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DELL’AGRITURISMO

3. LA NUOVA LEGGE NAZIONALE DEL

3.3. Il rapporto di prevalenza

La legge n. 96 del 2006, riguardo all’esigenza di ricondurre all’agricoltura le iniziative di ospitalità e ricreazione in cui si concretizza l’agriturismo, non fa più riferimento all’accessorietà delle attività agrituristiche, bensì inserisce il criterio del rapporto di “principalità” o “prevalenza”. Questo criterio si esplica nell’obbligo di prevalenza delle attività agricole principali rispetto all’attività agrituristica, per far sì che l’impresa agricola sia autorizzata ad esercitare attività agrituristiche.

L’art. 4, 2° comma, della legge n. 96 del 2006 fa riferimento, per l’applicazione del criterio di prevalenza, al tempo di lavoro necessario all’esercizio delle attività agrituristiche rispetto a quello impiegato nell’attività agricola, e rimette alle Regioni il compito di definire i criteri di valutazione di tale rapporto. Il rapporto di prevalenza dovrebbe essere verificato caso per caso, a seconda delle dimensioni delle aziende agricole di una certa zona. Questo viene, invece, spesso standardizzato dalle legislazioni regionali che limitano l’attività

agrituristica ad un numero massimo di camere e posti letto o pasti somministrati, qualunque sia la capacità dell’impresa.

Nella valutazione di prevalenza dell’attività agricola su quella agrituristica, il parametro diventa appunto il tempo di lavoro occupato nell’arco dell’anno solare36, con

l’indicazione di limiti per la ricettività e somministrazione di pasti37. In altri casi, invece, si indicano,

alternativamente tra loro, il criterio del tempo impiegato per l’una o per l’altra attività e quello del valore delle rispettive produzioni38.

L’imprenditore agrituristico, sulla base dell’art. 2, 3° comma, lett. b), della legge n. 96 del 2006, può somministrare pasti e bevande e, riguardo al rapporto di prevalenza, questo può avvalersi oggi non soltanto, come in passato, di prodotti propri, ma anche dei prodotti di aziende agricole della zona. In altri termini, si perde la

36 Ad esempio: art. 2, 3° comma, l.r. Friuli Venezia Giulia n. 25

del 1996; art. 4, 1° comma, lett. b, l.r. Liguria n. 37 del 2007; art. 6, 2° comma, l.r. Umbria n. 28 del 1997; art. 4, 1° comma, l.r. Marche n. 21 del 2011; art. 5, 2° comma, l.r. Sardegna n. 18 del 1998.

37 Art. 10, l.r. Molise n. 10 del 2010.

qualifica solo se si somministrano ai clienti in prevalenza prodotti che non siano tipici locali. Questo favorisce, quindi, l’integrazione distrettuale fra imprese diverse che operano sul mercato dei prodotti alimentari, considerando anche il fatto che i pasti e le bevande somministrate dall’imprenditore agricolo non devono più necessariamente essere consumati sul posto.

Diversamente, la disciplina dell’organizzazione dell’attività di ricezione ed ospitalità oltre a quella di organizzazione di degustazione dei prodotti aziendali e di vendita di prodotti tipici locali si profila in modo più restrittivo. La formula contenuta nell’art. 3 del d.lgs. 228/2001, consentiva queste attività anche al di fuori del fondo, mentre la disciplina del 2006, all’art. 2, 3° comma, lett. c), non le inserisce tra quelle consentite all’esterno dei beni fondiari. Possiamo dunque dedurre che queste attività possano considerarsi connesse all’attività agricola

ex art. 2135 cod. civ. solo se esercitate prevalentemente

con i beni aziendali normalmente destinati alle attività agricole. Possono, invece, considerarsi agrituristiche solo

se risultano utilizzati esclusivamente i beni aziendali nel loro esercizio.

Non tutte le attività sono però necessariamente connesse con i beni fondiari secondo la legge n. 96 del 2006. Le attività ricreative, culturali, didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo possono essere infatti organizzate anche all’esterno dei beni fondiari (anche per mezzo di convenzioni con gli enti locali39), ma

a condizione che tali attività siano obiettivamente connesse con l’attività e le risorse agricole aziendali nonché con le altre attività volte alla conoscenza del patrimonio storico, ambientale e culturale del territorio40.

