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Analisi morfologica delle imbarcazioni dell'affresco dell'Ammiraglio ad Akrotiri - Thera

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN BENI ARCHEOLOGICI

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

“ANALISI MORFOLOGICA DELLE IMBARCAZIONI DELL’AFFRESCO DELL’AMMIRAGLIO AD AKROTIRI – THERA”

RELATORE: PROF. Giampaolo GRAZIADIO

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INDICE

Indice generale

INTRODUZIONE...4

1.1 IL QUADRO GENERALE ED IL PIANO DEL LAVORO...4

CAPITOLO 1...8

IL CONTESTO: LA WEST HOUSE...8

1.1 L’ARCHITETTURA...8

1.2 L’ INTERPRETAZIONE ICONOGRAFICA...12

1.2.1 L’ AFFRESCO MINIATURISTICO DELLA STANZA 5...12

1.2.2 LA STANZA 4...18

CAPITOLO 2...20

LO SCAFO: LE PARTI STRUTTURALI...20

2.1 INTRODUZIONE...20

2.2 LA FORMA DELLO SCAFO: IDENTIFICARE PRUA E POPPA...22

2.3 DESUMERE LA DIMENSIONE DELLO SCAFO...24

2.5 LA CHIGLIA...33

2.6 LA STRUTTURA DEL PONTE...35

2.7 IL REMO TIMONE...37 CAPITOLO 3...40 LA PROPULSIONE...40 3.1 LE PAGAIE...41 3.2 I REMI...46 3.3 LA VELA...47 CAPITOLO 4...51

LE PARTI NON STRUTTURALI...51

4.1 L’APPENDICE POPPIERA: L’ELEMENTO INCERTO...51

4.2 IL BALDACCHINO A CENTRO NAVE...55

4.3 L’IKRION...56

CONCLUSIONI...59

CATALOGO DELLE NAVI...61

IMMAGINI...70

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Indice delle figure

Figura 1: PIANTA DELL’INSEDIAMENTO...70

Figura 2: PIANTA DELLA WEST HOUSE...71

Figura 3: PIANTA STANZE PRIMO PIANO...72

Figura 4: IL PESCATORE...73

Figura 5: LA SACERDOTESSA...74

Figura 6: LATO OVEST STANZA 5...75

Figura 7: LATO EST STANZA 5...75

Figura 8: LATO SUD STANZA 5...76

Figura 9: LATO NORD STANZA 5...76

Figura 10: PARETE SUD...77

Figura 11: PARETE EST...78

Figura 12: PARETE NORD...79

Figura 13: S2 - S3...80

Figura 14: S5...81

Figura 15: S6...82

Figura 16: S7 - S8...83

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INTRODUZIONE

1.1 IL QUADRO GENERALE ED IL PIANO DEL LAVORO

Nel panorama dell’archeologia navale che si occupa di comprendere e ricostruire le tecnologie marittime in uso durante l’età del Bronzo nel Mediterraneo, la zona egea risulta particolarmente problematica a causa di una documentazione a disposizione degli studiosi particolarmente frammentaria.

Gli studi finora non sono ancora giunti a definire una tipologia di imbarcazioni che potessero solcare l’Egeo nel periodo in questione, seppure l’attività marittima e navale dovesse avere una primaria importanza per le società egee, così come ampiamente attestato dalle testimonianze archeologiche e dall’iconografia.

