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l’analisi delle opportunità offerte dalla Bre.Be.Mi al territorio

2. Rassegna della letteratura

La letteratura relativa alla valorizzazione del patrimonio culturale è ampia sia in termini di definizioni che di evoluzioni in quanto argomento caratterizzato da multidisciplinarità e da matrici culturali diverse. Si è deciso di scomporre l’analisi in due parti: nel paragrafo 2.1 si considerano la definizione e l’evoluzione del concetto di valorizzazione; mentre nel paragrafo 2.2 si illustrano la definizione e l’evoluzione del concetto di patrimonio culturale. In entrambi i casi si fa riferimento sia alle definizioni di tipo manageriale sia a quelle di tipo giuridico.

Da ultimo si considerano la dimensione organizzativa e quella manageriale, trattate nel paragrafo 2.3 e nel paragrafo 2.4, dove si propone una definizione specifica di marketing territoriale.

2.1 Il concetto di valorizzazione

I concetti di valorizzazione e di patrimonio culturale sono stati nel tempo prerogativa di discipline come arte, storia e filosofia. Per molto tempo l’economia ha dedicato scarsa attenzione alla valorizzazione del patrimonio culturale (Vecco, 2007) in quanto il patrimonio culturale è stato originariamente oggetto di conservazione più che di valorizzazione. Golinelli (2008) aggiorna questo tema affermando che il patrimonio culturale è una risorsa rara e non può più essere relegata a un ruolo metafisico o di valore ideale, ma deve essere accompagnata da un’azione che la integri nel nostro modo di vita. Per questo motivo introduce il concetto del necessario passaggio da “salvaguardia pura” a “valorizzazione”.

L’ipotesi di Golinelli è verificata dal fatto che il nesso cultura-impresa-territorio è sempre più forte. Ciò è dimostrato sia sul piano empirico, perché l’incremento del turismo culturale implica maggiori opportunità di impresa, sia sul piano teorico, perché il patrimonio culturale è diventato fonte di vantaggio competitivo grazie al valore tecnico di conoscenza e simbolico di cultural

heritage che si aggiunge a quello di output.

Anche Vecco (2007) afferma che l’evoluzione del concetto di patrimonio culturale vede la conservazione non più in antitesi con l’innovazione, perché conservare significa moltiplicare i luoghi di interesse che possono generare valore.

La definizione giuridica di valorizzazione, così come ci viene consegnata dall’ordinamento nel 2004, è la seguente: “l’esercizio delle attività e delle funzioni dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”. Si tratta di una definizione più aperta e dinamica poiché comprende i possibili adattamenti alle evoluzioni della società (Baldacci, 2004).

Dal punto di vista del management, invece, la valorizzazione consiste nella trasformazione della cultura in un racconto collocato nello spazio e nel tempo allo scopo di cogliere una gamma complessa di valori (Dragoni, 2005). Perché ciò sia vero, il valore d’uso deve essere anteposto al valore in sé. Grönroos e Helle (2012) definiscono il valore d’uso come guadagno mutuale tra due attori di una relazione e sviluppa la metrica del return on relationship per misurare il ritorno corrispondente per i partner della relazione fornitore-cliente.

Con riferimento alle motivazioni che stanno dietro alla valorizzazione del territorio, Greffe et

al. (2006) affermano che il patrimonio è diventato vettore di sviluppo economico e sociale. Non

solo esso genera posti di lavoro nel settore turistico, ma anche una catena di effetti simbolici che rafforzano i legami sociali. Mossetto (2001) teorizza tre motivazioni: 1) l’unicità del patrimonio culturale; 2) l’uso attuale del patrimonio culturale; 3) la sua produttività futura. Che la valorizzazione del patrimonio culturale sia fonte di ricchezza economica è dimostrato dal proliferare di metodi di valutazione del patrimonio. Si pensi, per esempio, agli studi basati sui metodi dei valori contingenti (Mazzanti, 2002) oppure agli studi sulle implicazioni economiche del valore sulle imprese della filiera, in termini di impieghi e strumenti economici utili (Greffe, 2008).

2.2 Il concetto di patrimonio turistico-culturale

Analizzato il concetto di valorizzazione, il presente paragrafo prende in esame il concetto di patrimonio culturale. È il Rinascimento a consacrare il valore del passato come patrimonio da proteggere e da trasmettere (Vecco, 2007). La natura del patrimonio risulta essere collegata alla famiglia, tramandabile di generazione in generazione. Dai tempi della Rivoluzione francese in poi, il patrimonio assume una connotazione collettiva in quanto testimonianza della continuità storica che legittima la proprietà della comunità nazionale (Graham et al., 1997). Nel Settecento il concetto di patrimonio si evolve ulteriormente grazie alle vicende della storia d’Inghilterra. Viene coniato il termine di heritage che significa eredità materiale e immateriale che viene trasmessa per diritto di successione dai privati al pubblico (Timothy e Boyd, 2003). In questo lavoro con il termine heritage si definisce il patrimonio condiviso che si materializza in luoghi deputati a celebrarlo, accessibili a tutti. Esso si declina attraverso le heritage practices che sono la ripetizione di parole e comportamenti unitamente agli heritage sites, ovvero ai luoghi della memoria2.

