UNIVERSITÀ DI PISA Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
L’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ ALBERGHIERA E LO
SVILUPPO DELL’AGRITURISMO
Il relatore:
Chia.ma Prof. Michela Passalacqua Il candidato:
INDICE
Introduzione I
CAPITOLO I
ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO DEL TURISMO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
1. IL TURISMO NELLE FONTI INTERNAZIONALI 1 2. LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA 4
3. IL TURISMO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA 9
3.1. Le modifiche apportate dopo la legge di revisione
Costituzionale del 2001 11
4. IL CODICE DEL TURISMO (D.LGS. n.79 DEL 2011) E LE
SUE VICENDE 15
4.1. L’intervento statale in una materia di competenza
regionale 15
4.2. La dichiarazione di incostituzionalità del 2012 18
5. GLI ORDINAMENTI REGIONALI 26
CAPITOLO II
LE STRUTTURE RICETTIVE: DISCIPLINA E AUTORIZZAZIONI
1. LE STRUTTURE RICETTIVE COME IMPRESE
TURISTICHE 33
2.1. La situazione antecedente al Codice del turismo 39 2.2. La definizione contenuta all’interno del Codice
del turismo 41
3. LE TIPOLOGIE DI STRUTTURE RICETTIVE ALBERGHIERE, PARALBERGHIERE ED
EXTRALBERGHIERE 45
3.1. Le tipologie di strutture ricettive prima
dell’avvento del Codice del turismo 45
3.2. La nuova organizzazione del Codice del turismo 49
3.3. Le strutture ricettive alberghiere e
paralberghiere 51
3.4. Le strutture ricettive extralberghiere 53 3.5. Le strutture ricettive all’aperto e le strutture
ricettive di mero supporto 56
4. LA DISCIPLINA DEI PREZZI DELLE STRUTTURE
RICETTIVE 57
5. PRESENTAZIONE DELLA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ (C.D. SCIA) PER L’ESERCIZIO
DELLE STRUTTURE TURISTICO-RICETTIVE 63
5.1. Obblighi di Pubblica Sicurezza 70
CAPITOLO III
L’AGRITURISMO COME NUOVA TIPOLOGIA DI TURISMO 1. LA NECESSITÀ DI CREARE UNA TIPOLOGIA SPECIALE
DI TURISMO: LE ORIGINI DELL’AGRITURISMO 74
1.1. La nascita dell’agriturismo a livello comunitario:
l’espressione della ruralità 76
1.2. Gli interventi regionali 81
2. L’EVOLUZIONE LEGISLATIVA: DALLA LEGGE-QUADRO N. 730 DEL 1985 AL D.LGS. n. 228 DEL 2001 83
3. LA NUOVA LEGGE NAZIONALE DEL 2006 87
3.1. L’attività dell’agriturismo 89 3.2. I locali per attività agrituristiche e il requisito
della “stagionalità” 92
3.3. Il rapporto di prevalenza 96
4. I CONTROLLI 100
Conclusioni 102
INTRODUZIONE
Il presente lavoro ha come oggetto l’analisi della disciplina delle strutture ricettive, con particolare riguardo al fenomeno dell’agriturismo quale nuova tipologia di ricettività.
La scelta di tale argomento è stata dettata soprattutto dal fatto che da circa due anni ho iniziato a lavorare nel settore del turismo, e più precisamente mi occupo della gestione di un albergo nella Provincia di Pisa; questa intensa esperienza lavorativa mi ha portato ad abbandonare temporaneamente gli studi per impegnarmi a fondo nell’attività.
Ripreso il percorso di studi, ho deciso di dedicare la mia tesi di laurea ad un argomento che riguarda e coinvolge in pieno la mia quotidianità.
Ho impostato l’elaborato partendo dall’analisi delle origini e della conseguente evoluzione del diritto del turismo, materia che si pone alla base di qualunque tipo di struttura turistico-ricettiva. Il primo capitolo esamina
infatti le fonti del diritti del turismo, iniziando da quelle di tipo internazionale, quindi i trattati e le Convenzioni internazionali in materia, oltre agli atti non vincolanti dell’Organizzazione Mondiale del Turismo. La trattazione continua con le fonti comunitarie, con specifico riferimento al Trattato di Maastricht del 1992 e al Trattato di Lisbona del 2007 (c.d. Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), accennando anche a qualche direttiva e regolamento comunitario in materia. Successivamente, passiamo ad osservare il diritto del turismo all’interno dell’ordinamento italiano, iniziando quindi dalla Costituzione, analizzando il tema ante e post legge di revisione costituzionale del 2001, quando il turismo diventa materia di competenza legislativa esclusiva regionale. Continuando l’analisi delle fonti del diritto del turismo, viene esaminato il Codice del turismo, un intervento statale che si pone in netto contrasto con quanto emerso dalla legge di revisione Costituzionale n. 3 del 2001, che fa traslare il turismo tra le materie di competenza regionale esclusiva. Il suddetto Codice del
turismo, emanato con il d.lgs n. 79 del 2011, è stato quindi oggetto di pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale (sent. n. 80 del 2012), che ha annullato quasi tutte le disposizioni del Codice in materia di organizzazione pubblica del settore, affermando che l’intento del codice del turismo doveva essere soltanto quello di riordinare le disposizioni in materia, e non anche quello di innovare e riorganizzare la materia, proprio in virtù della esclusiva competenza regionale e non statale della stessa. Ultima, ma non meno importante analisi, è quella degli ordinamenti regionali in materia di turismo, descrivendo i limiti della loro competenza sul tema, ma anche i tratti comuni presenti nelle varie legislazioni regionali, soprattutto riguardo alla promozione e informazione turistica regionale.
Il secondo capitolo entra nel merito della disciplina delle strutture ricettive, iniziando con la descrizione di queste ultime qualificate come imprese turistiche, e proseguendo con il difficile tentativo di definizione di attività ricettiva, prima e dopo l’avvento del Codice del
turismo. Continuando con l’analisi della disciplina, mi sono soffermata sulle tipologie di strutture, distinguendo tra quelle alberghiere, paralberghiere, extralberghiere, strutture ricettive all’aperto e strutture ricettive di mero supporto. Doverosa era anche la menzione all’evoluzione della disciplina dei prezzi delle strutture ricettive, distinta in tre fasi: dal regime dei prezzi amministrati, passando per i prezzi co-determinati, per arrivare infine ai prezzi liberamente determinati. Per concludere il secondo capitolo, era necessario analizzare l’aspetto pratico che riguarda l’inizio dell’attività ricettiva, che si esplica attraverso la presentazione della Segnalazione Certificata di Inizio Attività, e gli obblighi di Pubblica Sicurezza cui sono soggetti gli operatori del settore.
Il terzo e ultimo capitolo, riguarda invece lo studio dell’agriturismo, quale tipo di struttura ricettiva in crescente aumento. Il capitolo inizia con l’esposizione delle motivazioni per le quali si è resa necessaria la nascita di una nuova tipologia di struttura ricettiva, analizzando la questione anche a livello comunitario,
esprimendo la relazione tra turismo e ruralità. Proseguendo, vi è un’analisi dell’evoluzione legislativa della disciplina dell’agriturismo, dalla legge n. 730 del 1985, passando al d.lgs. n. 228 del 2001, fino ad arrivare alla più recente legge n. 96 del 2006, che ha modificato notevolmente l’assetto della disciplina della materia allargando i confini dell’attività agrituristica e allontanandola sempre di più dai tradizionali canoni di connessione con l’attività agricola prevalente.