Questa difficoltà ad individuare le tipologie navali in uso così come anche le rotte utilizzate dagli antichi marinai è tanto più importante se la si confronta con la contemporanea situazione nella parte orientale del Mediterraneo. In Egitto fin dall’Antico Regno abbiamo abbondanti testimonianze relative alla navigazione, seppur prevalentemente fluviale e come tale meno soggetta di quella marittima alle variazioni del vento, delle correnti e delle condizioni marine in generale. Modellini in legno e terracotta nonché raffigurazioni provenienti per la maggior parte da tombe hanno permesso una visione più ampia e completa sia dell’architettura navale sia dei metodi di navigazione ad essa strettamente correlati. Importanti cicli narrativi, poi, come la spedizione a Punt sul tempio funerario di Deir el Bahari della regina Hatshepsut così come quello, importantissimo, relativo alle battaglie contro i Popoli del Mare di Ramses II a Medinet Habu hanno fornito eccellente materiale di studio, che come si vedrà nel corso del presente lavoro, sarà importante anche come possibile fonte di confronto per l’Egeo. In entrambi questi cicli narrativi le imbarcazioni sono rappresentate con dovizie di particolari tali da permettere una comprensione dettagliata dell’architettura navale.

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Nell’area egea e per tutta l’età del Bronzo i dati a nostra disposizione che riguardino in vario modo rappresentazioni di imbarcazioni non sono scarsi, con all’incirca 400 raffigurazioni1, ma tuttavia su queste, a differenza di quanto accade per il Mediterraneo orientale e del panorama egiziano, grava una serie di incognite e mancanze nonché di ambiguità interpretative che non permettono una chiara visione complessiva.

Se si esclude il fenomeno limitato delle cosiddette “padelle cicladiche” del periodo Antico Cicladico la grande maggioranza delle attestazioni di imbarcazioni proviene dalla glittica, con le ovvie conseguenze di dimensioni minime e soprattutto con qualità di dettaglio ridotte dovute sia alla resa sul materiale in cui la raffigurazione è realizzata, sia allo spazio funzionale che l’artista aveva a disposizione per l’intaglio.

Un aspetto inoltre da non sottovalutare nell’analisi delle imbarcazioni è l’ermeneutica dei soggetti a disposizione, ovvero quanto la narrazione di un evento o la raffigurazione di un simbolo fosse maggiormente funzionale agli scopi comunicativi piuttosto che la realistica riproduzione di un mezzo navale. L’artista poteva così sia enfatizzare che omettere particolari relativi alle imbarcazioni che realizzava poiché più o meno funzionali alle sue specifiche necessità narrative.

A queste osservazioni si deve aggiungere inoltre come, sfortunatamente, fino ad oggi per il mondo egeo non siano stati rinvenuti relitti su cui basare un’analisi dell’architettura navale delle imbarcazioni e delle tecnologia in uso. I due soli relitti individuati e scavati riconducibili all’età del Bronzo, ovvero il relitto di Capo Gelidonya2 e quello di Ulu Burun3 sono di probabile costruzione levantina con caratteristiche strutturali non necessariamente riconducibili o paragonabili a esemplari egei. I resti delle parti lignee appartenenti agli scafi di questi due relitti sono tanto danneggiati che è stata possibile una ricostruzione parziale della struttura in modo che tali parti possono essere utilizzate come comparanda solo in modo parziale nel problema della definizione dell’architettura navale in ambito egeo.

1Wedde M., 2000, p. 13 2 Bass G., 1967

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In questo sconfortante panorama per l’archeologia navale egea, quando nelle stagioni 1971/1972 l’archeologo Spyridon Marinatos4 riportò alla luce i resti di quella che successivamente venne chiamata la West House, con i suoi straordinari affreschi, parve aprirsi uno spiraglio per tutti gli studiosi che si occupavano di imbarcazioni antiche e di architettura navale. I frammenti pittorici, squisitamente e pazientemente ricostruiti con un lungo lavoro di restauro, hanno ridato vita al cosiddetto “Miniature Fresco”, un fregio che decorava la parte superiore di tutta una stanza al piano superiore dell’abitazione, in cui il ruolo predominante viene giocato dalla scena di una teoria navale in cui compaiono numerose imbarcazioni classificabili in differenti tipologie. Gli affreschi di Thera si configurano così come una fortunata eccezione sia per le dimensioni sia per la complessità della narrazione in cui compaiono le varie tipologie di imbarcazioni.

