fenomeno, criticità assicurative e
ipotesi di soluzione del fenomeno
Luigi Mastroroberto
medico legale, consulente di Direzione UNIPOL Assicurazioni, Bologna
I dati riguardanti il fenomeno “responsabilità professionale medica” indicano come negli ultimi 20 anni vi è stato un costante incremento delle denunce e dei reclami da parte dei cittadini, con conseguente aumento esponenziale del numero e dell’entità dei risarcimenti corrisposti sia in via giudiziale, sia in via extragiudiziale.
Questo andamento della casistica ha determinato diverse e importanti criticità.
Innanzitutto, le Compagnie di assicurazione stanno abbandonando questo settore del loro mercato, fenomeno assolutamente allarmante perché testimonia come il sistema che ruota attorno alle richieste di risarcimento per colpa medica è talmente confuso e in evoluzione da rappresentare per le imprese di assicurazione un rischio non tarabile, non determinabile e quindi non assumibile.
Per giunta, le (poche) Compagnie che ancora si prestano a erogare questo servizio, lo fanno proponendo un incremento esponenziale dei premi e garanzie sempre più ridotte, con conseguente ulteriore aggravio dei costi da parte delle Aziende sanitarie. Essendo da escludere che l’incremento delle denunce e dei reclami sia legato al peggiorare della qualità dell’assistenza sanitaria (il cui standard qualitativo medio è, al contrario, in progressivo miglioramento), l’origine di questo fenomeno va dunque ricercata in motivazioni diverse e più profonde e fra queste le due principali che sono state individuate sono:
• una diversa percezione del cittadino del concetto di diritto alla salute e crescenti aspettative di risultati dalla medicina;
• il mutare, nel corso di questi ultimi anni, del modo di intendere giuridico del concetto di colpa professionale medica.
In riferimento a ciò, è verosimile ritenere che una parte di eventi avversi da trattamento sanitario ascrivibili a errori veri, prima non denunciati per una sorta di soggezione nei confronti della classe medica, oggi è sempre più oggetto di denuncia e/o di richiesta di risarcimento. È però anche evidente, analizzando la casistica, che in un numero non trascurabile di casi il reclamo è dovuto semplicemente a cattivi rapporti di comunicazione fra paziente e/o suoi familiari e personale (medico o non medico), così come è evidente che in molti altri casi il paziente, convinto che la medicina sia oggi in grado di risolvere
Rischio e sicurezza in sanità Tavola rotonda
Dossier 109
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qualsiasi problema sanitario, vive come fallimento del trattamento sanitario e tende a denunciare come errori eventi che, in realtà, configurano della semplici complicanze o addirittura si identificano soltanto in una mancata guarigione.
Dall’altro lato, l’evoluzione giuridica degli ultimi dieci anni, sia pur nel meritevole obiettivo di dare maggiori tutele al cittadino, ha esteso il concetto di danno risarcibile da trattamento sanitario, fino a ritenere presunta la colpa in quei casi in cui, a fronte di una prestazione sanitaria che non rivesta il carattere della speciale difficoltà (casi che di fatto rappresentano la stragrande maggioranza), si verifichi un evento avverso che determini un “... peggioramento delle condizioni del paziente”.
Tutto ciò ha peraltro generato un ulteriore fenomeno che in questi ultimi anni ha assunto una dimensione allarmante, ossia il crescente ricorso al giudizio penale che, diversamente dalle sue finalità proprie, ha troppo spesso la sola motivazione di forzare l’accesso all’azione risarcitoria, ma che pure contribuisce a gravare (e non solo in termini di risorse economiche) sull’intero sistema e sull’intera collettività.