CAPITOLO I
ORIGINI ED EVOLUZIONE DEL DIRITTO DEL TURISMO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
1. IL TURISMO NELLE FONTI INTERNAZIONALI.
Nell’ordinamento internazionale si possono individuare due tipi di fonti: le consuetudini e i trattati. Le consuetudini internazionali entrano automaticamente nell’ordinamento italiano, sulla base dell’art. 10, 1° comma, Cost., che recita l’ordinamento giuridico italiano
si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. I trattati internazionali vanno
invece recepiti1 attraverso un procedimento specifico che
consiste nell’approvazione di una legge ordinaria del Parlamento recante l’autorizzazione alla ratifica (ad opera del Presidente della Repubblica) e l’ordine di esecuzione
1 Il trattato deve avere uno dei caratteri previsti dall’art. 80
Cost., tra i quali essere di natura politica o importare modificazioni della legislazione nazionale.
del trattato nell’ordinamento italiano; il trattato viene poi allegato alla legge di autorizzazione alla ratifica.
In materia di turismo, a livello internazionale, possiamo ricordare due convenzioni multilaterali: la Convenzione internazionale relativa ai contratti di viaggio (CCV) e la Convenzione sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate dai clienti in albergo.
La Convenzione internazionale sui contratti di viaggio è stata firmata a Bruxelles il 23 aprile 1970 e ratificata in Italia con legge 27 dicembre 1977, n. 1084; questa convenzione riguarda la tutela internazionale del turista-consumatore nel rapporto contrattuale con gli agenti di viaggio. Tuttavia, tale accordo contiene una normativa non sufficientemente garantista, ormai soppiantata dalle più moderne previsioni comunitarie2, ed è attualmente in via di abrogazione come dispone l’art. 3, 2° comma, d.lgs. n. 79 del 20113.
2 Direttiva 90/314/CEE.
3 Espone lo strumento diplomatico della “denuncia del
Trattato”, che serve a “ritirarsi” dal recepimento di un trattato internazionale. L’art. 3, 2° comma dispone che la legge 27
dicembre 1977, n. 1084, che ha reso esecutiva la Convenzione internazionale sul contratto di viaggio (CCV) del 23 aprile
La Convenzione sulla responsabilità degli albergatori per le cose appartenenti ai turisti e depositate in albergo è stata firmata a Parigi il 17 dicembre 1962, e resa esecutiva con la legge 10 giugno 1978, n. 316. A questa convenzione hanno aderito molti Stati e in Italia è stata recepita con importanti modifiche sulla disciplina del contratto di albergo contenuta nel codice civile4.
Fra le fonti internazionali riguardanti la disciplina del turismo è doveroso menzionare gli atti non vincolanti emanati dall’Organizzazione Mondiale del Turismo, che influenzano notevolmente la politica mondiale del turismo ed ispirano le singole legislazioni nazionali. L’organizzazione Mondiale del Turismo (OMT), nata nel 1970, persegue l’obiettivo di promuovere lo sviluppo economico e sociale degli Stati e di contribuire alla pace ed alla comprensione internazionale nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, senza distinzione di razza, lingua e religione. Tale istituzione mira, in
1970, è abrogata a decorrere dal momento in cui diviene efficace la denuncia dello Stato italiano di tale Convenzione,
secondo la specifica disciplina recata dall’art. 37 della Convenzione medesima.
particolare, a favorire lo sviluppo del turismo mondiale, tenendo conto anche delle esigenze dei Paesi emergenti. Tra gli atti emanati dall’OMT vanno ricordati: la Dichiarazione sul turismo mondiale (Manila, 1980), la Carta dei diritti ed il Codice del Turismo (Sofia, 1985), la Carta per il turismo sostenibile (Lanzarote, 1995) ed il Codice mondiale di etica del turismo (Santiago del Cile, 1999).
2. LE FONTI DELL’UNIONE EUROPEA.
Il turismo rappresenta uno dei principali settori dell’economia europea, poiché incrementa il livello di occupazione e di benessere sociale; realizza un’effettiva integrazione europea favorendo lo scambio culturale tra i popoli, e contribuisce alla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali all’interno dell’Unione.
Nonostante il suo inconfutabile rilievo socio-economico, a lungo è mancata una specifica base giuridica sulla quale l’azione comunitaria nel settore potesse fondarsi. Sia nel Trattato istitutivo dell’Unione
Europea del 1957 che nell’Atto Unico non era menzionato il turismo tra le materie di competenza comunitaria. Soltanto il Trattato di Maastricht sull’Unione Europea, sottoscritto il 7 febbraio 1992, comprende il turismo fra i settori in cui la Comunità può adottare misure volte al raggiungimento delle proprie finalità generali5. Tuttavia
questa norma del Trattato di Maastricht non prevedeva i necessari poteri d’azione, indi per cui ai sensi dell’art. 308 del Trattato stesso, ogni provvedimento in materia deve essere deliberato dal Consiglio all’unanimità, su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento Europeo. Di conseguenza, questo complesso procedimento non rende facile l’adozione di decisioni, visti gli interessi eterogenei dei Paesi membri, con l’inevitabile risultato di una frammentarietà di interventi comunitari in materia di turismo.
Alla fine del 19866 le istituzioni comunitarie hanno
poi istituito un organismo specifico del settore: il comitato consultivo del turismo, dotato però di competenze
5 Art. 3, lett. u, Trattato Dell’Unione Europea.
6 Decisione del Consiglio n. 86/644/CEE, del 22 Dicembre
meramente consultive ed i pareri espressi non sono vincolanti per la Commissione.
Questo scenario normativo ha portato, quindi, all’assenza di una politica europea comune in materia di turismo.
Il 13 Dicembre 2007 è stato emanato il Trattato di Lisbona (c.d. Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), che ha modificato il Trattato istitutivo della Comunità Europea, ed del Trattato dell’Unione Europea. Questo Trattato, ratificato in Italia con legge 2 agosto 2008, n. 130 (in vigore dal 1° Dicembre 2009), menziona esplicitamente il turismo tra i settori nei quali l’Unione Europea ha competenza per svolgere azioni intese a
sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri7 (c.d. competenze parallele). Viene, inoltre, individuato l’oggetto principale dell’azione comunitaria in questo settore, cioè la promozione della competitività delle imprese dell’Unione operanti nel campo turistico. Per realizzare tale obiettivo, il legislatore comunitario indica
7 Art. 6, lett. d, Trattato sul funzionamento dell’Unione
anche i punti focali da tenere presenti: l’incoraggiamento della creazione di un ambiente propizio per lo sviluppo delle imprese e il sostegno della cooperazione tra Stati membri, in particolare attraverso lo scambio delle buone pratiche (art. 195 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). Questo intervento comunitario intende quindi implementare ed ottimizzare la linea d’intervento seguita finora, consistente soprattutto nella concessione di finanziamenti pubblici mirati alla diffusione di strumenti comuni di classificazione della qualità dei servizi (ad esempio: l’assegnazione di “stelle” degli alberghi) e di
standards qualitativi minimi delle prestazioni erogate.
La novità più rilevante che emerge da questo Trattato, è la disposizione che autorizza Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, a stabilire, mediante atti legislativi vincolanti, le misure specifiche destinate a completare, sostenere e coordinare le azioni svolte negli Stati membri al fine di realizzare i citati obiettivi generali8.