Ad oggi, tuttavia, nonostante lo slancio ed entusiasmo iniziali, e nonostante importanti lavori sull’interpretazione iconografica dell’intero ciclo pittorico come quelli di Lyvia Morgan5 e la corposa monografia di Kristina Televantou,6 l’analisi riguardante le imbarcazioni annovera molti interventi senza giungere ad una sintesi analitica di quanto emerso.

In questo panorama il presente lavoro si pone quindi lo scopo primario di rappresentare una

“summa studiorum” riguardo all’analisi delle navi dipinte nell’Affresco dell’Ammiraglio della

West House di Akrotiri e conseguentemente di costituirsi come un punto di partenza di analisi e proposta riguardo alle tecnologie di architettura navale in uso durante la tarda età del Bronzo nell’Egeo.

Saranno prese in considerazioni tutte le parti strutturali di un’imbarcazione, fondamentali alla navigazione (tipologia di scafo, di propulsione, elementi costruttivi tipici e/o anomali, decorazioni e personaggi presenti a bordo) istituendo, dove possibile, confronti iconografici e tipologici e suggerendo possibili interpretazioni.

4 Marinatos S. , 1974A 5Morgan L., 1983 e 1988 6Televantou C., 1994

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Il primo capitolo si occuperà di analizzare il contesto architettonico della West House e fare un excursus sulle varie interpretazioni date al ciclo degli affreschi.

Il secondo capitolo si occuperà dello scafo e delle parti ad esso strettamente correlate; si tenterà quindi di individuare poppa e prua, di capire se è possibile definire le dimensioni dello scafo e le sue tecniche costruttive, se è possibile parlare della presenza della chiglia e del ponte, ed infine dell’analisi del remo-timone.

Il terzo capitolo sarà interamente dedicato ai tre tipi di propulsione presenti sulle imbarcazioni di Thera ovvero la vela, i remi e le pagaie.

Il quarto capitolo prenderà in esame gli elementi non strutturali delle imbarcazioni, ovvero l’appendice poppiera, il baldacchino a centro nave e la cabina poppiera o ikrion.

Per facilità di consultazione e di comprensione, chiude il lavoro un catalogo di tutte le imbarcazioni presenti nell’Affresco Miniaturistico con le caratteristiche principali di ciascuna, come tipologia di imbarcazione, tipo di propulsione, decorazioni dello scafo, numero di occupanti.

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CAPITOLO 1

IL CONTESTO: LA WEST HOUSE

1.1 L’ARCHITETTURA

L’abitazione conosciuta come West House o Casa dell’Ammiraglio ad Akrotiri, Thera, fu scavata da Spyridon Marinatos nelle stagioni 1971-1972. L’edificio, databile al TMIA7 è di modeste dimensioni (ca. 150 mq al piano terra) ma la sua posizione all’interno dell’insediamento è di grande prestigio: si affaccia infatti sulla Piazza Triangolare, formandone uno dei lati con la sua imponente facciata (TAV. 1).

La casa era composta da due piani e forse da un terzo che si alzava al di sopra delle scale permettendo un accesso anche al tetto (TAV. 2). L’ingresso si trovava nell’angolo sud- est del piano terra: una porta con in alto una finestra portava ad un atrio che era la chiave fra la parte pubblica e la parte privata della casa: da qui si poteva accedere alle stanze del piano terra tramite la porta sulla sinistra o procedere sulle scale verso il piano superiore. Le sette stanze del piano terra costituivano la zona di servizio della casa ed erano usate come magazzini per il cibo, per i beni domestici ed i materiali grezzi: la stanza nell’angolo sud – ovest, infatti, era utilizzata sia come cucina che come laboratorio per la lavorazione del bronzo.

Al piano superiore, il pianerottolo sopra l’atrio, illuminato da una grande finestra, immetteva in una stanza (n. 3) con una colonna centrale ed una finestra aperta sulla corte triangolare esterna; la stanza era utilizzata anche per la tessitura. Questa stanza fungeva da collegamento fra il pianerottolo e la parte più intima nella sezione occidentale della casa (stanze n. 4, 4α e 5).

