Guardando agli ordinamenti di derivazione liberale possiamo evidenziare comunque che in nessuno di essi l’individuo sia riconosciuto quale padrone assoluto e incondizionato della propria vita e del proprio destino biologico, ma al tempo stesso in tutti gli
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 54 M. Mori, cit. pag 86 e successive.
ordinamenti è previsto pur sempre un certo margine di libertà di scelta sulle cure anche nella fase finale della vita.
In relazione all’autodeterminazione individuale in ambito medico, si possono configurare due modelli astratti: a) il modello permissivo, che riconosce il singolo come agente morale e ne rispetta l’autonomia e l’autodeterminazione, cosicché l’individuo avrebbe un diritto illimitato di gestire la propria vita e la propria morte; b) il modello impositivo, in cui all’individuo è tolto ogni margine di autodeterminazione e l’ordinamento può imporre, pure in assenza di evidenti interessi di natura collettiva, modelli di comportamento individuale tesi a conformare la vita degli individui, in ogni suo momento, a una propria idea di bene per la collettività. L’autonomia e l’autodeterminazione nel primo modello, l’imposizione nel secondo, si riverberano sulle tematiche che ruotano intorno ai concetti di vita e di morte, ma anche intorno a concetti quali vita sessuale, vita familiare e via dicendo. Lo stato impositivo “della vita” è quello che tende ad imporre al soggetto l’esistenza in vita fin dove è possibile anche attraverso l’ausilio di macchine o di biotecnologie, anche contro la sua volontà; mentre il modello impositivo “della morte” nega al massimo grado i diritti alla vita e alla libertà personale, ma soprattutto non tiene conto della dignità della persona umana. Al contrario nel modello permissivo, sia rispetto alla vita che alla morte, il principio individualista e la libera determinazione di ognuno riguardo alla propria esistenza ed anche alla propria morte, sono considerati centrali e fino a quando il comportamento del soggetto non ha conseguenze dannose sul diritto di terzi, non si configura alcun interesse generale che possa imporsi sulle
scelte individuali.
Per quanto riguarda gli ordinamenti contemporanei, tutti prevedono un bilanciamento fra la dimensione della libertà e quella dell’imposizione.
Dunque, riferendoci ai modelli concreti, la distinzione da fare è tra:
1) il modello a tendenza impositiva: che vieta condotte che provochino direttamente la morte di persone anche capaci e consenzienti, ma riconosce in termini generali il diritto di rifiutare trattamenti sanitari anche di sostegno vitale. In tali ordinamenti è quindi escluso un dovere di mantenersi in vita o di essere curati; 2) il modello a tendenza permissiva: che prevede non un incondizionato diritto di morire, ma la non punibilità, a determinate condizioni, delle condotte dirette a provocare direttamente la morte di una persona, come il suicidio medicalmente assistito ed eutanasia volontaria. Questo secondo modello si caratterizza per il riconoscimento maggiore dell’autodeterminazione individuale nelle fasi finali dell’esistenza55.
