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Sviluppi delle tecniche biomediche e dibattito bioetico: dalla

Le scoperte in campo medico-scientifico della seconda metà del secolo scorso hanno certamente reso possibile un miglioramento della qualità della vita e un considerevole incremento della sua durata, grazie alla possibilità di diagnosticare e trattare malattie fino a poco tempo prima ritenute incurabili e di rallentare il decorso di malattie degenerative.

Il sempre maggiore superamento del paradigma naturalistico ha tuttavia fatto sorgere la necessità di stabilire delle regole di condotta, non solo morali, etiche e religiose ma soprattutto giuridiche riguardo alle nuove possibilità di intervento sulla vita e sulla morte (trapianto di organi, procreazione assistita, tecniche di respirazione e alimentazione-idratazione artificiale , etc.).

Una medicina sempre più invasiva e ad elevato potenziale lesivo dei diritti umani fondamentali, cui si è affiancato un parallelo mutamento del clima culturale di fondo, sono da individuare tra le cause del nascere delle domande crescenti rivolte all’etica prima e poi anche al diritto.

L'esperienza infatti rende trasparente l’ambivalenza del progresso tecnico. A fronte del dilagare di una cultura nella quale l’enorme successo della tecnica alimenta la tentazione di un eccessivo tecnicismo e l’affermazione di una forma di prometeismo che ritiene eticamente legittimo tutto quanto è tecnicamente possibile,

si sviluppò la riflessione bioetica14 intorno alle pesanti ricadute

che ciò comporta sul piano umano. Il tema dell’ambivalenza del progresso scientifico, e dei possibili rischi di una ricerca scientifica lasciata a se stessa, non è nuovo, anzi era stato uno dei fili conduttori della filosofia del ‘900. Tale questione si evidenzia con maggior forza, assumendo i connotati di movimento di opinione, solo nel periodo in cui si suole porre la nascita della bioetica. I principali fattori che spiegano, non solo la nascita, ma anche la “tenuta” della bioetica e la sua specifica novità rispetto alla tradizionale etica medica15 sono stati i progressi della

biomedicina ma anche il mutamento di clima culturale, avviatosi negli Stati Uniti dalla metà degli anni ’60 ed estesosi a macchia d’olio soprattutto nei Paesi della Western Legal Tradition, che ha portato all’affermarsi di una nuova etica, che rifiuta “ogni assoluto” ed afferma il principio di “qualità della vita”. Dal dibattito bioetico nato in conseguenza ai nuovi scenari che apre la biomedicina emergono, oltre alle questioni di inizio-vita, le questioni di fine-vita di cui tratta il presente lavoro.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 14 Il termine Bioetica compare per la prima volta nel saggio "Bioethics: Bridge to the

Future" del 1970 dell'americano Van Rensselaer Potter. La bioetica, nell'idea del suo

fondatore, dunque, rappresenta un tentativo di sanare la separazione tra scienza della natura (biologia) e scienza dello spirito (etica), per prospettare un avvenire vivibile per l'uomo e tracciare un "ponte verso il futuro". Nel 1978 però l’Encyclopedia of

Bioethics a cura di A. Hellegers e P. Ramsey definisce la bioetica come "quella parte

della filosofia morale che ha per oggetto e ambito l'intervento dell'uomo sull'uomo in campo biomedico”

15 Cfr. C.Casonato, Introduzione al biodiritto. La Bioetica nella prospettiva del diritto

costituzionale comparato,Università di Trento Quaderni del dipartimento, 2006.

Le possibilità di dilatare il momento della morte naturale di pazienti che versano in condizione di indefettibile terminalità, ma soprattutto la possibilità di prolungamento oltre misura di una vita meramente biologica dipendente da macchine salva vita, che comporta una dequalificazione della vita personale “biografica” e una grave lesione della dignità umana, alimenta le paure dell’uomo post-moderno.

La necessità di dar voce alla volontà di tali pazienti ha suggerito l’idea del testamento biologico contenente volontà anticipate di trattamento, che restituisce all’individuo la scelta tra possibilità, oltre che di fare, anche di poter non fare o smettere di fare16. L’età

della tecnica è un’epoca storica caratterizzata infatti anche da un

novum radicale, una forte spinta verso la secolarizzazione:

movimenti di opinione sgretolano la società monoetica di un tempo, in cui esisteva una sola idea di bene per tutti i membri, proponendo una società di gruppi aggregati intorno a valori nuovi e diversi. Ė l’era di un progresso tecnologico senza precedenti in concomitanza con “la fine delle grandi narrazioni morali”17 e la

relativizzazione dei valori portanti della società. Questo è anche il contesto culturale in cui il diritto viene investito di un ruolo nuovo: non solo quello di riconoscere spazi di libertà sempre maggiori, eliminando divieti inadeguati a cogliere i mutamenti avvenuti nella società come nel mondo della scienza, ma anche di °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° 16 Cfr. A.Nicolussi, Testamento biologico e problemi del fine vita. Verso un

bilanciamento di valori o un nuovo dogma della colontà? In Europa e diritto privato,

fasc. II, 2013, p. 458..

stabilire limiti all’agire tecnico, per evitare che esso possa incidere su altre libertà ed altri diritti.