Dalla stanza n. 3 con la colonna centrale, tramite un vestibolo direttamente dal pianerottolo alla fine delle scale si aveva accesso alla stanza 5; questo ambiente di ca. 4 m.x4 m. aveva ampie finestre che davano verso l’esterno lungo le pareti nord ed ovest, con quattro aperture nella parete nord ed altrettante nella parete sud, la cui forma era reiterata da una serie di piccole nicchie che si aprivano 7 Warren P. 1979, p. 125

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nelle pareti sud e nord. Fregi affrescati, di ca. 40-43 cm. di altezza, correvano tutto attorno al di sopra delle grandi aperture delle finestre e delle porte d’ingresso.

Una porta nell’angolo sud-est della stanza 5 immetteva nell’ambiente 4 e da questa si aveva accesso all’ambiente 4α che occupava l’angolo sud ovest dell’edificio.

La stanza 4α, la più piccola delle tre, contiene due piccole e strette panchine divise da uno stretto canale collegato a un tubo di scarico cilindrico in argilla che correva in un sistema di drenaggio sotto la casa; vi furono ritrovati un calderone di bronzo e un asaminthos in argilla8 , ambedue oggetti legati all’uso di acqua tanto che Marinatos arrivò ad ipotizzare un uso come cucina o bagno9. Christos Doumas, seguendo questa linea, ha identificato l’ambiente come un bagno, mentre Nanno Marinatos, sulla base dei reperti ceramici rinvenutivi, ipotizza che esso avesse una qualche funzione religiosa come stanza per la preparazione delle offerte10.

Benché la funzione di questo gruppo di stanze sia tutt’oggi oggetto di dibattito, è probabile che l’ambiente 5, con le sue grandi finestre e la luce che ne derivava fosse un ambiente di soggiorno. Tutte le stanze erano riccamente affrescati nella loro interezza in modo piuttosto articolato; anche se la parte superiore delle pareti dell’ambiente 5 collassò al momento dell’eruzione, gli innumerevoli frammenti di intonaco dipinto ritrovati al suolo furono raccolti e catalogati durante lo scavo in modo talmente minuzioso che fu possibile ricostruire gran parte della narrazione pittorica nell’originale sequenza di episodi.

Due superbe e grandi figure maschili (TAV. n. 4 e n. 5) che sorreggono numerosi pesci legati assieme, comunemente conosciute come “i Pescatori”, occupano gli angoli nord-est e sud-ovest della stanza mentre un’altra figura, questa volta femminile, nota come “la Sacerdotessa”, si trova sulla prete nord all’ingresso della stanza 4. (TAV. n. 6)

Un fregio miniaturistico di tipo narrativo e figurativo si sviluppava senza soluzione di continuità sulle pareti della stanza 5, correndo al di sopra delle aperture. La parte inferiore delle finestre era 8 Marinatos S. 1974A, pl. 63a e 60

9 Marinatos S. 1974A, 10 Marinatos N. 1983

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invece decorata con un affresco che imitava le venature della pietra o del legno11. Sfortunatamente tutta la parete ovest collassò verso l’esterno al momento dell’eruzione e non si sono trovati frammenti di intonaco dipinto appartenenti a questa zona, che rimane senza alcun tipo di informazione riguardo alle decorazioni; è auspicabile che con il prosieguo degli scavi nella parte esterna alla casa, altri frammenti potranno essere recuperati e daranno informazioni mancanti.12 Alla destra di chi entrava nella stanza 5 si stendeva la parete nord, la più articolata ma purtroppo anche la più frammentaria di tutto il complesso di ambienti (TAV. n. 7). Partendo dall’angolo nord – ovest si incontra una prima scena ambientata sulla vetta di una montagna con gruppi figure maschili con abiti lunghi bianchi o grigio-azzurri ed altri in gonnellino bianco corto che salgono ciascuno da un lato per unirsi in una specie di incontro araldico. Le figure in gonnellino portano il braccio in avanti piegato al gomito, in un gesto tipico.

