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Rapporti fra potere del clima e potere dell’uomo

Nel documento Montesquieu e la natura dei poteri (pagine 149-171)

IV. L A NATURA

3. Rapporti fra potere del clima e potere dell’uomo

Se il clima ha una capacità di incidenza sui caratteri e sulle azioni, una domanda che

dobbiamo porci è quella che riguarda i rapporti fra questi due poteri, quello climatico e

quello umano: come si pone un regnante nei confronti di questa realtà che sembrerebbe

non lasciare spazio a ciò che essa ha arbitrariamente stabilito? Come è possibile agire su

questa arbitrarietà apparentemente definitiva? È il senso dell’azione del legislatore che

deve risolvere questa situazione. Nel breve capitolo VI, intitolato Della coltivazione

della terra nelle regioni calde, del Libro XIV, scrive Montesquieu:

La coltivazione della terra è il più importante lavoro degli uomini. Più il clima li porta a fuggire questo lavoro, più la religione e le leggi devono spingerli a compierlo306.

La voce della legge risponde alle condizioni climatiche adendo vie capaci di limitare gli

effetti che quelle stesse condizioni impongono. Nel successivo capitolo VII, dove si

parla del monachesimo, questa posizione viene maggiormente corroborata:

150 Per vincere la pigrizia portata dal clima, bisognerebbe che le leggi cercassero di

sopprimere tutte le maniere di vivere senza lavorare; ma nel mezzogiorno dell’Europa esse fanno tutto il contrario: danno a quelli che vogliono restare nell’ozio sistemazioni adatte alla vita speculativa, dotandoli di immense ricchezze. Queste persone che vivono in un’abbondanza che è loro di peso donano con ragione il superfluo alla plebe. Questa ha perduto la proprietà dei beni: essi la risarciscono con l’ozio che le concedono in modo da farle amare la sua stessa miseria307.

Oltre ad evidenziare un’opposizione fra la vita speculativa e la vita lavorativa, il passo

dà una risposta pratica: in generale il modo decisivo con cui rispondere al potere del

clima è basato su regole che rifiutino la pigrizia e costringano gli uomini al lavoro.

Montesquieu dedica inoltre un breve capitolo a ciò che potremmo definire una indagine

sulla meteoropatia: questo passo lo si trova sempre nel Libro XIV, al capitolo XIII

intitolato Effetti del clima dell’Inghilterra: qui il punto di congiuntura si dispiega nel

legame tra il clima delle terre inglesi ed il tragico problema del suicidio:

In una nazione nella quale una malattia, originata dal clima, colpisce talmente l’animo, da portarvi il disgusto di tutto fino a quello della vita, è chiaro che il governo più conveniente a gente per la quale tutto è insopportabile, sarebbe quello ove non si può accusare un solo individuo di essere la causa delle proprie sventure, e dove, dato che le leggi vi governano più degli uomini, bisognerebbe, per mutare lo Stato, distruggerle.

Se la stessa nazione avesse ricevuto dal clima anche un certo carattere impaziente, per cui le risultasse impossibile tollerare a lungo le stesse cose, si vede bene che il governo di cui abbiam parlato sarebbe il più conveniente.

Questo carattere impaziente non è grande di per se stesso, ma può divenirlo quando è unito al coraggio. È diverso dalla leggerezza, la quale fa sì che si inizi una cosa senza motivo, e senza motivo la si abbandoni. Rassomiglia piuttosto alla testardaggine, perché proviene da un senso dei mali così vivo, che non si indebolisce nemmeno con l’abitudine a sopportarli.

Questo carattere, in una nazione libera, sarebbe adattissimo a sventare le mire della tirannide, la quale è sempre lenta e debole ai suoi inizi, così come è pronta e viva alla fine, e che non mostra dapprima altro che una mano per soccorrere, opprimendo più tardi con una infinità di braccia.

151 La schiavitù comincia sempre col sonno. Ma un popolo che non trova riposo in

alcuna situazione, che continuamente si scruta, e si trova dappertutto dolorante, non potrebbe davvero addormentarsi.

La politica è una lima sorda, che logora e giunge lentamente al suo fine. Ora, gli uomini dei quali abbiamo parlato qui sopra, non potrebbero sopportare le lentezze, i dettagli, il sangue freddo delle negoziazioni; vi riuscirebbero quasi sempre peggio delle altre nazioni, e perderebbero coi trattati ciò che avessero conquistato con le armi308.

