Nel capitolo precedente abbiamo fatto un’introduzione relativa all’origine e all’evoluzione del concetto di privacy necessaria ad evidenziare come essa si adegui al mutare dei contesti, sociali e politici, all’interno dei quali si trova ad esplicare la sua funzione. Questa caratteristica di estrema duttilità, abbiamo potuto apprezzarla ancora di più nei momenti in cui la privacy si è trovata a confrontarsi con le innovazioni tecnologiche: eventi come l’invenzione della stampa e la diffusione dei giornali, fino ad arrivare ai primi strumenti di comunicazione elettronica, solo per citare qualche esempio, hanno dato prova della capacità del concetto di riuscire a rispondere efficacemente alle novità.
Il rapporto tra privacy e sviluppo tecnologico è sempre stato stretto90, ma questa non è una circostanza da attribuire in modo esclusivo all’area della riservatezza; ampliando il nostro ambito di ricerca, possiamo notare che tutti i campi del diritto hanno subito l’influenza del progredire della tecnologia91: secondo Rodotà, infatti, “esiste un
90 G. Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, op.cit., pag. 10.
91 Per chiarire questa affermazione, possiamo riportare le parole di G.
Pascuzzi: “ quando l’uomo di esprimeva solo a gesti, il diritto (definito muto) si caratterizzava per l’assenza di qualsivoglia forma di concettualizzazione.
relazione simbiotica tra il diritto e le attività umane che sfruttano le acquisizioni della scienza, creano nuovi mezzi, strumenti, congegni, apparati atti a migliorare le condizioni di vita dell’uomo stesso”92. Sarebbe un errore pensare che questo rapporto simbiotico sia una questione recente, infatti “oggi l’attenzione è attirata dalle tecnologie digitali, ma occorre prestare attenzione al fatto che hardware, software e reti telematiche non sono “più tecnologie” di quanto lo siano la carta, la penna o lo stesso linguaggio (tecnologie del pensiero)”93.
Vero è che il periodo che stiamo vivendo, quello del passaggio tra la terza e la quarta rivoluzione industriale, ha rappresentato una sfida molto più ardua rispetto alle precedenti, poiché “più che da una singola invenzione, come invece accadde nelle precedenti svolte epocali, 94
Con il tempo assistiamo alla prima innovazione tecnologica: la disponibilità del linguaggio articolato (tecnologia del pensiero). Il diritto cambia ed evolve. Nelle società senza scrittura il patrimonio giuridico viene consegnato alle generazioni successive in forma orale. E questo comporta l’impossibilità di discorsi complicati, esclude l’astrazione e la generalizzazione, implica, piuttosto, l’uso di formule brevi e ripetitive. Passano millenni e l’uomo inventa la scrittura (tecnologia della parola). Il diritto si evolve ulteriormente. Il testo (che riproduce la regola) diviene fisso e può essere conservato inalterato. Nasce l’interpretazione. Un’ulteriore svolta figlia dell’innovazione tecnologica si ha con l’introduzione dei caratteri a stampa. L’invenzione di Gutenberg favorisce la diffusione spaziale dello scritto […]. Consente la stabilizzazione e la standardizzazione dei testi e del linguaggio. Costituisce la premessa perché si pongano in essere concettualizzazioni e astrazioni.” In G. Pascuzzi, op. loc. cit., pag. 12-13.
92 G. Pascuzzi, op. loc. cit., pag.10. 93 G. Pascuzzi, op. loc. cit., pag. 11.
94 Le rivoluzioni industriali sono quei fenomeni che hanno interessato
l’economia e la società in vari periodi della storia recente. Attualmente sono quattro:
- la prima rivoluzione industriale, la quale interessò prevalentemente il settore tessile e metallurgico, ebbe luogo a partire dal diciottesimo secolo, e vide l’introduzione di tecnologie quali, ad esempio, la macchina a vapore;
questa quarta rivoluzione scaturisce da una convergenza di fenomeni tecnologici diversi, dove applicazioni digitali, studi sui materiali, automazione meccanica, ricerche sulla genetica umana e animale, intelligenza artificiale e soprattutto le reti in grado di collegare persone e oggetti [n.d.r. riferimento all’internet delle cose, di cui parleremo più profusamente nel prosieguo], si intersecano in continuazione e con estrema rapidità, creando ogni giorno nuovi strumenti e aprendo nuove possibilità”95.
È proprio per questa sovrabbondanza di novità e, di conseguenza, del successivo necessario adattamento del diritto alle innovazioni tecnologiche, che, a partire dagli anni 70, assistiamo al passaggio dalla predominanza di quell’aspetto della privacy intesa come tutela del diritto di essere lasciati soli, alla privacy quale diritto al mantenimento del controllo sui propri dati personali.
