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Ultimo elemento di discussione relativo alla struttura portante dell’imbarcazione è il remo – timone, ovvero un sistema di guida che permettesse variazioni di direzione alle imbarcazioni, di qualsiasi forma esso fosse. Come giustamente osservato da Gillmer66 fin dagli albori della navigazione doveva essere in uso uno strumento per poter determinare la direzione delle imbarcazioni; nella sua forma più semplice doveva trattarsi di un remo, un palo o un qualche altro tipo di superficie che sporgendo dallo scafo della nave tramite un movimento di rotazione su se stesso ed il movimento laterale, era in grado di determinare la direzione. Questo tipo di sistema compare nell’iconografia per la prima volta in esempi egiziani, durante la III Dinastia ed è ampiamente attestato anche nei periodi successivi. Con il progredire delle tecniche di costruzione e le dimensioni delle imbarcazioni,presto si rese necessario aggiungere più timonieri per garantire una maggiore potenza dei sistemi di direzione.

Nella tradizione egea il remo - timone di direzione è piuttosto ben attestato già fin dall’AC II in sigilli e ceramica67 ed anche nell’Affresco dell’Ammiraglio sono dipinti chiaramente i timonieri

64 Morgan L., 1988, pg. 130 65 McGrail S., 2001, pg. 121 66 Gillmer T. 1999, pg. 185 67 Wedde M. 2000, pg. 59-60

che, posizionati nella zona poppiera dell’imbarcazione, tengono saldamente in mano quello che sembra essere un remo timone.

Partendo da paragoni con il mondo egizio, secondo Wedde il remo timone era fissato al lato dello scafo tramite una cinghia o una sorta di legatura, benché questa non risulti rappresentata negli affreschi. In un sistema così organizzato il cambio di direzione doveva essere realizzato facendo girare sul proprio asse il remo - timone, alterandone l’angolo di ingresso nell’acqua. Certamente si possono sollevare dubbi sulla forza necessaria a tale operazione e sulla sua efficacia nel caso di imbarcazioni con la stazza ed il peso di quelle di Thera: il timoniere difficilmente sarebbe stato in grado di tenere il remo – timone e nello stesso tempo influenzare la direzione della nave con le forze che agivano sulla lama del remo. Per McGrail68 l’assenza del fulcrum su cui far girare su sé stesso il timone non sarebbe significativa né problematica, poiché la direzione potrebbe essere data dagli stessi mezzi di propulsione utilizzati, come i remi o le pagaie. Le navi hanno un solo timoniere che è raffigurato stante con entrambe le mani che impugnano il remo timone e lo sguardo rivolto in avanti a controllare l’andatura. Solamente in un caso, nell’imbarcazione cat. n. S6, sono chiaramente rappresentati due timonieri posti entrambi sul lato di dritta della nave, anche se è possibile che fossero uno su ciascun lato dei quarti poppa e siano stati resi in questo modo semplicemente per l’impossibilità di realizzare pittoricamente la prospettiva69.

Come giustamente notano sia Basch70 che McGrail la postura dei timonieri non indica un particolare sforzo o impegno fisico nel governare l’imbarcazione, cosa piuttosto singolare se si considera che la lunghezza delle navi, così come stimata, doveva essere compresa fra i 25 e 30 m. Se a ciò si aggiungono le particolari condizioni meteo marine a cui si doveva far fronte nel mar Egeo, con venti spesso impetuosi e correnti forti, pare improbabile che il governo delle navi avvenisse esclusivamente con questa tecnica.

68 McGrail S. 2001, pg 118 69 Wedde M., 2000, pg. 61 70 Basch L., 1987, pg. 122

In epoca classica, e anche nell’epica omerica, il timoniere era una figura chiave nel ristretto mondo dell’equipaggio, rappresentato per lo più seduto, una posa che gli conferiva un assetto stabile e saldo71. Gli unici timonieri che si incontrano in una posizione simile a quella dei timonieri dell’affresco dell’Ammiraglio si ritrovano in affreschi egiziani risalenti all’antico Regno; in Egitto però non si ritrovano meno di due timonieri, ed il loro numero aumenta esponenzialmente all’aumentare dei rematori, fino a raggiungere i 5 timonieri per 25 o 30 rematori per lato presenti sulla nave di Pehenuka appartenente alla V dinastia. In ogni caso, paragonando gli esempi egiziani a quelli therei per numero di rematori, non si trovano mai meno di 2 timonieri per un totale di 16 rematori. Anche nella grande barca solare del Faraone Cheope, lunga ben 43 m., i remi di direzione sono due, uno su ciascun lato. Il rendimento di questo tipo di timone, anche nelle condizioni di navigazione imposte dalla navigazione fluviale, di certo più semplice di quella marina, erano mediocri e richiedevano un grande sforzo muscolare del timoniere che doveva nel contempo mantenere il remo – timone leggermente inclinato rispetto alla verticale ed assicurarne la rotazione sul proprio asse.