Diventa così possibile creare ed instaurare relazioni tra Unione Europea ed Organizzazioni internazionali operanti nel settore (come l’Organizzazione Mondiale del Turismo), al fine di stipulare accordi finalizzati alla promozione dell’Europa come destinazione turistica presso Paesi terzi.
Volendo citare alcune direttive comunitarie rilevanti in materia di turismo, possiamo ricordare la direttiva 1975/368/CEE sulle attività di accompagnatore turistico e di interprete turistico, attuata con d.lgs 23 novembre 1991, n. 391, e la direttiva 1990/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti “tutto compreso”, attuata con d.lgs. 17 marzo 1995, n. 111 (le cui disposizioni sono state poi introdotte nel Codice del consumo, d.lgs. n. 206 del 2005, e successivamente nel Codice del turismo, d.lgs. n. 79 del 2011).
Tra le fonti comunitarie direttamente vincolanti (quindi i regolamenti comunitari), possiamo ricordare invece il regolamento 1991/295/CEE, che disciplina il cosiddetto overbooking, ovvero la responsabilità del
vettore aereo in caso di negato accesso ad un volo di linea, per sovraprenotazione, a passeggeri che pure sono in possesso di biglietto valido e di prenotazione confermata. Questo regolamento è stato abrogato dal regolamento 2004/261/CE, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato. Un altro atto rilevante è il regolamento 2011/692/CE, relativo alle statistiche europee sul turismo, rivolto appunto a regolare la raccolta e l’elaborazione dei dati statistici sulla domanda e sull’offerta turistica da parte degli Stati membri, al fine di istituire un quadro comune per lo sviluppo, la produzione e la divulgazione di statistiche europee sul turismo.
3. IL TURISMO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA.
Le origini del diritto del turismo devono anzitutto ricercarsi all’interno della Costituzione italiana.
Il turismo era espressamente menzionato nella Costituzione italiana prima della riforma costituzionale del 2001, mentre oggi è menzionato all’interno delle leggi costituzionali statutarie in favore delle cinque Regioni speciali, al fine di garantire agli enti regionali parte della competenza legislativa nella materia.
Anteriormente alla legge di revisione costituzionale del 18 Ottobre 2001, n. 3, il testo originario dell’art. 117 Cost. menzionava esplicitamente turismo ed industria
alberghiera fra le materie di competenza legislativa
regionale concorrente. Le Regioni a statuto ordinario potevano, quindi, emanare norme legislative in materia, tuttavia nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato e sempreché le norme stesse non fossero contrastanti con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni. Le suddette linee guida erano contenute nella legge quadro 17 Maggio 1983, n. 217 (c.d. legge quadro sul turismo), poi abrogata dalla legge 29 Marzo 2001, n. 135, recante la riforma della legislazione
nazionale del turismo (ora abrogata dall’art. 3, 1°
comma, lett. l, d.lgs. 79/2011).
3.1. Le modifiche apportate dopo la legge di revisione Costituzionale del 2001.
La legge di revisione Costituzionale 18 Ottobre 2001, n. 3, ha modificato l’assetto della Costituzione italiana, rispetto ad alcune rilevanti materie, tra le quali il turismo.
Con le modifiche apportate dalla suddetta legge, infatti, l’espressione turismo ed industria alberghiera è scomparsa dal testo dell’art. 117 Cost., anche se la competenza legislativa regionale in materia di turismo non scompare affatto, ed anzi dovrebbe risultare più ampia.
In base al riformato art. 117 Cost., la legislazione delle Regioni non è più soggetta al limite dei principi
fondamentali stabiliti in base alle leggi dello Stato;
inoltre, dopo la riforma, il turismo non compare né fra le materie di esclusiva competenza statale (indicate nel 2°
comma dell’art. 117 Cost.), né fra le materie di legislazione concorrente statale-regionale (indicate nel successivo 3° comma), per le quali la determinazione dei principi fondamentali resta attribuita allo Stato. Rientra quindi fra le materie residuali (ex art. 117 Cost., comma 4), rispetto alle quali spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alle legislazione dello Stato.
In altre parole: prima del 2001, le Regioni a statuto ordinario potevano legiferare in materia di turismo rispettando i limiti previsti dalle leggi statali; oggi queste stesse Regioni possono emanare leggi nel settore in questione, anche contrastanti con specifiche previsioni contenute nella legislazione statale di principio.
Successivamente alla riforma, la Corte Costituzionale ha tra l’altro affermato che a decorrere
dall’entrata in vigore del nuovo Titolo V della costituzione, le Regioni ben possono esercitare in materia di turismo tutte quelle attribuzioni di cui ritengano essere titolari, approvando una disciplina legislativa, che può anche
essere sostitutiva di quella statale, fatto naturalmente salvo il potere governativo di ricorso previsto dall’art. 127 della Costituzione9. In materia di turismo quindi, le
Regioni a statuto ordinario risultano pertanto parificate alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, per le quali occorre far riferimento alle rispettive leggi costituzionali statutarie, attuative di forme e condizioni particolari di autonomia.
Nonostante quanto sopra dichiarato, negli anni successivi sono state approvate ulteriori discipline legislative statali, apparentemente in contraddizione con la nuova collocazione costituzionale della materia. La stessa Corte Costituzionale ha tuttavia giustificato gli interventi legislativi statali in riferimento ai principi costituzionali di sussidiarietà ed adeguatezza per il conferimento delle funzioni amministrative, espressi dall’art. 118 Cost10.
Esaminando le singole leggi regionali prodotte nell’ultimo decennio nella materia, si può dedurre che le
9 C. Cost., 23 Maggio 2003, n. 197, in G.U. 2003, n. 23. 10 C. Cost., 11 Marzo 2009, n. 76, in G.U. 2009, n. 12.
Regioni espletano funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento e di amministrazione attiva nel settore del turismo. In questo ambito rientrano, ad esempio, il monitoraggio delle tecniche di incentivazione e commercializzazione delle risorse turistiche; la riqualificazione delle infrastrutture; le iniziative per la promozione turistica dell’immagine unitaria della regione in Italia ed all’estero; la raccolta, elaborazione e diffusione dei dati relativi alla domanda ed all’offerta turistica. Inoltre, le leggi regionali definiscono i rapporti con lo Stato che coinvolgono interessi tutelati in materia di turismo, nonché la programmazione per l’erogazione di risorse finanziarie.
4. IL CODICE STATALE DEL TURISMO (D.Lgs. n. 79 DEL 2011) E LE SUE VICENDE.
4.1. L’intervento statale in una materia di competenza regionale.
La collocazione del turismo tale materia di competenza legislativa regionale, non esclude in assoluto la competenza legislativa dello Stato, che può emergere in ragione “dell’interferenza” con materie o aree disciplinari trasversali rimesse alla legislazione statale (ad esempio l’ordinamento civile11). Analoghi esiti possono
derivare dal passaggio di determinati settori normativi dalla materia “turismo” ad altre di competenza esclusiva statale o concorrente (come il settore delle professioni
turistiche12, facente ora parte della materia concorrente delle professioni), oppure in ragione dell’assunzione di compiti amministrativi in materia, da parte dello Stato, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di adeguatezza: assunzione che richiede una specifica base legislativa,
11 Art. 117, 2° comma, lett. l, Cost. 12 Art. 117, 3° Comma, Cost.
secondo il principio di legalità, che impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge.13
Recenti interventi della Corte Costituzionale14 hanno
così avallato l’intervento statale nel settore del turismo. La Consulta ha infatti chiarito che il legislatore statale può continuare a definire l’ambito sostanziale della materia turismo al fine di ricondurre ad unità la varietà dell’offerta turistica del Paese. E allo stesso modo può considerare necessario, per finalità di politica economica, assumere un ruolo di raccordo delle politiche regionali e perfino attrarre a livello centrale determinate funzioni amministrative, qualora la valutazione dell’interesse pubblico volto all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, assistita da ragionevolezza sulla base di un legame di stretta costituzionalità e rispettosa del principio di leale collaborazione con le Regioni.