In entrambi i modelli è previsto “il diritto al rifiuto dei trattamenti”, ma si prevedono anche “trattamenti sanitari obbligatori” (TSO), al fine di tutelare la salute collettiva o delle persone affette da problemi di salute mentale.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 55 C. Casonato, Il fine-vita nel diritto comparato, fra imposizioni, libertà e fuzzy sets,
Fra gli ordinamenti che rientrano nel modello a tendenza impositiva, come si è già detto, il diritto al rifiuto di trattamenti viene tutelato in maniera forte, anche a livello costituzionale, ma il diritto all'autodeterminazione delle cure del paziente anche affetto da patologia grave che sia causa di sofferenze insopportabili è suscettibile di un bilanciamento con interessi statali che si ritengono prevalenti. L'autodeterminazione incontra dunque tre limiti: innanzitutto la tutela della vita, definita in taluni ordinamenti 'sacra' oltre che inviolabile; un secondo limite riguarda il rischio del “pendio scivoloso“ e i pericoli di danneggiare soggetti deboli e vulnerabili quali i malati, gli invalidi, i vecchi; infine, ma non per ultimo, l'interesse a che non si abbia una percezione del medico (e del personale sanitario) che, invece di adoperarsi alla cura del paziente, dà la morte. Molto criticata è tuttavia la distinzione che in tali ordinamenti si fa fra assistenza al suicidio e il rifiuto dei trattamenti, che si basa soprattutto sull'intenzione, il risultato e la causa. L'intenzione è in realtà la medesima, cioè avere una morte degna secondo il proprio modo d'intendere la “dignità”. Il risultato è sempre lo stesso: la morte del paziente. La differenza sta invece nella causa della morte che consegue alla condotta richiesta al medico: in un caso la causa è un comportamento d'aiuto attivo a morire, nell'altro la causa è di fatto endogena, cioè la malattia, anche se l'interruzione dei trattamenti potrebbe qualificarsi come una condotta omissiva di comportamento per legge doveroso. Non si comprende dunque perché una situazione viene riconosciuta e protetta (rifiuto dei trattamenti), mentre l'altra (assistenza al suicidio) configura una fattispecie penalmente rilevante. Innanzitutto, se vi è un interesse
prevalente dello Stato alla tutela della vita, non può farsi alcuna differenza. Anche il timore del “pendio scivoloso “ non sembra giustificato, se riferito solo all'assistenza al suicidio e non anche al diritto al rifiuto dei trattamenti: in realtà il rischio che legittimare l'eutanasia porti ad abusi è reale, soprattutto in relazione alle fasi finali dell'esistenza, in cui potrebbero essere interessi “spregevoli”, di carattere economico, di plagio dei soggetti deboli, di tentazione all'eutanasia eugenetica. Sebbene in tali ordinamenti vi sia una ferma condanna, senza eccezioni, sia dell'eutanasia attiva anche su consenziente sia dell'assistenza al suicidio, in questi ultimi anni si è assistito ad un progressivo superamento da parte delle Corti della rigidità del sistema, introducendo elementi di flessibilità: in alcuni casi un certo margine di discrezionalità della pubblica accusa nel valutare i motivi d'imputazione rispetto ad interessi pubblici prevalenti, in altri casi si è parlato di forza maggiore o costrizione irresistibile a rispettare la volontà e il concetto di dignità del malato e altre volte ancora si è fatto ricorso alla teoria del doppio effetto.
2.3 Uno sguardo al di fuori dell'Europa.
Tra gli Stati che rientrano nel modello a tendenza impositiva in relazione all'ampiezza dell'autodeterminazione individuale in ambito terapeutico si collocano: gli Stati Uniti d’America (nella dimensione federale), il Canada, l'Argentina, l'Australia.
Per quanto riguarda innanzitutto gli Stati Uniti d’America, che, va ricordato, furono “la patria del living will”, già a partire dagli anni ’70 nasce e si sviluppa la percezione delle questioni connesse
agli sviluppi di una medicina e di pratiche cliniche sempre più invasive del corpo del malato. Il prospettarsi di casi giudiziari in cui le Corti Supreme di alcuni Stati furono chiamate a pronunciarsi su questioni bioetiche di fine vita già dalla metà degli anni ’70 e anche un mutamento del clima culturale di fondo diede inizio allo svilupparsi di una giurisprudenza “americana” 56,
che rappresenta il modello al quale la più recente giurisprudenza europea, ed anche italiana, sembra ispirarsi. La caratteristica più importante della giurisprudenza americana di quegli anni è una spiccata sensibilità per il foundamental right, riconosciuto a ciascun individuo, di escludere ogni bodily invasion 57 che ha
come corollario immediato il foundamental right to refuse medical treatment del paziente. Una concezione di “liberty property” dei diritti individuali all’identità, riservatezza, immagine, nome, volto, sessualità, procreazione,
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 56Aspre critiche sono state avanzate da parte della dottrina italiana in merito alla
trasmigrazione di modelli giurisprudenziali che, in tema di diritti fondamentali ed inviolabili della persona, privilegiano la concezione “proprietaria” del diritto di autodeterminazione adottata dai giudici americani.