Benché quindi il remo – timone rappresenti un elemento fondamentale per riconoscere l’assetto delle imbarcazioni e definirne la direzionalità ( come è stato sottolineato nel paragrafo 1.1 del presente capitolo), ancora ci sfugge la sua reale tecnologia nell’ambito dell’architettura delle imbarcazioni di Thera. In mare, con le grandi dimensioni e col numero elevato di rematori pare improbabile che solo un remo – timone garantisse la governabilità; i dati a disposizione ancora una volta ci sono insufficienti per un’analisi approfondita della forma e dell’uso del remo timone, ed ogni ipotesi ricostruttiva cadrebbe nel campo delle ipotesi non verificabili.

CAPITOLO 3 LA PROPULSIONE

Un’imbarcazione per assolvere alla sua funzione essenziale di mezzo di trasporto deve saper rispondere alle sfide poste dalle condizioni meteo - marine ed ambientali in genere. Prima dell'era industriale e dell’avvento dei meccanismi di propulsione basati sul vapore o sui carburanti, la forza motrice necessaria ai movimenti delle navi era fornita dagli elementi naturali come il vento, le correnti (fluviali o marine) o il moto ondoso oppure dall’energia umana applicata a strumenti come il remo per imprimere una forza nell’acqua, la pagaia o lunghe pertiche. Le tecniche di propulsione si svilupparono a seconda degli ambienti in cui la navigazione era destinata, alcune erano più adatte alla navigazione in acque interne, come lungo i fiumi o in ambiente palustre, mentre altre sono state affinate nel tempo appositamente per affrontare le difficoltà poste dalla navigazione marittima, che per sua natura pone sfide tecniche e soluzioni tecnologiche piuttosto complesse.

Nell’area egea, per la sua natura prettamente isolana e per la mancanza di fiumi navigabili anche nelle isole maggiori, durante l’Età del Bronzo si sono sviluppate tecniche di propulsione destinate alla navigazione marittima legate agli elementi naturali ed alla forza umana, ben attestate in un

corpus di immagini che ne testimonia chiaramente il lungo processo di sviluppo.

Partendo dalla tecnica più semplice fino alla più complessa, in ambito egeo ritroviamo imbarcazioni con propulsione a pagaia, a remi, a vela e con propulsione mista a vela e remi.

Nello specifico del presente studio, nell’Affresco dell’Ammiraglio sono rappresentati tutti i principali metodi di propulsione in uso nell’età del Bronzo ovvero remo (come ad esempio Cat. n. S1 e probabilmente Cat. n. S10 e S11), vela (Cat. n. S6 con le vele spiegate al vento ma chiaramente attestata anche nelle imbarcazioni più grandi) e pagaia (come nelle imbarcazioni di stazza superiore Cat. n. S2, S3, S4, S5, S7, S9, N1).

Come spesso accade per l’iconografia legata al mondo marittimo e navale (e come più volte sottolineato all’interno del presente lavoro anche per altri particolari costruttivi) le numerose attestazioni dei differenti modi di propulsione non sono sufficienti a fare luce sulla loro reale metodologia di utilizzo, soprattutto per quanto riguarda le vele, poiché non è ancora chiaro come la vela venisse armata e manovrata. Anche secondo Wedde72, che mantiene sempre una posizione piuttosto scettica riguardo alle informazioni desumibili dall’analisi iconografica, al momento non si può accettare una ricostruzione basata sulla lettura diretta del database di immagini a disposizione.

3.1 LE PAGAIE

L’unico esempio certo dell’utilizzo di pagaie per la propulsione di imbarcazioni in ambito egeo per il Tardo Bronzo è rappresentato proprio dall’affresco dell’Ammiraglio a Thera. Pagaiare piuttosto che remare è pratica inusuale per le grandi imbarcazioni ed il perché e il come si utilizzassero pagaie piuttosto che remi per la propulsione delle navi di maggiori dimensioni è questione molto interessante e dibattuta, che fino ad oggi tuttavia non ha avuto una spiegazione definitiva.