Ogni territorio è definito da caratteristiche peculiari che ne costituiscono la fisionomia.

Se da una parte vi sono benefici per la salute e «spetta alla saggezza dei legislatori

vegliare sulla salute dei cittadini

309

», dall’altra certe temperature particolari possono

favorire – scrive Montesquieu

310

– la drammatica diffusione di epidemie tanto da

rendere necessario l’intervento di una legislazione specifica che tenti di limitarne il

contagio. Tutto ciò è quanto viene affrontato nel capitolo XI – intitolato Delle leggi che

si riferiscono alle malattie del clima – del Libro XIV ed in particolare si parla della

malattia della lebbra e di quella della peste: il compito di ogni governo e di ogni

legislatore è quello di porre in essere tutte quelle leggi che favoriscano il bene comune e

che possano impedire alle malattie una loro rapida diffusione. Quando scrive del

problema della peste Montesquieu osserva:

«S

ono state promulgate nella maggior parte

degli Stati europei, ottime leggi per impedirle di penetrarvi

311

».

Un capitolo altrettanto interessante è il III – intitolato Del clima dell’Asia – del Libro

XVII dove le temperature del territorio asiatico vengono messe a confronto con quelle

dell’Europa. Nel territorio asiatico si osserva – scrive Montesquieu citando alcune

relazioni che descrivono il clima dell’Asia

312

– la mancanza di una zona temperata

mentre il continente europeo ne ha una molto estesa. Si propone poi un confronto

geografico fra l’Asia e l’Europa:

Poste queste premesse, io ragiono così: l’Asia non ha zona temperata, e i luoghi posti in clima molto freddo confinano con quelli a clima molto caldo, vale a dire la Turchia, la Persia, il Mogol, la Cina, la Corea e il Giappone.

In Europa, al contrario, la zona temperata è molto vasta, per quanto comprenda paesi dai climi assai differenti tra loro, dal momento che non vi è alcun rapporto tra 308 Ibid., pp. 398-399. 309 Ibid., p. 395. 310 Cfr.: Ibid., pp. 394-396. 311 Ibid., p. 396. 312 Ibid., p. 450-452.

152 i climi della Spagna e dell’Italia e quelli della Norvegia e della Svezia. Ma, poiché

il clima si fa insensibilmente più rigido man mano che dal sud si va verso il nord all’incirca in proporzione alla latitudine di ciascun paese, vi avviene che ogni nazione ha un clima simile a quello degli Stati vicini, che non esistono differenze notevoli e che, come or ora ho detto, la zona temperata è molto vasta313.

Da questa ricognizione si traggono delle conseguenze geopolitiche:

Ne deriva che in Asia le nazioni forti confinano direttamente con quelle deboli; i popoli guerrieri, valorosi e attivi, sono vicini a popoli effeminati, pigri, irresoluti: bisogna dunque che questi vengano conquistati, e che quelli siano conquistatori. In Europa, al contrario, le nazioni confinanti sono di forza eguale: i popoli hanno all’incirca un pari coraggio314

.

Dopo aver riconosciuto questa differenza, si fa un richiamo alle stagioni di conquista

che hanno riguardato l’Asia e l’Europa. Si legge infatti, sempre nel Libro XVII, al

capitolo IV, intitolato Conseguenze:

Ciò che abbiamo detto si accorda con le vicende della storia. L’Asia è stata soggiogata tredici volte: undici volte dai popoli del nord, due volte da quelli del sud. Nei tempi passati, gli Sciti la conquistarono tre volte; i Medi e i Persiani una volta; e così i Greci, gli Arabi, i Mongoli, i Turchi, i Tartari, i Persiani e gli Afgani. Non parlo che dell’alta Asia, e non dico nulla delle invasioni avvenute nel sud di questa parte del mondo, che ha sempre sofferto gravi rivoluzioni.