13 C. Cost., 25 Settembre 2003, n. 303, in G.U. 2003, n. 40. 14 C. Cost. 5 Marzo 2007, n. 88, in G.U. 2007, n. 12; C. Cost.
11 Marzo 2009, n. 76, in G. U. 2009, n. 12; C. Cost. 2 Aprile 2012, n. 80, in G.U. 2012 n. 15.
L’intervento statale in materia di turismo deve insomma rispettare tre condizioni: essere giustificato, proporzionato ed attuato d’intesa con le Regioni.
Quindi, proprio nel rispetto di queste condizioni è stato emanato il Codice della normativa statale in materia
di coordinamento e mercato del turismo, allegato al d.lgs.
79/2011.
Questo codice di settore ha come obiettivo il coordinamento delle disposizioni vigenti in tema di turismo, in modo da garantire al settore turistico una disciplina segnata da coerenza giuridica, logica e sistematica.
Inoltre, il Codice del turismo ha l’ulteriore finalità di riordinare l’attuale assetto pubblico dell’organizzazione turistica e di assicurare la ripartizione delle risorse statali per settori omogenei con la previsione di incentivi e sostegni mirati per le piccole e medie imprese turistiche. Il Codice contiene anche norme di semplificazione amministrativa, tese ad agevolare e sostenere le attività imprenditoriali, valorizzando la funzione turistica, come,
ad esempio il recepimento della disciplina della SCIA e del SUAP, che semplifica gli adempimenti amministrativi delle imprese turistiche e pone fine alla diversità delle discipline in materia, evitando così distorsioni della concorrenza.
Per quanto riguarda la prospettiva del diritto privato, il Codice del turismo mira ad implementare la tutela del turista, confermando la tendenza (già emersa in dottrina e giurisprudenza) di considerare il turista un “consumatore speciale”.
4.2. La dichiarazione di incostituzionalità del 2012.
Successivamente all’emanazione del Codice del turismo, le Regioni Umbria, Toscana e Veneto hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale, sollevando forti dubbi di legittimità costituzionale sullo stesso.
Nei ricorsi presentati era stato evidenziato, in particolare, come il codice del turismo si presentasse come disciplina organica della materia, rappresentando
quindi solo una legge-quadro. L’emanazione appunto di leggi-quadro è infatti consentita allo Stato solamente nelle materie di legislazione concorrente e non anche in quelle appartenenti alla competenza legislativa residuale delle Regioni.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 5 Aprile 2012, n. 80, ha accolto questi ricorsi, dichiarando l’incostituzionalità di quasi tutte le disposizioni del Codice del turismo in materia di organizzazione pubblica del settore.
Si potrebbe obiettare inoltre, che la norma di legge a cui si riferisce il Governo al fine di legittimare l’esercizio della delega per l’emanazione del codice, in realtà non è idonea a legittimare l’adozione di un codice di disposizioni legislative statali in materia di turismo. Di conseguenza, l’intero codice risulterebbe costituzionalmente illegittimo, in quanto adottato senza appropriata legge di delegazione15.
15 V. Franceschelli e F. Morandi, Manuale di diritto del turismo,
Infatti la delega recata dall’art. 14, 14° comma della legge n. 246 del 2005, che viene posta come base per la realizzazione del codice, prevede la formazione di corpi normativi organici di riordino della disciplina, laddove rimangano in vigore disposizioni legislative anteriori al 1° gennaio 1970. In caso contrario (come avviene appunto per la disciplina del turismo), manca l’oggetto per poter iniziare la stesura del decreto delegato di riordino e quindi il codice. La legge di delegazione stabilisce, appunto, che i decreti delegati destinati a contenere le disposizioni antecedenti al 1° gennaio 1970 ancora in vigore, provvedano altresì alla semplificazione o al riassetto della materia anche a fini di armonizzazione con le disposizioni successive.
Si potrebbe dunque concludere, che se vi sono disposizioni da mantenere in vigore, anteriori al 1° gennaio 1970, è possibile procedere anche al riordino della materia stessa, se invece le disposizioni anteriori a questa data non ci sono (come per il turismo), manca il
necessario presupposto per operare il riordino mediante l’adozione di un codice.
La Corte Costituzionale ammette, invece, l’opera di riordino e accorpamento delle disposizioni statali in materia di turismo, purché il legislatore delegato si limiti a queste senza innovare la disciplina in senso sostanziale, e naturalmente solo con riguardo agli ambiti disciplinari di esclusiva competenza statale e per la tutela di interessi di sicuro rilievo nazionale, come già precisato dalla stessa Corte Costituzionale in precedenti pronunce16.
Ciò che invece la delega non consente – osserva la Corte – è di disciplinare ex novo i rapporti tra Stato e Regioni, anche facendo ricorso al metodo della cosiddetta “attrazione in sussidiarietà”17, in quanto, trattandosi di
forma non ordinaria di esercizio, da parte dello Stato, di funzioni legislative attribuite alle Regioni da norme costituzionali, richiede in tal senso una precisa manifestazione di volontà legislativa del Parlamento, con
16 C. Cost 11 Marzo 2009, n. 76, in G.U. 2009, n. 12; C. Cost.
5 novembre 2008, n. 369, in G.U. 2008 n. 48; C. Cost. 5 Marzo 2007, n. 88, in G.U. 2007, n. 12; C. Cost. 17 Maggio 2006, n. 214, in G.U. 2006, n. 23.
indicazione, tra l’altro, di adeguate forme collaborative, che sono invece del tutto assenti nella legge di delegazione n. 246 del 2005.
Inoltre, non è consentito, nell’opera di riordino statale di una materia non più concorrente ma di competenza esclusiva regionale, introdurne nuovamente principi fondamentali, la cui individuazione non può più spettare al legislatore statale.
Alla luce di quanto detto sopra, la Corte ha annullato svariate disposizioni del Codice del turismo per il mancato rispetto di questi parametri.
Tuttavia, anche altre disposizioni del codice non impugnate avrebbero potuto incorrere nella stessa sorte: ad esempio, le disposizioni sui circuiti nazionali di eccellenza, promossi dal Governo18 e le disposizioni istitutive di attestati e medaglie al merito turistico italiano19, conferiti dal Governo, che consistono,
anch’esse, in discipline innovative e non di semplice
18 Art. 22 d. lgs. n. 79 del 2011 19 Art. 59-65 d. lgs. n. 79 del 2011
riordino riguardanti il diritto amministrativo del turismo, che rimangono di competenza regionale.
Un’ulteriore censura sarebbe potuta avvenire riguardo anche all’istituzione del Comitato permanente di promozione del turismo in Italia20. In precedenza, era già
stato previsto un comitato analogo (il Comitato nazionale per il turismo21), ma erano seguiti l’annullamento della
disposizione istitutiva e la soppressione dell’organo da parte della Corte Costituzionale. Anche in questo caso, quindi, non si tratta di disciplina di riordino bensì di disciplina innovativa, che istituisce nuovamente il Comitato.
