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Le Regioni nei primi Trattati istitutivi della Comunità Europea.

1.L’originaria impostazione “internazionalista” della Comunità Europea e

l’estraneità delle Regioni ai processi decisionali comunitari.

La Comunità Europea non è riconducibile a priori, per quel che riguarda la sua struttura e il suo funzionamento, né alla categoria “Stato” né a quella dell' “organizzazione internazionale” pur presentando caratteristiche appartenenti sia all'una che all'altra dimensione.15

13 Un esempio di tutela strumentale dei diritti fondamentali è quella attinente ai diritti sociali, i quali vengono riconosciuti e tutelati, in ambito comunitario, in via indiretta, in applicazione del principio di uguaglianza formale o della protezione di una libertà economica come, ad esempio, il diritto alla libera circolazione dei lavoratori o alla libera prestazione di servizi: in questo caso, ad essere oggetto di tutela diretta sono le quattro libertà fondamentali stabilite dal Trattato in funzione della costruzione del mercato unico.

14 Come affermato da GIULIANO AMATO sul quotidiano La Repubblica del 30 novembre 2001. 15 CHITI M.P., La meta dell'integrazione europea: Stato, Unione internazionale o <<mostro simile>>?,

in Rivista Italiana di diritto pubblico comunitario, n.1/1996, p.591 ss.; SERGIO FABBRINI, L'Unione Europea. Le Istituzioni e gli attori di un sistema sopranazionale, Bari, 2002;

La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, come descritto nei precedenti paragrafi, ha tenuto conto di questa non agevole configurazione attribuendo alla Comunità la qualifica di “ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto

internazionale” (sentenza Van Gend & Loos c. Amministrazione olandese delle imposte,

5 febbraio 1963, causa 26/1962. In questa occasione il giudice olandese, a seguito di un ricorso presentato da un imprenditore, era chiamato a esprimersi circa la compatibilità o meno dell'aumento dei dazi doganali con l'art.12, ora art.25 del Trattato CE. In tale occasione la Corte di Giustizia europea, su ricorso pregiudiziale del giudice olandese, si espresse a favore dell'incompatibilità di tali dazi con il disposto dell'art. 12, sostenendo che quest'ultimo pone un divieto chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo

di non fare e che tale divieto è per sua natura perfettamente atto a produrre direttamente degli effetti sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri e i loro amministrati) il cui funzionamento risponde sia a logiche di stampo internazionalistico

che di stampo statuale: questo ordinamento giuridico di “nuovo genere” è scaturito, a detta della Corte di Giustizia, da un Trattato istitutivo che va “al di là di un accordo che

si limita a creare obblighi reciproci fra gli Stati contraenti”.

Alla logica internazionalista possiamo ricondurre il fatto che le tre Comunità nascono e si evolvono mediante uno strumento tipico del diritto internazionale, il trattato

istitutivo, attraverso il quale gli Stati, ponendosi in un rapporto di reciproca parità,

decidono di rinunciare a proprie quote di sovranità al fine di creare un'organizzazione di tipo sovranazionale avente come obiettivo quello di perseguire scopi comuni (in origine, come abbiamo visto, circoscritti all'ambito economico). Nella dimensione internazionale lo Stato è sovrano nel senso che egli, in questo contesto, assume la qualifica di “persona giuridica”, essendo titolare di diritti e doveri, creati e disciplinati assieme agli altri Stati, mediante accordi consensuali. Nello scenario internazionale lo Stato è “l'unico attore” incontrastato: l'ordinamento internazionale costituisce una sua “creazione” e, in quanto tale, gli organi che consentono all'organizzazione internazionale di funzionare concretamente sono espressione degli Stati che l'hanno creata: le organizzazioni internazionali presentano, al proprio interno, un organo di tipo collegiale-decisionale nei quali i Governi degli Stati fondatori sono rappresentati nella persona dei loro rispettivi ministri prevedendosi accanto ad esso un'organo di tipo

esecutivo strettamente controllato dagli esecutivi nazionali. Accanto a questi organi, pienamente rispondenti alla logica “intergovernativa”, sono previste assemblee parlamentari i cui componenti non godono di una legittimazione democratica diretta (elezione popolare) ma sono nominati dai Parlamenti nazionali. A queste assemblee non sono attribuiti rilevanti poteri decisionali: esse sono chiamate a svolgere un controllo di tipo politico (peraltro abbastanza blando) sull'attività svolta dall'esecutivo. Infine, allo scopo di dirimere eventuali controversie tra gli Stati membri, viene istituito un organo giudiziario-arbitrale.