57 Una risalente sentenza, che si reputa leading case in materia di consenso informato
riguarda il caso Mohr v. Williams del 1905, in cui si fa riferimento a un to violete, whithout permission, the bodily integrity of his patient da parte del medico, che opera senza o contro il suo consenso.
salute, integrità fisica, che ricadrebbero nell’ambito della sfera intangibile di privacy58, per cui solo l’individuo possiede la
titolarità a decidere sulle questioni fondamentali della propria vita, caratterizza i Paesi di tradizione di common law. Informed consent e la norma di common law relativa al reato di battery59
si sono venuti lentamente a saldare al problema della tutela della privacy.
Ma dinanzi ad una più recente espansione del diritto alla privacy, volto a tutelare il diritto a rifiutare la sospensione di nutrizione ed idratazione artificiali (NIA), con riferimento ad alcuni casi limite, in cui permangono forti dubbi di sconfinamento nell’eutanasia, anche gran parte della dottrina americana favorevole ai nuovi diritti, ha incominciato a rilevare come il criterio della privacy si fosse spinto troppo lontano rispetto alle premesse logiche che lo avevano sostenuto. Si è evidenziata la necessità di ricostruire diversamente tali diritti.
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58 Cfr. A. Santosuosso, in G. Corbellini, P. Donghi, A. Massarenti, Biblioetica, Einaudi, Torino, 2006, pp.129-134. In cui si critica il diritto alla privacy cui ricorrono inizialmente i giudici della Corte suprema americana per ammettere o rigettare la richiesta di interrompere .il sostentamento vitale. Nelle sentenze più recenti la Corte suprema americana parla infatti di tutela della dignità della persona.
59 “Per la common law (battery) una persona non può essere neppure toccata senza il
suo consenso […] Questa concezione dell’integrità del corpo è stata incorporata nel consenso informato [… ] corollario logico di questa dottrina del consenso informato è che il paziente possiede il diritto di non consentire o di rifiutare il trattamento”. (sentenza della Corte Suprema, Cruzan v. Director, Missouri Department of Health 497 US 261 , 1990)
In questo ambito, anche l’interpretazione costituzionale americana sembra essere maggiormente articolata. La Corte suprema federale ha assunto e mantenuto nel tempo una posizione che riconosce al soggetto il diritto costituzionale di decidere la sospensione delle forme di sostegno vitale, ed ha sostanzialmente lasciato campo libero agli Stati, sia nel regolare il modo e le condizioni in cui questo diritto può essere esercitato, sia eventualmente nel consentire o vietare forme di suicidio assistito. Il diritto alla privacy denuncia tutta la sua debolezza quando dovesse porsi a fondamento della richiesta di un terzo, di sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiali del paziente incapace, in assenza di prova certa della reale volontà di questi. La Corte suprema degli Usa dà appunto, in tali casi, una rilettura del fondamento dei nuovi diritti che va ricercata piuttosto nella dignità umana, tutelata nel XIV emendamento della Costituzione americana60.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 60 XIV EMENDAMENTO
Section. 1. All persons born or naturalized in the United States and subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the State where in they reside.
No State shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any State deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws.
La dignità, intesa come autodeterminazione della persona riguardo ad ogni aspetto della propria vita, giustifica meglio l’espansione del catalogo dei diritti fondamentali rispetto ad una interpretazione estensiva della privacy, nata per tutelare la riservatezza, che male si attaglia ad essere richiamata nel rapporto tra medico e paziente il cui carattere è essenzialmente, anche se non esclusivamente, pubblico. La dignità intesa come autodeterminazione della persona riguardo ad ogni aspetto della propria vita, giustifica meglio l’espansione del catalogo dei diritti fondamentali, rispetto ad una interpretazione estensiva della privacy, nata per tutelare la riservatezza, che male si attaglia ad essere richiamata nel rapporto tra medico e paziente il cui carattere è essenzialmente, anche se non esclusivamente, pubblico.
Il primo caso sull’interruzione di alimentazione ed idratazione giunto alla Corte Suprema federale, che presenta una forte analogia con quanto accaduto nella vicenda Englaro, è il caso
Cruzan v. Director, Missouri Department of Health, del 1990.
In tale sentenza si assiste ad un ri-orientamanto, sia dei principi fondanti sia dei poteri del sostituto, in un’ottica “più prudente”, che rifiuta di riconoscere un generale “right to die with
dignity”.