La Corte Costituzionale ha evidenziato che il metodo con il quale il Codice è stato emanato non rispetta assolutamente i requisiti per la c.d. “attrazione in sussidiarietà”, che presuppongono che l’intervento statale sia strettamente necessario per soddisfare interessi nazionali (rifacendosi al principio di proporzionalità e ragionevolezza) e che esso sia attuato previa intesa con
20 Art. 58 d.lgs. 79 del 2011.
21 Istituito dall’art. 12, comma 1, del d.l. n. 35 del 2005,
le Regioni (esprimendo quindi il principio di leale collaborazione). In particolare, secondo la Consulta, una simile attività di radicale riordino della materia del turismo sarebbe dovuta essere messa in atto da una precisa manifestazione di volontà legislativa da parte del Parlamento, con indicazione di adeguate forme collaborative e sulla base di un confronto approfondito con le Regioni. E questo tenuto conto di come si tratti di
forma non ordinaria di esercizio, da parte dello Stato, di funzioni amministrative e legislative attribuite alle Regioni da norme Costituzionali22.
Con la sentenza n. 80 del 2012, la Consulta ha voluto fornire chiaramente le coordinate al futuro legislatore statale per l’indispensabile intervento di riordino e riassetto del Codice del turismo, attraverso il quale porre fine all’attuale vuoto normativo in tema di esercizio unitario delle funzioni amministrative nel settore turistico. In attesa di una futura e auspicabile ridefinizione dei rapporti tra Stato e Regioni, è urgente che il
22 Corte Cost., 5 Aprile 2012, n. 80, in Giust. Civ., 2012, I,
Parlamento si accordi con le Regioni provvedendo a sfruttare i margini designati dalla Consulta per l’emanazione di un nuovo testo unico in materia di turismo, in un’ottica di semplificazione normativa, riprendendo e riorganizzando i princìpi già presenti nella disorganica legislazione statale previgente23.
Tuttavia, in assenza di una radicale riforma dell’architettura costituzionale del sistema italiano, riforma che dovrebbe riportare il turismo fra le materie di competenza concorrente, pare poco probabile che un simile intervento possa effettivamente portare a risultati soddisfacenti. È tuttavia necessario riconoscere allo Stato il potere di legiferare in materia, in virtù del rilevante interesse economico di questo settore nel nostro Paese; per cui è quindi indispensabile attribuire chiare competenze e responsabilità allo Stato ed alle Regioni, al fine di affermare la certezza del diritto, che risulta imprescindibile per realizzare interventi efficaci in grado
di sfruttare al massimo le potenzialità del settore turistico.
5. GLI ORDINAMENTI REGIONALI.
Nell’esercizio della potestà legislativa cosiddetta piena ed esclusiva in materia di turismo, i legislatori regionali (e delle due Province autonome di Trento e Bolzano) incontrano, tuttavia, dei limiti che trovano il proprio fondamento nel testo Costituzionale.
Come in ogni altra materia di competenza regionale, anche nel turismo ambiti disciplinari rilevanti come il diritto privato (ai sensi della disciplina del contratto d’albergo e del contratto di viaggio), il diritto penale (come le norme contro il turismo sessuale in danno dei minori), le norme giurisdizionali,24 restano di esclusiva competenza della legislazione statale.
L’ambito della disciplina regionale resta quindi quello del diritto amministrativo (pur senza il versante della giustizia amministrativa, che rimane di competenza
24 L’art. 117, 2° Comma, lett. l, Cost. riserva infatti alla
legislazione statale l’ordinamento civile e penale, la giurisdizione e le norme processuali.
esclusiva dello Stato). In particolare, i settori principali di competenza regionale sono la promozione e l’accoglienza turistica; le attività di ricezione turistica (alberghiere ed extralberghiere); le professioni turistiche; le imprese di produzione, organizzazione ed intermediazione di viaggi; e le associazioni senza scopo di lucro a fini turistici.
In questi settori quindi, Le Regioni godono della piena potestà legislativa; tuttavia, questa autonomia in mano alle Regioni ha generato una notevole diversificazione delle soluzioni accolte negli ordinamenti regionali.
Esiste, comunque, un tratto comune presente in tutte le legislazioni in materia di turismo, che riguarda la promozione e l’informazione turistica regionale. A proposito di questa specifica materia di legislazione regionale possiamo ricostruire un’evoluzione riguardo alla suddivisione di competenze nel tempo.
Anteriormente alla seconda metà degli anni ’90, sottostavano alle Regioni le strutture decentrate per la promozione e l’informazione turistica: enti provinciali del
turismo, aziende autonome di cura, soggiorno e turismo, poi sostituiti dalle aziende di promozione turistica.25
Tutto ciò in coerenza con il c.d. principio del parallelismo, secondo cui dovevano appartenere alle Regioni le funzioni amministrative relative alle materie di competenza regionale.
Con la legge di revisione costituzionale n. 3/2001, il principio in questione è stato sostituito definitivamente da quello di sussidiarietà, secondo cui le funzioni amministrative devono essere esercitate dagli enti più vicini alla collettività, così maggiormente responsabilizzati dei risultati conseguiti. La nuova formulazione dell’art. 118, 1° comma, Cost. prevede, infatti, l’assegnazione delle funzioni amministrative ai Comuni, salvo che, per
assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Questo tipo di evoluzione ha comportato il trasferimento agli enti locali di tutte le funzioni
amministrative in materia di turismo, individuate dalle Regioni, che non richiedano un esercizio unitario a livello regionale.
Le attività di promozione, informazione, accoglienza ed assistenza turistica non sono così più regolate dalla legislazione regionale, risultando delegate ai Comuni, legittimati ad esercitarle anche in forma associata e potendo usufruire di strumenti di cooperazione pubblico-privato.
Dai Comuni, quindi, dipendono le entità deputate alla promozione turistica, per le quali il singolo ente locale può di regola optare fra diverse forme organizzative: istituzione pubblica, azienda speciale, consorzio, società a partecipazione interamente pubblica ovvero mista pubblico-privato, o, infine, istituzione privata.
Le funzioni richieste ai Comuni, quindi, sono organizzare e sostenere iniziative di promozione e valorizzazione turistica locale; partecipare alla definizione dei programmi di promozione turistica regionali; provvedere alla raccolta e alla comunicazione delle
segnalazioni dei turisti circa attrezzature, strutture ricettive, tariffe dei servizi e delle professioni; rilevare le presenze turistiche nelle strutture extralberghiere del proprio territorio; svolgere un’attività di vigilanza ed ispezione, ai sensi delle norme igienico-sanitarie, su alberghi, ristoranti ed esercizi assimilati; assolvere importanti funzioni legate all’urbanistica ed alla pianificazione territoriale.
Le Province, invece, non essendo ancora soppresse26, concorrono alla definizione delle politiche
turistiche regionali, promuovono sistemi turistici locali ed elaborano i proprio programmi di valorizzazione dell’offerta turistica, istituendo strumenti di consultazione tra Comuni e Comunità montane. Inoltre, espletano le funzioni di amministrazione attiva conferite dalle Regioni, come ad esempio la classificazione delle strutture ricettive, l’indicazione dei requisiti per l’attività delle guide e degli accompagnatori turistici.