In ambito egeo, il confronto più stretto con le navi di Thera riguardo alla propulsione a pagaia proviene ancora una volta dalle padelle cicladiche dell’ AC e da alcuni sigilli del MMIII73; le immagini incise su questi supporti, però, come più volte sottolineato nel presente lavoro, non sono di facile lettura74. Confronti più leggibili sono rappresentati dalle grandi imbarcazioni egiziane dell’Antico Regno, ma antecedenti di un millennio l’Affresco dell’Ammiraglio: nel periodo contemporaneo all’Affresco, in Egitto era da tempo stata abbandonata a favore dell’utilizzo dei remi.

Sebbene sia Giesecke75 prima e McGrail76 poi abbiano sollevato dubbi sulla correttezza del restauro sull'affresco che, secondo loro, sarebbe intervenuto pesantemente sulle figure dei pagaiatori, 72 Wedde M., 2000, pg. 90

73 Marangou C., 1987, pg. 261 74 Wedde M., 2000, pg. 70-71 75 Giesecke H. E., 1983, pp. 140-141 76 Mcgrail S., 2001, pg. 118

seguendo troppo pedissequamente l’interpretazione data da Marinatos77 al momento della scoperta, ad oggi gli affreschi non lasciano dubbi sul fatto che le imbarcazioni fossero spinte a pagaia da numerosi pagaiatori ( nel caso di Cat. n. S... anche da 40 pagaiatori). Questi ultimi sono raffigurati immobilizzati in una posizione innaturalmente forzata, mentre si sporgono esageratamente fuoribordo appoggiandosi col petto al capodibanda per poter immergere le pagaie in acqua. E’ piuttosto evidente, anche all’osservatore profano, come le imbarcazioni siano troppo grandi per avere questo tipo di propulsione, e quasi certamente costruite per il mare aperto78, e come tali con fiancata alta e bordo libero di ca. 1,5 m. che costringe i pagaiatori alla posizione innaturale in cui sono ritratti. Pesanti dubbi sorgono sull’efficienza di tale metodo e secondo la maggior parte degli studiosi non è da considerarsi la pratica normale utilizzata per imbarcazioni della stazza di quelle rappresentate79.

Non c’è dubbio che all’epoca della realizzazione dell’Affresco fosse conosciuta la tecnica basata sull’utilizzo di remi, volgendo le spalle alla prua, come ben attestato anche nell’Affresco stesso (Cat. n. S1), tecnica che indubbiamente era molto più efficace dal punto di vista della propulsione ottenuta rispetto alla tecnica con pagaie.

Secondo un calcolo impostato da Lambrou -Philippson80 le navi theree avrebbero dovuto pesare attorno alle 24 ton., ovvero un peso che, anche a nave vuota, avrebbe costretto ciascun pagaiatore a spostare circa mezza tonnellata. Remare solo con la forza delle braccia e senza un fulcro, facendo divenire il busto il fulcro del movimento stesso, è estremamente faticoso, soprattutto su lunghi percorsi. Ciò che appare innaturalmente sbagliato, oltre alla posizione dei pagaiatori, è anche la lunghezza delle pagaie, troppo corte per l’altezza del lato libero dello scafo: la piccola barca vicino alla città di arrivo, Cat. S9, mostra invece il metodo convenzionale di utilizzo delle pagaie, con uomini inginocchiati sui banchi alla giusta altezza e busto quasi eretto. Nelle grandi imbarcazioni, al 77 Marinatos S., 1974A, pg. 51 et idem 1974B, pg. 151

78 Gillmer T.C. 1975, pg. 324

79 Wedde M., 2000, pg. 70; Gillmer 1975, pg. 323; Casson L. 1975, pg. 7; Tilley A.F. - Johnstone P. 1976, pg. 288; Morgan Brown L. 1978, pg. 631; Lambrou – Philippson 1999, pg. 355

contrario, la lunghezza delle pagaie appare realmente troppo corta per ottenere un movimento efficace. Secondo Lambrou – Philippson, tuttavia, anche pagaie di una lunghezza maggiore non sarebbero state più utili oppure più efficienti poiché, da una serie di paragoni e rapporti fra la lunghezza delle braccia dei pagaiatori e quella delle pagaie immerse nell’acqua, risulterebbe che difficilmente la nave potesse realmente muoversi, a meno che non avesse una corrente particolarmente favorevole.

In base quindi alla rarità di immagini relative alle pagaie, alla posizione dei pagaiatori e alla lunghezza delle pagaie stesse, molti studiosi concordano nel sostenere che in queste navi il pagaiare fosse solamente un espediente momentaneo ed una procedura ausiliaria di propulsione, mentre il primario mezzo di movimento doveva essere indubbiamente la vela. Molte motivazioni sono state addotte per spiegare la scelta della propulsione a pagaia, che potrebbe essere stata dettata sia da motivazioni squisitamente tecniche che da necessità cerimoniali o cultuali.

