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4. Considerazioni sui profili di incostituzionalità dei divieti

4.2 Relativamente al divieto di crioconservazione

Anche con riferimento al divieto di crioconservazione313 si può

prospettare un’illegittimità per violazione di alcuni diritti fondamentali. Un primo contrasto è evidente rispetto all’art. 3 Cost.: l’incriminazione è stata prevista per evitare un accanimento terapeutico sull’embrione, ma stessa considerazione non viene fatta rispetto ad una “persona adulta”.

In più la stessa sanzione è prevista sia per violazione del divieto di crioconservazione che per il reato di embrionicidio, andando così a parificare un’attività volta alla conservazione della vita embrionale (crioconservazione) con una che invece la sopprime (embrionicidio)

314. La disposizione appare illegittima nel momento in cui non è

concretamente rivolta alla tutela della dignità umana, nella sua accezione di salvaguardia della vita. L’unica conseguenza del divieto è infatti la “morte” dell’embrione, che perde ogni chance di sviluppo futuro.

In più un contrasto è in relazione all’art. 32 Cost., perché la pratica vietata circoscrive la realizzazione anche di questo diritto fondamentale della donna, quale la tutela della sua salute. Nonostante sia stato previsto che l’impianto a seguito di crioconservazione avvenga “senza

312 F. MODUGNO, La fecondazione assistita alla luce dei principi, cit., 26 313 Supra, cap. III, par. 3

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pregiudizio per la salute della donna”315, non è possibile comunque

ricorrere a questa pratica per programmare più trasferimenti successivi, quando i primi non portano all’esito sperato316. Quindi anche nel momento in cui è prevedibile che l’impianto degli embrioni creati fallisca, non si può creare una “riserva” di embrioni da impiantare in seguito; alla richiedente residua la sola possibilità di sottoporsi ad una nuova pratica di PMA, molto più invasiva.

Il legislatore con il divieto previsto non è riuscito a bilanciare adeguatamente costi e benefici che la pratica comporta, con conseguenti ricadute sui diritti costituzionali garantiti317.

5. GIURISPRUDENZA RELATIVA AI DIVIETI DI CUI AL CAPO VI L. N. 40/2004

La legge n. 40 del 2004 costituisce, nel nostro ordinamento, il primo tentativo di regolamentazione in materia di procreazione medicalmente assistita; prima di questa legge il tema era stato oggetto solo di provvedimenti amministrativi 318 . Va sottolineato come questa disciplina sia arrivata in netto ritardo rispetto agli altri paesi Europei ed oltretutto abbia costretto la PMA entro spazi angusti, che non hanno eguali nel panorama internazionale319.

315 Sentenza Corte Cost. n. 151/2009; Infra, cap. III, par. 5.5

316 E. DOLCINI, Embrioni nel numero “strettamente necessario”: il bisturi della Corte costituzionale sulla legge n. 40 del 2004, Riv. it. Dir. proc. Pen., 2009, 960 s.

317 Per tutti A. VALLINI, Illecito concepimento e valore del concepito, cit., 245 318 R. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 9; F. SANTOSUOSSO, La procreazione medicalmente assistita, cit., 23 ss. Per quanto concerne la situazione normativa ante L. n. 40/2004

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La legge ha così mostrato fin da subito, soprattutto in relazione ai limiti e ai divieti appena esposti contenuti negli artt. 13 e 14 della presente legge, ampi dissensi da parte della dottrina320. Tutto questo è stato affrontato con particolare vigore dalla giurisprudenza321, che è intervenuta molte volte sulle disposizioni in esame; con queste risoluzioni è andata a rimodellare in modo consistente i divieti e i limiti posti, tanto che come vedremo gli articoli ne usciranno profondamente riformati.

Sul punto ci occuperemo anche degli interventi giurisprudenziali della Corte EDU in tema di diagnosi pre-impianto e del divieto di sperimentazione sugli embrioni umani322.

5.1 Il Tribunale di Catania e l’ordinanza del 3 maggio 2004 sulla diagnosi pre-impianto

Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge n. 40 sulla PMA abbiamo la prima decisione, emessa in data 3 maggio 2004 da parte del Tribunale di Catania323.

L’ordinanza sotto esame mostra subito l’eccessiva rigidità dei limiti imposti dalla legge sulla PMA, qui con particolare riferimento all’art. 14 in merito alle possibilità di ricorso alle tecniche di diagnosi pre- impianto324.