Un biodiritto18 che si fondi su libertà e dignità personale è il modo

migliore per affrontare seriamente le nuove e difficili sfide che la scienza pone al diritto.

«Il biodiritto non deve essere una disciplina fra le tante. È una sorta di risposta spontanea a un problema di libertà che la scienza pone agli individui e ai legislatori»19.

La “giuridificazione” in un ambito che viene convenzionalmente qualificato come biodiritto, comportando il dover affrontare problemi che toccano le radici stesse del nostro essere, la vita e la morte, èinnegabilmente più problematica che in ogni altro luogo dell’agire politico.

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18 Sul compito strumentale del diritto alla bioetica: cfr.S.Rodotà: Trattato di biodiritto,

Il governo del corpo, tomo I, (a cura di S.Rodotà e P.Zatti);

contra: cfr. F. D’Agostino, Dalla bioetica al biodiritto (alla biopolitica), www.bologna.chiesacattolica.it/ivs/scuola-diocesana/pdf/2006; F. D’Agostino afferma che la bioetica risponde al codice bene/male, il biodiritto a quello del giusto/ingiusto, dunque operano su spazi distinti

Un campo del tutto nuovo, quello dei cc.dd. diritti bioetici, catalogati tra i diritti di quarta generazione20 si apre alla riflessione

giuridica.

Ai giorni nostri si parla di biodiritti nelle aree più diverse. In particolare, i diritti rivendicabili in rapporto ai progressi della biomedicina e delle biotecnologie sono individuati anche come diritti connessi alla sfera del biodiritto, cioè delle “dimensioni giuridiche relative alle c.d. scienze della vita (life scieces) e della cura della salute dell’essere umano”21.

Il biodiritto è appunto un ambito nuovo in cui al diritto non si chiede di disciplinare gli effetti scaturenti dal fatto-naturale rilevante (nascita, malattia, morte) ma di dettare norme che

regolino l’assetto e l’organizzazione del fatto - determinato artificialmente dalla scienza, capace d’incidere direttamente su destini, scelte, progetti di vita degli individui.

I diritti bioetici impongono infatti all’interprete di ripensare metodi d’indagine, criteri ermeneutici utilizzati e categorie giuridiche di riferimento in cui la relazione tra principi fondamentali e valori si pone in una luce del tutto nuova.

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20 Norberto Bobbio (L’età dei diritti, 1990, pp. 13 – 15). In tale opera egli per primo

evidenzia la catalogabilità dei diritti umani in generazioni successive, sostenendo l’origine storico- conflittuale di tutti i diritti umani. Tale teoria di Bobbio, in sintonia con quella di autorevoli filosofi, sociologi e giuristi occidentali del secondo dopoguerra si pone come antitetica alla concezione universalistica giusnaturalistica che vede un fondamento assoluto dei diritti umani. Secondo Bobbio è invece i diritti nascono in seguito al riconoscimento di quelle aspettative e richieste sociali compatibili con gli standard di razionalità delle culture occidentali moderne.

21 Tale definizione di biodiritto in C. Casonato, Introduzione al biodiritto, Torino

Le risposte sul piano del diritto sostanziale dipendono dalla scelta politica e bioetica (cioè da ciò che è oggetto della cd. biopolitica) tra personalismo, utilitarismo o autonomia22

Certamente la materia bioetica trova il diritto impreparato.

Già la difficoltà a definire e delimitare l’oggetto del biodiritto è problematica dato il continuo mutamento del paradigma biologico dovuto ad una scienza biomedica e agli sviluppi delle biotecnologie ad essa applicabili in continua evoluzione.

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22 Personalismo: afferma la centralità della persona come valore assoluto. Si

distinguono due correnti: una cattolica e l'altra laica. Nella riflessione bioetica, la prospettiva personalistica ritiene la persona in ogni momento del suo esistere e la dignità di ogni persona umana in ogni istante della vita, dal concepimento alla morte naturale sono valori fondamentali. Dal valore oggettivo di ogni persona umana, unità di corpo e spirito, unica e indisponibile deriva il principio della difesa della vita

biologica, in quanto intangibile e indisponibile.

