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La reificazione del QI e la valutazione dell’Alto Potenziale Cognitivo

Un errore comune che si compie quando si fa riferimento al QI è di considerarlo come una misura della quantità dell’intelligenza umana. In realtà, il punteggio QI indica soltanto un posizionamento dell’individuo rispetto alla popolazione di riferimento. Studi

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un più alto grado/quantità di intelligenza ma presentano differenze qualitative nelle ca-

pacità mentali (Luzzo, 2010). Certamente, la trasformazione di un insieme di caratteri-

stiche in un numero è estremamente utile e pratico, ma si rischia di incorrere nell’errore

di reificazione. Spearman stesso fu criticato proprio perché egli inferì l’esistenza fisica

di g da un’astrazione matematica (Gould, 1981; Schlinger, 2003), l’analisi fattoriale.

L’analisi fattoriale è una tecnica statistica che aiuta a individuare quante e quali dimen- sioni o fattori latenti possono essere utilizzati per spiegare le correlazioni fra le variabili

osservate, ma i fattori non sono né cose e né cause, ma solo un’astrazione statistica

(Gottfredson, 1998). Inoltre, tale tecnica statistica indica soltanto che può esserci un fat-

tore sottostante che contribuisce a un grande numero di comportamenti intelligenti,

ma non identifica in modo definitivo la presenza di un’intelligenza singola. Schlinger

(2003) ha sottolineato che l’errore di reificazione di Spearman ha dato origine a un altro

errore logico: quello del ragionamento circolare. Le prove che Spearman poteva propor-

re per l’esistenza di g erano le intercorrelazioni positive osservate tra gli elementi del test. Quindi, le inter-correlazioni positive tra gli elementi del test rappresentano

l’intelligenza, e l’intelligenza è rappresentata dalle intercorrelazioni positive osservate tra gli elementi del test (Howe, 1990a). Poiché g è un costrutto statistico, non offre al-

cuna descrizione utile di cosa sia l’intelligenza o il comportamento intelligente. Inoltre,

come risultato di ciò, il significato di g è aperto all’interpretazione e alla manipolazio-

ne. G rimane lo stesso di qualsiasi altro fattore identificato tramite l'analisi fattoriale:

uno strumento utile per identificare la co-variazione attraverso set di dati multivariati

(Schlinger, 2003). In generale, l’uso dell'analisi fattoriale è stato criticato da più parti

(Bernstein & Teng, 1989; De Bruin, 2004; Gorsuch, 1997; Reise, 1999; Waller, Telle-

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dell’intelligenza, una questione ricorrente con l’analisi fattoriale deriva dall’etichettatura di un fattore comune dopo che è stato identificato. Etichettare un par-

ticolare fattore può spesso portare alla concezione sbagliata che il fattore ha una certa

validità nel misurare o fare riferimento all’etichetta applicata a esso, vale a dire l’errore

di reificazione (Creasy, 1959). Nel caso in cui g è usato per riferirsi all'intelligenza, que-

sta etichetta potrebbe essere facilmente sostituita da un numero di etichette appropria-

te. Lo stesso fattore comune è indipendente dall’etichetta applicata ad esso, in quanto il

processo di denominazione è puramente soggettivo (Creasy, 1959). Creasy (1959) va

oltre, affermando che un’etichetta può avere un significato assoluto solo se i test inclusi nell’analisi fattoriale sono veramente rappresentativi dell’abilità o del concetto cui l’etichetta si riferisce. Se la batteria di test è inappropriata, inefficace o limitata nella sua capacità di misurare con precisione l’etichetta attribuita al fattore comune, l’emergere di

quel fattore non può essere considerato valido, nel descrivere quell’etichetta. Il fatto

che g sia semplicemente un’astrazione statistica, sembra essere stato dimenticato dai

successori di Spearman che hanno contribuito a diffondere questo ragionamento circola-

re.

Nonostante, oggi l’intelligenza non sia più considerata come un’entità singola

ma come un insieme di abilità che si sviluppano e subiscono l’influenza del contesto

(Dickens & Flynn, 2001; Nisbett et al., 2012; Sternberg, 2008), nella costruzione dei

test psicometrici l’analisi fattoriale è ancora la tecnica statistica utilizzata per individua-

re quei fattori che possono spiegare l’intelligenza e, il punteggio QI è ancor oggi l’indicatore convenzionalmente utilizzato per determinare l’Alto Potenziale Cognitivo. Inoltre, ridurre le abilità di un soggetto a un numero, comporta ritenere che le sue capa-

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dell’Alto Potenziale Cognitivo (McClain & Pfeiffer, 2012; Heller, 2013; NAGC, 2010; Pfeiffer, 2013; Renzulli & Reis, 2014; Reis & Renzulli, 2010; Zanetti, 2016) enfatizza-

no diverse aree intellettuali in cui la dotazione può esprimersi.