Verso il centro della parete la scena si fa molto più articolata e complessa, con ambientazione sia marittima che terrestre; nella parte inferiore una serie di imbarcazioni appare in navigazione nei pressi di un insediamento costiero. Tra le imbarcazioni (N6, N7, N8) prendono posto delle figure umane, per lo più nude, che sembrano contorcersi in pose scomposte. Queste sono state variamente interpretate, ma la maggior parte degli studiosi propende a considerarle come figure di combattenti affogati, caduti in mare dalle imbarcazioni in seguito ad una battaglia navale. Giesecke13, scostandosi decisamente da questa visione, interpreta invece le figure come pescatori di spugne che nuotano fra le imbarcazioni, a pesca a ridosso della scogliere. A sostegno della sua tesi porta l’esempio della figura posta sotto la prua dell’imbarcazione N7 che ha accanto a sé una sorta di borsa, utilizzata secondo l’autore per la raccolta delle spugne pescate.

In generale l’interpretazione della scena rimane nel campo delle ipotesi, così come la comprensione generale delle decorazioni di tutti gli ambienti della West House.

11 Marinatos S. 1974A, pl. 38 a-b 12 Warren P. 1979, p. 116 13Giesecke H., 1983, pg. 131

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Nella parte superiore del fregio appaiono delle scene bucoliche nei pressi di una costruzione con un accesso tripartito: un pastore con buoi, un altro che porta il suo bestiame fuori da un recinto, donne in abito lungo che si recano al vicino pozzo con delle giare sul capo, delle figure maschili in abito lungo simile a quello dei personaggi dell’incontro sulla collina, che paiono conversare sul tetto dell’edificio stesso. Da qui, poi, esce una teoria di guerrieri con grandi scudi che coprono l’intero corpo, elmetti e lance in resta che marciano verso l’insediamento costiero caratterizzato da una muratura possente da cui spuntano teste umane a guardare la scena. La parte di fregio verso l’ingresso è fortemente lacunosa ma rimangono due frammenti con figure che nuotano o lottano fra le onde.

La decorazione della parete est (TAV. n. 8), ovvero la parete dove è collocato l’ingresso al gruppo di stanze, rappresenta un forte contrasto con la complessità narrativa della parete nord, unendo in sé pittura di genere e probabili ambientazioni specifiche14: un paesaggio fluviale rigoglioso ed esotico, in cui un grifone e un leone cacciano oche selvatiche. Il fiume lambisce quella che nei frammenti pare una città. Sotto certi aspetti, la parete est appare come una frattura nella continuità della narrazione.15

La parete sud (TAV. n. 9) è tutta occupata dal grande affresco con la flotta in navigazione con città di partenza e città di arrivo e rappresenta la base per l’analisi delle ipotesi sull’architettura navale che questo lavoro si prefigge.

Iniziando la lettura dall’angolo sud est e proseguendo verso la parete ovest, la narrazione si apre con un paesaggio naturale, probabilmente montuoso, da cui emerge un fiume che si divide in due rami, a cingere quello che pare un insediamento costiero. Si riconoscono edifici disposti su differenti livelli, con figure umane che osservano la scena sia dall’alto, su tetti e affacciati alle finestre, sia da fuori la cerchia delle mura. Nel tratto di mare antistante, fra delfini che nuotano e saltano, numerose navi formano una spettacolare processione che percorre la distanza che le separa dalla città di

14 Morgan L., 1983, pp. 15 Morgan L., 1983, pp.

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arrivo, i cui abitanti, come i precedenti della città di partenza, osservano attentamente l’evento dalla riva, dai tetti e dalle finestre delle case. Tutte le navi paiono essere state preparate per l’occasione: scafi dipinti ed alberature impavesate, cabine poppiere e cabine a centro ponte sotto cui siedono personaggi in abito lungo suggeriscono l’idea di un evento particolare, di un’occasione speciale in cui questo viaggio trova collocazione. Tutte le imbarcazioni - inquadrabili in differenti tipologie per grandezza, tipo di propulsione e di equipaggio - hanno prue ricurve alte sull’acqua e procedono tutte nella medesima direzione. Alcune hanno albero e velatura ma la propulsione, tranne in un solo caso (S6) in cui la vela è spiegata, avviene a mano sia tramite remi che tramite pagaie.

