Ra f f a e l e Ci a s c a, S toria coloniale dell’ Ita lia contemporanea, Hoepli, Milano, Collezione storica V illa ri, 1938-XVI, pag. 557, con nove carte geografiche fuori testo.
N el riferire al terzo congresso di studi coloniali, tenuto a Firenze nell’aprile X IV , intorno agli studi di storia coloniale italiana, il prof.
Raffaele Ciasca dell’ Università di Genova rilevava che i m olti e va
lorosi nostri scrittori della materia, che avevano esposto e narrato episodi e periodi, singole vicende o generali avvenimenti, avevano dato una storia documentata ricca e viva dell’attività coloniale ita liana, composta spesso entro il più ampio quadro della nostra p oli
tica africana. Ma ora, aggiungeva, conveniva fare un passo avanti, inserire quella storia e la nostra politica coloniale entro il ben più vasto e movimentato quadro della politica europea. A questo criterio è appunto ispirato il suo recentissimo volume.
L a letteratura storica coloniale, specialmente negli ultim i anni e per ragioni che non hanno bisogno d’essere ricordate, è stata abbon
dantissima e ha assunto talora un elevato tono scientifico e, an
che nelle opere di divulgazione, un’ attitudine severa e serena, fuori dal dilettantismo impressionistico e dalla vacua rumorosità verbale.
Mancava tuttavia un lavoro serio, largamente informato, che nar
rasse tutta la storia coloniale italiana dai primi tentativi e barlumi, quando ancora l ’ unità nazionale non era compiuta, sino alla con
quista e a ll’ ordinamento d ell’impero, un’ opera cioè che, per il le t
tore desideroso di conoscere tutta la linea e il processo delle v i
cende nostre coloniali, tenesse il posto di un’intera biblioteca racco
gliendone il succo e presentandolo sotto un aspetto organico, stret
tamente connesso a tutti i lati e gli aspetti della vita nazionale.
Anche se l ’ espressione assume ormai l ’aspetto di luogo comune, bisogna dire che il denso, solido, informatissimo studio del Ciasca riempie questa lacuna e riassume e coordina un’infinità di studi anteriori dando dei fatti e dei momenti diversi i caratteri e i linea
menti essenziali.
Una esposizione più particolareggiata e minuta avrebbe richie
sto parecchi volumi, avrebbe forse corso il rischio di perdere di vista la linea generale e l ’idea inform ativa; il lettore desideroso di più ampie notizie particolari sui singoli argomenti troverà per ogni ca
pitolo e paragrafo un’ampia e sistematica bibliografia, non elenco
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farraginoso di libri disparati e probabilmente mai veduti, ma cer
nita ragionata e indicazione consapevole delle opere meglio utili e adatte a informare sulle singole questioni.
Ciò significa che questa vasta opera di sintesi è stata preceduta dalla minuta analisi diligentissima di una immensa produzione, ana
lisi che si manifesta spesso nella esposizione di fa tti ignoti o mal noti, nel non fermarsi e quasi ipnotizzarsi soltanto su alcuni dati ed avvenimenti di maggiore risonanza, costituenti le tappe princi
pali e le pietre miliari della vita coloniale italiana, ma nel lumeg
giare anche i momenti e i periodi intermedi che rappresentano la ne
cessaria saldatura tra i fatti più noti e di più vasta risonanza. ' Esemplificare significherebbe riassumere il volume, impresa m ol
to ardua dato il suo carattere di narrazione serrata vigorosa e con catenata; ma è certo che a molti che ignorano o hanno dimenticato può riuscire nuova, la esposizione delle difficoltà e delle complica
zioni che hanno accompagnato la modesta occupazione di Assab, av
venuta per l ’insistente e appassionata iniziativa del ligure Sapeto, quando l ’Inghilterra — fin da allora ! — cominciava ad « impensie rirsi dei passi italiani » lungo la « corda sensibile » ; come torna op
portuna la rievocazione del fatto che, quasi predestinazione di eventi futuri, i pionieri — esploratori, viaggiatori, missionari (e quanti l i
guri tra essi !) — che primi hanno conosciuta, percorsa, resa nota l ’Abissinia, sono stati tutti italiani. È anche equo aver mostrato che la debolezza della politica italiana- coloniale non è derivata da basso calcolo egoistico o da ignobile timore di rischio ma da una specie di concezione romantica della libertà, da preoccupazioni mo
rali, da rispetto del diritto, sia pure inteso in senso astratto e an
tistorico. Mentalità ingenua, derivata da un astratto sentimento di giustizia che rendeva perplessi spesso anche gli uomini m igliori ; con
dizione di cose che sarebbe ingiusto e pericoloso giudicare con odier
ni criteri ma per la quale bisogna riportarsi alle sopravviventi v i
brazioni romantiche del risorgimento e alle reali difficoltà tra le quali il nuovo Stato si dibatteva. C’erano tra quelli che avevano tanti scrupoli coloniali uomini dal passato eroico e benemerito ; nè mi sentirei, come altri ha fatto, di definire « ameno » il deputato Cavalletto che invocava « il più assoluto rispetto per l ’indipendenza degli africani » pensando che chi pronunciava, queste parole era un reduce delle galere asburgiche. Spiegare non significa giustificare ; ma la rievocazione di questo passato rende anche maggiore la co
scienza della maturità politica e dell’accresciuta capacità storica italiana. Anche allora, tuttavia, non mancavano uomini che ave
vano una diversa e meno ingenua e più realistica visione storica;
basta per tutti Francesco Crispi che nel 1882 deplorava mancasse al governo d’ Italia il coraggio che non era mancato al piccolo Piemonte.