- _la seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente coincidere con l’anno 1870, che vede l’introduzione dell’elettricità e della catena di montaggio;
- la terza rivoluzione industriale coincide con la nascita dell’informatica, ed è conosciuta anche con il termine “rivoluzione digitale” o “informatica”: questa incorpora in sé il passaggio, avvenuto tra gli anni sessanta e gli anni settanta, dalle tecnologie elettriche e analogiche, alle tecnologie digitali, avvenuto tramite la diffusione del computer e la nascita della rete internet; assistiamo ad una esaltazione dei beni immateriali, i quali soppiantano in termine di valore, i mezzi industriali: il dato, l’informazione, il know-how, diviene il motore dell’economia;
- la quarta rivoluzione industriale, anche indicata con il termine “industry 4.0” (termine utilizzato per la prima volta ad Hannover nel 2011) è quella che stiamo vivendo, e vede le tecnologie, sempre più sofisticate, interagire tra loro: siamo di fronte a sistemi che comunicano tra tolo in modo “intelligente”. K. Schwab, La quarta
rivoluzione industriale, FrancoAngeli S.r.l., Milano, 2016, pag. 20 ss.
95 J. Elkan, Prefazione a La quarta rivoluzione industriale, op. loc. cit., pag. 9
Per comprendere questo passaggio, è necessario partire dal termine “società dell’informazione”: tale locuzione è utilizzata per fare riferimento a quel periodo storico, successivo alla società industriale, nel quale il ruolo centrale non risulta più attribuito all’industria e alle sue esplicazioni, ma alle informazioni96.
L’informazione, o per usare un termine più corretto, il dato, va a collocarsi al centro: al momento stiamo infatti attraversando un’epoca dove la società può essere definita “datocentrica”97.
È con la terza rivoluzione industriale che la definizione di privacy, elaborata da Warren e Brandeis quale “right to let be alone”, inizia ad apparire limitante: le esigenze borghesi che avevano portato all’elaborazione del concetto, non sembrano più raccogliere le istanze di quella fetta di popolazione che inizia a pretendere di essere, giustamente, inclusa nel perimetro di protezione garantito dalla riservatezza.
Il diritto alla riservatezza con il tempo si lega “fortemente a quello di libertà, sia individuale che collettiva. Il mio “diritto ad essere lasciato in pace” diventa la premessa necessaria perché io possa fare liberamene una serie di scelte: iscrivermi ad un partito politico, un sindacato, frequentare una chiesa, adottare lo stile di vita sessuale e personale che preferisco, manifestare le mie preferenze culturali senza che ciò possa farmi correre il rischio di discriminazione o stigmatizzazione sociali, negandomi l’eguaglianza, il mio diritto ad essere cittadino in tutto identico agli altri. […] vi è un nucleo duro
96 Voce Società dell’Informazione, in Wikipedia, consultabile al seguente
indirizzo https://it.wikipedia.org/wiki/Società_dell%27informazione
della sfera privata che deve essere rispettato, “lasciato in pace”. Ecco perché questo diritto viene sempre più avvertito dalla gente comune”98. In Italia è stato Rodotà uno dei primi esponenti della dottrina che, negli anni ’70, ha tentato di “importare” dagli Stati Uniti una concezione della privacy intesa quale “possibilità di ciascuno di controllare l’uso delle informazioni che lo riguardano”99.
Secondo lo studioso, non era più possibile limitare la portata del concetto di riservatezza, relegandolo nella dimensione negativa, intesa come esclusione e tipicamente borghese, ma era necessario arricchirlo con sfumature nuove, in grado di cogliere le sfide che la diffusione della tecnologia dell’epoca, primo fra tutti il computer, iniziavano a porre.
La situazione italiana differiva certamente da quella statunitense, sia in termini di diffusione del progresso tecnologico, sia dal punto di vista dell’affermazione dello stesso diritto alla riservatezza.
Come riporta Ubertazzi, a partire dagli anni ’50, i primi giuristi che si sono cimentati nella trattazione dell’argomento 100 , anche in considerazione della mancanza di una disciplina positiva in materia, “consideravano l’interesse alla riservatezza come l’atteggiamento negativo della persona rispetto alla conoscenza di fatti della sua sfera privata da parte di altri soggetti”101.
98 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà a cura di Paolo Conti, Editori
Laterza, Bari, 2005, p. 13-14.
99 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.
cit., p. 60.
100 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.
loc. cit., p. 49.
101 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.
Anche le prime sentenze in materia hanno valorizzato la dimensione negativa e domestica del diritto alla riservatezza102; solo nel 1975, tramite la sentenza della Suprema Corte sul caso Soraja103, la giurisprudenza ha “cominciato ad abbandonare la concezione domestica della privacy e ha affermato che il “diritto alla riservatezza consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile”104 ed inoltre, “in questa sentenza la Cassazione ha affermato l’esistenza di un diritto alla riservatezza; ha individuato il fondamento negli articoli 2, 3, 13, 14, 15, 27, 29, e 41 Cost.”.