Dall’ambiente 5 si accede ad un ambiente più intimo e di dimensioni ridotte, l’ambiente 4; al di sopra di uno zoccolo ad imitazione della pietra, la stanza è completamente affrescata con una serie di otto ikria (TAV. n. 10), ovvero la riproduzione delle cabine che si possono notare a bordo delle imbarcazioni della processione navale e sotto le quali trovano posto diversi personaggi. Il pittore, come avviene in tutti i cicli pittorici ad Akrotiri, trattò le pareti della stanza come un’unica superficie pittorica, senza che gli elementi architettonici presenti come aperture di porte, finestra e angoli rappresentassero una cesura dello spazio a disposizione16. Secondo C. Kopaka l’ambiente, più appartato rispetto all’ambiente 5, probabilmente svolgeva funzione di stanza da letto del proprietario della casa17 .

1.2 L’ INTERPRETAZIONE ICONOGRAFICA

1.2.1 L’ AFFRESCO MINIATURISTICO DELLA STANZA 5

Le interpretazioni ed i punti di vista espressi fino ad oggi sull'insieme del programma iconografico o sulle singole parti degli affreschi della West House, ed in particolare sull’Affresco Miniaturistico, sono innumerevoli.

In linea di massima, però, nell’enorme materiale di studio prodotto sugli affreschi della West House si possono individuare alcune problematiche principali su cui si sono indirizzati gli studi relativi 16 Televantou C., 1994, p. 143

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all’analisi iconografica generale: il problema della definizione di una direzione della narrazione per una lettura unitaria dell’insieme, il problema della successione temporale delle scene e della loro conseguente connessione logica, il problema dell’identificazione topografica dei luoghi in cui si svolgono le scene rappresentate, il problema della natura degli eventi raffigurati (se essa sia guerresca o pacifica).

La complessità delle problematiche in gioco non permette in questo lavoro di affrontare sistematicamente i vari studi e le varie soluzioni proposte, poiché lo scopo primario è l’analisi dell’architettura navale; in ogni caso ritengo opportuno riassumere una panoramica delle principali posizioni interpretative per avere un quadro il più completo possibile dello status quo.

L’analisi iconografica di raffigurazioni tanto frammentarie e articolate si è scontrata in primis con il problema della lettura della narrazione; in particolare per quanto riguarda l’Affresco Miniaturistico non è ad oggi chiaro se lo si debba considerare in un continuum spaziale, e quindi in che direzione si sviluppi la lettura, oppure se le scene delle singole pareti rappresentino scene separate e a sé stanti, in una tipologia artistica per la quale non sempre angoli e pareti rappresentavano una cesura alla narrazione.

Secondo S. Marinatos18 gli eventi narrati nelle pareti sud e nord sono in stretta correlazione fra di loro, rappresentando due fasi del medesimo avvenimento. Come più autorevole rappresentante del gruppo di studiosi che sostengono l’idea per cui l'Affresco Miniaturistico rappresenti luoghi e città al di fuori dello spazio egeo, le scene si svolgerebbero nella costa settentrionale africana, per la precisione in Libia, identificata sulla base di elementi naturalistici e di abbigliamento di alcune figure.

La lettura si svolgerebbe a partire dalla parete nord con scene di guerra e naufragio che ricorderebbero la sconfitta delle popolazioni libiche da parte di gruppi di minoici, per proseguire poi nelle pareti ovest (perduta) e sud in cui la flotta therea sarebbe rappresentata vittoriosa in

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processione al ritorno dalla battaglia. Seguendo Marinatos, anche Page19 sostiene che si tratti di fatti reali che si svolgono nel Nord Africa, a cui avrebbero partecipato uomini therei e lo stesso proprietario della West House,in qualità di comandante in capo o ammiraglio, in una spedizione che ha contemplato una battaglia navale e lo sbarco dei therei sulla terraferma africana.