Nel caso in cui non si realizzasse tale connessione, le attività in questione possono svolgersi soltanto come servizi integrativi e accessori riservati agli ospiti che soggiornano nell’agriturismo, e non possono dare luogo ad alcun compenso per la partecipazione alle stesse.

39 Art. 2, 3° comma, lett. d), legge n. 96 del 2006. 40 Art. 4, 5° comma, legge n. 96 del 2006.

4. I CONTROLLI

La determinazione degli incentivi per lo sviluppo dell’agriturismo e l’individuazione dei criteri di controllo dell’attività e dei requisiti degli immobili e delle attrezzature, sia ricettive che destinate ad altri servizi è rimessa alle Regioni o alle Province autonome.

In ogni caso, dato che l’agriturismo implica un contatto diretto tra l’attività e i suoi clienti, viene ad esso applicata la normativa a tutela della salute di questi ultimi, mediante l’imposizione all’operatore di munirsi di libretto sanitario e l’attestazione del fatto che i locali adibiti all’esercizio dell’attività abbiano ottenuto il parere favorevole dell’autorità sanitaria.

L’operatore agrituristico è inoltre soggetto a verifiche, da parte dell’organo incaricato della tenuta dell’elenco regionale, ed a controlli ad opera del Comune nel quale ha sede l’impresa, riguardanti il rispetto degli obblighi amministrativi. Le Regioni, talvolta41, delegano

41 Art. 26, l.r. Lazio n. 14 del 2006; art. 12, l.r. Veneto n. 9 del

alle Province o ai Comuni42 le verifiche periodiche sul

mantenimento dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco o sull’applicazione dei piani agrituristici regionali o aziendali, oppure sulla classificazione del complesso agrituristico.

Vengono irrogate sanzioni amministrative in caso di violazione delle regola dettate per l’apertura e l’esercizio dell’attività agrituristica: queste possono essere di tipo pecuniario (per irregolarità meno gravi) oppure concernere la sospensione o addirittura chiusura dell’esercizio.

Infine, una ulteriore forma di controllo, anche se indiretta, è costituita dalla possibilità di revoca, da parte della Pubblica Amministrazione, dei contributi che le Regioni erogano per l’avviamento od ampliamento dell’attività agrituristica, con costante vincolo di destinazione ad essa dell’immobile e degli allestimenti oggetto degli interventi consentiti.

42 Art. 16, l.r. Liguria n. 37 del 2007; art. 23, 1° comma, l.r.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto riportato nella presente trattazione, risulta evidente come la materia del diritto del turismo, nonostante la sua importanza per il settore economico, sia a livello nazionale che a livello comunitario, non goda ancora al giorno d’oggi di una disciplina unitaria di effettiva applicazione. Per quanto riguarda la disciplina a livello europeo, soltanto con il Trattato di Lisbona del 2007 si pongono le basi di una linea guida più organica, ottimizzando il percorso fatto in precedenza che si sostanziava essenzialmente nella concessione di finanziamenti pubblici per la diffusione di strumenti unitari di classificazione della qualità dei servizi. Inoltre, attraverso questo nuovo Trattato comunitario, è oggi possibile, per il Parlamento e il Consiglio europeo, attraverso il procedimento legislativo ordinario, emettere atti vincolanti per coordinare le azioni degli Stati membri in materia di turismo, in modo da poter creare relazioni anche con organismi internazionali che operano nel

settore, al fine di promuovere la destinazione europea presso Paesi terzi.