Heritage e heritage tourism sono intimamente connessi. Infatti, quest’ultimo fa riferimento alle

origini storiche del turismo da individuare nel settecentesco Grand Tour che aveva come scopo la conoscenza della diversità culturale per vivere i caratteri della cultura locale di una terra lontana (Griffin et al., 1994). Oggi la World Tourism Organization (WTO) definisce turismo culturale lo spostamento di persone spinte da motivazioni culturali o persone che, confrontandosi con la diversità, aumentano la loro conoscenza.

Anche il termine heritage si è evoluto nel tempo. Si pensi alla definizione di Bowes (1989) come summa della storia e della geografia passati e presenti di una nazione. Oppure a Ashworth e Tunbridge (1999) che identifica l’heritage con gli usi e costumi di un popolo. Merriman (1991) interpreta l’heritage come cura del patrimonio e dell’identità in contrapposizione alla manipolazione definita come heritage industry. Per Cassia (1999) la storia produce conoscenza e l’heritage è un mezzo per fruirne, mentre per Richards (1996) l’heritage è il turismo degli oggetti del passato e delle opere d’arte contemporanee o dei modi di vita. Poria et al. (2003) ritengono che l’heritage sia un sottoinsieme del turismo, basato sugli attributi storici di un sito.

Il paper in oggetto approfondisce anche il patrimonio inteso come siti religiosi. Per turismo religioso, si intende un viaggio per motivi religiosi e non economici. Il turismo religioso è la forma più antica di turismo non economico (Timothy e Boyd, 2003). Chizzoniti (1998) descrive il turismo religioso come quel complesso di «relazioni giuridiche afferenti al fenomeno socio-economico caratterizzato dal viaggio o dalla permanenza in luoghi diversi da quelli di normale residenza quando esso sia motivato da un fine religioso (turismo religioso oggettivo o in senso stretto) o quando, pur mancando una motivazione religiosa, riguardi espressamente soggetti religiosi (turismo religioso soggettivo, o in senso lato. La prima forma di turismo religioso è il pellegrinaggio. Vukonic (2002) descrive il pellegrinaggio come un viaggio fisico per incontrare il sacro che, già dalla fine dello scorso secolo, evidenzia un positivo trend di crescita (Jackowsky e Smith, 1992). Come conseguenza, cresce l’interesse per le potenzialità espresse dal turismo religioso soprattutto

2 La traduzione di heritage impiegata dalla Commissione Europea in epoca contemporanea per l’Italia è quella di patrimonio

nell’ambito di eventi mondiali quale il Giubileo del 2000. In simili occasioni si annoverano importanti interventi pubblici e normativi finalizzati a facilitare l’accoglienza dei pellegrini (Feliciani, 2000).

Turismo e religione si intersecano sempre più attirando l’attenzione di studiosi che cercano di analizzare questa relazione da vari punti di vista. Bremer (2005) individua tre possibili chiavi di lettura: l’approccio spaziale che attribuisce ai pellegrini diversi comportamenti rispetto all’occupazione dello stesso spazio; l’approccio storico che studia la relazione tra forme di viaggio religioso e turismo; infine, l’approccio culturale, che identifica pellegrinaggi e turismo con pratiche di epoca post-moderna.

2.3 La dimensione organizzativa della valorizzazione patrimoniale: le relazioni

Golinelli (2008) afferma che la valorizzazione patrimoniale, che ha per oggetto l’heritage così come precedentemente definito, può essere sviluppata sia utilizzando fattori organizzativi come i networks sia fattori manageriali come il marketing relazionale per gestire i rapporti all’interno e al di fuori del territorio in modo da costruire un contesto adeguato in cui domanda e offerta possano adeguatamente interagire (Tamma, 2010).

Anderson et al. (1994) affrontano il tema del business network definito come l’insieme di aziende collegate e delle relazioni intercorrenti tra loro. Guia et al. (2006) sviluppano il concetto di network per il territorio. La centralità della destinazione all’interno del network globale di contatti genera principalmente lo sviluppo di nuovi prodotti, l’innovazione e, quindi, il valore che ha utilità sociale.