Utilitarismo: teoria che fonda la morale sull'utilità, identificandole. Afferma che la vera utilità dell'individuo non può non accordarsi sempre con la utilità generale: pensare prima di tutto al proprio interesse è una condizione della natura umana: la moralità consiste nel riconoscere che il maggiore utile per il singolo coincide con

l'utile altrui.

Autonomia: l’autonomia privata è il potere dei privati di regolare liberamente i propri interessi e decidere della propria sfera giuridica, nel rispetto di limiti e obblighi stabiliti dall’ordinamento. In base al rapporto tra sogg. privato e ordinamento giur., l’a.privata viene definita o come “potere riconosciuto” ai privati ovvero come” libertà originaria”, fenomeno anzitutto sociale,preesistente a qualunque tipo di riconoscimento giuridico. Si distingue inoltre tra autonomia individuale e autonomia collettiva, a seconda se si voglia fare riferimento alla libertà del singolo ovvero ad un potere, attribuito a gruppi di singoli soggetti.

Ciò spesso riacutizza la diffidenza del diritto nei riguardi della medicina, considerata più come una minaccia che un’attività benefica, come dimostra l’evoluzione verso una medicina difensiva in cui acquisire il consenso del paziente venne ritenuto indispensabile a premunire il medico contro la minaccia sempre incombente di pesanti risarcimenti per danni, causati da interventi non espressamente concordati, che ha caratterizzato per lungo tempo la giurisprudenza.

Tale rapido mutamento del paradigma biologico nel campo delle scienze della vita che fa sorgere la riflessione bioetica è la premessa per una riflessione giuridica e poi eventualmente politica che si presentano perciò logicamente consequenziali. Quindi il diritto rispetto alla scienza medica si presenta in ritardo “fisiologico”. Ben diverso dal ritardo “patologico” del diritto e della politica in materia di biodiritto evidenziabile in alcuni ordinamenti e difficilmente riferibile alla novità delle questioni bioetiche, dato che esse ormai non presentano più un carattere di novità assoluta ed imprevedibile, ben potendo prevedersi quali potrebbero essere in tempi relativamente brevi gli sviluppi futuri della ricerca scientifica. Tale ritardo è spesso dovuto, specie negli ordinamenti di civil law, ad una iniziale riluttanza ad affrontare tali temi nell’errata convinzione che, dovendo il giudice limitarsi all’applicazione della legge, non potessero aversi sentenze che di fatto accogliessero richieste di atti al limite dell’eutanasia. A ciò va aggiunta una reciproca diffidenza tra scienza medica e diritto per cui la dottrina temeva quasi di perdere di “scientificità” e rigore nell’affrontare e risolvere i conflitti che si pongono nella medicina e le questioni “nuove” che chiamano fortemente in

causa anche la morale individuale.

La motivazione originaria del biodiritto, il suo luogo genetico, è però la tutela della "vita offesa" da una medicina sempre più invasiva: nel biodiritto la vita è bisognosa delle difese che vengono dalle regole. Questa considerazione è necessaria se non si vuole che il dibattito politico rischi di divenire sterile contrapposizione tra posizioni, tutte supportate da valide argomentazioni, di chi in una prospettiva pro-life, sostiene che la vita e i modi in cui si gestisce e si organizza socialmente attraverso il diritto prescindono dalle trasformazioni della scienza, della tecnica e della società, essendo stabilmente ed immutabilmente ancorati al valore supremo, pregiuridico ed indisponibile del bene della vita e chi, in una prospettiva

pro-choice, considera invece che queste trasformazioni non sono estranee alla vita, ma la modificano e la articolano in maniera così pervasiva da imporre come ragionevoli maggiori spazi all’autodeterminazione dell'individuo23.

Temi caldi del dibattito intorno ai biodiritti sono i valori a cui devono ispirarsi le scelte pubbliche e la condotta individuale, il rapporto fra lo Stato e le confessioni religiose, il pluralismo, il bilanciamento di interessi, il principio di non contraddizione, l’autodeterminazione.

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23 Cfr. C.Casonato, Introduzione al biodiritto. La Bioetica nella prospettiva del diritto

costituzionale comparato,Università di Trento Quaderni del dipartimento, 2006. http://eprints.biblio.unitn.it/1311/2/Carlo_Casonato_Introduzione_al_biodiritto.pdf;

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