26 Sulla base del riordino delle loro funzioni e competenze,
Le Regioni conservano, tuttavia, un’importante funzione di indirizzo e coordinamento, che esercitano attraverso deleghe alla Giunta e/o al Consiglio regionale e/o tramite assessorati regionali al turismo, specifici organismi ovvero società a partecipazione regionale costituite ad hoc e deputate alla gestione, alla programmazione ed alla consulenza in materia turistica (ad esempio per la Toscana, L’Agenzia regionale Toscana promozione turistica27).
L’art. 117, 9° comma, Cost., inoltre, legittima ciascuna Regione a concludere accordi con Stati o intese con enti territoriali interni ad altro Stato, volti a favorire la conoscenza della propria offerta turistica e del proprio patrimonio artistico e culturale. Le Regioni possono pertanto svolgere attività di promozione turistica all’estero, avvalendosi ad esempio di sistemi turistici interregionali.
Infine, grazie al federalismo fiscale municipale, i Comuni capoluogo di provincia, le Unioni di Comuni,
nonché i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono anche istituire, con apposita deliberazione del consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive ubicate nel proprio territorio.28 Il gettito di
questa imposta è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, come specifiche misure a sostegno di strutture ricettive, opere di manutenzione, fruizione e recupero di beni culturali ed ambientali locali e dei relativi servizi pubblici locali.
CAPITOLO II
LE STRUTTURE RICETTIVE: DISCIPLINA E AUTORIZZAZIONI
1. LE STRUTTURE RICETTIVE COME IMPRESE TURISTICHE
Le strutture che forniscono ospitalità al pubblico costituiscono ovviamente l’elemento centrale nell’ambito del fenomeno turistico. L’attività di queste tipologie di strutture è sempre stata oggetto di specifica regolamentazione ed assoggettata a controlli da parte dell’autorità amministrativa a tutela degli interessi pubblici primari (economici, di igiene e di sicurezza pubblica) ad essa connessi. Vista l’importanza di tale attività, nella legge-quadro n. 217 del 1983 in materia di turismo, all’art. 5, 1° comma, lo svolgimento di attività ricettiva veniva identificata con la nozione stessa di
impresa turistica. Tuttavia la scelta di limitare tale
e degli annessi servizi turistici venne criticata da più parti. Inoltre, si rilevava l’opportunità di riconoscere il significato economico del settore uniformandone il trattamento a quello di qualunque altra impresa operante in altri settori.
La legge n. 135 del 2001, all’art. 7, 1° comma, (legge di riforma della legislazione nazionale in materia di turismo), accolse una nuova definizione della nozione, caratterizzata dalla sua onnicomprensività. Tale definizione è stata poi ripresa letteralmente e inserita nel codice del turismo1 nell’art. 4, 1° comma2 ai sensi del
quale sono imprese turistiche quelle che esercitano
attività economiche, organizzate per la produzione, la commercializzazione e la gestione di prodotti, di servizi, tra cui gli stabilimenti balneari, di infrastrutture e di esercizi, compresi quelli di somministrazione, facenti parte dei sistemi turistici locali, concorrenti alla formazione dell’offerta turistica.
1 D.lgs n. 79 del 2011.
2 L’art. 4 del Codice del turismo non rientra tra gli articoli del
Codice annullati dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 80 del 2012, che ha dichiarato incostituzionali diverse disposizioni del Codice per eccesso di delega legislativa.
Tale ampia definizione individua la finalizzazione alla soddisfazione dei bisogni del turista quale elemento qualificante dell’impresa turistica. La nozione di “impresa turistica” attuale non circoscrive dunque la categoria alle strutture ricettive; consente di includere al suo interno tutte quelle imprese la cui attività concorre alla formazione dell’offerta turistica o sia finalizzata a soddisfare i bisogni del turista. Sono quindi imprese turistiche anche le agenzie di viaggi e turismo ed i tour
operators, così come le imprese con attività limitata alla
gestione della somministrazione di alimenti e bevande.3
L’art. 4 del Codice del turismo, apporta inoltre, una significativa specificazione riguardo al relativo regime: l’applicazione di questa disciplina è legata, come in passato, alla circostanza che la relativa attività (quindi in questo caso quella ricettiva) venga svolta secondo i caratteri risultanti dalla definizione di “imprenditore” di cui all’art. 2082 c.c., secondo cui è imprenditore chi
esercita professionalmente un’attività economica
3 Nella legge quadro 217/1983, questa attività poteva
qualificarsi turistica soltanto se ed in quanto strumentale alla gestione di una struttura ricettiva.
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi. I requisiti richiesti dal codice civile per
l’acquisto della qualità di imprenditore sono dunque la professionalità, l’organizzazione, la produttività e la gestione dell’attività con metodo economico.
Per quanto riguarda il requisito della professionalità, l’acquisto della qualità di imprenditore presuppone l’esercizio abituale e non occasionale di una certa attività produttiva: ad esempio, non è qualificabile come imprenditore, chi predispone un singolo “pacchetto di viaggio” tutto compreso per soddisfare le particolari esigenze di un conoscente, oppure chi organizza un singolo evento in una discoteca. La professionalità non implica però l’esercizio continuato dell’attività in senso cronologico. Del resto sono imprenditori turistici coloro che esercitano periodicamente, ma in modo abituale, una certa attività: ad esempio tutte le attività stagionali come la gestione di uno stabilimento balneare o un impianto di risalita in una località sciistica. Per l’acquisto della qualità di imprenditore basta, pertanto, il costante ripetersi di atti
di impresa, secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività.
L’attività dell’impresa turistica deve anche essere svolta in modo organizzato, ovvero con l’impiego di mezzi (beni, capitali, persone) strumentali all’esercizio della stessa. Ciò esclude che possa definirsi impresa turistica ad esempio, l’attività di gestione di strutture ricettive (case e appartamenti vacanza, affittacamere o bed &
breakfast), quando prescindano dalla presenza di
un’organizzazione del genere indicato, rientrando nella semplice concessione a terzi dell’uso di immobili in una delle possibili forme contrattuali previste dall’ordinamento.
L’impresa turistica ha tipicamente ad oggetto la produzione di un servizio; di conseguenza, chi la esercita acquista la qualità di imprenditore commerciale4, quindi si
vedrà applicato lo statuto generale dell’imprenditore, oltre allo statuto speciale dell’imprenditore commerciale, che prevede l’assoggettamento alle procedure concorsuali,
l’obbligo di tenuta delle scritture contabili e l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale.
L’imprenditore turistico non è però sempre un imprenditore commerciale. La produzione del servizio turistico, infatti, può anche essere connessa alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura o all’allevamento di animali. Nell’art. 2135, 3° comma, cod. civ.5, che
riguarda l’imprenditore agricolo, è presente un riferimento alle attività di ricezione ed ospitalità. In tali ipotesi chi esercita attività turistica è imprenditore agricolo e non commerciale, ed è in tal modo sottratto alle procedure concorsuali ed all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, ma non all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale che deve però avvenire nella sezione speciale. È il caso, ad esempio, dell’agriturismo.6
Dal punto di vista dimensionale, l’imprenditore turistico può essere anche un piccolo imprenditore7,
5 Nel testo modificato dal d.lgs. 18 Maggio 2001, n. 228.
6 Argomento che verrà affrontato più nello specifico nel
capitolo successivo.
esonerato quindi dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili e dall’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale. Tale è, solitamente, il gestore di bed & breakfast che svolge professionalmente l’attività ricettiva, caratterizzata in virtù della sua conduzione ed organizzazione familiare.