Riguardo a tale problematica assumono sicuro rilievo:
il caso Quinlan (1976), che ha rappresentato una pietra miliare nella giurisprudenza degli Usa. Riguardava la controversia sorta a seguito del rifiuto dei medici della richiesta dei genitori di una ragazza, Karen Quinlan, in stato vegetativo permanente (SVP) a causa di un incidente automobilistico, di togliere il respiratore. La New Jersey Superior Court ritenne che il rifiuto dei sanitari doveva essere considerato una vera e propria violazione del diritto individuale alla privacy, che nel momento in cui il degrado fisico del paziente in SVP sia in continuo aumento e svanisca la prospettiva di un ritorno allo stato di coscienza, gli dovesse essere comunque garantito. Il diritto individuale alla privacy si sarebbe potuto tralasciare soltanto nel caso in cui fossero mancati i familiari prossimi, in grado di esercitare la volontà della paziente in modo consapevole e rispondente ai desideri di quest'ultima. La soluzione fu quella di affidare il suo esercizio al padre, in qualità di rappresentante, che avrebbe potuto ricostruire la volontà del soggetto incapace di esprimerla. La donna tuttavia, staccata dal respiratore, non morì che dieci anni dopo. Tale sentenza ha costituito per molto
tempo un punto di riferimento della giurisprudenza americana relativa ai casi di istanze di fine vita.
Analogo criterio è stato seguito dalla Corte suprema del New
Jersey nel caso Jobes del 1987, cioè oltre dieci anni dopo il
caso Quinlan. Per la Corte di tale Stato dunque, ciò che risulta decisivo è, ancora una volta, non tanto la prova chiara e convincente che la volontà emani dal soggetto incapace, anche se non attuale ma riferita ovviamente al tempo precedente il sopraggiungere dello stato di incapacità, quanto piuttosto che, anche in mancanza di prove sufficienti si possa individuare un soggetto, substitute, in grado di ricostruirne la volontà. La mancanza anche di una prova della volontà previamente espressa di rifiutare le cure salva vita, viene dunque superato dalle corti americane attraverso l’attribuzione di tale poteri al
substituted judgement.
Caso diverso è quello che riguarda Nancy Cruzan, una donna che, a seguito di gravissimo danno cererale riportato in un incidente stradale, era in stato vegetativo permanente (SVP) da sette anni. Nonostante i medici ritenessero impossibile un recupero anche minimo dello stato di coscienza della Cruzan, rifiutanvano di interrompere l’alimentazione e l’dratazione artificiali .
Nel ricorso alla Corte Suprema federale i genitori hanno prospettato la questione in questi termini: “un paziente non perde il suo diritto a decidere circa i trattamenti medici sulla propria persona per il solo fatto che è in uno stato di incapacità; se non ha lasciato direttive anticipate, si deve fare riferimento a desideri manifestati in precedenza, anche se in modo indiretto,
oppure, in mancanza anche di questi, si deve riconoscere ai familiari stretti il potere di far valere il diritto a non subire trattamenti sanitari non desiderati”.
Secondo i giudici della Corte Suprema federale, che con la sentenza Cruzan del 1990 si sono anche pronunciati per la prima volta sul Right to Die, la Costituzione americana «riconosce a una persona capace il diritto protetto costituzionalmente di rifiutare la nutrizione e l'idratazione artificiali, anche se ‘life-saving’. Tale decisione, pur se profondamente personale, può essere presa anche sulla base di una volontà espressa in passato, purché ricostruibile sulla base di solide prove”. Secondo i giudici della Corte suprema federale dunque, il fondamento del diritto all’autodeterminazione delle cure non risiede nel diritto alla
privacy, ma nella tutela costituzionale della “dignità” offerta
dal XIV emendamento. Sulla base di nuove deposizioni testimoniali, dopo la sentenza della Suprema Corte, i genitori Cruzan hanno ottenuto da un tribunale del Missouri l'autorizzazione a interrompere il trattamento ( NIA).
