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Il trattamento dei dati personali nell'era digitale: nuove lesioni e forme di tutela

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Academic year: 2021

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Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il trattamento dei dati personali nell’era digitale:

nuove lesioni e forme di tutela.

La Candidata: La Relatrice:

Laura Mariotti Chiar.ma Prof.ssa Caterina Murgo

Il Correlatore:

Chiar.mo Prof. Federico Azzarri

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Indice

Introduzione

p. 5

1. Origine ed evoluzione del diritto alla privacy.

1.1. Una definizione di privacy è possibile? p. 7

1.2. Le tappe fondamentali dello sviluppo del concetto di privacy, dall’antichità all’era contemporanea. p. 9

1.2.1. Il “privato” nell’era antica: Grecia e Roma. p.10 1.2.2. Dal Medioevo alla nascita dello Stato moderno. p.16

1.2.3. “L’età dell’oro della privacy”: gli Stati Uniti d’America tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. p.24

2. “Noi siamo i nostri dati”: privacy e individuo nella

Società dell’Informazione.

2.1.1. Il rapporto tra privacy e tecnologia: l’affermazione della data protection… p. 35

2.1.2. …e il controllo sui propri dati nella società dell’informazione. p.42

2.2. L’era digitale: i nuovi strumenti. p. 46

2.2.1. Il passaggio dalla tecnologia analogica alla tecnologia digitale: cenni al fenomeno della convergenza tecnologica e alla conseguente risposta europea. p. 51

2.2.2. Internet, la rete di reti: origine, funzionamento, qualche cenno tecnico. p. 52

2.2.3. Il Web: origine ed evoluzioni applicative. p. 57 2.2.4. I Big data. p. 59

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3.

Nuove lesioni, nuovi diritti? Il sistema di

responsabilità civile applicato ai danni da attività di

trattamento dati.

3.1.1. L’utilizzo delle nuove tecnologie nell’attività di trattamento dati: tra benefici e rischi. p. 64

3.1.2. Cenni al sistema italiano di responsabilità civile. p. 70

3.1.3. Il danno da violazione della privacy: nascita ed evoluzione “senza regole”. p. 76

3.1.4. La lacuna viene colmata: gli articoli 18 e 29 comma 9 della Legge 31 Maggio 1996 n. 675. p. 79

3.1.5. L’articolo 15 del “Codice privacy”. p. 83

3.1.6. Il regolamento europeo 678/2016: quali prospettive in tema di responsabilità e risarcimento dei danni da trattamento dati? p. 88

4. La normativa vigente in materia di privacy.

4.1.1. La privacy e l’Europa. p. 94

4.1.2. L’Europa, le prime leggi nazionali in materia e la necessità di regole condivise: cenni sulle Linee Guida OCSE e la Convenzione 108. p. 96

4.1.3. La disciplina europea in materia di privacy e protezione dei dati personali prima del Regolamento UE 679/2016. p. 103 4.2. Il Regolamento Europeo 675/2016. p. 111

4.2.1. Struttura, ambito di applicazione e valore dei “considerando”. p. 116

4.2.2. I soggetti. p. 118

4.2.3. Definizioni, principi generali e meccanismi di controllo. p. 122 4.2.4. Conclusioni p. 133

Bibliografia.

p. 136

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Introduzione

“Nel 2000 i telefoni faranno tutto loro!”, riportava il titolo di un giornale siciliano datato 1962; l’autore provava a descrivere un futuro che appariva lontanissimo e al tempo stesso impossibile, un futuro nel quale “i giornali del mattino saranno diffusi direttamente in “facsimile” attraverso la rete telefonica” e “la gente si servirà del telefono per le operazione di banca”.

Ma come potremmo spiegare al giornalista siciliano che la tecnologia è andata molto più veloce della sua immaginazione, fino ad arrivare, pochi anni dopo il 2000, al punto in cui le macchine guidano da sole, la casa intrattiene delle conversazioni con noi, il frigo ordina la spesa in autonomia, le strade della città si organizzano all’arrivo della pioggia, e il corpo umano stesso può essere tecnologicamente modificato, per rispondere alle esigenze più disparate?

Se prima le informazioni viaggiavano insieme all’uomo, o comunque necessitavano del suo tramite, adesso esse vengono scambiate tra gli stessi dispositivi, i quali risultano costantemente “connessi” tra di loro e con noi.

“Noi siamo i nostri dati” affermava Rodotà, e nessun’altra frase riesce a cogliere meglio l’essenza della trasformazione alla quale è andata incontro la persona umana per effetto dell’era digitale.

Non possiamo più considerarci ormai solo carne e sangue, ma dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che il nostro Io è formato anche da un insieme d’informazioni che ci riguardano e che, peraltro, non ci appartengono del tutto.

Ed è in questo scenario che l’importanza fondamentale del diritto alla privacy e del diritto alla protezione dei dati, irrompe con una forza

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straordinaria, imponendosi quale fondamentale, e forse unico, baluardo per la protezione del nostro “corpo elettronico”.

Nel presente elaborato, partiremo con l’analizzare, nel primo capitolo l’evoluzione del concetto di privacy, dall’antichità classica, dominata da una concezione di “privato” funzionale e negativa, fino ad arrivare, all’esperienza statunitense moderna e contemporanea, nella quale ha avuto origine il principio del “right to be let alone”.

Proseguendo con il secondo capitolo, ci occuperemo di inquadrare il rapporto tra privacy e tecnologia all’interno della società dell’informazione, soffermandoci sul fenomeno della convergenza tecnologica e fornendo cenni sui principali strumenti tecnologici che impattano sulla vita quotidiana.

Nel terzo capitolo ci soffermeremo sull’analisi dei rischi connessi al trattamento dei dati personali, prestando particolare attenzione alle risposte che il sistema italiano di responsabilità civile ha tentato di fornire, anche alla luce delle indicazioni europee, in relazione alle necessità di tutela poste dalla configurazione del “danno da privacy” o “danno da lesione dei dati personali”,

Nel quarto ed ultimo capitolo, tratteremo delle peculiarità del sistema europeo nella materia della protezione dei dati personali, soffermandoci ad analizzare la disciplina vigente, introdotta dal Regolamento Europeo 679/2016.

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1. Origine ed evoluzione del diritto alla privacy.

1.1. Una definizione di privacy è possibile?

Poter iniziare questo elaborato fornendo una definizione unitaria del diritto alla privacy, valida per tutte le epoche e per tutti i contesti socio-culturali, avrebbe sicuramente facilitato l’analisi che ci si accinge a sviluppare, ma, allo stesso tempo, ci avrebbe portato fuori strada, poiché “la nozione di privacy, non è una nozione unificante, un concetto che esprime esigenze uniformemente e coerentemente diffuse nella collettività”1ed aggiungerei, nel tempo.