Nel caso in questione una coppia di coniugi si era rivolta ad un centro autorizzato alla realizzazione di pratiche di fecondazione assistita, in quanto erano entrambi affetti da sterilità e portatori sani di Beta-

320 C. CASELLA, M. NIOLA, V. GRAZIANO, M. PATERNOSTER, P. DI

LORENZO, C. BUCCELLI, La procreazione medicalmente assistita, cit., 1441

321 Infra, sentenze dei tribunali e decisioni della Corte Cost.

322 Vedi rispettivamente caso “Costa e Pavan c. Italia” e caso “Parrillo c. Italia” 323 In diritto.it

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talassemia. Chiedevano di poter svolgere la pratica della diagnosi pre- impianto, al fine di veder impiantati solo gli embrioni sani, non portatori della Beta-talassemia, o portatori sani; volevano infatti non vedere traferire nell’utero della donna gli embrioni risultanti malati. Il medico della struttura si trovava costretto a rifiutare la richiesta, sulla base dell’art. 14 della legge sulla PMA. La disposizione obbliga infatti all’impianto immediato di tutti gli embrioni creati, quindi indipendentemente dal fatto di essere o meno portatori di malattie. I coniugi di conseguenza decidevano di far ricorso ex art. 700 c.p.c. contro il diniego del medico a veder impiantati solo embrioni risultati sani o portatori sani secondo i risultati della diagnosi pre-impianto, in quanto ritenuto illegittimo per violazione dei diritti personalissimi alla salute, all’autodeterminazione e alla libera scelta; si rilevava così il contrasto tra la nuova normativa in tema di PMA e i principi costituzionali: l’art. 14, co. 1 e 2, violerebbe, secondo quando sostenuto dai ricorrenti, gli artt. 2, 3 e 32 Cost325. La legge n. 40 era entrata in vigore poche settimane prima, il 19 febbraio 2004, e la questione sottoposta al tribunale coinvolgeva valori fondamentali dell’esistenza, quindi la questione si prospettava particolarmente complessa e delicata. Il giudice per decidere doveva quindi coordinare la legge con tutte le altre fonti del diritto, rispettando le gerarchie esistenti tra i beni e i valori alla base delle relative disposizioni.

La prima questione che il ricorso portava all’attenzione riguardava il rapporto tra la disciplina in esame e quella sull’interruzione di gravidanza, contenuta nella legge n. 194/1978: i ricorrenti sostenevano una violazione del criterio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) in quanto, a seguito dell’impianto di tutti gli embrioni prodotti senza possibilità di diagnosi pre-impianto, era possibile ricorrere all’aborto per la donna, a

325 Nota di C.M. PETTINATO, Filiazione – Inseminazione artificiale o fecondazione o procreazione assistita, in Dir. Eccl., 2004, II, 283

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tutela della sua salute fisica o psichica. La pratica abortiva inoltre veniva in essere in una fase di sviluppo avanzata per il feto. Questo potrebbe essere evitato nel momento in cui si consente la pratica vietata. La ricorrente nel caso di specie aveva già manifestato la sua intenzione di procedere con l’aborto a tutela della salute psichica, messa a rischio a causa dell’impianto di embrioni già diagnosticati come affetti da patologie. I presupposti richiesti dalla legge per procedere con l’interruzione di gravidanza sono infatti conosciuti già precedentemente all’impianto.

Il giudice Lima ha ritenuto giuridicamente infondata la questione sollevata, richiamando la necessità per l’interprete di seguire la lettera e la ratio delle norme che deve applicare. La normativa sull’aborto consente la relativa pratica a condizione di un serio rischio per la salute fisica o psichica della donna e non del nascituro, non comprendendo così tra i rischi per la donna la nascita di un figlio malato. Ne consegue un’infondatezza circa l’esistenza di un diritto della madre ad abortire i figli malati, basandoci sul testo della legge esistente. Non è stata accolta neanche l’affermazione sostenuta dai ricorrenti circa l’esistenza di questo diritto già prima della venuta ad esistenza degli embrioni stessi. Questa conclusione è parsa in linea con il comma 3 dell’art. 14 della legge sulla PMA, che consente la crioconservazione degli embrioni per cause relative allo stato di salute della donna imprevedibili al momento della fecondazione; in questo caso i ricorrenti chiedevano invece l’applicazione di questa tecnica per cause previste già prima della fecondazione.