Alla logica statale, viceversa, può ricomprendersi il fatto che la Comunità si configura come un'ordinamento ispirato ai principi dello Stato di diritto, dotato di organi investiti

istituzionalmente di poteri sovrani e da cui promanano norme che creano diritti in capo ai cittadini europei. La definizione di questi caratteri attinenti alla dimensione statale e

applicati al soggetto Comunità Europea costituisce anch'esso un contributo della Corte di Giustizia Europea la quale, mediante la propria opera giurisprudenziale ha definito la Comunità Europea “Comunità di diritto” (Sentenza Les Verts C-294/1983) fondata sui suddetti principi dello Stato di diritto (dizione riportata nell'art. 6 del Trattato sull'Unione Europea) e sul principio di legalità che fa sì che né gli Stati che ne fanno

parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo sulla conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato.16

Nonostante gli elementi di accomunanza con le due dimensioni internazionale e statale, la Comunità tende, tuttavia, a non essere configurabile, secondo parametri rigidamente classificatori, in nessuna delle due. L'impossibilità di attuare, quando si parla di Comunità europea, rigide classificazioni nella categoria “Stato” o nella categoria “organizzazione internazionale” costituisce una conseguenza del lungo percorso evolutivo che, a partire dalla sue origini, ha condotto all'istituzione di quella che è oggi conosciuta con la denominazione di Unione Europea: un percorso che ha conosciuto, e che continuerà a conoscere, dei mutamenti rispetto al quadro originario, che ha visto la nascita della Comunità come organizzazione internazionale, ma che è ancora ben lontano dal divenire uno Stato dotato del requisito della sovranità tipico degli stati nazionali.

16 ANDREA MANZELLA, L'identità costituzionale dell'Unione Europea, in Studi in onore di Leopoldo Elia, Milano, 1999, p.923 ss.,

La caratteristica della sovranità è fondamentale nella definizione del soggetto che comunemente indichiamo come “Stato moderno”: egli è sovrano nel senso che detiene il monopolio sul proprio territorio in maniera esclusiva, territorio in cui vige un unico ordinamento giuridico da egli creato e nel quale non sono ammessi altri soggetti produttori di norme giuridiche senza il consenso dello Stato stesso. Questa entità accentra presso di sé, inoltre, il monopolio della forza nel senso che, nell'eventualità in cui vi siano violazioni nei confronti delle norme giuridiche da esso promananti, egli può adottare una sanzione diretta al soggetto che abbia violato tali norme.

La Comunità europea, invece, non costituisce un ordinamento sovrano nell'accezione appena descritta: la sua sovranità, se così può chiamarsi, non è, come quella dello Stato nazionale, di tipo originario ma, viceversa, essa si configura come derivata in quanto derivante da “cessioni di sovranità” operate dagli Stati fondatori (nell'ordinamento italiano la limitazione di sovranità che ha reso possibile la creazione dell'ordinamento comunitario trova il proprio fondamento nel dettato costituzionale, all'art.11 il quale

“consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”) allo

scopo di istituire una nuova entità che, pur essendo sovraordinata rispetto ad essi, nel suo funzionamento concreto e nelle sue modalità decisionali è espressione esclusiva della volontà degli Stati membri, ma non di una propria e autonoma volontà. É lo Stato che decide se dar vita o meno all'organizzazione internazionale così come egli è libero di dar vita, al proprio interno, ad altre entità derivate quali sono gli enti territoriali come le Regioni, le Province e i Comuni i quali, proprio in quanto “enti derivati”, sono legati allo Stato di appartenenza da un rapporto di “subordinazione” o di “gerarchia”.17

Mentre sul piano internazionale, come abbiamo visto, i rapporti tra Stati, in quanto enti sovrani ed eguali tra loro (essendo titolari degli stessi diritti e degli stessi doveri) sono regolati dal principio di parità e di reciprocità, a livello interno la prospettiva è totalmente diversa in quanto i rapporti tra Stato ed entità derivate sono imperniati sul principio di gerarchia, che parallelamente regola anche i rapporti tra le fonti: sul piano interno, non si assiste ad un “rapporto tra pari” come invece accade nel contesto internazionale.