In Europa, al contrario, non conosciamo, dalle prime colonie greche e fenice in poi, che quattro grandi mutamenti: il primo causato dalle conquiste romane; il secondo dalle invasioni barbariche che distrussero i Romani stessi, il terzo, dalle vittorie di Carlo Magno, e l’ultimo, dalle invasioni dei Normanni. Se si esamina bene tutto ciò si troverà, in questi stessi mutamenti, una forza generale sparsa in tutte le parti d’Europa. Sono ben note le difficoltà incontrate dai Romani nelle loro conquiste in Europa, e la facilità con la quale, invece, invasero l’Asia. Sono note le difficoltà che incontrarono i popoli del nord per rovesciare l’impero romano, le guerre e le fatiche di Carlo Magno, le varie imprese dei Normanni. I distruttori venivano anche essi continuamente distrutti315.

313

Ibid., p. 452.

314

Ivi.

153

Il clima produce un singolare effetto dominio che interessa i conflitti bellici e le

conquiste. Nel capitolo V del Libro XVII, si propone una specie di elogio del nord

dell’Europa:

Non so se il famoso Rudbeck, che, nella sua Atlantica, ha tanto lodato la Scandinavia, ha parlato della grande prerogativa che pone le nazioni che l’abitano al disopra di tutti i popoli del mondo: quella di essere stata la fonte della libertà dell’Europa, vale a dire di quasi tutta quella che si trova oggi tra gli uomini.

Il goto Jornandes ha chiamato il nord dell’Europa la fabbrica del genere umano: io lo chiamerei piuttosto la fabbrica degli strumenti che distruggono le catene forgiate nel sud. È là che si formano quelle valorose nazioni che escono dal proprio paese per distruggere i tiranni e la schiavitù, per insegnare agli uomini che, avendoli la natura fatti eguali, la ragione non ha potuto sottometterli che per la loro felicità316.

Il libro XVII si chiude con un’osservazione generale che mette insieme le

considerazioni geografiche e le scelte politiche e riguarda la decisione che deve

prendere un principe a proposito dell’ubicazione della sede del suo impero. Il capitolo è

l’VIII e si intitola: Della capitale dell’impero:

Una delle conseguenze di ciò che abbiamo detto è che è molto importante, per un gran principe, sceglier bene la sede del suo impero. Chi la sistemerà a sud rischierà di perdere il nord, e chi la sistemerà a nord conserverà facilmente il sud. Non parlo di casi particolari. Se la meccanica ha i suoi attriti, che spesso mutano o arrestano i calcoli della teoria, la politica ha anch’essa i suoi317

.

Il Libro XVIII dello Spirito delle Leggi tratta invece del rapporto che le leggi hanno

con la natura del terreno. Il capitolo I si intitola infatti: In che modo la natura del

terreno influisce sulle leggi. Considerando la diversa natura del suolo si constata un tipo

di terreno maggiormente fertile ed un terreno scarsamente fertile e su questa logica dei

contrari fertilità/sterilità si fonda l’argomentazione. I paesi che hanno disponibilità di

terre fertili hanno conseguentemente la necessità di coltivarle e curarle in modo che esse

316

Ibid., p. 456. Non manca nell’analisi dei climi anche un passaggio che interessi il territorio africano e quello americano. Ci troviamo sempre nel Libro XVII, al capitolo VII, intitolato Dell’Africa e dell’America: «L’Africa si trova in condizioni di clima simili a quelle dell’Asia del sud, ed è nello stesso grado di schiavitù. L’America, distrutta e ripopolata dalle nazioni dell’Europa e dell’Africa, non può a tutt’oggi rivelar bene il proprio carattere, ma ciò che conosciamo della sua storia passata è assai conforme ai nostri principi». Cfr.: Ibid., pp. 457-458.

154

possano produrre i loro frutti. Il tempo richiesto dalla cura della terra non lascia troppo

spazio per occuparsi di altre questioni:

La bontà delle terre di un paese vi stabilisce naturalmente un regime di servitù. I contadini, che costituiscono la parte principale del popolo, non sono molto gelosi della propria libertà: sono troppo occupati, e troppo dediti ai loro affari particolari. Una campagna ricca teme il saccheggio, teme un esercito. «Chi è adatto a formare il partito dei buoni? – diceva Cicerone ad Attico – Saranno i commercianti e i contadini, per i quali, a meno che noi non immaginiamo che siano contrari alla monarchia, tutti i governi si rassomigliano, purché li lascino tranquilli?».