La seconda questione invece portata all’intenzione del giudice da parte dei ricorrenti riguardava il contrasto tra l’art. 14, co. 2, della legge in questione e gli artt. 2 e 32 Cost. Si sosteneva che l’obbligo di impianto contemporaneo degli embrioni prodotti, per un numero massimo di tre, entrasse in contrasto con la libertà di autodeterminazione dei soggetti, in quanto prevedeva un trattamento sanitario obbligatorio.

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Richiamando la sentenza n. 26/1981 della Corte Costituzionale, si diceva che il soggetto è l’unico titolare del diritto alla salute e quindi la volontà del singolo non può essere subordinata a nessun interesse che lo trascende; in conseguenza la volontà del singolo è l’unica che può determinare i trattamenti sanitari eventualmente da adottare, considerando anche gli eventuali rischi per la propria salute e per quella del nascituro. Facendo leva anche su altre sentenze (Corte Cost. n. 27/75; Cass. Civile n. 11503/93, n. 12195/99, n. 6735/2002) si affermava l’esistenza del diritto alla salute della donna nella sua dimensione psicologica e fisica, ma anche un interesse costituzionalmente protetto del bambino a "nascere sano”.

Il giudice non ha ritenuto condivisibili queste conclusioni sostenute. In questo caso erano in gioco beni e diritti diversi, quelli della donna, del nascituro, del padre e della collettività. In conseguenza solo la donna non poteva decidere come operare il bilanciamento dei plurimi interessi in gioco, come affermato nel ricorso; questo avrebbe portato infatti ad affermare solamente gli interessi di coloro che operavano il bilanciamento, negando gli altri. Si garantiva in questo modo solo l’interesse dei genitori ad avere un figlio sano, a discapito dei futuri figli eventualmente malati. In più negando la nascita di figli non sani non si poteva in nessun modo “gridare” all’esistenza di un diritto del nascituro a “nascer sano”, del quale i ricorrenti avevano affermato l’esistenza sulla base di alcune sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione civile. Le questioni sostenute inoltre non sono state considerate giuridicamente fondate in quanto la Costituzione non afferma un diritto dei genitori ad avere un figlio così come desiderato; inoltre riduce i diritti della ricorrente per la tutela della vita sia degli embrioni che della collettività.

In definitiva deve essere la legge a disciplinare la tutela e il bilanciamento tra i numerosi beni che qui sono venuti in discussione. I ricorrenti, come già indicato, avevano sostenuto come la previsione

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in esame avesse dato vita ad un trattamento sanitario obbligatorio, in riferimento all’impianto di embrioni malati. Il giudice ha respinto anche questa tesi sostenendo che è la donna stessa che decide volontariamente se sottoporsi o meno alle pratiche di PMA, sulla base del consenso informato regolato all’art. 6 della legge n. 40326. Inoltre il giudice ha aggiunto che i trattamenti sanitari obbligatori, sulla base art. 32, co. 2, Cost., sono consentiti per espressa previsione di legge; per questa ragione se l’obbligo previsto dall’art. 14 della legge sulla PMA fosse tale sarebbe in linea con la Costituzione, in quanto nella legge previsto e disciplinato.

Il giudice ha rigettato ancora l’argomentazione sostenuta dai ricorrenti per affermare l’illogicità della legge, quella seconda cui non c’è un’incoercibilità materiale dell’obbligo di sottoporsi al trasferimento di embrioni. Il rigetto si è basato sulla considerazione che gli obblighi, anche quando non coercibili, sono comunque validi giuridicamente e ragionevoli 327 . Inoltre i medici sono ritenuti corretti, quindi rispetteranno la legge; qui si fa un paragone con il rispetto del codice deontologico portato dal medico convenuto nel caso di specie.

Oltre a ciò i ricorrenti hanno sostenuto che l’obbligo di impianto degli embrioni creati potrebbe essere pericoloso per la salute della donna e non creerebbe nessuna utilità di protezione in capo all’embrione (pensiamo ad alcune patologie che non consentirebbero all’embrione di vivere o porterebbero alla generazione di gravi patologie). In realtà il giudice ha ritenuto questa tesi pretestuosa: i casi richiamati infatti ricadrebbero all’interno dell’art. 14, co. 3, in quei casi di “grave

e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna”. Questi casi costituiscono una deroga all’obbligo posto in

esame, consentendo la crioconservazione e inoltre garantiscono

326 Nota di C.M. PETTINATO, Filiazione, cit., 283

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l’accesso alle pratiche di interruzione della gravidanza così come disposto dalla legge n. 194/78. Di conseguenza si comprende come il giudice abbia ritenuto infondate le considerazioni dei ricorrenti circa l’inutilità delle informazioni garantite riguardo lo stato di salute degli embrioni prodotti per il trasferimento (art. 14, co. 5).