Innanzitutto, non esiste, nella lingua italiana, un corrispettivo esatto del termine anglosassone “privacy”, che viene tradotto solitamente con “privatezza” o, molto più spesso, “riservatezza”: quest’ultima rappresenta un attributo della personalità, bene giuridicamente tutelato dall’ordinamento, la quale costituisce il nucleo di una serie di diritti (o di un unico diritto che tutela l’individuo in ogni sua esplicazione, a seconda che si voglia accogliere la teoria pluralista o monista dei diritti soggettivi2), i quali hanno ad oggetto gli attributi essenziali della persona umana3.

                                                                                                               

1 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza 2 Teoria pluralista e monista dei diritti della personalità: il dibattito si articola

in ordine all’esistenza di un unico diritto della personalità, o di molteplici diritti della personalità. Secondo la tesi pluralista, esisterebbero più diritti della personalità, ognuno corrispondente ad un aspetto della stessa meritevole di tutela, mentre, secondo la tesi monista, il diritto alla personalità sarebbe unico e composto da vari diversi profili, tutti facenti capo all’interesse ultimo della protezione della persona umana. Questo dibattito non si limita alla teoria, poiché presenta dei risvolti pratici, soprattutto in relazione alla tutela: sposando l’una o l’altra tesi, si abbraccia, alternativamente, o un sistema di

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I diritti della personalità, nello specifico diritto all’integrità, alla salute, all’autodeterminazione, al nome, all’immagine e alla riservatezza, la cui base normativa deve essere individuata nell’articolo 2 della Costituzione, sono delle situazioni giuridiche soggettive, di natura personale, mediante le quali la personalità si realizza4; esse condividono tra loro, i caratteri della necessarietà, imprescrittibilità, assolutezza, non patrimonialità e indisponibilità.

La riservatezza, oltre a non avere una precisa corrispondenza lessicale con il termine privacy non ne ricalca nemmeno esattamente l’essenza, poiché, nella mentalità giuridica anglosassone e in particolare nordamericana, che possiamo considerare la culla dalla quale è partito e si è poi sviluppato il ragionamento moderno in materia, essa designa “qualcosa di più di un singolo diritto della personalità, che nella nostra lingua potremmo indicare come diritto alla vita privata o alla riservatezza. Si tratta piuttosto del fondamento stesso dei diritti della persona, della sua libertà di fronte allo stato ed ai consociati”5.

Nel nostro sistema giuridico, al contrario, la privacy non si è mai configurata come il fondamento dei rapporti tra Stato e individuo, ma                                                                                                                                                                                                                                                                      

tutela chiuso, il quale limita la protezione alle solo ipotesi previste da specifiche norme positive, o un sistema aperto, che protegge la persona umana, indipendentemente dall’esistenza di previsioni espresse. T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, CEDAM, Padova, 2004, p. 82 ss.

3 R. de Vecchio – M. Di Pirro (a cura di), Compendio di Istituzioni di diritto

privato (diritto civile), Simone, Napoli, 2015, p. 51.

4 G. Cascella, Diritti della personalità e tutela della privacy: profili generali

e cenni di diritto comparato, 2009, p. 2, consultabile al seguente indirizzo

https://www.diritto.it/diritti-della-personalita-e-tutela-della-privacyprofili-generali-e-cenni-di-diritto-comparato/.

5 P. Zatti – V. Colussi, Lineamenti di diritto privato, XII ed., CEDAM,

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come uno dei diritti della persona6; dall’altro lato, l’esperienza italiana ha dato vita a diverse figure prive di autonomia nel contesto statunitense, quale, a titolo esemplificativo, il diritto all’oblio: queste ultime considerazioni confermano la natura plasmabile e complessa di quello che nel prosieguo, per semplicità, chiameremo indistintamente diritto alla privacy o diritto alla riservatezza, il quale comprende in sé diverse sfaccettature e si modella in base al contesto socio-culturale e temporale, e alle esigenze che via via si palesano7 all’interno della realtà nella quale si trova a spiegare i suoi effetti8.

Infatti, “alla complessa evoluzione storica del diritto alla privacy, corrisponde una pluralità di accezioni di tale diritto”9: nel corso della storia la mutata sensibilità verso l’individuo, nella vita privata e nella vita pubblica, il mutamento delle forme di organizzazione sociale e il progredire della tecnologia, sono alcuni degli aspetti che hanno contribuito ad arricchire e a modificare nel tempo il concetto di privacy, il quale non ha avuto sempre lo stesso contenuto, la stessa ampiezza e la stessa rilevanza, come andremo meglio ad illustrare nel prossimo paragrafo.

                                                                                                               

6 P. Zatti – V. Colussi, Lineamenti di diritto privato, op. loc. cit., p. 164. 7 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

cit., p. 1 ss.

8 Ad esempio, noi utilizziamo il termine privacy, per fare riferimento alla

tutela e al controllo dei dati personali, il quale rappresenterebbe, in realtà, una specificazione e un arricchimento del concetto originale.

9 G. Finocchiaro, prefazione a S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy:

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1.2. Le tappe fondamentali dello sviluppo del concetto di privacy, dall’antichità all’era contemporanea.

Il concetto di privacy, è il frutto di un’evoluzione dottrinale, giurisprudenziale e normativa, molto recente: infatti, si inizia a ragionare di privacy, avvicinandoci alla concezione odierna, solo nel diciannovesimo secolo.

Questo non significa che l’uomo non abbia avvertito, prima di allora, la necessità di ritagliare uno spazio per sé, da proteggere dalle ingerenze esterne: nella teoria della “piramide dei bisogni” di Maslow, tramite la quale lo Psicologo elabora una classificazione dei bisogni umani organizzandoli gerarchicamente, il secondo bisogno è proprio quello della protezione, posto in posizione subordinata esclusivamente ai cosiddetti bisogni “fisiologici”, indispensabili per la sopravvivenza (quali il respiro, l’alimentazione, il sonno)10.

Per meglio comprendere l’evoluzione di questo concetto, tuttavia, piuttosto che insistere sulla “necessità biologica di una sfera riservata”11, si ritiene che sia più opportuno ricostruire brevemente le tappe fondamentali che, nel corso della storia, hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dello stesso.

1.2.1. Il “privato” nell’era antica: Grecia e Roma.

La distinzione tra ciò che è privato e ciò che è pubblico, che potrebbe sembrare scontata se la guardiamo con un occhio moderno, e il valore

                                                                                                               

10 M. Iaselli – S. Gorla (a cura di), Storia della Privacy, Lex et Arts, Roma,

2015, p. 9.