In riferimento alla dimensione della relazione, Payne e Froy (2005) evidenziano l’importanza di curare le relazioni con i clienti potenziali. Gummesson (2014) conferma che la creazione di valore, che attiene appunto al processo di valorizzazione del patrimonio, avviene attraverso un intero portafoglio di relazioni. Poiché il marketing relazionale è “interazione in network di relazioni” (Gummesson, 2002), è possibile distinguere le relazioni in: a) relazioni di mercato classiche e speciali, b) mega-relazioni, c) nano-relazioni. Le mega relazioni sono le relazioni che si collocano al di sopra delle relazioni di mercato; vi rientrano le lobbing, l’opinione pubblica e il potere politico. Le nano-relazioni sono le relazioni che si trovano al di sotto delle relazioni di mercato, all’interno di un’organizzazione; vi rientrano le relazioni tra clienti interni e mercati interni. L’introduzione di questi due livelli di relazioni è imprescindibile per intraprendere qualsiasi progetto di valorizzazione del territorio.

2.4 La dimensione manageriale della valorizzazione patrimoniale: il marketing territoriale

La dimensione manageriale della valorizzazione del patrimonio attiene al marketing territoriale. Trueman et al. (2001) sostengono che la brand orientation influenza positivamente la brand

performance in caso di brand destination. Da questo punto di vista, Hankinsson (2007) afferma che il marketing territoriale lancia un prodotto vecchio anziché uno nuovo e, pertanto, la sua è un’attività di re-branding più che di branding vero e proprio. In un successivo lavoro, Hankinsson (2012), attraverso un metodo qualitativo di path modelling, determina che la performance del brand applicato alla destinazione o a un territorio è positivamente influenzato dalla brand orientation. Quest’ultima è misurabile come sommatoria di: cultura di brand, coordinamento tra dipartimenti, comunicazione di brand, livello di partnership con gli stakeholders e, infine, grado di correlazione del brand con la realtà.

Per Caroli (2006) l’applicazione delle pratiche di marketing management al territorio richiede alcune specificità dato che il marketing non è direttamente applicabile ai contesti geografici essendo i territori spesso complessi, eterogenei e autonomi.

Si propone così un adattamento dei tradizionali strumenti operativi. In tale ambito, per

Zucchetti (2008) il marketing territoriale è: a) sia un’attività di raccordo delle azioni collettive finalizzate alla promozione e allo sviluppo di medio-lungo periodo delle attività presenti sul

territorio; b) sia un’attività di rappresentazione delle opportunità che il contesto istituzionale, imprenditoriale, sociale ed economico offre a potenziali iniziative in grado di inserirsi in modo coerente rispetto ai valori tangibili e intangibili quali cultura, retaggio storico, patrimonio artistico che contraddistinguono l’ambiente territoriale oggetto dell’azione. Ciò premesso, nel presente lavoro per marketing territoriale si intende l’applicazione di regole di programmazione, valutazione, governo e promozione di un territorio al fine di attrarre il mercato dei produttori e consumatori in un ambiente variamente considerato. In questa maniera, infatti, il territorio è un ambiente onnicomprensivo in cui vengono inclusi i modi e gli stili di vita (Casella, 1997).

Nel corso del tempo la definizione di marketing territoriale si è evoluta. La letteratura ha sottolineato l’inadeguatezza di una definizione tradizionale (Rizzi, 2006) poiché è necessario considerare elementi tecnici, tecnologici, economici, politici, interdipendenze (Rullani, 1992) nonché una pluralità di attori (Pavitt, 1984). Si è così passati dal distretto industriale al milieu

innovateur in cui il territorio aggrega cultura, attori, attività e ambiente grazie alle relazioni favorite

dal territorio dai cluster di Porter (1998) alla nuova geografia economica di Krugman (1995), che definisce le economie di agglomerazione e spiega i comportamenti aggregativi attraverso i rendimenti crescenti, i costi di trasporto e i movimenti migratori. L’aspetto comune è il progressivo inserimento di nuovi soggetti nuovi, quali le istituzioni pubbliche, che calibrano il proprio intervento di promozione quanto più conoscono il territorio (Rizzi, 2006). Più specificatamente, Van der Meer (1990) definisce il marketing legato a un territorio come l’insieme di attività finalizzato a coordinare la fornitura di funzioni urbane con la domanda espressa dai residenti, imprese locali, turisti e altri utilizzatori del territorio. Ashworth e Voogd (1995) parlano di un processo attraverso il quale le attività urbane sono poste in relazione con la domanda proveniente da clienti-obiettivo al fine di massimizzare il funzionamento efficiente dell’area secondo gli obiettivi sociali ed economici fissati. Valdani e Ancarani (2000) sviluppano il tema delle determinanti interne ed esterne di concorrenzialità territoriale che stimolano il marketing territoriale. Le ragioni che spiegano la necessità di utilizzare il marketing territoriale comprendono l’accresciuta competizione tra le aree, i rapidi cambiamenti tecnologici che rendono meno stabili le economie degli aggregati territoriali e, infine, il nuovo ruolo del soggetto politico-amministrativo. Su quest’ultimo aspetto Rizzi (2006) evidenzia la necessità di ottimizzare le risorse attraverso la responsabilizzazione del ruolo dell’autorità locale e il coordinamento degli attori della promozione in tema di messaggio da veicolare all’esterno.