Infine è stata sostenuta una violazione degli artt. 3, 2 e 32 Cost., nella loro accezione di articoli tutelanti la persona e la salute come integrità psicofisica, in quanto veniva esclusa per i genitori la possibilità di selezionare gli embrioni. Non si comprende come questo avrebbe potuto violare il principio di uguaglianza ex art. 3, in quanto nella tutela della persona e della salute come integrità psicofisica non rientra la possibilità di selezione eugenetica dei figli.

Il giudice ha ritenuto quindi manifestatamente infondate tutte le questioni di costituzionalità proposte dai ricorrenti. È stato rigettato quindi il ricorso, sostenendo una mancata violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost. in relazione all’obbligo a trasferire in utero tutti gli embrioni prodotti, anche se affetti da malattia genetica328. La legge n. 40 del 2004 sulla procreazione assistita non consente in definitiva alle coppie, sterili o meno, di ricorrere alle tecniche di procreazione artificiale al solo fine

di effettuare una diagnosi preimpianto per procedere,

conseguenzialmente, ad una selezione degli embrioni sani da quelli che risultassero portatori di malattie genetiche329. Questa previsione non viola diritti fondamentali della persona, ma tutela la vita,

328 G. FERRANDO, nota a Trib. Catania, ord. 3 maggio 2004, in Fam. e dir.,

2004, 372 ss.; M. DOGLIOTTI, Una prima pronuncia sulla procreazione assistita: tutte infondate le questioni di legittimità costituzionale?, Fam. Dir., 2004, 11, 385

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contemperando i valori coinvolti di valenza costituzionale330. La

decisione del giudice Lima di dichiarare manifestamente infondate le questioni di costituzionalità poste dalla difesa dei ricorrenti, ha costituito un’occasione persa per sottoporre al vaglio della Corte Costituzionale una legge che obiettivamente solleva numerosi dubbi; il giudice, così facendo, «si assume l’ingrato compito della difesa

d’ufficio “ad ogni costo” della legge», perdendo così un’importante

occasione per fare chiarezza su di essa331. Una decisione della Corte

Costituzionale risulta essere infatti il modo più opportuno per cercare di correggere la legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita; il caso di Catania ci dimostra come si debba passare attraverso una valutazione delle corti per poter adire la Corte Costituzionale sul punto.

Consideriamo gli ulteriori sviluppi giurisprudenziali in relazioni alla legge sulla PMA e vediamo se le corti hanno avuto la sensibilità e la volontà di arrivare di fronte alla Corte Costituzionale per consentire una revisione della disciplina332.

330 Nota di M. DELLA ROCCA, L. D’AVACK, Filiazione. Inseminazione artificiale o fecondazione o procreazione assistita, in Dir. famiglia, 2005, 75, 549 331 T.E. FROSINI, Così cala l’ombra dell’illegittimità, in Guida al diritto, 2004,

3, 48; M. DOGLIOTTI, Una prima pronuncia sulla procreazione assistita, cit., 386

332 M. FUSCO, Il “caso” Catania e la legge sulla PMA: il referendum è davvero l’unica strada?, Diritto & Diritti, 2004, 126

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5.2 Il parere del Tribunale di Cagliari del luglio 2005 e l’ordinanza n. 369/2006 della Corte Cost.

E’ stato proposto un nuovo ricorso sempre in relazione alla questione della diagnosi genetica pre-impianto333.

Due coniugi hanno presentato ricorso al Tribunale di Cagliari, affinché questo dichiarasse in via cautelare, ex art. 700 c.p.c., il loro diritto ad ottenere la diagnosi pre-impianto dell’embrione già formato. I due coniugi, affetti da sterilità accertata, si erano sottoposti una prima volta ad una procedura di PMA, ma avevano deciso di porre fine alla gravidanza che ne era susseguita, in quanto il feto era affetto da beta- talassemia e questo aveva provocato danni alla salute psicofisica della donna.