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attribuito alle due categorie, presenta non poche differenze a seconda del contesto storico in cui lo collochiamo.

Se proviamo a pensare a ciò che per noi significa “sfera privata”, l’immagine che ci restituisce la mente sarà uno spazio prezioso, materiale o immateriale, nel quale custodiamo ciò che non riguarda gli altri, una zona al riparo dalle indiscrezioni altrui, un luogo da proteggere; ma non sempre è stato così.

Nell’antica Grecia, come ci illustra Nieger12, rifacendosi al pensiero della Arendt13, la sfera pubblica e la sfera privata erano rigidamente separate: nella polis, la vita condotta in privato, nell’ambito domestico, era considerata come quell’aspetto dell’esistenza dell’uomo, ove venivano soddisfatte le sue necessità biologiche, quali cibo, riparo, protezione, necessità che lo caratterizzavano come “un caso della specie animale del genere umano”14, e non come un essere autenticamente umano.

Per meglio comprendere quanto i concetti di pubblico e privato dei quali stiamo discutendo siano distanti dal significato che verrebbe naturale attribuirgli con la nostra lente contemporanea, quando facciamo riferimento a ciò che era considerata la sfera pubblica per gli antichi, intendiamo riferirci alla sfera politica, poiché “l’intera concezione del dominio e della soggezione al dominio - del governo e                                                                                                                

12 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 3 ss.

13 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Giunti (edizione digitale),

Milano, 2017. N.d.a.: In ogni citazione che verrà fatta nel seguito del presente elaborato, riferita all’opera in nota, non sarà possibile identificare con esattezza il numero di pagina corrispondente, poiché quest’opera è stata consultata in formato digitale; si farà quindi riferimento al capitolo e al paragrafo nel quale è contenuta la citazione.

14 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto ala riservatezza

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del potere così come oggi li intendiamo, nel senso di un ordine dotato di regole – che caratterizza il pensiero moderno, era considerata pre-politica e, quindi, appartenente alla sfera privata piuttosto che a quella pubblica”15.

Altra necessaria precisazione, utile per avvicinarci al pensiero dell’era che stiamo esaminando, è quella relativa al significato attribuito al termine politica: infatti, “la politica degli antichi non è la politica dei moderni: ciò significa che i filosofi politici non concepivano la politica come un’analisi teorica e oggettiva sul funzionamento dello stato, ma come un sapere volto a comprendere e a influenzare i cittadini virtuosi”16.

Tutto quello che noi oggi ricondurremmo al concetto di sfera pubblica, come l’amministrazione delle cose pubbliche, la regolazione delle attività economiche, in sostanza tutto quello relativo alla sopravvivenza dell’individuo e della specie “era una faccenda non-politica, domestica per definizione”17

La sfera privata era quindi il luogo delle necessità, ove venivano soddisfatti i bisogni relativi alla sopravvivenza, un luogo governato dalla gerarchia e spesso dalla violenza, in completa contrapposizione con la sfera pubblica, che rappresentava il regno della libertà, governato dalle uniche due attività che garantivano agli individui la “vita buona”18: la praxis (l’azione) e la lexis (il discorso).

                                                                                                               

15 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., capitolo II, par. 5. 16La filosofia politica nel pensiero antico, consultabile al seguente indirizzo

https://library.weschool.com/lezione/la-filosofia-politica-nel-pensiero-antico--19476.html .

17H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap. II, par. 5. 18 T. Greco, Diritto e legame sociale, SEU, Pisa, 2009, p. 21.

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L’azione e il discorso erano considerate attività complementari, e costituivano il fondamento della polis e di quello che Aristotele definiva il bios politikos, il vivere politico; l’agire politico, e quindi pubblico, si sostanziava nel discorso e “vivere nella polis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza. Nella concezione greca, costringere gli altri con la violenza ed imporre invece di persuadere, costituivano relazioni prepolitiche, caratteristiche della vita fuori dalla polis, ovvero quella domestica e familiare”19.

La vera natura dell’uomo, secondo la mentalità corrente al tempo delle grandi città-stato, si manifestava nel vivere politico all’interno della polis, e ciò non rappresentava una semplice dilatazione della vita privata, ma un vero e proprio ordine di esistenza.20

Tutto ciò non significava che quello che era collocato al di fuori dell’ambito politico-pubblico non aveva nessuna importanza ma, al contrario, la polis riteneva inviolabili i confini della proprietà privata, anche se per ragioni differenti rispetto a quelle che ci aspetteremmo oggi, infatti “senza possedere una casa, un uomo non poteva partecipare agli affari del mondo, perché in esso non aveva un luogo propriamente suo” 21: la proprietà privata e la ricchezza avevano come conseguenza la possibilità per colui che le possedeva di non doversi preoccupare delle “più urgenti necessità della vita”22, e di essere libero di dedicarsi all’attività pubblica.

                                                                                                               

19 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap. II, par. 4. 20 F. Sollazzo, Il modello democratico delle “pòleis” in Hannah Arendt,

2009, consultabile al seguente indirizzo https://costruttiva-mente.blogspot.com/2009/06/di-federico-sollazzo-p.html.

21H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap. II, par. 5. 22 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap. II , par. 8.

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Un altro aspetto interessante che può aiutarci a comprendere il valore che i greci attribuivano alla dimensione privata, è quello relativo all’etimologia del termine.

In greco antico, la parola “privato” veniva tradotta con il termine idios, dal quale deriva idiotes, che indicava colui che aveva una occupazione privata, in contrapposizione a chi ricopriva una carica pubblica, o poteva altresì indicare una persona incompetente23; pertanto, per i greci, una vita spesa fuori dal mondo comune era “idiota” per definizione, e la connotazione negativa del termine “privato” era palese.

In conclusione, nell’antica Grecia, “la privacy costituiva letteralmente una privazione, la separazione dall’ambito più importante della vita umana: quello pubblico”24 e “vivere una vita interamente privata significava prima di tutto essere privati delle cose essenziali ad una vita autenticamente umana”.25

Spostandoci dalla Grecia a Roma, come ci riporta Nieger, troviamo replicati gli stessi modelli in relazione alla distinzione e al valore attribuito alla sfera privata e pubblica; questo non ci sorprende più di tanto, poiché “a Roma la civiltà, la cultura, la letteratura, l’arte e la religione sono quasi interamente venute dalla Grecia”26.

                                                                                                               

23 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 3.

24 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. loc. cit., p. 3.