17 GIUSEPPE GUARINO, La sovranità e le sue mutazioni, in Studi in onore di Leopoldo Elia, Milano, 1999, p.707 ss.;

Parlare di una sovranità della Comunità e dell'attuale Unione Europea dovrebbe essere ammissibile solo se ci collochiamo in una prospettiva federale: se l'Unione in futuro, come auspicato dai sostenitori dello “Stato federale europeo”, dovesse diventare una vera e propria Federazione il discorso sulla sua sovranità assumerebbe un altro significato: creando uno Stato europeo federale si supererebbe, cosa che ad oggi appare arduo, lo Stato nazionale geloso custode della propria sovranità, per dare vita, ad un vero e proprio Stato, ad una vera e propria autorità politica investita di fini generali, sovraordinata rispetto agli Stati membri e rispetto ai loro rispettivi esecutivi e dotata di organi eletti direttamente dal “popolo europeo”, dai cittadini della Federazione che, in tal modo, eserciterebbero la propria sovranità. In questa prospettiva lo Stato centrale europeo godrebbe di una vera e propria sovranità, che allo stadio attuale è una prerogativa assoluta degli Stati membri. Per quel che riguarda i rapporti intercorrenti tra lo Stato federale e i singoli Stati, essi si configurerebbero secondo quel modello di relazioni improntate sulla gerarchia e sulla subordinazione tipico dei rapporti tra Stato centrale ed enti territoriali derivati di cui parlavo poc'anzi. Allo stadio attuale del processo d'integrazione europea non è possibile parlare di Stato federale in quanto gli Stati, lungi dal rinunciare alla propria sovranità, rimangono entità sovrane dotate di un proprio ordinamento e il loro ruolo non viene indebolito: il meccanismo decisionale che si svolge in sede europea continua ad essere incentrato sul triangolo istituzionale Commissione-Consiglio-Parlamento con l'attribuzione di poteri decisivi ai Governi degli Stati membri che confermano la solidità dell'elemento intergovernativo. Inoltre, gli Stati membri partecipano, in qualità di enti unitari, al processo decisionale comunitario senza che acquisiscano rilevanza, in tale processo, le loro rispettive articolazioni interne (vedi sentenza 6 dicembre 1977, causa 55/77, Maris). Senza dimenticare il fatto che l'ordinamento comunitario non dispone, a tutt'oggi, di strumenti propri per l'esercizio della funzione coercitiva e per garantire l'applicazione del diritto avvalendosi, per questo, degli strumenti degli Stati membri.

La novità principale rispetto alle classiche organizzazioni internazionali sta nel fatto che la Comunità Europea, oltre ad essere definita “organizzazione sovranazionale”, in quanto è costituita da organi legittimati ad emanare provvedimenti di carattere generale (quali sono, ad esempio, i regolamenti e le direttive) e di carattere individuale (ordini e

sanzioni) costituisce un vero e proprio “ordinamento giuridico” contenente atti vincolanti nei confronti degli Stati membri, i quali, cedendo parte delle loro competenze alla Comunità, dotano quest’ ultima di personalità giuridica e di poteri effettivi in grado di incidere, in origine in maniera limitata, su materie di natura economica di competenza dei singoli Stati membri. I provvedimenti emanati da questa organizzazione, come vedremo in seguito, non hanno necessità di essere recepiti dai singoli Stati membri ma entrano a far parte del diritto interno di questi in virtù dei Trattati istitutivi. A questo proposito, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella nota sentenza Costa/Enel del 1964 ne ha delineato i seguenti tratti caratteristici:

“A differenza dei comuni trattati internazionali, il trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto di entrata in vigore del trattato e che i giudici nazionali sono tenuti a osservare. Infatti, istituendo una Comunità senza limiti di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale ed in ispecie di poteri effettivi provenienti da una limitazione di competenze o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in casi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi”.18

A differenza del diritto internazionale che si configura come un diritto di natura