Venendo a tempi posteriori, ai molti non specialisti, lettori
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tolosi e distratti dei giornali quotidiani, la politica coloniale fasci
sta in Libia e in Somalia, prodromo e preparazione necessaria a più grandi eventi conclusivi, apparirà materia nuova, almeno come o r
ganica sistemazione.
N ella politica clie precede la prima Adua si parla sempre dei due opposti metodi personali del Crispi e del D i Rudinì : tra que
sti va inserito quello che fu in realtà il più deleterio, il metodo e la politica del primo ministero G iolitti. E Pesemplificazione potreb
be continuare.
Ma ciò che più importa nell’opera del Ciasca è Paspetto nuovo al quale è informata. La. politica coloniale, cioè, vi è inquadrata non soltanto nella storia e nella vita dei popoli e delle terre conquistate, nelle nostre necessità politiche, economiche, demografiche ma anche e sopra tutto nella politica estera italiana. L ’autore è giustamente partito dal concetto che la storia coloniale di un paese è anzitutto la storia della sua politica coloniale attraverso le varie epoche, nelle sue cause, nei suoi metodi, nei suoi risultati, vista dalla metropoli e dalle colonie ; e poi anche la storia dei rapporti di quello Stato con gli altri paesi civili, relativamente alle colonie e ai problemi co
loniali e ai problemi di equilibrio politico, militare, economico che che vi sono più o meno strettamente connessi. E gli ha studiato per
ciò ed espone il giuoco della politica coloniale entro la tram a della politica italiana nella politica europea dalla quale è stato spesso condizionato.
A d Assab ci siamo trovati di contro non tanto l ’ E gitto quanto (guarda combinazione !) la Gran Bretagna. D alla presa di Massaua alla occupazione della Libia abbiamo incontrato resistenze ed osti
lità non di eritrei e di turco-arabi ma di Stati europei schierati in un sistema di forze politiche del quale noi non facevamo parte o ai cui interessi contrastavamo. L ’atteggiamento francese alla corte del negus tra lo sbarco di Massaua e la pace di Addis Abeba, l ’ a t
teggiamento delle potenze europee a proposito del richiesto passag
gio di nostre truppe a Zeila durante la guerra etiopica del 1895-96, stanno a ricordare che gli avvenimenti di quelle lontane terre a fr i
cane erano seguiti in Europa con attenzione molto più viva: ed ave
vano agli occhi dei dirigenti della politica europea importanza in comparabilmente maggiore di quanto a prima vista si potrebbe r i
tenere. Le relazioni tra la conquista imperiale e la politica europea e mondiale sono troppo recenti per aver bisogno di essere ricordate.
Ma la spedizione etiopica ha appunto mostrato chiaramente quan
to gli avvenimenti africani siano condizionati e connessi agli in trecci della politica europea : e l ’esperienza· della guerra imperiale ha insegnato a vedere sotto questo angolo visuale, meno particolare e ristretto, la politica coloniale italiana.