25 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap II, par. 8. 26 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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Anche in questo contesto, esercitare le funzioni pubbliche era considerato un onore, e il far politica non era considerata un’attività specializzata ma “il compimento di un uomo degno di questo nome”27; inoltre, non era chiara, nella civiltà romana, “la distinzione tra funzioni pubbliche e dignità privata, tra finanze pubbliche e risorse personali”28. Come nella realtà greca, non poter accedere e contribuire alla vita politica della propria città, era considerato un grave disonore: significava infatti essere un uomo “dappoco e insignificante”, ed inoltre, la conseguenza estrema e naturale di questa mancata partecipazione era l’oblio, reputato nei tempi antichi una condizione peggiore della morte stessa29.

Un tratto caratteristico e molto interessante della cultura romana, era il ruolo esercitato dall’opinione pubblica: la vita privata dei cittadini romani30veniva costantemente scandagliata e commentata, sia dai                                                                                                                

27 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. loc. cit., p. 7.

28 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. loc. cit., p. 7.

29 Per meglio comprendere il significato che l’oblio aveva nella cultura

romana, giova fare riferimento all’istituto della damnatio memoriae, locuzione latina che sta letteralmente per “condanna della memoria”. Istituita durante il periodo Repubblicano, costituiva una pena molto severa che veniva inflitta in particolar modo a quei soggetti che si macchiavano di reati compiuti nei confronti di Roma e del Senato; tale condanna veniva attuata tramite la cancellazione di ogni riferimento al condannato, dalle iscrizioni, ai monumenti, ai ritratti ed arrivava fino ad estendersi all’abolizione del nome che non sarebbe più potuto essere tramandato alla gens del condannato (abolitio nominis) e, in caso di assenso del Senato, alla distruzione di ogni opera o atto compiuto dallo stesso nel corso della carica pubblica rivestita (rescissio actorum). E. Bianchi, Il Senato e la “damnatio memoriae” da

Caligola a Domiziano, in Politica antica, Carocci Editore, 1/2014, p. 33 e ss.

30 Queste considerazioni relative all’interesse dell’opinione pubblica nei

confronti della vita privata, devono essere riferire e limitate alle solo vicende riguardanti i soggetti di condizioni libera, non certamente gli schiavi; questi

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singoli, con l’intento di fare del semplice pettegolezzo, sia dalla classe dirigente “che si sentiva qualificata per controllare, attraverso la propria opinione, la vita privata dei suoi membri, nell’interesse di tutti”31.

Quest’atteggiamento, lungi dall’essere considerato disdicevole, non era altro che l’esercizio di una legittima facoltà e un costume talmente radicato che, come di illustra Nieger, “anche un padre di famiglia, degno di questo nome, per non essere criticato, doveva far proprio il consiglio dei suoi pari e dei suoi amici allorquando si trattasse di assumere una decisione importante” e “nessuno veniva dispensato dal dover rendere conto della sua vita privata al cospetto dell’opinione pubblica”.32

La visione della vita priva privata propria dell’antichità classica e il valore preminente attribuito alla privacy, intesa principalmente nella sua accezione più puramente negativa, di esclusione da quegli aspetti che rendono la vita degna di essere vissuta e pienamente “umana”, è andata modificandosi solo con l’avvento del cristianesimo.

La grande diffusione della religione monoteista nell’impero romano, iniziata nel primo secolo d.C. e culminata nel terzo secolo d.C., ha portato con sé dei principi, i quali si ponevano i contrasto con la visione classica che abbiamo poc’anzi esaminato, che hanno determinato una significativa modifica della concezione della vita, sia                                                                                                                                                                                                                                                                      

ultimi infatti, pur essendo costantemente vicini ai loro padroni, non destavano alcun tipo di interesse.

31 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 8.

32 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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della sfera privata che del significato quella porzione della stessa spesa in pubblico: come ci illustra la Arendt “la moralità cristiana, ha sempre insistito sul fatto che ognuno dovrebbe badare ai propri affari, e che la responsabilità politica costituisce prima di tutto un fardello, assunto unicamente per il benessere e la salvezza di quelli che libera dalla preoccupazione degli affari pubblici”33.

1.2.2. Dal Medioevo alla nascita dello Stato moderno.

Addentrandoci nel medioevo, iniziamo ad avvicinarci ad una concezione di privacy che sembra essere a noi più familiare.

Questo periodo storico, successivo al disgregarsi dell’Impero Romano di occidente, se inizialmente è stato caratterizzato da fenomeni tendenzialmente sfavorevoli rispetto alla crescita e al progresso, quali il crollo demografico, la deurbanizzazione, il declino del potere centralizzato, ha visto poi il fiorire di nuove forme di organizzazione sociale e politica, che hanno contribuito all’evoluzione e alla specificazione del contenuto della sfera pubblica e di quella privata dell’esistenza umana.

Nella fase iniziale del periodo medievale, assistiamo al sorgere e al diffondersi del sistema curtense, già presente in forma embrionale anche negli ultimi secoli dell’impero romano, dove, in conseguenza della progressiva perdita di autorità e vigore da parte del potere

                                                                                                               

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centrale, venivano costituiti “dei veri e propri patronati nei latifondi”34; tale modello è considerato la base di partenza dalla quale si è poi sviluppato il Feudalesimo, sistema politico, economico e sociale che si affermò e caratterizzò l’Europa Occidentale fino al diciannovesimo secolo 35.

Il sistema feudale era una modalità di organizzazione di tipo gerarchico, che si traduceva nella divisione del territorio in parti più piccole, le quali erano poste sotto il controllo di un signore, il quale instaurava un rapporto di fedeltà e protezione con i soggetti che lì abitavano e lavoravano36.

Nell’era feudale, “il termine privato evoca ciò che è familiare” 37 : la vita privata, spesa all’interno della famiglia, perde la connotazione negativa che nei tempi antichi; il privato, la famiglia, non sono più considerati come il luogo ove ci si limitava a soddisfare le proprie necessità biologiche e di sopravvivenza, ma “uno spazio protetto, una difesa e una sorta di fortezza esposta agli assalti”38.

Un elemento di novità che possiamo rinvenire in questo periodo storico, rispetto all’era antica, è l’emergere del concetto di “società”, inteso quale “l’estendersi della comunità domestica e delle attività

                                                                                                               

34 Voce Feudalesimo, in Enciclopedia Treccani, consultabile al seguente

indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/feudalesimo/.

35 L’abolizione ufficiale de feudalesimo avvenne nel 1806 da parte di

Napoleone Bonaparte.

36 Voce Feudalesimo, in Enciclopedia Treccani, consultabile al seguente

indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/feudalesimo/.

37 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 10.

38 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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economiche al dominio pubblico”39: questo ha fatto si che “la gestione della casa e di tutte le faccende che rientravano precedentemente nella sfera familiare, sono diventate una questione collettiva”40, e ha avuto come conseguenza la cancellazione di quei confini tra privato e pubblico che, nell’era antica, erano così marcati.