Sottoponendosi così ad una seconda pratica di fecondazione artificiale, avevano richiesto la diagnosi pre-impianto dell’embrione già formatosi e in stato di crioconservazione, al fine di accertare se questo fosse affetto dalla stessa patologia precedente. La donna rifiutava l’impianto prima di poter conoscere il risultato diagnostico. Il medico rigettava però la richiesta dei coniugi in base a quanto previsto dall’art. 13 della legge 40/2004; questa norma consentiva infatti unicamente interventi sull'embrione aventi finalità̀ diagnostiche e terapeutiche, volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell'embrione stesso. I coniugi così ricorrevano al tribunale per vedersi accertare il loro diritto ad ottenere la diagnosi prima dell’impianto dell’embrione; nel contempo sollevavano anche questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 menzionato in riferimento agli artt. 2 e 32 Cost. Il divieto posto infatti, secondo i ricorrenti, poteva arrecare un grave danno alla salute psicofisica della donna, in quanto l’embrione da impiantare sarebbe potuto risultare portatore della patologia, generando nella madre una

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sindrome ansioso-depressiva, come quella già manifestatasi durante la prima pratica di PMA. I ricorrenti richiamavano a sostegno precedenti decisioni della Corte Costituzionale riguardo all’interruzione di gravidanza334, in cui si era affermata la prevalenza del diritto alla salute della donna sulla tutela del concepito.

Considerando le osservazioni mosse dal tribunale, questo era arrivato ad affermare come non si potesse procedere alla diagnosi pre-impianto: la conclusione si basava sull’interpretazione degli artt. 13, co. 2 e 3, lettera b) e 14, co. 5 della legge n. 40 e sulla lettura delle Linee Guida del 2004 al tempo vigenti335. Le uniche indagini possibili sulla salute degli embrioni creati in vitro dovevano essere di tipo osservazionale336. Questa affermazione ha spinto il tribunale a sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 in esame in relazione agli artt. 2 e 32 Cost.: il diritto alla salute affermati nella Carta fondamentale, secondo il tribunale, permetteva la praticabilità della diagnosi pre- impianto quando la sua mancata esecuzione potesse creare pregiudizio alla salute psico-fisica della donna. Il giudice ha ritenuto rilevante la questione di legittimità proposta alla luce dello stato di salute della donna ricorrente, affetta da una grave ansia con umore depressivo, determinata dal fatto di dover procedere obbligatoriamente all’impianto337 dell’embrione prodotto senza possibilità di diagnosi circa la presenza di patologie sullo stesso338. Il dubbio sollevato è stato

334 In questo senso si vedano le pronunce della Corte Costituzionale: sentenza n.

27/1975; n. 26/1981 e n. 35/1997

335 Decreto Ministero della Salute, Gazzetta Ufficiale n. 191/2004 336 L. n. 40/2004, art. 14, co. 5

337 L. n. 40/2004, art. 14, co. 1 e 2

338 G. CASABURI, Il restyling giurisprudenziale della l. n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita, in Giur. mer., 2009, 12, 3008, osserva come “il giudice remittente ha però escluso la configurabilità di un diritto dei genitori

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giustificato considerando il conflitto coinvolgente la tutela della salute della ricorrente e la tutela dell’embrione: quest’ultimo era soggetto a crioconservazione a causa del rifiuto di impianto della donna, quindi questo avrebbe potuto determinare danni biologici irreversibili per lo stesso embrione; riguardo ai rischi sullo stato di salute della donna il tribunale era già risultato esaustivo. Il giudice ha ricordato, a sostegno della non manifesta infondatezza della questione proposta, alcune pronunce della Corte Costituzionale in cui era stato affermato, nel caso di conflitto, la prevalenza del diritto alla salute della donna sulla tutela accordata al concepito; la Corte ha infatti riconosciuto una mancata equivalenza tra il diritto alla vita e alla salute di chi è già persona – nel caso di specie la madre- rispetto alla salvaguardia dell’embrione, come persona in divenire339.

Il tribunale ha aggiunto che l’art. 13 della legge sulla PMA appariva in contrasto con l’art. 3 Cost. sul diritto di uguaglianza, non ritenendo così manifestatamente infondata questa questione di legittimità costituzionale proposta nelle memorie illustrative. Il contrasto con la Costituzione derivava dal fatto di aver consentito il diritto alla diagnosi prenatale e il diritto all’informazione circa la salute del feto durante la gravidanza, mentre veniva negato il diritto alla diagnosi pre-impianto per poter verificare la presenza di eventuali patologie di cui sarebbe stato affetto l’embrione prodotto, al fine di evitare danni alla salute psico-fisica della donna. Il giudice ha sostenuto che negare l’ammissibilità della diagnosi preimpianto rendeva inadeguata

ad un figlio sano, che pure era stato prospettato. Di contro, l'ordinanza muove sul piano più «tranquillizzante» della tutela della salute della donna, prevalente

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