18 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, sentenza 15 luglio 1964, Costa/Enel, c-6 del 1964, Raccolta 1964, p.1129 ss.; FILIPPO DONATI, Diritto comunitario e sindacato di costituzionalità , Milano, Giuffrè Editore, 1995, p.199 ss. L’autore parla di <<limitazione definitiva>> della sovranità nazionale e della conseguente preminenza gerarchica del diritto comunitario su qualsiasi norma interna. Riguardo alle origini delle Comunità Europee si rinvia, tra gli altri, a FAUSTO POCAR, Diritto dell’unione europea, settima edizione, 2003, p.7 ss e a VINCENZO GUIZZI, Manuale di diritto e politica dell’Unione Europea, Napoli, Editoriale Scientifica, 2000, p. 580 ss.; SANDRO GOZI, Il governo dell’Europa, Il Mulino - Universale Paperbacks, Bologna, 2006, p.15 ss. ; la sovranità statale non viene più intesa in senso assoluto ma inizia ad acquisire il significato di “sovranità condivisa” in vista dell’obiettivo di rafforzare l’azione della Comunità in settori ben definiti mediante interventi comuni. Per MANFRELOTTI R., Sistema delle fonti e indirizzo politico nelle dinamiche dell’integrazione europea, Giappichelli Editore, Torino, 2004,<<l’Unione Europea costituisce un’organizzazione intermedia tra la cooperazione internazionale ordinaria, che si è rivelata infruttuosa, e le strutture federali cui gli Stati membri non erano ancora pronti>>. Questo complesso di diritto vincolante per i cittadini della Comunità gode un di un <<primato sul diritto interno>> come ribadito, oltre che dalla succitata sent. Della Corte di Giustizia della Comunità Europea 15 luglio 1964 in causa n. 6 del 1964, anche dalle sentenze 15 luglio 1960, cause 31, 37, 38 e 40 del 1959; 5 febbraio 1963 in causa n.26 del 1962; 8 febbraio 1973 in causa n.30 del 1972. In questo senso vedi, tra gli altri, PALMERI GIUSEPPE, Il sistema costituzionale delle competenze regionali al vaglio della Comunità Economica Europea in Quaderni regionali, 1989, p.201 ss.;

esclusivamente convenzionale, essendo basato unicamente sui Trattati, il diritto comunitario, pur essendo in parte anch'esso fondato sui Trattati, presenta un carattere

derivato. Questo diritto derivato è costituito dagli atti normativi promananti dalle

istituzioni comunitarie il cui fondamento giuridico è rinvenibile nei Trattati istitutivi (costituenti il c.d. diritto primario): Regolamenti, Direttive, Decisioni, Raccomandazioni e Pareri.

L'integrazione tra ordinamenti giuridici costituisce uno dei tratti essenziali conseguenti alla creazione della Comunità Europea che contribuisce a differerenziare quest'ultima dalle tradizionali organizzazioni internazionali: essa determina, il primato del diritto

comunitario sul diritto interno, la diretta applicabilità delle norme comunitarie nell'ordinamento interno e come diretta conseguenza, l'impossibilità, per gli Stati

membri, di far prevalere, nei confronti del nuovo ordinamento giuridico da essi creato, propri provvedimenti interni di carattere unilaterale:19 ammettendosi l'ipotesi inversa, si

verificherebbe un'eccessiva dipendenza del diritto comunitario, quanto alla sua concreta efficacia, dai singoli diritti nazionali, vanificando seriamente il raggiungimento degli scopi contemplati dal Trattato istitutivo e il suo “carattere comunitario unitario” con conseguente lesione delle fondamenta stesse su cui si regge l'impianto comunitario, in quanto i singoli Stati membri sarebbero in ogni momento liberi di venir meno agli obblighi derivanti dal Trattato, mediante l'emanazione di un successivo atto interno con essi contrastante: le “cessioni di sovranità” messe in atto dagli Stati membri a favore del nuovo ordinamento giuridico non rendono ammissibile l'ipotesi appena descritta in quanto esse si configurano come limitazione definitiva dei loro diritti sovrani.

Per quel che riguarda l'ordinamento internazionale nei suoi rapporti con l'ordinamento statale, non è possibile configurare questi ultimi nei termini di un'integrazione reciproca: i due ordinamenti, infatti, sono retti da un rapporto di netta separazione. Questa separazione fa sì che l'ordinamento internazionale sia retto da regole “ad hoc” profondamente differenti rispetto a quelle che disciplinano l'ordinamento statale e che non possono essere applicate direttamente all'interno degli Stati in virtù del fatto che questi sono, al proprio interno, “sovrani”, non ammettendo, altri ordinamenti giuridici diversi dal proprio.