L’ordinamento italiano, in materia di turismo, ha subito diverse evoluzioni, a partire dalla legge di revisione Costituzionale n. 3 del 2001, dove la materia diventa di competenza legislativa regionale. Secondo la Corte Costituzionale, a partire dal 2001 le Regioni possono legiferare liberamente in materia di turismo, anche sostituendo la normativa nazionale. Nonostante ciò, negli anni successivi sono state approvate ulteriori discipline statali, in contrasto con quanto emerso dalla riforma del Titolo V della Costituzione, ma giustificate dalla stessa Corte Costituzionale in riferimento ai principi costituzionali di sussidiarietà ed adeguatezza per il conferimento delle funzioni amministrative secondo l’art. 118 Cost.

Con il d.lgs. n. 79 del 2011, altrimenti chiamato Codice del turismo, di emanazione statale, si era cercato di dare uniformità alla materia del turismo, sulla base anche di quanto espresso dalla Corte Costituzionale riguardo alla possibilità di un intervento statale in

materia, a condizione che questo fosse giustificato, proporzionato ed attuato d’intesa con le Regioni. Diverse disposizioni del Codice del turismo sono però state dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2012, poiché la materia sarebbe di competenza regionale e non statale: di conseguenza l’opera del legislatore statale avrebbe dovuto limitarsi ad un semplice riordino della materia, e non quindi innovando le disposizioni, tanto più che il suddetto intervento codicistico non è stato approvato d’intesa con le Regioni. Con questa sentenza, quindi, si pongono le basi per un futuro intervento da parte del legislatore, nella speranza che ponga fine all’attuale vuoto normativo creato dall’abrogazione di diversi articoli del Codice del turismo: per emanare un nuovo testo unico in materia di turismo, è necessario infatti che il Parlamento si ponga in accordo con le Regioni, in modo da operare una riorganizzazione dei principi già presenti all’interno della legislazione previgente. Ad ogni modo sarebbe auspicabile una revisione dei rapporti tra Stato e Regioni, riportando

il turismo tra le materie di competenza concorrente, proprio in virtù dell’importanza di questo settore all’interno dell’economia italiana, consentendo allo Stato di poter legiferare in materia per giungere ad una disciplina organica e certa del settore, in modo da poter sfruttare al massimo le potenzialità dello stesso.

Analizzando la disciplina delle strutture ricettive in senso stretto, a partire dalla legge n. 135 del 2001, esse sono state definite come imprese turistiche, definizione ripresa successivamente anche nel Codice del turismo all’art. 4, che individua la finalità della soddisfazione dei bisogni del turista come elemento qualificante dell’impresa turistica, ricomprendendo al suo interno, quindi anche tutte quelle imprese la cui attività concorre alla formazione dell’offerta turistica. L’art. 4 del codice del turismo, inserisce la suddetta impresa turistica all’interno dei canoni espressi dall’art. 2082 c.c., e quindi presuppone l’acquisto della qualità di imprenditore con i requisiti della professionalità, organizzazione, produttività e la gestione dell’attività con metodo economico.

Per quanto riguarda invece la definizione di attività ricettiva, la questione risulta più complessa, poiché attualmente esiste un vuoto normativo a riguardo, che può attualmente essere colmato soltanto con l’aiuto di alcuni principi presenti all’interno del Codice del turismo, che pur essendo formalmente abrogati, si basano comunque sulla ricognizione di principi generali già esistenti nel sistema. Infatti, l’art. 8 del Codice (anche se ormai privo di alcun valore normativo), può essere preso come base per definire l’attività ricettiva poiché rispecchia fedelmente il contenuto della legislazione regionale e la rosa di prestazioni attualmente esistenti nei contratti di ospitalità.

La disciplina del Codice del turismo, come già riportato, per quanto priva di valore normativo, basandosi però essenzialmente sulla riorganizzazione di principi generali già espressi nel sistema, è utile anche per tentare di operare un quadro di riferimento per la classificazione delle strutture ricettive, visto e considerato che non esiste una normativa organica di riferimento, fino

a che non verrà colmato il vuoto normativo in essere. Quindi, sulla base di queste considerazioni, ad oggi le strutture ricettive possono classificarsi sulla base della loro attività in alberghiere, paralberghiere, extralberghiere, strutture ricettive all’aperto e strutture ricettive di mero supporto.