Come abbiamo poc’anzi accennato, la vita privata nel medioevo era vita di famiglia, conviviale e non individuale41: questa convivialità, il vivere gomito a gomito, si rifletteva, inoltre, anche nella disposizione delle abitazioni dell’epoca, nelle quali gli individui vivevano, e molto spesso lavoravano, in nuclei numerosi, che non comprendevano esclusivamente i membri della famiglia, ma che integravano persone estranee ad essa che non potevano altrimenti provvedere al proprio sostentamento42.

Ogni individuo, viveva la propria esistenza incardinato all’interno di un gruppo, o meglio, di più gruppi: partendo dalla famiglia, cellula originaria, fino ad arrivare alle organizzazioni territoriali più complesse, quali le signorie feudali, ogni gruppo dettava le proprie regole di funzionamento e di condotta, e si presentava come un’organizzazione autonoma.

Questo passaggio è spiegato molto bene dalla Arendt, che lo riassume nel modo seguente: “nel feudalesimo, le famiglie e le unità domestiche erano come reciprocamente indipendenti, per cui l’amministrazione regale, che rappresentava l’intero territorio come un tutto, e che aveva                                                                                                                

39 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap II, par. 5. 40 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap II, par.5.

41 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 11.

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un rapporto di prima inter pares con le signorie feudali, poteva pretendere di essere solo la testa di un’unica gigantesca famiglia, pur senza rivestire il carattere di dominio assoluto. La “nazione medievale” era un conglomerato di famiglie”43.

E’ proprio durante il medioevo che iniziano a comparire i primi segnali esteriori di un desiderio nuovo, quello di “intimità”: a partire dalle recinzioni e dagli steccati, “che circoscrivevano il luogo dove gli uomini si ritrovavano al riparo per dormire, dove serbavano ciò che avevano di più prezioso e dove dovevano trincerarsi dopo il coprifuoco”44 e, nel corso del dodicesimo secolo, fanno la loro comparsa bauli, casseforti, chiavi, “primi segni delle conquiste di autonomia personale”45.

Nella società medievale, nonostante i piccoli segnali di mutamento in relazione ai nuovi sentimenti di intimità e autonomia ai quali abbiamo fatto cenno, chi tendeva ad isolarsi, chi sentiva la necessità di appartarsi e di vivere una vita un po’ più defilata, era ancora considerato un “diverso”; inoltre, tale desiderio di isolamento, era una possibilità concretamente realizzabile solo da coloro che potevano materialmente permettersi di creare le giuste condizioni, quindi non di certo la maggioranza della popolazione, soprattutto quella più povera. Quest’ultimo passaggio evidenza una delle condizioni che, secondo illustri esperti in materia, come ad esempio gli stessi Nieger e Rodotà, ha rappresentato uno dei presupposti necessari alla nascita della                                                                                                                

43H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, op. cit., Cap II, par.5, nota 14. 44 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 11.

45 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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privacy: stiamo facendo riferimento alla “disponibilità dei mezzi materiali che consentono di riprodurre condizioni tali da appagare il nuovo bisogno di intimità”46.

I mezzi cui facciamo cenno, a quell’epoca erano posseduti da quella classe sociale che fece la propria comparsa e si sviluppò nell’occidente europeo tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo D.c.: la borghesia.

La borghesia, secondo la definizione fornita dall’enciclopedia Treccani, è “l’insieme degli appartenenti al cosiddetto ceto medio, che vivono del loro reddito o esercitano il commercio, l’industria o una libera professione”47.

La nascita di tale classe sociale deve essere considerato un “fenomeno essenzialmente urbano, legato allo sviluppo dei villaggi e delle borgate medievali e alla propria trasformazione in città”48; l’etimologia stessa della parola, infatti, racchiude in sé l’importanza che l’elemento urbano ha avuto nell’origine di questo gruppo sociale che si è rapidamente distinto dal resto: essa infatti fa riferimento ai “borghi”, i quartieri sorti al di fuori delle mura cittadine e che vennero inglobati nelle stesse solo successivamente alla loro nascita, nei quali vivevano coloro che non erano nobili, e che non potevano quindi permettersi un alloggio nel centro cittadino, ma non erano neppure indigenti.

                                                                                                               

46 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 22.

47Voce Borghesia, in Enciclopedia Treccani, consultabile al seguente

indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/borghesia/ .

48 Voce Borghesia, in Wikipedia, consultabile al seguente indirizzo

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A questo punto dobbiamo chiederci perché questo nuovo ceto sociale ha ricoperto un ruolo così importante nella nascita del moderno concetto di privacy.

Nel periodo storico ove la società feudale andava disgregandosi per lasciare spazio all’avvento dello stato moderno, “gli individui erano tutti collegati da una complessa serie di relazioni, che si riflettevano nell’organizzazione stessa della loro vita”49, e coloro che si trovavano nelle condizioni di poterlo fare , iniziarono a porre in essere dei comportamenti volti a garantirsi uno spazio di intimità e di individualità, sfruttando innanzitutto “le nuove tecniche di costruzione delle abitazioni e la separazione tra il luogo in cui si vive e il luogo di lavoro”50.

Ma queste modificazioni non devono essere percepite solo come “la realizzazione di una esigenza “naturale” di un individuo” 51, ma più coerentemente, devono essere lette come “un momento in cui la borghesia riconosce la propria identità all’interno del corpo sociale”52, come “l’acquisizione di un privilegio da parte di un gruppo”53.

È per queste ragioni che la borghesia, tramite la sua volontà di affermazione e di riconoscimento di sé all’interno della compagine sociale, ha rappresentato un punto di svolta importante nell’evoluzione del concetto di privacy.

Occorre necessariamente fare cenno a quella che può essere considerata la prima innovazione tecnologica, avvenuta nel                                                                                                                

49 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 22. 50 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. loc. cit., p. 22. 51 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. loc. cit., p. 23. 52 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 23. 53 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. loc. cit., p. 23.

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quindicesimo secolo d.C., che ha rivestito un ruolo fondamentale nel successivo sviluppo della privacy, paragonabile al peso che, in tempi molto più recenti, hanno avuto l’avvento delle tecnologie digitali e della rete internet, delle quali tratteremo più avanti in modo approfondito.

Ci stiamo riferendo all’invenzione della stampa, convenzionalmente fissata nell’anno 1455 in Germania, anno in cui Gutenberg stampa una copia della Bibbia tramite la tecnica dei caratteri mobili.