Maturata in tale esperienza, l ’opera del Ciasca è perciò anch’essa,
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in certo modo, una conseguenza e un indice del nuovo spirito im pe
riale ed è insieme, appunto per questo, una delle più belle manife
stazioni della nuova storiografìa italiana, dotata di largo e ampio respiro, degna di una storia che si è svolta in vastissimo piano, nel pieno circolo del mondo.
Vit o Vi t a l e
Ugo Ox i l i a, I l periodo ivapoleomco a Genova e a Chiavavi (1797-1814). Genova, Casa Editrice Apuana, 1938-XVI, pag. 136.
In una seduta della Società Ligure di Storia Patria, or sono alcuni anni, discutendosi di possibili lavori di storia ligure, uno dei presenti uscì a dire che non esisteva una storia dell’ età della Repubblica· Ligure e del dominio napoleonico a Genova. G li fu os
servato che, se non esisteva con questo titolo preciso, pure una sto
ria di tale periodo era compresa in non poche narrazioni recenti e meno recenti. L ’osservazione aveva tuttavia il suo fondamento.
Ed ecco che come opera a sè, come studio di quel momento, iso
lato da altre vicende o altri elementi anteriori e posteriori, appare ora il lavoro del prof. Oxilia. Simpatico lavoro, spigliato, ben d eli
neato e condotto, informatissimo della bibliografia anteriore, ado
perata con una scrupolosa probità che fa quasi meraviglia perchè non si può dire che sia di troppo generale consuetudine.
Si può affermare che tutto quanto si sa del periodo qui è rac
colto e sistemato e organicamente esposto. Dalla preparazione rivo
luzionaria che si manifesta negli ultimi anni della repubblica a ri
stocratica, alle vicende del 22 e 23 maggio 1797 che hanno offerto al Bonaparte il desiderato pretesto d’intervento a trasformare la repubblica in democratica e farsene più sicuro e obbediente stru
mento, al governo provvisorio e poi ai vari periodi della torbida e turbolenta repubblica, minacciata dalla reazione e oppressa dalla proteziose francese, al famoso assedio dell’SOO, sino al passaggio della Liguria a ll’impero e quindi al tentativo della restaurazione re
pubblicana e all’annessione al Piemonte, tutti i momenti e le fasi di quell’esistenza così torbida e agitata sono esposti in capitoletti scorrevoli, pieni di notizie accuratamente vagliate e sagacemente collegate.
Onesta, dunque, riassuntiva, utile e opportuna, raccolta e siste
mazione del materiale edito e degli studi sinora compiuti sull’a r
gomento. C’è anche una parte nuova, intorno alla quale è venuto ad intessersi tutto il resto del lavoro ; ma questa, rappresentata da una cronaca contemporanea e da altri pochi documenti chiavaresi, r i
ferendosi a fatti particolari di interesse locale, se dà pennellate che servono alla pittura del tempo e dell’ambiente, non reca elementi nuovi di giudizio per la storia generale della regione.
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L o studio dell’Oxilia è così una buona sintesi ma, come, del re
sto, ogni lavoro, è una sintesi provvisoria. Esso fa anzi accrescere il desiderio e rinnovare il voto che un periodo storico così im por
tante, e tanto indagato per le altre regioni d’ Ita lia , sia ricercato su nuove e più ampie basi. L ’Archivio di Stato di Genova ha in pro
posito un materiale immenso e prezioso e sinora poco adoperato ; mi sia permesso ricordare che ne ho dato un cenno sommario in que
sto Giornale (1937-XV, pag. 90 e segg.). I l solo periodo dal giugno 1797 al dicembre 99 ha offerto materia alla D ott. Margherita Castello per un’ampia· tesi di laurea che meriterebbe di essere pubblicata.
Per l ’età dell’annessione a ll’ im pero è invece necessario ricorrere agli Archivi Nazionali di P a rigi ricchissimi di m ateriale relativo a Genova e alla Liguria. Soltanto ricerche in profondità ed esplora
zioni sistematiche in questi fondi preziosi permetteranno di dare una visione non generica e superficiale ma sicura e soddisfacente della amministrazione, dell’ economia, della vita politica, del pensiero l i gure in un momento che, comunque si voglia giudicare, ha im por
tanza fondamentale nella storia italiana e sulle origini del risorgi
mento nazionale.
V it o Vi t a l e
Vin c e n z o Ba n d i n i, A ppu n ti sulle corporazioni romane. Milano, D oft.
Antonio Giuffrè, Editore, 1937-XV.