Per quanto riguarda l’ambito dell’inizio dell’attività ricettiva, possiamo ritenere che l’art. 16 del d.lgs. n. 79 del 2011 abbia ancora una sua validità, nonostante rientri tra gli articoli dichiarati incostituzionali dalla Corte Costituzionale nel 2012, poiché prevede che l’inizio dell’attività ricettiva sia subordinato alla presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività, procedura che si pone in linea con l’obiettivo di semplificazione normativa funzionale ad incentivare la libertà di iniziativa privata e di creazione di nuove imprese. Un fine perseguito sia dalla legislazione nazionale che soprattutto dall’Unione Europea che, con la direttiva 2006/123/CE, attuata in Italia con d.lgs. 59/2010 mira a sopprimere le procedure e le formalità più onerose che ostacolano la

creazione di nuove imprese operanti nel settore dei servizi. Volgendo lo sguardo al futuro della materia, è impensabile che la legislazione regionale innesti un irrigidimento del regime amministrativo di queste attività, poiché sarebbe in contrasto con quanto stabilito all’interno della direttiva comunitaria di cui sopra, che punta alla semplificazione del settore; è invece assai probabile l’effetto contrario, ovvero una corsa alla liberalizzazione da parte delle Regioni per favorire lo sviluppo delle attività turistiche nella propria Regione a scapito delle altre vicine. Per mantenere un certo equilibrio nel settore, sarà quindi fondamentale un coordinamento tra le Regioni stesse.

Passando all’analisi del fenomeno dell’agriturismo, possiamo ricercare le motivazioni alla base della creazione di tale attività ricettiva nell’esigenza di dare un nuovo volto al settore agricolo, conseguente alla riscoperta dell’ambiente rurale, per tutelare e valorizzare le risorse ambientali e culturali dello stesso e contrastare l’abbandono delle campagne.

La legge attualmente in vigore in materia di agriturismo è la legge n. 96 del 2006, che inserisce un importanti cambiamenti rispetto alla normativa previgente (legge n. 730 del 1985). Uno dei principali obiettivi di questa legge è quello di far progredire l’agriturismo ampliando le possibilità di attività sia ricettiva che di ristoro, allontanandosi dall’originario obbligo di utilizzare prevalentemente prodotti e materie prime dell’azienda. I vantaggi dell’agriturismo rispetto ad un albergo sono sicuramente legati alla forma imprenditoriale: il titolare di un agriturismo infatti non è un imprenditore commerciale, bensì un imprenditore agricolo, in virtù del rapporto di connessione tra l’attività agricola (che deve essere prevalente) e attività ricettiva. Di conseguenza l’imprenditore agricolo non è soggetto a fallimento, e gode inoltre di notevoli vantaggi a livello fiscale. L’attività agrituristica può oggi essere esercitata sia da un imprenditore agricolo individuale, sia da società di persone o capitali delle quali sia socio l’imprenditore agricolo; ed è inoltre consentito avvalersi di lavoratori

dipendenti per l’ausilio nell’attività, contrariamente a quanto espresso nella legge del 1985. È stato anche abolito, con la legge del 2006, il requisito della stagionalità dell’offerta di ospitalità, ponendo così le basi per la creazione di una situazione di vantaggio competitivo dell’agriturismo rispetto ad altre imprese alberghiere o di ristorazione.

La legge n. 96 del 2006 inserisce il criterio del rapporto di prevalenza delle attività agricole principali rispetto all’attività agrituristica, che si traduce in una prevalenza di tipo temporale: il tempo dedicato alle attività agricole deve essere superiore a quello dedicato alle attività agrituristiche per ricevere l’autorizzazione ad esercitare attività agrituristiche.

Possiamo concludere che la nuova legge del 2006 in materia di agriturismo ha evoluto l’attività agricola verso una multisettorialità dell’impresa, allontanando sempre più il concetto di agriturismo da quello di agricoltura. La precedente legge del 1985, seppur più restrittiva, meglio definiva le funzioni legate all’imprenditore agricolo

vincolandolo maggiormente all’agricoltura, limitando così possibili benefici rispetto agli atri operatori turistici.

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