Negli anni ’70 anche il legislatore italiano inizia ad occuparsi di tutela della materia: vengono adottate “le prime regole espresse relative alla tutela della riservatezza”105.
Un chiaro segnale di questo cambio di rotta, è rappresentato dalla promulgazione della Legge del 20 maggio 1970, n° 300, lo Statuto dei lavoratori: al Titolo primo, le cui disposizioni si riferiscono alla libertà e alla dignità del lavoratore, troviamo l’articolo 8, rubricato “divieto di indagine sulle opinioni”, il quale statuisce che “è fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle
102 Cass. 22 dicembre 1956 n. 4487, in Giur. it., 1957, I, l, p. 366. (sentenza
“Caruso”); Cass. 20 aprile 1963 n. 990, in Foro it., 1963, I, p. 877 (sentenza “Petacci”).
103 La vicenda in questione riguardava una richiesta di risarcimento danni per
danno all’immagine, formulata dalla principessa iraniana Soraya Esfandiary Bakhtiari, in relazione alla pubblicazione di alcune fotografie che la ritraevano, all’interno della propria dimora, in atteggiamenti intimi con un uomo.
104 Cassazione Civile, sez. I, sentenza del 27 maggio 1975, n°2129
105 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.
opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”106.
Come sottolinea Rodotà107, il fatto stesso che un diritto, considerato per lungo tempo prerogativa quasi esclusiva della classe borghese, abbia avuto la sua consacrazione in una “legge che nasce per la tutela e la pressione della classe operaia”108, è indicativo di una nuova consapevolezza, rappresentata dal fatto che i soggetti iniziano a rendersi conto che le informazioni sulla propria vita privata, a prescindere dal ceto sociale di appartenenza, rischiavano di poter essere utilizzate contro colui al quale quelle informazioni dovevano riferirsi.
Si inserisce proprio in quest’ultimo passaggio il ragionamento sulla nascita dell’espressione “diritto alla protezione dei dati personali” o data protection, utilizzata a livello internazionale per “sottolineare che [privacy] non si tratta soltanto di restare chiusi nel proprio mondo privato, al riparo da sguardi indiscreti, ma anche di potersi proiettare liberamente nel mondo attraverso le proprie informazioni, mantenendo però sempre il controllo sul modo in cui queste informazioni circolano e vengono utilizzate da altri”109.
106 “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso
dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.”, articolo 8, L. 300/1970.
107 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, op. cit. , p. 23 e ss. 108 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, op. loc. cit. , p. 25. 109 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, op. loc. cit. , p. 19.
2.1.2. …e il controllo sui propri dati nella società
dell’informazione.
Ma come si struttura il rapporto tra privacy e centralità del dato, nella società dell’informazione?
Questo nuovo interesse alla destinazione e al controllo dei propri dati, sembrerebbe mal collocarsi all’interno della società dell’informazione, indicata anche con i termini “era digitale” o “era dell’informazione”, la quale, come abbiamo già avuto occasione di dire, pone al centro della sua esistenza e funzionamento, proprio l’utilizzo delle informazioni: coloro i quali raccolgono, detengono, manipolano, interconnettono le informazioni, rappresentano i soggetti che detengono la posizione che, nel periodo precedente, era occupata da coloro i quali disponevano dei mezzi di produzione.
Pare naturale chiedersi come si coniuga la conclamata tendenza ad un’attenzione e ad una regolamentazione, volta a controllare e limitare l’utilizzo delle informazioni da parte dei soggetti cui le stesse sono riferibili, con una società nella quale proprio l’informazione, nello specifico la sua utilizzazione in ogni settore possibile (dal pubblico al privato), rappresenta il bene primario.
Per trattare questa questione, appare opportuno iniziare chiarendo cosa di intendiamo quando parliamo di informazione, e per fare ciò possiamo partire fornendo una definizione di dato personale, con la necessaria premessa che, sebbene sia solo una delle tante tipologie di informazioni impiegate nell’era digitale, rappresenta l’unica che tra tutte pone degli interrogativi in relazione alla privacy (ad esempio, l’insieme delle conoscenze tecnico- industriali e commerciali riservate, per il quale viene utilizzato il termine “know how”, rappresenta un
insieme di dati che racchiude delle informazioni rilevantissime nell’era digitale, ma che niente hanno a che vedere con la questione della privacy).
Cercando l’espressione “dato personale” all’interno dell’Enciclopedia Treccani, possiamo leggere che “ il dato personale è qualsiasi elemento suscettibile di essere ricondotto a un soggetto di cui esprima, nelle forme e nei modi più vari, un qualche profilo della persona o della personalità: dunque, senza pretesa di completezza, le informazioni anagrafiche, quelle relative a caratteristiche fisiche, ai gusti, alle preferenze, ad attività svolte, luoghi frequentati, acquisti effettuati, spese sostenute […] nonché alle comunicazioni scambiate, anche per via telefonica o telematica, sempre che riconducibili ad un soggetto determinato o altrimenti determinabile”110.