Innanzitutto, come notato da Tilley e Johnston81, l’utilizzo della pagaia avrebbe permesso un notevole risparmio di spazio nell’organizzazione generale dell'imbarcazione ma avrebbe permesso anche in secondo luogo di manovrare in acque troppo basse per l’utilizzo dei remi, oppure di entrare in un’area portuale troppo affollata. Anche Gillmer82 sostiene che l’utilizzo delle pagaie sarebbe comprensibile in forza della loro particolare attitudine a fornire maggiore manovrabilità e velocità sulle brevi distanze rispetto alla propulsione a remi. Tuttavia rimane indubbio che questa tecnica durante tutto il Tardo Bronzo egeo, debba essere considerata una pratica marginale rispetto ad altri tipi di propulsione poiché anche il corpus di immagini dei modi di propulsione indica una bassa percentuale di raffigurazioni relative alla pagaia83.

Basch84 affronta la questione introducendo un’analisi più complessa e raffronti iconografici interessanti; secondo lui l’utilizzo della propulsione a pagaia si spiegherebbe adeguatamente solo se

81 Tilley A. F. - Johnstone P., 1976, pg. 286 82 Gillmer T.C., 1975, pp. 323 - 324 83 Wedde M., 2000, pg. 72

analizzata contestualmente ad un gruppo di dipinti su pithoi provenienti dal sito di Kolonna ad Egina. Le immagini delle imbarcazioni sui pithoi (purtroppo non in buone condizioni di conservazione) e risalenti al Medio Bronzo, presentano uno scafo del tutto simile al profilo delle navi theree e 30-31 figure che, secondo Basch, proprio in ragione del loro numero eccessivo, dovrebbero essere interpretate come pagaiatori e non come passeggeri. Già in un precedente articolo che esaminava le navi di Thera, Basch sottolineava come nell’affresco i pagaiatori risultino essere figure indistinte, prive di individualità, del cui corpo si riconoscono solamente le braccia che tengono le pagaie fuoribordo; su questa osservazione Basch arrivava a sostenere (per poi smentirsi in uno studio successivo) che non si poteva trattare che di uomini schiavi o prigionieri, facenti parte comunque di una umanità indistinta di un livello sociale inferiore rispetto alla posizione occupata dal proprietario della West House85.

Le imbarcazioni dipinte sui pithoi provenienti da Kolonna ad Egina sembrano essere navi d’altura, destinate forse più alla pirateria piuttosto che al trasporto di merci o passeggeri. Lo scafo, con la sua forma lunata, ricorda un’origine monossila, a fondo piatto e privo di chiglia, i cui relativi problemi di deriva erano indubbiamente compensati dall’enorme remo timone rappresentato, che serviva anche da piano di deriva.

Dal confronto fra le imbarcazioni di Kolonna e quelle di Thera emergerebbe, secondo Basch, che la tecnica a pagaia all’epoca della realizzazione dell’affresco probabilmente non era un semplice ricordo del passato, un metodo estinto ed utilizzato occasionalmente solo per fini cerimoniali e cultuali come da molti sostenuto, bensì una tecnica ancora impiegata effettivamente poiché strettamente associata ad uno specifico tipo di imbarcazione a cui apparterrebbero anche le grandi imbarcazioni theree.

Un altro gruppo di studiosi, fra cui S. Marinatos86, Casson, Morgan Brown e Gillmer87 sostiene, al contrario di Basch, che l’uso di pagaie debba essere considerato senza ombra di dubbio un sistema 85 Basch 1987, pg. 124 et idem 1991, pg. 50 nota 36

86 Marinatos S., 1974A, pg. 51 et idem 1974B, pg. 151 87 Gillmer T. C., 1985, pg. 408

propulsivo di tipo arcaicizzante, legando il suo utilizzo alla ritualità o cerimonialità dell’evento specifico rappresentato.

Casson88 in particolare, citando Platone, ricorda che anche ad Atene in tempi classici, si inviava a Delos in occasione della festa di Apollo una nave attrezzata in modo talmente arcaicizzante che si diceva che fosse la stessa nave utilizzata da Teseo quando navigò verso Creta; l’Affresco dell’Ammiraglio potrebbe quindi riprodurre una situazione rituale simile a quella descritta da Platone, in cui le navi sono deliberatamente spinte da una propulsione arcaicizzante poiché richiesto dalla cerimonia.

Morgan Brown89 osservando come le imbarcazioni appaiano troppo grandi per essere pagaiate, sottolinea che nello stesso periodo della realizzazione degli affreschi therei, in Egitto, l’uso occasionale di pagaie era ristretto solamente ad imbarcazioni usate in specifiche processioni relative a festival annuali. Per Morgan Brown sembrerebbe quindi probabile che anche nel caso dell’Affresco dell’Ammiraglio ci troviamo dinanzi ad un’attività arcaizzante per deferenza alla tradizione.