La creazione e l’utilizzo di questa tecnica rivoluzionaria, ha favorito una serie di conseguenze, permettendo di passare da una cultura che risultava circoscritta in pochi ambienti, anche a causa dei supporti sopra i quali circolava, consistenti in rari manoscritti la cui produzione risultava lunga e costosa, ad una più largamente fruibile; conseguenze che possono essere così riassunte: “l’invenzione di Gutenberg favorisce la diffusione spaziale dello scritto; consente la stabilizzazione e la standardizzazione dei testi e del linguaggio; costituisce la premessa perché si pongano in essere concettualizzazioni e astrazioni.”54

Andando avanti nella nostra narrazione, e arrivando nel periodo tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo, ci troviamo in un momento di transizione, nel quale la borghesia si è imposta come classe dominante, a discapito dell’aristocrazia che si avvia, al contrario, verso il declino. La borghesia, nel suo percorso verso la propria affermazione, porta con sé la sua forte componente individualistica, e tende a favorire lo sviluppo degli strumenti di tutela di questa nuova individualità, su

                                                                                                               

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quella che è considerata la caratteristica del diritto borghese per eccellenza: la proprietà55.

In questo periodo di mutamento, “dove l’unità cattolica è ormai rotta e le rigide gerarchie del medioevo hanno subito fratture profonde, e la società curtense e cavalleresca è entrata in crisi, ma l’ordine assolutistico non l’ha ancora rimpiazzata”56, secondo Philippe Ariès e George Duby57, furono tre gli avvenimenti che contribuirono a la percezione di sé e del proprio ruolo all’interno della società, nello specifico:

1) Il ruolo dello Stato, il quale, intervenendo in modo sempre più incisivo in ambiti che prima gli erano estranei, creando nuovi spazi in tutti i settori della vita pubblica;

2) Le riforme religiose, le quali incoraggiarono gli uomini a vivere la fede in modo personale e ad interiorizzare le pratiche di culto;

3) Lo sviluppo dell’alfabetizzazione, da prima negli ambienti altolocati e poi anche estesasi nelle altre classi sociali (ad esclusione delle masse rurali); questo portò ad una modifica della comunicazione, la quale passò da uno stile essenzialmente pubblico e talvolta cerimoniale, a modalità che permisero ai soggetti di esprimersi con nuove forme, per iscritto,

                                                                                                               

55 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 23.

56 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto ala riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 18.

57 Philippe Ariès e George Duby, furono due storici francesi, esperti

medievalisti, che completarono un’opera monumentale circa la storia della vita privata, divisa in 5 volumi.

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contribuendo a sviluppare anche delle riflessioni intime, delle riflessioni su sé stessi.58

Le modificazioni e l’evoluzione che hanno coinvolto l’individuo e il suo ruolo nello spazio pubblico, hanno necessariamente interessato anche la famiglia e la socialità.

La famiglia, infatti, diventa sempre più un luogo dove potersi rifugiare e poter coltivare rapporti concretamente affettuosi e non solo improntati al soddisfacimento di necessità primarie, e questo avviene a discapito della socialità che Ariès definisce “anonima”, quella ciò della piazza, della strada e della corte del castello; si tende quindi a coltivare, anche al di fuori della famiglia, rapporti di amicizia, la quale non viene più vista esclusivamente come “ una fratellanza d’armi dei cavalieri medievali, ma come un sentimento civile e una dolce relazione”59.

La Rivoluzione Francese portò con sé una sorta di momentanea battuta d’arresto, in relazione alla differenziazione e alla delimitazione tra i confini che stavano andando fissandosi tra i concetti di pubblico e di privato, poiché “nel pieno della rivoluzione francese, privato voleva dire fazioso e la privatezza veniva eguagliata alla segretezza che favoriva i complotti”60.

                                                                                                               

58 E. Guicciardi, Il “privato” di Duby, in La Repubblica (archivio), 27

novembre 1987, p. 32 consultabile al seguente indirizzo https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1987/11/27/il-privato-di-duby.html?ref=search.

59 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 20.

60 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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In questo periodo, vi era quindi “un’intensa politicizzazione della vita privata”61, la quale veniva scandagliata a fondo; e questa linea di condotta ebbe come conseguenza il ritirarsi sempre di più all’interno della famiglia, la quale veniva considerato il fondamento dello stato, la “cellula base della società civile”62.

La rivoluzione francese, inoltre, contribuì in modo significativo all’affermazione dei diritti dell’individuo e del cittadino, con una serie di importantissimi interventi che posero le basi per le evoluzioni successive: ci riferiamo, nello specifico, alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, emanata il 26 Agosto del 1789 e sviluppata sul modello della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, all’inviolabilità del domicilio e alla proibizione delle perquisizioni notturne: “la casa e la notte delineano uno spazio-tempo della privacy”63.

1.2.3. “L’età dell’oro” della privacy: Stati Uniti d’America tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.

Prima di procedere con l’analisi di quella che viene definita “l’età dell’oro” della privacy, pare necessaria una precisazione in relazione alla decisione di trattare separatamente, l’esperienza statunitense.

                                                                                                               

61 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 23.

62 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

alla protezione dei dati personali, op. cit., p. 23.

63 S. Nieger, Le nuove dimensioni della privacy: dal diritto alla riservatezza

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Le ragioni di questa scelta, sono da rintracciare, in primo luogo, nella volontà di dare spazio a quei contributi, sviluppati negli USA a partire dalla seconda metà dell’ottocento, che vengono universalmente riconosciuti come quelli che hanno dato origine alla riflessione giuridica sull’esistenza e la necessità di un diritto alla privacy; ed, in secondo luogo, approfondire in maniera dettagliata, il percorso dell’affermazione della privacy e della protezione dei dati personali in Europa.

La seconda metà dell’ottocento ha visto, negli Stati Uniti d’America, lo svilupparsi di un’importante riflessione circa la necessità della protezione giuridica della personalità di ogni individuo64.

Siamo nel periodo successivo alla guerra civile, un periodo di transizione, dove gli Stati Uniti d’America stanno attraversando un momento di mutamento economico e sociale; la Rivoluzione Industriale, oltre ad avere introdotto numerose innovazioni tecnologiche, le quali hanno contribuito allo sviluppo e al mutamento dell’economia, ha portato la nuova classe operaia dalle campagne alla città.65

Questo ripopolamento urbano ha indotto le persone, soprattutto quelle appartenenti agli strati più bassi della popolazione, a vivere gli uni vicini agli altri, in condizioni tali da non poter creare agevolmente gli spazi necessari a soddisfare quel desiderio di intimità individuale che andava sempre di più diffondendosi, come abbiamo meglio descritto nel paragrafo precedente.

                                                                                                               

64 F. Fabris, Il diritto alla privacy tra passato, presente e futuro, in Tigor.

Rivista di scienze della comunicazione e argomentazione giuridica, Trieste,

2/2009, p. 95.