I dati personali, vengono trattati per le più disparate esigenze, e vengono raccolti e conservati in grandi banche dati: limitando la nostra ricerca al campo delle banche dati private elettroniche, sviluppatesi a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, possiamo affermare che l’avvento delle stesse, è stata una delle innovazioni tecnologiche che più ha inciso nella materia che stiamo esaminando.
Andiamo ad approfondire meglio la questione.
Secondo Rodotà, “il passaggio tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta è politicamente e culturalmente molto rilevante per la materia”111, poiché si inizia a rendersi conto che la privacy non è un “lusso giuridico”112 di pochi, ma un’esigenza trasversale.
110 Voce dato personale, in Wikipedia, consultabile al seguente indirizzo
http://www.treccani.it/enciclopedia/dato-personale_%28Lessico-del-XXI- Secolo%29/.
111 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, op. cit. 23. 112 S. Rodotà, Intervista su privacy e libertà, op. cit. 24.
Privato non viene più fatto coincidere con segreto e la percezione della necessità di ottenere un controllo effettivo sulle proprie informazioni si fa sempre più evidente.113
Ed è proprio la tecnologia il motore di questo cambiamento: l’avvento dei computers contribuisce alla diffusione dei grandi archivi elettronici, delle banche dati pubbliche e private, dove le informazioni, che precedentemente erano contenute in schedari cartacei voluminosi, potevano adesso essere raccolte in grandi quantità ma soprattutto utilizzate con più semplicità e incrociate tra loro, consentendo la creazione di quelli che vengono definiti metadati, ovvero informazioni che descrivono un insieme di dati.
Non che queste operazioni fossero precedentemente precluse, ma l’avvento dei calcolatori le rendeva incredibilmente agevoli: infatti, l’uso degli elaboratori elettronici “non rappresenta soltanto una semplificazione rispetto alla raccolta dei dati di tipo tradizionale, ma avvia una vera e propria trasformazione qualitativa degli effetti della raccolta stessa. Tale uso, infatti, comporta la possibilità praticamente illimitata di raccolta delle informazioni personali, rende possibile l’accesso in pochi secondi e a condizioni particolarmente economiche all’intero complesso delle informazioni raccolte, facilita un’elevata circolazione delle informazioni.”114
113 Nei primi anni ’70, assistiamo ad un fatto che Rodotà definisce un “caso
da manuale”: a seguito di un’indagine penale, vennero ritrovate all’interno dell’archivio aziendale FIAT, circa 350.000 schede contenenti informazioni che, alla luce della disciplina vigente, verrebbero definiti “ dati sensibili”, relativi, ad esempio, all’appartenenza politica e sindacale, fino all’orientamento e alle abitudini sessuali, di soggetti assunti o candidati all’assunzione; tale documentazione, avente vastissime proporzioni e raccolta nel corso di un ventennio di attività, era utilizzata dall’azienda per compiere scelte relative al destino dei lavoratori.
114 E. Ferri, Informatica e ordinamento giuridico, Milano, Giuffrè, 1988,
In conseguenza a queste nuove possibilità di utilizzo delle informazioni personali, anche dati che non erano considerati privati, ovvero quelli non “relativi alla sfera intima della persona, costituiti appunto da quei dati che l’interessato vuole esclusi da ogni tipo di circolazione”115 (per citarne alcuni, l’iscrizione ad un partito o ad un’associazione sindacale), aventi un contenuto non particolarmente meritevole di segretezza di per sé, potevano rappresentare un elevato rischio, derivante dalla loro “potenziale attitudine ad essere adoperati a fini discriminatori”116.
Infatti, “la novità fondamentale introdotta dall’elaboratore consiste nella trasformazione di informazioni disperse in informazioni organizzate, con la conseguente possibilità di fare emergere dall’insieme delle notizie […] non solo informazioni che violano la sfera privata del soggetto considerato […] ma anche un profilo complessivo di quest’ultimo, che ne permette la valutazione e il controllo da parte di chi dispone dell’elaboratore”117.
È in relazione a queste ultime considerazioni che “la definizione proposta da Rodotà del diritto alla riservatezza come potere di controllo sui propri dati personali, ha il merito di attribuire alla persona il potere necessario per rendere effettivo il diritto alla privacy a fronte delle nuove tecnologie”118, perché permette al concetto di estendersi e di abbracciare queste nuove esigenze.
115 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit. , p. 105. 116 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit. , p. 106.
117 E. Ferri, Informatica e ordinamento giuridico , op. cit. p. 154.
118 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.