Pertanto il governo di uno solo si trova più facilmente nei paesi fertili, e il governo di molti nei paesi che non lo sono: ciò che talvolta costituisce un compenso318.

Montesquieu esamina poi i paesi fertili costituiti principalmente da pianure ed osserva le

differenze fra una realtà di pianura ed una realtà di montagna e quanto questa differenza

di posizionamento determini le questioni relative agli assedi ed alle conquiste:

I paesi fertili sono costituiti da pianure ove non si può resistere al più forte: ci si deve quindi sottomettere e, quando ciò si verifica, lo spirito della libertà non può più tornarvi: i beni della campagna sono una garanzia di fedeltà. Ma, nei paesi di montagna, si può conservare ciò che si ha, e si ha poco da conservare. La libertà, vale a dire il governo di cui si gode, è il solo bene che merita di essere difeso. Essa regna dunque più nei paesi montagnosi e impervi che in quelli che paiono maggiormente favoriti dalla natura.

I montanari conservano un governo più moderato, perché non sono così esposti alla conquista avversaria. Essi possono difendersi facilmente, sono difficilmente attaccati; le munizioni da guerra e da bocca si raccolgono e si trasportano contro di essi solo a caro prezzo: il paese, infatti, non ne fornisce. È dunque più difficile muover loro guerra, più rischioso l’iniziarla, e tutte le leggi fatte per la sicurezza del popolo vi son meno necessarie319.

Il capitolo III, intitolato Quali sono i paesi maggiormente coltivati, considera il

problema della coltivazione in relazione alla questione della libertà:

I paesi non sono coltivati in ragione della loro fertilità, ma in ragione della loro libertà; e, se si dividesse la terra col pensiero, si rimarrebbe meravigliati nel vedere 318

Ibid., p. 459.

155 quasi sempre dei deserti nella parte più fertile, e grandi popoli in zone ove il

terreno sembra tutto rifiutare.

È naturale che un popolo abbandoni una terra ingrata per cercarne una migliore, e non che ne lasci una buona in cerca di una peggiore320.

Fertilità e sterilità del suolo incidono notevolmente sulle azioni dell’uomo, come si può

leggere nel capitolo IV, intitolato Altri effetti della fertilità e della sterilità del terreno:

La sterilità delle terre rende gli uomini industriosi, sobri, abituati al lavoro, coraggiosi, atti alla guerra: bisogna infatti che siano in grado di procurarsi ciò che la terra rifiuta. La fertilità di un paese dà, con l’agiatezza, la mollezza e un particolare amore per la conservazione321.

Una terra difficoltosa ed arida costringe l’uomo ad ingegnarsi per riuscire a

sopravvivere, mentre un terreno ricco, pur obbligato a tutte quelle cure di cui ha

necessità, non funziona da spinta ma conduce all’agio e alla mollezza e quindi ad una

certa rilassatezza: da ciò si giunge ad una forte e decisa volontà di conservazione. Nei

luoghi in cui la terra non ha risorse l’essere umano è mosso dal bisogno e dalla necessità

mentre i luoghi ricchi di risorse portano gli individui a voler mantenere questa

favorevole condizione.

Si crea dunque un legame fra una condizione naturale (la fertilità del terreno) e la sua

traduzione materiale (l’uomo ama ciò che il suolo gli restituisce e tenta di conservare

questa condizione). Questo stesso legame è ciò che determina una parte importante

dell’agire dell’uomo.

Come si può ben osservare da tutti questi passi, il tema della natura e quello del

clima, così come l’utilizzo del suolo, la ricca fertilità delle terre o la loro aridità, hanno

un’influenza sui temperamenti degli uomini. La struttura che riconosciamo in questi

argomenti è quella che si intreccia continuamente e lega a sé le varie componenti del

mondo naturale e del mondo sociale.

Il clima possiede una sua fisionomia, per così dire, anfibia: se da una parte esso – in

quanto fenomeno in sé – è indipendente ed indifferente all’uomo, dall’altra tanto la sua

indifferenza quanto la sua indipendenza hanno un potere determinante che si traduce in

effetti significativi per la vita umana: la temperatura agisce sugli individui e sembra

avere il potere di caratterizzarli e modificarli profondamente. Ma la temperatura agisce

320

Ibid., p. 461.