In queste pagine, che l ’autore chiama modestamente appunti, è il quadro completo della formazione e dell’evoluzione delle corpora
zioni romane in rapporto naturalmente con tu tti i problemi che pre
senta questo campo di studi di somma importanza per la conoscenza della vita sociale, giuridica e politica di Roma, e che come osserva l ’A ., può costituire una preziosa esperienza anche per la nostra epo
ca moderna.
Per questo motivo appunto se ne fa cenno in questa R ivista per
chè il libro, come quello che sintetizza la più varia e recente c r i
tica sulle associazioni di mestiere e in genere sulle collettività di cittadini del mondo romano, è un buon contributo di informazione agli studiosi del medioevo e a tutti coloro che nei secoli successivi a ll’impero studiano gli elementi nuovi nella forma di vita: e negli istituti rispetto alle sopravvivenze dell’antica civiltà romana, p ro
blema che spesso si impone a ll’esame per la nostra regione.
« M olti sono stati, specialmente in questi ultimi anni gli studi dedicati a questo argomento. Ma quasi tu tti hanno considerato lo sviluppo delle Corporazioni in Roma dai primordi fino al d iritto giustinianeo come se si trattasse di un unico istituto, senza avvertire la profonda differenza fra l ’antica corporazione e la corporazione del Basso Impero, espressione questa di un nuovo sistema pubblici
stico ed amministrativo ».
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Tenuto conto di questa distinzione, il Bandini raccoglie tutti g li elementi di più probabile accettazione per studiare la natura delle antiche associazioni di carattere privato e di quelle di carattere pubblico e tracciare poi a grandi linee la classificazione, la vita e la funzione dei corpora e dei collegia del basso impero, facendo no
tare Pimportanza della novità nella funzione di tali associazioni r i spetto allo stato dopo il terzo secolo.
Lo studio del Bandini presenta l ’interessante particolareggiata documentazione di questa premessa : « In Roma, fino dalle origini, vivono nettamente distinte, con peculiari caratteri politici e giu ridici, associazioni private (.sodalitates) ed associazioni pubbliche.
In un momento successivo lo stato si presenta come unico ed esclu
sivo regolatore delle attività del singolo. Partendo da questa pre
messa, lo Stato coordina gli individui e le più svariate forme asso
ciative di essi ; le associazioni private che prendono il titolo di co l
legia tenuiorum, in cui ogni membro conserva, intatta la propria individualità e personalità giuridica ed in cui non si ha la creazione di ente distinto dai membri, cadono anch’esse in regime di autoriz
zazione ». Distinte da queste sono le altre associazioni che fino al- Pinizio si dicono tecnicamente collegia. Per collegium i Romani in tendono un insieme di individui uniti per uno scopo unico, supe
riore alPinteresse individuale, alludono ad una figura che corrisponde press’a poco alla nostra moderna nozione giuridica di collegio.
Scopo di una collettività per il pensiero romano non può essere che Putilità pubblica.
Le associazioni di questa specie vivono sempre in regime di au
torizzazione, mai in libertà.
Dopo aver detto delle più attendibili testimonianze sui « sacra publica » e i « sacra popularia », i « sacra » delle curie e i « saera » dei vici, il Bandini classifica le associazioni romane dei primi sei secoli nelle seguenti forme : « collegi sacerdotali », composti di sa
cerdoti che al servizio dello Stato vengono nominati dai sommi organi di questo e con la forma della coaptatio — « sodalità genti
lizie », comprese nella curia, formate da più fam iglie o gentes, pro
babilmente discendenti da uno stesso capostipite — « i vicini » che formano fratellanze, dove a ll’ elemento gentilizio se ne sostituisce un altro dato dalla comunanza di interessi e le « sodalità » propria
mente dette che non assumono mai una veste giuridica, restando sempre associazioni di fatto.
Un interessante capitolo è dedicato alla questione delPorigine dei collegi professionali o collegi di mestiere alla quale si collegano i quesiti sullo scopo dei primi collegi, se essi sorgano per iniziativa privata o per iniziativa, dello Stato, se il loro numero era limitato, se faceva bisogno di un’autorizzazione, a quale classe appartenes
sero i membri, il problema della libertà di associazione nella
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biica e le misure repressive degli ultim i anni, richieste dalla frequen
za con cui dovevano sorgere le associazioni di mestiere per m olte
plici cause d ’ ordine politico-economico e la conclusione che i primi collegi professionali sorgono dalle associazioni di mestiere. Queste e quelli rispondevano allo stesso scopo. L a loro utilità pubblica, con
sisteva nella* considerazione di una attività necessaria alla vita dello Stato. I membri del collegio di mestiere potevano essere artigiani o meno. Lo Stato si lim itava a comprovare F utilità della professio
ne e la necessità che questa avesse continuità.