Lo strumento psicometrico maggiormente utilizzato per la valutazione dei bam-

bini con Alto Potenziale Cognitivo è la Wechsler Intelligence Scale for Children Fourth

Edition (WISC IV; Wechsler, 2003b). Diversi studi (Molinero, Mata, Calero, Garcìa-

Martìn, Araque-Cuenca, 2015; Morrone, Pezzuti, Lang, & Zanetti, 2019; Rimm, Gilman

& Silverman, 2008; Watkins, Greenawalt, & Marcell, 2002; Winner, 2000) hanno mo-

strato che i bambini con Alto Potenziale Cognitivo ottengono bassi punteggi nelle prove

di memoria di lavoro e di velocità di elaborazione delle informazioni, mentre performa-

no meglio nelle prove di comprensione uditivo verbale e di ragionamento visuo-

percettivo. Questi risultati indicherebbero che i bambini APC gestiscono meglio le pro-

ve di tipo concettuale e di ragionamento astratto rispetto alle prove che richiedono

l’esecuzione del compito entro dei limiti di tempo e la coordinazione visuo-grafo- motoria (Morrone et al., 2019). Poiché le prove di velocità di elaborazione incidono per

il 20% sul calcolo del QI, è necessario chiedersi se La WISC-IV sia lo strumento mi-

gliore per valutare l’Alto Potenziale Cognitivo (Luzzo, 2010). Inoltre, mentre è stato

dimostrato che la WISC-IV mostra buone proprietà psicometriche, in termini di validità,

sensibilità e fedeltà, quando si confrontato le prestazioni dei bambini normotipici, i po-

chi studi condotti sui bambini con Alto Potenziale Cognitivo non permettono di con-

fermare la validità della scala (Luzzo, 2010). A tal proposito, lo studio condotto da Falk,

Silverman e Moran, (2004) ha mostrato che l’indice di comprensione verbale (ICV) e

l’indice di ragionamento percettivo (IRP) sono maggiormente predittivi dell’Alto Po- tenziale Cognitivo, rispetto agli altri due indici che compongono la WISC-IV (Indice di

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Memoria di lavoro-IML, Indice di Velocità di elaborazione-IVE). Inoltre, tale studio ha

suggerito di utilizzare come cut-off per la definizione dell’Alto Potenziale Cognitivo un

punteggio QI totale di 123, considerandolo come un’alternativa ragionevole all’uso

dell’indice di comprensione verbale o dell’indice di ragionamento percettivo. Anche lo studio condotto da Morrone et al. (2019) ha mostrato che la maggior parte dei soggetti

plusdotati adulti coinvolti nella ricerca non ha raggiunto un punteggio pari o superiore a

130 in nessuno dei 4 Indici della WAIS-IV, ottenendo punteggi più alti all’Indice di ra-

gionamento visuo-percettivo (Morrone et al., 2019). È necessario considerare che la

WISC-IV e gli altri test di valutazione psicologica sono stati costruiti e standardizzati

per la popolazione generale e non risultano essere sempre in grado di discriminare le e-

levate abilità degli studenti dotati. I test per la valutazione dell’intelligenza attualmente

disponibili non risultano essere sensibili a prestazioni superiori alla norma a causa degli

effetti tetto, mentre le conoscenze e le abilità dei bambini dotati vanno oltre i limiti di

questi test (Santos, Almeida, & Cruz, 2012; Fabio & Mainardi, 2008). Ancora, tali

strumenti misurano soprattutto l’intelligenza fluida e cristallizzata non considerando gli

altri ambiti in cui l’intelligenza può esprimersi. Una considerazione da fare è relativa al- le differenze individuali. I soggetti con Alto Potenziale Cognitivo presentano una gran-

de variabilità nelle loro prestazioni che potrebbe essere causata da fattori non stretta-

mente correlati al compito (Wechsler, 2008b; Kaufman, 1992), quindi è necessario an- dare oltre il QI e individuare le abilità specifiche che caratterizzano l’intelligenza in ge- nerale e l’Alto Potenziale Cognitivo, in particolare.