A supporto di queste posizioni mi pare necessario sottolineare che se la tecnica di propulsione basata sulla pagaia fosse stata praticata solo occasionalmente in navi progettate per la navigazione a vela, l’equipaggio si sarebbe trovato costretto ad assumere la stessa esatta posizione in cui è effettivamente ritratto, sporgendosi in modo esagerato oltre il capodibanda per essere in grado di immergere le pagaie sotto il livello dell’acqua. Inoltre i pagaiatori occupano molto meno spazio rispetto ai rematori e permettono, come accade in questa particolare occasione, di lasciare maggiore spazio ai passeggeri che possono comodamente sedere sotto le strutture a centro nave.

A tal proposito, se si accetta il restauro proposto già da Marinatos, chi scrive ritiene che non si possa parlare di cattiva resa artistica né per le figure dei pagaiatori né per la lunghezza delle pagaie, bensì

88 Casson L. 1975, pg. 7; Plato, Phaedo, 58a

penso che l’artista abbia perfettamente rappresentato quello che realmente accadeva, seppure a noi paia insolito.

3.2 I REMI

Dopo la vela, i remi sono in assoluto il mezzo di propulsione più rappresentato in Egeo ed il loro utilizzo è bene attestato anche nell’Affresco dell’Ammiraglio.

In generale questo metodo, ancora oggi, è utilizzato da ogni imbarcazione veloce perché permette di raggiungere il massimo dell’efficienza dalla forza motrice umana: per ottenere una velocità soddisfacente è necessario che gli uomini che utilizzano il remo siano posizionati con il dorso verso prua e che muovano un remo attorno ad un fulcro.

Nelle imbarcazioni tradizionali di ambito mediterraneo, la propulsione a remi è di fondamentale importanza per l’utilizzo come forma ausiliaria alla propulsione a vela, sia per sopperire con efficacia alla mancanza di vento, sia per affrontare manovre particolari e che necessitano di maggiore attenzione, come entrare od uscire dai porti, doppiare un capo o allontanarsi da una costa sottovento. Inoltre i remi nella marineria tradizionale rappresentano un importante mezzo su cui fare affidamento in caso di burrasche improvvise, che si verificano spesso soprattutto nel mare Egeo90. Nell’Affresco dell’Ammiraglio nell’imbarcazione Cat. n. S1 la tecnica del remo è correttamente applicata: 4 rematori posti sotto il baldacchino remano dando la schiena alla prua, nella tipica posizione che produce la massima efficacia dal punto di vista della propulsione. E’ possibile che anche le piccole imbarcazioni Cat. S10 ed S11 avessero una propulsione a remi, anche se questi non sono rappresentati, perché sono di piccole dimensioni e stanno approcciando al porto di arrivo, manovra per cui era necessaria una maggiore manovrabilità.

McGrail91 nota con grande pertinenza che in nessuna imbarcazione, né in quelle di piccole dimensioni né in quelle grandi dimensioni, sono rappresentati i fulcri dei remi. Gillmer92 a sua volta

90 Gifford E. e J., 1997, pg.199 sottolineano anche la probabile fragilità del sartiame 91 McGrail S., 2001, pg. 119

nota che nelle imbarcazioni cat. n. S3 (a cui io aggiungerei anche Cat. n. S2, S3, S4, S5, S6, S7, ed S8) non c’è traccia di remi, di rematori, né di fermi del remo, scalmi o altri tipi di supporto del remo. Alle osservazioni di questi studiosi si può ribattere osservando la tecnica perfetta utilizzata dai rematori di Cat. S1: senza un fulcro del remo non sarebbe stato possibile esercitare perfettamente il movimento richiesto dalla tecnica di propulsione a remi; è possibile tuttavia che in questo caso il pittore abbia desiderato comunicare il tipo di propulsione ma non si sia semplicemente soffermato sui particolari poiché era sufficiente indicare i rematori e la loro posizione. Nel caso delle navi di maggiori dimensioni la necessaria raffigurazione dei pagaiatori, funzionali alla descrizione stessa dell’evento rappresentato, ha probabilmente causato da parte dell’artista l’omissione dei particolari costruttivi legati ai remi. Secondo McGrail è probabile che i remi non utilizzati nelle imbarcazioni maggiori trovassero posto alle estremità della nave, lasciando libera la zona attorno all’albero per i passeggeri e le merci oppure, come nello specifico caso degli

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