Troviam o poi, opportunamente lim itata ai dati che permettono le più attendibili ipotesi, l ’ illustrazione della politica di Cesare e di Augusto in questo campo della vita civile, per arrivare, infine, a ll’ accennato studio delle corporazioni nel secondo e terzo secolo do
po Cristo, quando i « collegia » perdono il carattere di organizzazioni destinate a raggiungere interessi di una collettività di cives e spa
riscono di fronte alla sempre più invadente attività dello Stato, o si trasformano in organi pubblici. Trasformazione che è il fru tto di una lunga evoluzione la quale si manifesta già matura a ll’epoca di Costantino.
L ’ origine, i lim iti e le vicende del vocabolo corpus rispetto alle associazioni e in confronto di collegium, la costituzione e la fu n zione delle curie e dei municipi, le corporazioni in particolare e le condizioni dei membri di una corporazione, la personalità giuridica e gli effetti della personificazione e, in ispecie, la questione della personificazione dei « collegia tenuiorum » sono altrettanti temi di utili e im portanti considerazioni e deduzioni condensate in questi dotti « appunti », fru tto dell’acuto studio delle fonti epigrafiche e letterarie e del coscienzioso vaglio di una ricca bibliografia.
Ma r io Ce l l e
Al d o b r a n d in o Ma l v e z z i, Cristina di Beigioioso, I I I , Pensiero e Azione, Milano, Treves, 1937.
Di particolare interesse, in questo terzo volume — dal sottoti
tolo così tipicamente mazziniano — è ciò che il Malvezzi può d ire di nuovo e di chiarificatore intorno ai rapporti tra il Mazzini e lai Beigioioso.
Per farci conoscere quale concetto avesse il grande Genovese del
la Principessa lombarda possono servire le lettere ch’ E g li le scrisse e che, finora inedite, troviamo adesso in questa pubblicazione.
L o spicciativo giudizio sulla Beigioioso dato dal Mazzini nel ’ 50, in un colloquio del tutto fam iliare con la Madre, non persuade per
chè non risponde nè alla complessità della giudicata, nè alla saga
cia psicologica del giudicante.
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È vero che questo dai suoi informatori, veniva erudito soprat
tutto sulle cronache scandalistiche, d’ origine poliziesca e mondana, tali sempre da calunniare quella gentildonna; è vero che il Mazzini, male informato sulle reali possibilità economiche di lei, le rim pro
verava — anche se non apertamente — di non aver dato e di non dare di più per la causa nazionale; è vero ancora che l ’ unitarismo monarchico e le tendenze riformistiche della Beigioioso non erano fa tti per cattivarle le simpatie del Repubblicano rivoluzionario, ma è altrettanto vero che il Mazzini fu sempre onestamente pronto a r i
conoscere la verità.
E una verità era l ’opera molteplice dell’esule signora a vantag
gio della causa comune ; l ’attività giornalistica che, comunque orien
tata, rivelava ingegno e animo di non comune valore.
fyleglio e più di giudizi dati a terzi, vale per comprendere la ve
rità, cogliere nelle parole scritte alla. Beigioioso il genuino senti
mento del Mazzini.
Leggiamo dunque le lettere che il Malvezzi ci consente, ora, di conoscere.
L a prima è del 24 agosto 1848, in risposta alla Principessa. I l tono è amichevole, ma vigilato. Contiene una richiesta di da.naro, evidente anche se non è nè esplicita nè diretta.
Il 4 settembre, ne segue un’altra : « Ricevo la vostra con gioia uguale a quella con cui la scriveste » e continua con un accento più spontaneo e cordiale: « io .... sapeva.... che non avreste, potendo, aspettato invito per sacrifìci. Vogliate credere che tra i conforti che io ho nelle condizioni presenti non è ultimo quello di avervi amica e attiva con noi ». E più avanti: « V oi giovate intanto alla buona causa anche con la vostra penna. Siete d’animo abbastanza colto e generoso.... ».
Quell’anche e quell’abbastanza non sono davvero di un adula
Quell’anche e quell’abbastanza non sono davvero di un adula