Un’altra questione ampiamente dibattuta in letteratura circa il QI riguarda l’effetto Flynn (1998, 2007), cioè l’aumento regolare delle prestazioni ai test d’intelligenza attraverso le generazioni. L’effetto Flynn ipotizza un incremento costante

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di circa 1/3 del punteggio del QI (Luzzo, 2010). Per questo motivo, le tabelle standar-

dizzate dei test di intelligenza vengono regolarmente adattate. L’obiettivo principale di

queste modifiche è di mantenere la curva a campana dell’intelligenza normalmente di-

stribuita, al fine di garantire la validità predittiva e il potere descrittivo del punteggio

QI. Inoltre, recenti studi hanno suggerito che, negli ultimi anni, l’effetto Flynn potrebbe

essersi bloccato o addirittura invertito (Dutton & Lynn, 2015; Pietschnig & Voracek,

2015; Woodley & Meisenberg, 2013). Ciò dimostra che il QI è un concetto socialmente

costruito, piuttosto che una misurazione oggettiva e accurata di un tratto o di una facol-

tà. Inoltre, secondo Ardila et al. (2000), i test di intelligenza non sono sufficienti per va-

lutare l’intelligenza. Questi test non sono sensibili agli elementi più importanti di ciò

che è definita da Wechsler (1944) “intelligenza”: “agire deliberatamente” (cioè, control-

lare e pianificare il comportamento) e “pensare razionalmente” (cioè, organizzare e diri-

gere la cognizione). Ne consegue che i test di intelligenza psicometrica non valutano

appropriatamente l'intelligenza, o misurano quelle abilità che dovrebbero essere intese

come gli elementi più importanti del comportamento intelligente (Ardila et al., 2000).

Da quanto esposto, emerge che non è sufficiente affidarsi esclusivamente al QI

per identificare le abilità dei bambini con Alto Potenziale Cognitivo, mentre sarebbe più

utile un assessment multidimensionale, includendo più fonti di informazioni (esempio:

checklist per genitori e insegnanti, rendimento scolastico ecc). A tal fine, le valutazioni

fornite dai genitori e dagli insegnanti possono essere un valido supporto al processo

d’identificazione dell’Alto Potenziale Cognitivo, perché possono fornire delle informa- zioni utili sulle abilità dei bambini che potrebbero non essere identificate utilizzando

prevalentemente i test di valutazione del quoziente intellettivo. Diversi autori (Çetinka-

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2008; Wild, 1991) asseriscono che l’utilizzo di checklist compilate da genitori e inse- gnanti possono essere più adeguate all’identificazione di alcune caratteristiche come la

motivazione, le competenze di leadership, le abilità sociali, creative, artistiche ecc. In-

fatti, i genitori possono fornire utili informazioni in quanto possono osservare il com-

portamento dei loro figli in ambiti extra-scolastici, riuscendo così ad individuare le abi-

lità dei loro figli in varie situazioni. Tuttavia, uno svantaggio è che i genitori, non aven-

do il confronto con altri bambini tendono a sovrastimare le abilità dei loro figli (Fabio &

Buzzai, 2019; Schiefer, 2004). Gli insegnanti, invece, grazie alla loro esperienza, alla

possibilità di poter osservare continuativamente gli alunni e di poterli confrontare con

altri bambini della stessa età e appartenenti alla stessa classe, potrebbero riuscire a di-

scriminare adeguatamente le elevate abilità dei loro studenti (Bracken & Brown, 2008;

Fabio & Buzzai, 2019). Quindi, il confronto tra le valutazioni di entrambe le figure edu-

cative potrebbe aiutare il processo di identificazione dell’Alto Potenziale Cognitivo. Ovviamente, i resoconti dei genitori e degli insegnanti non possono sostituirsi alla valu-

tazione psicometrica, ma possono essere utili per selezionare e segnalare quei bambini

che mostrano particolari abilità (Fabio & Buzzai, 2019).

Pertanto emerge la necessità di effettuare una valutazione per l’identificazione e

la valutazione dell’Alto Potenziale Cognitivo che vada oltre il QI, considerando quest’ultimo come una stima della capacità relativa di un individuo in un numero di domini che sono generalmente associati all’intelligenza, e non come un tratto indicativo

della quantità di intelligenza posseduta. A tal fine, piuttosto che utilizzare il termine in-

telligenza, che implica un tratto, un costrutto mentalistico, è più efficace utilizzare i

termini “comportamento intelligente” o “performance intellettuale”, che implicano un insieme di abilità dimostrabili, in accordo con una più recente concettualizzazione delle

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abilità cognitive umane, la Relational Frame Theory (RFT) (Dymond & Roche, 2013;

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CAPITOLO II

Una nuova prospettiva allo studio e alla valutazione