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“Sono le condizioni materiali di vita ad escludere la privacy dall’orizzonte della classe operaia” 66sostiene Rodotà, e, per meglio spiegare questo concetto, aggiunge che “il “diritto di essere lasciato solo” può assumere un significato pesantemente negativo quando ciò implica il disinteresse per i meno abbienti, l’abbandono dei più deboli alla violenza sociale”67; considerazioni non valgono certamente per la borghesia, la quale, come abbiamo visto, aveva “di fatto la disponibilità di spazi fisici dedicabili all’intimità”68.

Nel diciannovesimo secolo, inoltre, “si stavano diffondendo nuovi mezzi d’informazione che sempre più costituivano un serio pericolo al riserbo della persona”69, come, ad esempio, i quotidiani, sia per il fatto che sempre più persone erano in grado di leggere che per il costo degli stessi, che diviene sempre più accessibile; e ancora, nel 1884, viene inventata la prima macchina fotografica istantanea, la quale era portatile, poteva scattare foto all’aperto ed aveva un prezzo sostenibile per molti70; l’impatto sociale di queste innovazioni è enorme: questi strumenti “permettono una rapidità e una quantità di diffusione di informazioni mai vista prima. Notizie d’interesse generale, avvenimenti d’oltreoceano, pettegolezzi locali: il quotidiano permette una rinnovata compenetrazione negli affari altrui, decisivi o velleitari che siano”71

                                                                                                               

66 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 23. 67 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. loc. cit., p. 24.

68 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

cit., p. 5.

69 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

loc. cit., p. 5.

70 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

loc. cit., p. 5.

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Si registra, inoltre, “un enorme aumento della quantità di informazioni personali raccolte da istituzioni pubbliche e private, rispondente soprattutto a due obiettivi: l’acquisizione di elementi necessari alla preparazione e alla gestione di programmi di intervento sociale e allo sviluppo delle strategie imprenditoriali private, e il controllo di conformità dei cittadini all’indirizzo politico dominante o ai comportamenti prevalenti”72; assistiamo quindi, alla nascita delle prime banche dati.

All’interno del quadro poc’anzi descritto, si colloca la vicenda di Samuel D. Warren, giovane avvocato di Boston, il quale, in seguito ad un interessamento continuo da parte di un giornale locale nei confronti della vita mondana della moglie, decise di utilizzare questa personale vicenda quale spunto per pubblicare, redatto insieme al collega Luois D. Brandeis, sul numero del 15 Dicembre 1890 dell’Harward Law Review, un saggio intitolato “The right to privacy”73.

Nel saggio, che viene tutt’oggi considerato un classico della dottrina giuridica statunitense, i due giuristi iniziano la loro riflessione partendo dal presupposto che, nel sistema di common law, l’individuo gode di una piena protezione ma che, a causa dei cambiamenti e delle innovazioni che intervengono in campo politico, sociale e culturale, risulta necessario, di tanto in tanto, ridefinire, o meglio riadattare, la natura e l’estensione di tale protezione.

                                                                                                               

72 S. Rodotà, Tecnologie e diritti, op. cit., p. 25.

73 F. Galgani, La nascita del diritto alla privacy negli Stati Uniti e in Europa,

in Informatica Libera, 2014, consultabile al seguente indirizzo https://www.informatica-libera.net/content/la-nascita-del-diritto-alla-privacy-negli-stati-uniti-e-europa.

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Essi continuano esaminando il termine e il contenuto del diritto di proprietà, i quali hanno subito un’estensione fino al punto di ricomprendere ogni forma di possesso, tangibile e intangibile; l’espansione della concezione del diritto di proprietà, secondo i due giuristi, è simile a quella occorsa al diritto alla vita, passato dal ricomprendere esclusivamente le forme di aggressione fisica ad accordare tutela allo spirito dell’uomo, ai suoi sentimenti e al suo intelletto, trasformandosi nel diritto a godersi la vita, il quale ricomprende in sé anche il diritto di essere lasciati soli.

Ecco che, secondo Warren e Brandeis, “il diritto alla privacy doveva essere inteso come right to be let alone. Si configurava come un diritto della persona ad escludere qualsiasi ingerenza estranea all’interno delle mura domestiche, e dunque come diritto a contenuto negativo (seclusion), che doveva consentire a ciascuno un isolamento “morale” per conseguire la peace of mind.”74.

Dall’analisi di quest’ultimo passaggio, traspare evidente lo schema di ragionamento tipico della borghesia del tempo, fondato sull’istituto della proprietà, secondo il quale se qualcosa, materiale o immateriale, mi appartiene, io, in quanto proprietario, ho la facoltà di oppormi ad ogni ingerenza da parte di terzi relativamente al bene oggetto di proprietà, possiedo, in altre parole, lo ius excludendi alios.

Ma il ragionamento di Warren e Brandeis non si ferma a questo punto; essi si rendono conto che, nell’ordinamento giuridico di common law, non è possibile rinvenire un principio direttamente deputato a proteggere l’individuo dall’invasione della propria privacy, e che risulta pertanto necessario procedere alla disamina del sistema giuridico utilizzando lo strumento dell’analogia.

                                                                                                               

74 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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L’istituto che, secondo i due giuristi, risulta più idoneo a ricomprendere in sé anche il diritto alla privacy pare essere il diritto di copyright, il quale protegge l’individuo garantendogli un diritto di proprietà e di decisione in relazione all’utilizzazione delle opere derivanti dalla mente.

Il problema di questa analogia risiede nel fatto che i prodotti “artistici” possiedano molti degli attributi riferibili alla proprietà (come, a titolo solo esemplificativo, un loro valore economicamente valutabile), cosa che non si può dire altrettanto della “pace dei sensi” derivante dalla non utilizzazione da parte di terzi di ciò che arte non è, ma che si limita ad essere un solo prodotto della mente (si può fare riferimento, ad esempio, a delle lettere private scambiate tra amici, o tra marito e moglie).

Warren e Brandeis osservano, dopo la disamina di una serie di casi giurisprudenziali ove il diritto di copyright è stato invocato, che quello che protegge l’individuo quando si tratta della tutela dei beni astratti, quali le produzione artistiche aventi valore economico apprezzabile, non si attiva a garanzia della non appropriazione ma si attiva a tutela della non pubblicazione75: quindi “la legge sul copyright proteggeva l’individuo accordandogli un property right […] chiedeva tutela per l’inviolate personality (inviolabilità personale) e non per la private property (proprietà privata), e che il diritto alla privacy doveva quindi sganciarsi dalla logica proprietaria e assumere la dignità di diritto autonomo”76 .