Le norme, o meglio i trattati, su cui si fonda il diritto internazionale sono create dagli Stati stessi seguendo regole e procedure proprie dell'ordinamento internazionale: affinchè questi trattati abbiano efficacia giuridica all'interno dei singoli Stati, non essendo possibile una loro applicazione diretta come invece avviene nel diritto comunitario, è necessario che questi predispongano delle norme di diritto interno e delle procedure “ad hoc”: queste norme sono denominate leggi di esecuzione del Trattato o “norme interne di recepimento” e rendono possibile all'ordinamento internazionale “varcare la soglia della sovranità statale”.

Un altro fattore che distanzia la dimensione comunitaria da quella internazionale è dato dall'esistenza, nella prima, di una Corte di Giustizia che ha il compito di assicurare l'uniforme applicazione del diritto comunitario da parte dei giudici nazionali.

Il nuovo ordinamento giuridico determina, inoltre, delle importanti conseguenze con riferimento ai rapporti intercorrenti tra esso e i singoli cittadini, distanziandosi, in tal modo, dalla dimensione internazionale: la Corte di Giustizia esprime questa configurazione dei rapporti tra Comunità e singoli affermando, nella sentenza Van Gend

& Loos, che la Comunità è un “ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”.

Infatti, mentre per il diritto internazionale i cittadini non possono in alcun modo configurarsi come destinatari (ma solo come oggetto) delle proprie norme ammettendo, come tali, unicamente gli Stati, essendo questi gli unici “attori” sulla scena internazionale, nella dimensione comunitaria questo rapporto si configura secondo modalità completamente differenti.

Il diritto comunitario attribuisce ai cittadini degli Stati membri sia obblighi che diritti

soggettivi costituenti la c.d. soggettività comunitaria. A questo proposito è stato ancora

una volta importante il contributo della Corte di Giustizia che, in occasione della sentenza Van Gend & Loos, si chiedeva se le norme del Trattato potessero o meno avere

efficacia immediata negli ordinamenti interni degli Stati membri, attribuendo ai singoli dei diritti soggettivi che il giudice nazionale ha il dovere di tutelare. A questo proposito

si sanciva il diritto, in capo al singolo individuo, di far valere innanzi al giudice nazionale norme di diritto comunitario e, il suo potere di accedere direttamente al meccanismo giurisdizionale delineato nei trattati istitutivi (composto dalla Corte di

Giustizia, dal Tribunale di Primo Grado e dai Tribunali specializzati) in caso di lesione dei propri diritti da parte delle Istituzioni comunitarie.

Quel complesso di diritto vincolante creato dagli Stati membri mediante le proprie limitazioni di sovranità ha un'efficacia immediata all'interno dei loro rispettivi ordinamenti. Attraverso questa devoluzione di quote di sovranità gli Stati membri hanno, inoltre, creato degli organi investiti istituzionalmente di poteri sovrani da

esercitarsi nei confronti sia degli Stati membri sia dei loro cittadini. Gli organi che

compongono il quadro istituzionale della Comunità creano il diritto comunitario (i cui atti tipici sono i Regolamenti, le Direttive, le Decisioni e le Raccomandazioni) il quale determina il sorgere di posizioni giuridiche di tipo attivo (diritti) e di tipo passivo (doveri e obblighi) sia in capo agli Stati membri che in capo ai soggetti interni a questi ultimi. Gli stessi cittadini sono chiamati, come abbiamo visto, a partecipare attivamente al funzionamento delle Istituzioni comunitarie mediante l'elezione diretta del Parlamento europeo.

Se il diritto internazionale individuava solo gli Stati come suoi destinatari non riuscendo a violare la loro sovranità e a far sì che le proprie norme avessero effetto diretto sui singoli, nel diritto comunitario, al contrario, le norme direttamente applicabili (nel senso che non necessitano di atti interni per produrre i propri effetti) come i regolamenti determinano il sorgere di diritti e obblighi non solo sugli Stati ma anche sui singoli: in questo caso, l'ordinamento comunitario riesce a oltrepassare i confini delle singole sovranità nazionali e raggiunge, mediante le sue norme, i singoli cittadini senza che vi sia la necessità di un'intermediazione statale.

A caratterizzare ulteriormente il nuovo ordinamento denominato “Comunità Europea” concorre un'ulteriore elemento: il c.d. principio di attribuzione (sancito dall'art.5 del Trattato CE).

In virtù di questo principio, la Comunità Europea non viene investita di una competenza generale ma, viceversa, le sue competenze sono ad essa espressamente attribuite dal