2. LA DEFINIZIONE DI ATTIVITA’ RICETTIVA
2.1. La situazione antecedente al Codice del turismo
Per approfondire lo studio della particolare disciplina delle strutture ricettive, giustificata dalla natura peculiare degli interessi pubblicistici sottesi all’esercizio di attività di ricezione ed ospitalità, è necessario partire dalla situazione anteriore al Codice del turismo. Il d.p.c.m. 13 Settembre 20028, su rinvio dell’ormai abrogato art. 2, 4°
comma, legge 135/2001, avrebbe dovuto individuare le tipologie di imprese turistiche operanti nel settore e le attività di accoglienza non convenzionale, i criteri e le
8 Decreto di recepimento dell’accordo tra lo Stato, le Regioni,
modalità dell’esercizio sul territorio nazionale delle imprese turistiche per le quali si ravvisa la necessità di
standard omogenei ed uniformi, nonché gli standard
minimi di qualità dei servizi offerti dalle imprese turistiche ai quali riferire i criteri di classificazione delle strutture ricettive. Lo stesso d.p.c.m. 13 Settembre 2002, posteriore alla Legge Cost. 3/2001, e quindi successivo alla devoluzione alle Regioni della competenza legislativa esclusiva in materia di turismo, si limitava a sancire la piena libertà delle regioni circa le definizioni relative alle strutture e complessi con destinazione a vario titolo turistico-ricettiva, e rinviava alla legislazione regionale per gli standard minimi comuni delle attività ricettive da determinarsi concordemente tra le Regioni nel rispetto di interessi superiori di salvaguardia dell’ambiente, della salute, del lavoro, dei diritti del consumatore. Nonostante questa previsione, l’autocoordinamento regionale non è mai avvenuto, non essendo stata raggiunta alcuna intesa circa le linee guida degli standard minimi comuni e la classificazione delle strutture ricettive.
2.2. La definizione contenuta all’interno del Codice del turismo
Il Codice del turismo conteneva i principi generali che sancivano le linee di indirizzo omogenee di cui le stesse Regioni avvertivano il bisogno, con il duplice scopo di assicurare al sistema ricettivo la necessaria competitività anche a livello internazionale e di offrire al turista maggiore trasparenza nella qualità dei servizi erogati. Questi obiettivi sono stati sostanzialmente frustrati dalla Corte Costituzionale che ha ravvisato in tale opera di mera ricognizione, un accentramento delle funzioni spettanti in via ordinaria alle Regioni in forza della loro competenza legislativa residuale in materia di turismo9. La Corte ha, infatti, dichiarato incostituzionali quasi tutte le disposizioni dettate dal Codice in materia di strutture ricettive, ed ha quindi generato un pericoloso vuoto normativo in materia.10
9 C.Cost. 5 Aprile 2012, n. 80, in G.U. 11/04/2012, n. 15. 10 La Corte Costituzionale non sembra affatto escludere la
compatibilità di un intervento statale volto a dettare principi uniformi in tema di mercato del turismo, avendo censurato,
Questo vuoto normativo, in attesa di uno specifico intervento integrativo, può essere attualmente colmato almeno parzialmente con l’ausilio di alcuni principi estrapolati dalle disposizioni del Codice del turismo, che malgrado la loro formale abrogazione possono risultare ancora validi, in quanto sostanzialmente ricognitivi di principi generali già presenti nel sistema.
Per definire quindi l’attività ricettiva, possiamo fare riferimento all’ormai abrogato art. 8, 2° comma cod. tur., dove si intende per tale, l’attività diretta alla produzione di servizi per l’ospitalità esercitata nelle strutture ricettive, di modo che, oltre alla prestazione del servizio ricettivo, l’attività ricettiva comprende: la somministrazione di alimenti e bevande alle persone alloggiate, ai loro ospiti ed a coloro che sono ospitati nella struttura ricettiva in occasione di manifestazioni e convegni organizzati; la fornitura di giornali, pellicole per uso fotografico e di registrazione audiovisiva o strumenti
infatti, soltanto l’assenza, nel caso specifico, di una precisa manifestazione di volontà legislativa del Parlamento, con adeguate forme collaborative con le Regioni, del tutto assenti nella legge di delegazione n. 246/2005 sulla cui base è stato emanato il Codice del Turismo.
informatici, cartoline, francobolli alle persone alloggiate; la gestione, ad uso esclusivo delle persone alloggiate e nel rispetto della normativa vigente in tema di sicurezza, di attrezzature e strutture a carattere ricreativo quali piscine, campi da tennis, saune, strutture termali, centri benessere. Deve, infine, ritenersi consentito vendere direttamente ai proprio clienti, senza necessità di specifica licenza (o autorizzazione), giri turistici della città. Il sovracitato art. 8, 2° comma cod. tur. è appunto stato abrogato dalla Corte Costituzionale, ma risulta comunque innegabile che l’ambito delle attività ricettive, come sopra definito, rispecchia fedelmente il contenuto della legislazione regionale e, soprattutto, il novero di prestazioni sussumibili negli odierni contratti di ospitalità.
Elementari canoni di semplificazione amministrativa inducono poi a ricomprendere, nella licenza di esercizio dell’attività ricettiva, anche la licenza per la somministrazione di alimenti e bevande a persone non alloggiate nella struttura nonché, sempre nel rispetto dei requisiti di sicurezza previsti dalla normativa vigente, per
le attività legate al benessere della persona11 ed
all’organizzazione congressuale.
Possiamo ritenere che l’effetto dell’incostituzionalità dell’art. 8, 2° comma cod. tur. non possa essere un irrigidimento del regime amministrativo nella futura legislazione regionale sul punto, che si porrebbe in contrasto con la direttiva 2006/123/CE del 12 Dicembre 2006, attuata in Italia con d.lgs. 26 Marzo 2010, n. 59. Questa, infatti, mira nello specifico alla soppressione di regimi autorizzatori e formalità amministrative sproporzionate ed eccessivamente onerose volte ad ostacolare il regime di libero stabilimento e la creazione di nuove imprese.12
11 C.d. beauty farms.
12 Una conferma di tale impostazione può trarsi dall’art. 33, 2°
comma, l. reg. Veneto 11/2013, emanata posteriormente alla sentenza della Corte Costituzionale 5 aprile 2012, n. 80.
3. LE TIPOLOGIE DI STRUTTURE ALBERGHIERE, PARALBERGHIERE ED EXTRALBERGHIERE
3.1. Le tipologie di strutture ricettive prima dell’avvento del Codice del turismo
La disciplina delle strutture ricettive è ad oggi del tutto priva di qualsiasi quadro di riferimento unitario in tema di identificazione delle varie tipologie, di regole di semplificazione procedimentale per la relativa gestione e anche di classificazione e previsione di requisiti qualitativi dell’offerta. L’esigenza di dotare il settore di linee di indirizzo omogenee viene riconosciuta generalmente anche dalle stesse Regioni e a livello territoriale, proprio per far recuperare, insieme ad una maggior trasparenza nei confronti del turista, competitività internazionale al nostro sistema ricettivo. D’altro canto, la Corte Costituzionale non sembra affatto aver escluso la possibilità che ciò possa avvenire attraverso un intervento normativo statale di coordinamento, diversamente da quanto accaduto con il Codice del turismo, con cui si sono
forzati i limiti della generale legge di delega che non aveva oggetto specifico collegato al turismo, ma era solamente finalizzata alla semplificazione amministrativa. Inoltre, l’intervento avrebbe dovuto e dovrà fondarsi (se ne ve ne sarà uno futuro) su una preventiva condivisione con le Regioni della relativa disciplina; ciò in modo da assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione, essenziale nell’attuale assetto istituzionale.