                                                                                                               

75 M. Surace, Evoluzione storico giuridica del diritto alla riservatezza : da

diritto borghese a sinonimo di libertà, 2005, consultabile al seguente

indirizzo http://www.adir.unifi.it/rivista/2005/surace/cap2.htm.

76 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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L’allontanamento dalla logica proprietaria si rende necessario perché “quando le manifestazioni del pensiero non derivano il loro valore dalle potenzialità di profitto ricavabili da una riproduzione o una vendita, quando il bene in gioco è semplicemente la tranquillità offerta dalla possibilità di prevenire una qualsiasi pubblicazione, diviene difficile pensare che si possa ancora rientrare in un’accezione, per quanto sia essa estesa, di proprietà. E’ questo l’ambito in cui il diritto alla privacy può trovare una prima, precisa collocazione: nella capacità dell’individuo di poter determinare, autonomamente, ciò che della sua vita sarà reso pubblico e ciò che resterà tra le sue mura domestiche.”77 Secondo i due giuristi, quindi, il diritto alla privacy è già presente all’interno del sistema giuridico americano e non è necessaria l’enunciazione di nuovi principi, ma serve solo che i Giudici adattino gli strumenti già presenti alle nuove sfide imposte dalle innovazioni tecnologiche e dall’evoluzione della società.

Il saggio di Warren e Brandeis ebbe molta risonanza poiché inquadrava una questione sempre più sentita all’interno della società e raccolse, ma nonostante ciò le loro considerazioni non furono immediatamente accolte con favore all’interno delle aule di giustizia78.

Questo atteggiamento di chiusura non durò comunque a lungo: già nel 1905 la Corte Suprema della Georgia, nel caso Pavesich vc New England Life Insurance Company, nel quale un attore citava la compagnia assicurativa per avere utilizzato una sua fotografia a fini                                                                                                                

77M. Surace, Evoluzione storico giuridica del diritto alla riservatezza : da

diritto borghese a sinonimo di libertà, 2005, consultabile al seguente

indirizzo http://www.adir.unifi.it/rivista/2005/surace/cap2.htm.

78 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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pubblicitari senza aver raccolto il suo consenso, riconobbe il diritto alla privacy qualificandolo addirittura come “derived from natural law” (derivante dal diritto naturale)79.

Successivamente alla citata pronuncia, la giurisprudenza si allineò alla dottrina sul tema e, dopo un primo periodo di ampia produzione giurisprudenziale80, il diritto alla privacy è stato finalmente fissato dall’American Law Institute nel Restatement of Torts del 1939.81

Il ventesimo secolo porta con sé nuove tecnologie e innovazioni sul piano politico e culturale: nascono nuovi strumenti di comunicazione, come il telegrafo e il telefono, e vengono inventati strumenti che permettono di intercettare e registrare le conversazioni private; nasce l’FBI, ente federale che si avvale di potentissimi mezzi investigativi prima utilizzati solo per scopi militari e poi estesi anche per il controllo dei civili; vengono creati archivi governativi, tramite i quali i cittadini e le informazioni loro relative vengono registrate per le più svariate motivazioni; le imprese private iniziano a catalogare la propria clientela e ad utilizzare le informazioni in loro possesso per mettere in atto le prime forme di profilazione.

E’ in questo contesto sociale, politico e culturale che la privacy passa dall’essere un’esigenza circoscritta alle persone note e ai soggetti appartenenti alle fasce più alte della popolazione, quali borghesia, strati più elevati della classe operaia e quello che rimane                                                                                                                

79 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

cit., p. 9.

80 Per una casistica delle pronunce in materia si veda T. M. Ubertazzi, Il

diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op. cit., p. 9.

81 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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dell’aristocrazia, ad essere avvertito come un bisogno trasversale, esteso all’intera collettività; questo mutamento è riscontrabile anche dall’analisi dell’attività delle aule di giustizia nelle quali, tra il 1900 e il 1905, assistiamo ad un aumento dell’invocazione del diritto alla privacy da parte di cittadini comuni.82

Ma se estendiamo, fino ad arrivare al 1960, il periodo nel quale analizzare le sentenze dei Giudici americani in materia di privacy, possiamo notare che esso è stato invocato per proteggere esigenze appartenenti all’individuo, raggruppabili in quattro categorie di interessi, nello specifico:

• Impedire l’intromissione di soggetti estranei all’interno del proprio spazio personale, inclusi i luoghi e le situazioni ove la sfera privata estende il suo dominio;

• Impedire la rivelazione di fatti privati, in particolare la pubblicazione di essi su quotidiani;

• Opporsi alla pubblica rappresentazione della propria persona in modo non veritiero o non corretto;

• Avere il controllo sui propri dati e impedire l’utilizzazione degli stessi per l’altrui profitto;

Come si può notare, la giurisprudenza ha avuto il merito di estendere la nozione di privacy di Warren e Brandeis, inteso come “right to be let alone”, adeguandola alle necessità di una società in divenire; nel 1960, William L. Prosser, in un articolo apparso sul Californian Law Review, ha risistemato le pronunce precedenti, non con il fine di proporre una nuova definizione di privacy unitaria ma inserendo                                                                                                                

82 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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invece le attività che violano la riservatezza in quattro diversi torts, i quali ricalcano le quattro categorie che abbiamo poc’anzi esaminato. La ripartizione di Prosser è stata recepita nel Restatement of Torts del 1977, anche se parte della dottrina non condivideva la sua conclusione circa non unitarietà del diritto alla privacy: Edward J. Bloustein, ad esempio, riteneva che in realtà gli interessi sottesi alla tutela della privacy non dovessero essere considerati distinti, ma potevano e dovevano essere ricondotti alla tutela della dignità umana unitariamente considerata.83

Anche la Corte Suprema si inserì nel dibattito e lo fece tentando di ritrovare protezione per la riservatezza all’interno della Costituzione Americana, inizialmente utilizzando, di volta in volta, i singoli articoli quale base delle proprie decisioni, per poi arrivare alla conclusione seconda la quale la privacy è un principio tutelato dalla costituzione complessivamente considerata.84

Le innovazioni tecnologiche degli anni ’70, ed in particolare “i nuovi strumenti di rilevazione e di memorizzazione dei dati altrui e le schedature di massa in banche dati computerizzate” 85 possibili grazie ai primi computer, hanno portato la dottrina alla conclusione che il diritto alla privacy inteso come “right to be let alone” non fosse più sufficiente, poiché la vera sfida imposta alla privacy dall’evoluzione

                                                                                                               

83 E. J. Bloustein, Privacy as an aspect of human dignity: an answer to Dean

Prosser, in New York University Law Review, 1964, p. 962 e ss.

84 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

cit., p. 25.

85 T. M. Ubertazzi, Il diritto alla privacy . Natura e funzioni giuridiche, op.

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