Diverso dal caso Cruzan si prospetta, nel 2005 il caso di Terri
Schiavo , in coma irreversibile dal 1990. In questo caso non vi
era prova di precedenti volontà della donna di rifiutare il sostegno vitale, di cui il marito chiedeva l’interruzione e a cui invece si opponevano i genitori della donna. I giudici della Florida tuttavia avevano accolto la richiesta del marito, autorizzando l'interruzione dei trattamenti. Nel 2003 il Parlamento della Florida, nel tentativo di bloccare l'esecuzione della sentenza, aveva approvato una legge che autorizzava il
Governatore dello Stato a emanare un decreto che impedisse di interrompere il sostegno vitale. Ma i giudici della Corte suprema della Florida dubitando della costituzionalità di tale legge, nel 2005 hanno emesso la sentenza che riconosceva il diritto di ottenere l’interruzione del sostegno vitale .
Tuttavia l'opinione pubblica americana prevalente ha visto con sospetto la decisione che non faceva riferimento a una volontà “certa” precedentemente espressa dal diretto interessato. Se la società americana si mostra disponibile ad accettare che, in mancanza, la decisione sia rimessa a un substituted judgement, manifesta invece grandi difficoltà di fronte al conflitto interno alla cerchia dei familiari.
Viene piuttosto riproposto dalla dottrina americana il vecchio criterio del best interest, che potrebbe essere reso meno astratto, ed essere calibrato sulle singole storie personali. Tale principio è tuttavia avversato da chi sostiene la tesi liberal, in quanto il
best interest introdurrebbe un neo-paternalismo.
Alla fine di un lungo conflitto giudiziario, che ha visto coinvolte la famiglia e le istituzioni federali e nazionali, è prevalsa la decisione dei giudici della Florida, che applicando una legge statale hanno dato al marito-tutore il potere di decidere. A pochi giorni dall’interruzione dell'alimentazione e della nutrizione artificiali, Terry Schiavo è morta, all'età di 41 anni, dopo quindici anni passati in coma.
Oggi negli Usa, nella dimensione federale, è riconosciuto dunque il diritto del paziente, cosciente e capace (competent), di rifiutare i trattamenti sanitari anche di sostegno vitale61. È contemplato altresì il diritto del paziente in condizioni terminali di ottenere la loro interruzione, anche se da ciò può derivare la sua morte. Per quanto riguarda poi il paziente non più cosciente (incompetent), la sua volontà previamente espressa in condizioni di capacità attraverso un documento, il living will, ha valore vincolante. Inoltre, anche nel caso di mancanza di una prova scritta, le scelte terapeutiche riguardanti il paziente incompetent saranno prese da un substitued judgement 62.
Il living will non costituisce il solo modo con cui esprimere le proprie volontà “ora per allora” in ordine ai trattamenti sanitari che si intendono ricevere e rifiutare in caso di sopravvenuta in- capacità. In America si fa altresì ricorso ad altri strumenti giuri - dici per esprimere le direttive anticipate di trattamento.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 61 Va sottolineato infatti che i mezzi di sostentamento vitale sono considerati
“trattamenti terapeutici” e dunque la loro interruzione non si configura come atto eutanasico.
62 La giurisprudenza della Corte Suprema federale (e anche delle Corti supreme dei
singoli stati dell’Unione) pur parlando di selfdetermination, riferisce però la decisione al soggetto che testualmente chiama surrogate decisionmaker sottolineando che in casi limite, in cui il soggetto incapace non ha previamente affidato ad un living will la sua volontà riguardo ai trattamenti sanitari salvavita, è qualcuno altro che deve assumersi la responsabilità di prendere una decisione al suo posto.
Le più diffuse, oltre naturalmente al living will, che più specifi- camente è preordinato a rifiutare cure “salva-vita”, sono:
• Health-care proxy, documento legale in cui un individuo designa un'altra persona a prendere decisioni di assisten- za sanitaria in caso che lui o lei fosse in futuro incapace di rendere nota la propria volontà. Il proxy sanitario ha, in sostanza, gli stessi diritti di chiedere o rifiutare le cure che l'individuo avrebbe se in grado di prendere e comu- nicare decisioni;
• Durable power of attorney (DPOA). Questo tipo di diret- tive anticipate consiste in una vera e propria procura le- gale speciale di designazione di un persona che, nel caso