Nell’attesa di tale intervento normativo, la disciplina delle strutture ricettive deve necessariamente essere ricostruita cercando di identificare le principali linee omogenee emergenti dalla legislazione vigente. Gli articoli 6, 7, e 8 della legge n. 217 del 1983, avevano dato luogo ad una disciplina che aveva già opportunamente superato la tradizionale impostazione “albergocentrica” del legislatore e valorizzato il ruolo della ricettività extralberghiera e delle nuove tipologie di strutture ricettive che sono andate sempre più affermandosi nel settore. L’art. 6 della già citata legge n. 217 del 1983, seguita successivamente anche dalla legge n. 135 del
2001, non definiva una nozione generale di ricettività ma conteneva, altresì, un elenco delle (allora) principali tipologie di strutture ricettive13. Di tali strutture venivano
date poi le relative definizioni che assumevano, nel contesto istituzionale in quel momento vigente, valore vincolante per le Regioni. Le Regioni, tra l’altro, venivano lasciate libere, in rapporto alle specifiche esigenze del territorio, di individuare altre tipologie di strutture destinate alla ricettività turistica.
Nel tempo, le Regioni hanno ampiamente sfruttato tale facoltà, non limitandosi a precisare ed integrare le definizioni delle strutture ricettive previste nell’art. 6 della legge 217/1983, ma spesso introducendo nuove tipologie di ricettività. Si è trattato, più frequentemente, di sottospecie delle tipologie di base, in particolare di tipo extralberghiero, ove si è enfatizzata la connotazione
13 ovvero gli alberghi, i motels, i villaggi-albergo, le residenze
turistico-alberghiere, i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli esercizi di affittacamere, le case e gli appartamenti per vacanze, le case per ferie, gli ostelli per la gioventù, i rifugi alpini.
naturalistica e ambientale, spesso collegata al turismo che si rivolge a questo tipo di strutture.14
Vi sono anche, nella legislazione regionale vere e proprie nuove categorie di strutture ricettive non classificabili all’interno di quelle dell’art. 6 della legge 217/1983: è il caso delle country houses o residenze di campagna, con cui le Regioni hanno cercato di contemperare le esigenze connesse alla sempre maggiore diffusione del turismo rurale con quelle dei limiti derivanti dalla disciplina dell’agriturismo come attività necessariamente complementare ed integrativa rispetto all’attività agricola. Altre nuove categorie di strutture ricettive introdotte dalle Regioni sono gli alberghi diffusi, caratterizzati dall’ospitalità con servizi centralizzati ma in unità abitative situate in più stabili separati, ed i bed &
14 Sono state così identificate tipologie come quelle dei rifugi
escursionistici, dei bivacchi fissi, dei posti tappa escursionistici. Inoltre sono anche emerse, acquistando una loro autonomia, tipologie speciali della ricettività alberghiera più tradizionale, connotate dall’attenzione alle recenti tendenze del turismo termale e di quello connesso al wellness (come le beauty
farms o gli alberghi centro benessere) oltre che all’interesse a
soggiorni in strutture di rilevante pregio storico ed architettonico (come le residenze d’epoca o gli alberghi-dimora storica).
breakfast, una delle nuove tipologie di maggior successo,
ormai noti e diffusi sulla generalità del territorio.
3.2. La nuova organizzazione del Codice del turismo
Le nuove tipologie di strutture emerse a livello regionale avevano trovato un riconoscimento nazionale nel codice del turismo. Il codice aveva aggiornato l’elenco delle strutture ricettive rispetto a quanto all’epoca previsto dalla legge del 1983, in modo tale da includere le nuove tipologie emerse nella legislazione regionale, traendone le relative definizioni uniformi. Così facendo, il codice aveva effettuato un tentativo di sistematizzazione della materia. La disciplina del Codice, per quanto non più dotata di efficacia alcuna15, ha tuttavia una sua utilità.
Come già descritto in precedenza, la disciplina del codice del turismo era stata configurata dal legislatore delegato come non avente finalità innovative ma essenzialmente di recepimento, coordinamento e risistemazione in un’ottica unitaria di nozioni già condivise dai vari legislatori
15 A causa della pronuncia di incostituzionalità da parte della
regionali, che si sono attivati soprattutto successivamente alla legge-quadro 217/1983. Quindi, il codice, sotto il punto di vista della suddivisione delle strutture ricettive, può ritenersi valido anche perché, precedentemente ad esso, le strutture ricettive di cui all’elenco della legge 217/1983 e della legislazione regionale attuativa erano suddivise in ricettività alberghiera, paralberghiera ed extralberghiera.
L’art. 8, 1° comma del codice aveva ripreso questa classificazione e l’aveva riorganizzata, ampliando gli elenchi interni a ciascuna categoria, accorpando le prime due ed enucleando due ulteriori categorie: quella delle
strutture ricettive all’aperto e quella delle strutture ricettive di mero supporto.
Seguendo quindi questo criterio di classificazione, si possono identificare quattro tipi di ricettività: le strutture ricettive alberghiere e paralberghiere, le strutture ricettive extralberghiere, le strutture ricettive all’aperto e le strutture ricettive di mero supporto.
3.3. Le strutture ricettive alberghiere e paralberghiere
All’interno della categoria delle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere sono inclusi, oltre agli alberghi tradizionali16, quelle strutture ricettive che
rappresentano tipi particolari di alberghi, caratterizzati da peculiarità strutturali e/o dal fatto di fornire servizi accessori particolari, anche sulla base del target di clientela a cui si rivolgono. All’interno di questa categoria rientrano quindi i motels, ovvero alberghi particolarmente attrezzati per la sosta e l’assistenza di autovetture o delle imbarcazioni, che assicurano alle stesse servizi di riparazione o di rifornimento carburanti; i villaggi-albergo, cioè alberghi che, in un’unica area, forniscono agli utenti di unità abitative dislocate in più stabili servizi centralizzati; le residenze turistico-alberghiere, definite esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio e servizi accessori in unità
16 Descritti dall’art. 9 cod. tur. come esercizi ricettivi aperti al
pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile.
abitative arredate costituite da uno o più locali, dotate di servizio autonomo di cucina.
Nella categoria il Codice inseriva poi le ulteriori tipologie appartenenti al genere, emerse nella legislazione regionale. Azitutto, gli alberghi diffusi, ovvero una tipologia particolare di alberghi introdotta per la prima volta nella legislazione regionale della Sardegna, per essere poi accolta in diverse altre Regioni, caratterizzati dal fornire alloggi in stabili separati, vicini tra loro, ubicati per lo più in centri storici, e comunque collocati a breve distanza da un edificio centrale nel quale sono offerti servizi di ricevimento, portineria e gli altri eventuali servizi accessori. Inoltre, le residenze d’epoca alberghiere, ovvero alberghi caratterizzati per essere ubicati in complessi immobiliari di particolare pregio storico-architettonico, dotate di mobili e arredi d’epoca o di particolare livello artistico e da un livello di accoglienza altamente qualificata; le residenze della salute o beauty
farm, cioè alberghi dotati di strutture specializzate per