Data la complessità del fenomeno, è di tutta evidenza che una riflessione sull’argomento debba essere avviata da tutte le figure che in qualche modo sono coinvolte e non è da escludere l’ipotesi che l’intero sistema, proprio per la rilevanza non solo economica che ha assunto e che soprattutto assumerà verosimilmente nel prossimo futuro, venga in qualche modo regolamentato da provvedimenti legislativi, che in altri paesi sono già stati adottati (come ad esempio in Svezia e in Francia) o sono in fase avanzata di studio. E ciò è tanto più indispensabile e urgente se si tiene conto del rischio che, evolvendo ulteriormente il fenomeno, si finisca per far prevalere la conflittualità (e, dunque, la reciproca diffidenza) in un rapporto - quale quello fra medico e paziente o, meglio, fra cittadino-utente e strutture deputate a erogare i servizi sanitari - che tutto dovrebbe avere tranne che, appunto, diffidenza e conflittualità.
Nel frattempo, sono da segnalare alcune iniziative che, dai primi dati (comunque assolutamente preliminari e non in grado di dare informazioni statisticamente attendibili), sembrano indicare un risultato incoraggiante rispetto sia al controllo della casistica, sia al costo stesso dei sinistri.
Si tratta di una nuova consapevolezza del fenomeno da parte della classe medica e, in particolare, della dirigenza delle strutture sanitarie pubbliche che, di concerto con alcune imprese di assicurazione, stanno sperimentando una nuova gestione del rischio, assumendo direttamente - almeno in prima istruttoria - il controllo dei casi denunciati, partecipando con proprie risorse alla gestione del contenzioso sia civile sia penale, addirittura facendosi carico direttamente di una quota dei risarcimenti.
L’esperimento è certamente interessante e i primi dati, ripeto, sono incoraggianti, e non è da escludere che un tale diverso sistema di gestione possa alla fine portare risultati positivi anche su altri fronti, quali ad esempio quello dell’individuazione delle aree sanitarie e dei comportamenti specifici a maggior rischio, la cui conoscenza è il solo strumento per rendere possibile ed efficace addirittura un’opera di prevenzione dei casi che alla fine sfociano in una richiesta di risarcimento.
Un tal modo di operare consente inoltre di ridurre notevolmente i tempi di istruttoria del reclamo, di accertare subito e direttamente cosa è accaduto presso la struttura sanitaria dove si è verificato l’evento incriminato, fino a un primo parere sulla fondatezza o meno del reclamo stesso, tale da consentire, laddove ne ricorrano gli estremi, di dare rapida ed equa soddisfazione alle richieste.
L’ulteriore passo avanti che si potrebbe fare in questa sorta di processo di verifica degli eventi avversi (o ritenuti tali dal cittadino) è quello di cercare di evitare il conflitto giudiziario anche nel caso in cui il primo parere dato dalla struttura interna all’Azienda sanitaria non confermi il convincimento di chi ha sporto il reclamo.
I termini della vicenda potrebbero essere infatti sottoposti al vaglio di un organo terzo, super partes, costituito da professionisti di indiscussa competenza sia nel campo medico legale sia nella specifica branca clinica nel cui ambito ricade la vicenda in discussione, designati di comune accordo fra le Aziende sanitarie e le compagnie di assicurazione da un lato, e le associazioni che tutelano i diritti del cittadino dall’altro.
Si tratterebbe di una sorta di organo conciliativo, al quale le parti ricorrerebbero per ottenere alla fine un giudizio tutelato dalle (e vincolato alle) norme che regolano le procedure extragiudiziarie, segnatamente quelle relative all’arbitrato o, come meglio si adatterebbe a questo ambito, alla perizia contrattuale.
Una tale soluzione anzitutto eviterebbe i tempi così lunghi di un procedimento civile che, oltre a essere sempre di esito incerto per entrambe le parti, inevitabilmente contribuisce ad aggravare il conflitto fra cittadino e Azienda sanitaria.
Soprattutto, sfruttando la possibilità che offre la normativa di trovare soluzioni compromissorie in quei casi (la maggioranza) in cui non vi sono elementi sufficienti per affermare o negare con certezza il ricorrere di un errore colposo del personale o della struttura sanitaria, consentirebbe di individuare alla fine soluzioni che, ritenute accettabili da entrambe le parti, tengano appunto conto dei dubbi non risolti, proponendo risarcimenti modulati in funzione del prevalere degli elementi a sostegno di una o dell’altra tesi.