale, si è evidenziato come le dichiarazioni confessorie abbiano, se rese in giudizio o comunque alla parte, efficacia di piena prova e siano superabili solo dimostrando (con qualsiasi mezzo di prova) l’errore di fatto o la violenza; se

307 Cfr. M. GIORGIANNI, Accertamento (negozio di), cit., per cui il valore di prova legale attribuito alla

confessione altro non sarebbe se non un riflesso del suo valore sostanziale. Altra dottrina, critica verso l’impostazione sostanziale, ha ricondotto un simile esito alla sovrapposizione che si ebbe fra la confessio in iure e la confessione in iudicio, poi distinta in confessio iudicialis ed extraiudicialis, senza avvedersi che la confessione altro non era se non una prova, ovvero una testimonianza contro il proprio interesse, così C. FURNO, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, cit., 119 e ss.

308 C. FURNO, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, 7 e ss.

309 Per un approfondimento su tale profilo e per l’opportunità del mantenimento del valore pienprobante della

confessione nel nostro ordinamento, caratterizzato dal formalismo, cfr. G. VERDE, Prova legale e formalismo, in Foro it., 1990, parte V, fasc. 10, 465 e ss.

310

Ivi, 14

311

L. MONTESANO, op.cit., 74

312 A. LENER, Attività ricognitiva e accertamento negoziale, cit., 29 313 Ivi, 30

56 rese a terzi fuori dal giudizio, invece, esse risultano assoggettate al principio del libero apprezzamento del giudice.

Per le dichiarazioni ricognitive di rapporti, prendendo quale riferimento l’art. 1988 c.c., si comprende come la pronuntiatio contra se sia superabile, senza necessità che si dimostri l’errore, essendo sufficiente la prova (data con qualsiasi mezzo) che quanto asseverato non risponde alla situazione reale314.

Sulle ragioni che giustificano una simile divergenza è opportuno soffermarsi.

La tesi tradizionale ritiene che il diverso valore probatorio trovi giustificazione nella constatazione che la ricognizione concerne un giudizio di diritto, sulla cui attendibilità si può fare minore affidamento, rispetto a quanto un soggetto affermi con riguardo all’ esistenza/inesistenza di un fatto315.

Si osserva, infatti, che l’atto di ricognizione è contraddistinto necessariamente da un momento valutativo in cui l’autore apprezza una concreta situazione giuridica (si tratti di un vincolo obbligatorio o di un diritto reale) e solo eventualmente da un momento rappresentativo316. L’apprezzamento della parte deve comunque essere coordinato col principio iura novit curia, per cui esso non potrà mai vincolare il giudice circa l’inquadramento (rectius qualificazione) della fattispecie317.

Tuttavia, non può sottacersi che il giudice dovrà sempre valutare il concreto contenuto della dichiarazione contra se, sia essa confessoria o ricognitiva o mista, apprezzandola a seconda dei casi o sub specie facti oppure nei suoi effetti processuali (relevatio ab onere probandi) o in quelli sostanziali (art. 2944 c.c., art. 2966 c.c.).

Peculiari problemi interpretativi si pongono, in realtà, quando la dichiarazione abbia contenuto complesso, ovvero asseveri sia un fatto sia un diritto e/o attesti anche l’esistenza di un documento.

Secondo una parte della dottrina, in tal caso, ciascuna delle dichiarazioni conserverà la sua autonomia (anche in punto di efficacia e revocabilità)318; secondo altra opinione, invece, occorrerà dare prevalenza alla dichiarazione avente la maggiore intensità probatoria319.

Accogliendo tale ultima impostazione, si dovrebbe distinguere anche a seconda che la dichiarazione sia rivolta alla parte o a terzi, in ragione del diverso trattamento previsto dal legislatore, ad esempio in tema di confessione320.

314C. GRANELLI, Confessione e ricognizione nel diritto civile, cit., 445

315F. CARNELUTTI, Confessione e ricognizione, cit., 236. In senso adesivo anche C. GRANELLI, Confessione

e ricognizione nel diritto civile, cit., 445

316A. LENER, Attività ricognitiva e accertamento negoziale, cit., 32 317

Ivi, 33

318

C. GRANELLI, Confessione e ricognizione nel diritto civile, cit., 446

319C.A. GRAZIANI, Il riconoscimento di diritti reali. Contributo alla teoria dell’atto ricognitivo, cit., 112; C. A.

57 La possibile confluenza in una medesima dichiarazione di più profili (confessori e/o ricognitivi) consente di comprendere perché la giurisprudenza talora qualifichi le dichiarazioni ricognitive del diritto come confessorie in senso lato321.

Dal punto di vista concettuale, tuttavia, la confessione e la ricognizione dovrebbero essere tenute distinte, proprio in ragione della differenza di disciplina.

2.5

Sui rapporti con la rinuncia al diritto e, in chiave processuale, con la