156

anche sulla terra e a seconda dei suoi gradi facilita o rende difficoltosa la sopravvivenza.

Montesquieu ha messo in evidenza queste connessioni e ha dato loro un’efficace

rilevanza. La dimensione politica di questo argomento si manifesta nella forza e nel

potere che la natura ha in sé e che esprime nel mondo, modificandolo e trasformandolo

continuamente.

157

158

Il mondo contemporaneo vive in una lacerata realtà in cui è sempre più difficile

orientarsi. L’uomo, inserito in una complessità tanto nuova quanto incerta, sembra non

avere più una bussola. Le prospettive si intersecano e risulta affannoso comprendere il

senso dell’insieme e l’intrecciarsi spigoloso di queste traiettorie. Il lento tramontare di

schemi politici appartenuti ad un altro secolo, usurati in parte dalla loro età, ha fatto

evaporare quel ruolo fondante che la politica stessa aveva in tema di scelte e decisioni.

Tuttavia questa è solo una metamorfosi e non una scomparsa. Immersi in un processo

che muta troppo velocemente siamo incapaci di metterne a fuoco tutte le ramificazioni,

in parte perché non evidenti, in parte perché non siamo in possesso di strumenti teorici

adatti per comprenderle a fondo. La forte differenza rispetto al passato è la velocità.

Come costruire una comprensione su questa rapidità poiché il velocissimo movimento

con cui essa produce gli eventi al tempo stesso li sfuma e non ne permette una

comprensione piena? Di quali strutture concettuali servirsi? La difficoltà maggiore

consiste proprio in questa velocità inevitabile. Eppure anch’essa è una costruzione

umana che vive in una rete di relazioni, anch’essa è basata su dinamiche di potere che si

innervano capillarmente all’interno della nostra vita. La rapidità cui siamo esposti rende

più complesso il momento della riflessione poiché esso ha bisogno di tempo. L’andare

stroboscopico della realtà sembra avere profondamente mutato questo momento,

costringendo ogni accadere in un’ingessata prigione da cui sembra impossibile

recuperare il tempo del pensiero.

A questa rapidità sociale cosa può rispondere il mondo della politica? Solo una

troppo semplicistica analisi ci condurrebbe all’equivoco di pensare una sua inutilità,

inumando, dietro espedienti minori, le sue nascoste possibilità. I cambiamenti – ci ha

insegnato Montesquieu – sono nella natura delle cose e la paura nell’affrontarli è

comprensibile ma non deve trasformarsi in una secca scusa per dimenticare il mondo

alla sua arida spiaggia. Tutti i temi presenti nella Prefazione dello Spirito delle Leggi

ritornano nella loro attualità: anche oggi si richiede un notevole sforzo nel leggere per

intero il libro della contemporaneità e non si può giudicare delle sue ricchissime pagine

solo alcuni sparuti frammenti, pensando di sussumerne il senso da quelli soltanto e

dimenticando le tante altre sfumature che dipingono il mondo. Forse serve ancora del

tempo e una distanza maggiore per riuscire a mettere a fuoco questa trasformazione. La

nostra contemporaneità è infatti il paradigma di una rete infinita di rapporti e relazioni:

159

il particolare paradosso che oggi viviamo è quello di un’ucronia reale in cui troppe sono

le variabili e quasi infinite le materie da conoscere per poter raggiungere una minima

visione del mondo che ci consenta la comprensione dell’avvicendarsi continuo delle

cose. Montesquieu ci ha però mostrato quanto ogni disordine contenga anche una

geometria. Se le società sono cambiate e con esse gli uomini che le abitano, anche le

forme del potere hanno trasformato il loro lessico e costruito una nuova grammatica.

Diventa però molto arduo impararne l’alfabeto e capirne il linguaggio senza accettarne

le contraddizioni strutturali e la sua particolare logica. Ogni differenza è figlia di un

passato che a volte non sa riconoscere o fatica ad accettare, ogni società non è che la

somma di cambiamenti continui che l’hanno trasformata. Fenomeni ineludibili di ogni

periodo storico, le trasformazioni definiscono il senso di ogni accadere.

Montesquieu ha saputo scrivere la realtà del suo tempo, quella realtà che aveva

Nel documento Montesquieu e la natura dei poteri (pagine 149-171)

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