Stucchi 20 da parte sua, ribaltando l’andamento narrativo, teorizza la continuità narrativa delle scene dell’affresco miniaturistico e che la lettura avesse un andamento sinistrorso, iniziando dalla parete est con la caccia del grifone in un ambiente naturale, proseguendo poi nella parete nord dove sarebbe rappresentata una spedizione militare con il sostegno della flotta ,che si svolgerebbe, in questo riprendendo la teoria di S. Marinatos, lungo coste africane. Secondo Stucchi, poi, alla “ Scena sulla Collina” parteciperebbero minoici con a capo sacerdoti che ringraziano gli dei, mentre nella parete sud sarebbe rappresentato il rientro vittorioso della flotta a Thera.

Anche Davies 21, ribaltando il tradizionale andamento della lettura degli affreschi, partendo dalla processione navale e terminando con la battaglia navale, ritiene che l’affresco miniaturistico sia composto da una parte narrativa e da una parte più propriamente ornamentale legata alla pittura di genere. La prima parte, con direzione sinistra – destra inizierebbe dalla parete sud, continuerebbe nella parete ovest terminando a nord. La seconda parte, rappresentata dalla parete est, sarebbe interposta come una pausa fra l’inizio e la fine della parte narrativa. Davies in particolare è del parere che la parte narrativa mostri la flotta therea in un campagna militare fuori dell’Egeo, possibilmente a sud, verso l’Africa o verso est, lungo le coste siro - palestinesi, teorizzando che nella parete nord sia rappresentata la regione straniera dove i therei fanno irruzione. La parete est potrebbe essere per Davies la descrizione di un luogo esotico da cui i therei passavano durante il viaggio verso casa, probabilmente sulla via del ritorno dalla Libia, come sostenuto da Marinatos, oppure di un luogo che si frapponeva fra Thera e la destinazione finale navigando verso est, verso il Levante, Cipro o la costa meridionale della Turchia.

19 Page D., 1976 20 Stucchi S., 1976 21 Davies E., 1983

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A questo gruppo di studiosi si oppone chi come A. Sakellariou, L. Morgan, N. Marinatos, G. Gesell e G. Säflund ritiene che le scene dell’Affresco Miniaturistico rappresentino fatti dal carattere pacifico, che si svolgono all’interno di un ambito religioso o festivo.

Sakellariou 22 ritiene che venga rappresentata una scena di genere in cui è descritta la tipologia della vita pacifica delle città costiere, mostrando in particolare una qualche liturgia, confermata dalla processione navale della parete sud e dall’incontro sulla collina della parete nord.

L. Morgan23, che ha dedicato più di un lavoro alla West House, ritiene che gli affreschi debbano essere letti in sequenza in un unicum narrativo, iniziando dalla parete nord e proseguendo per quelle est e sud, e distinguendo fra pitture di genere e parti più specificatamente narrative. L. Morgan sostiene che l’Affresco Miniaturistico sia la descrizione di una qualche festività egea, da collocarsi, forse, in primavera o all’inizio dell’estate, con chiaro riferimento al periodo di ripresa delle attività nautiche ed ai pericoli della navigazione e dalle scorrerie piratesche, nonché ai riferimenti alla pastorizia presenti nell’Affresco. Morgan, in particolare, riconosce nell’incontro sulla collina a cui sembrano partecipare personaggi di alto lignaggio in abito lungo ma anche altri personaggi in gonnellino e forse anche contadini, analogie religiose con i “peak sanctuaries” minoici. La scena di naufragio sulla parete sud, al contrario sarebbe, sempre secondo la studiosa, una scena di genere, con l’arrivo di pirati dal mare e l’attacco alle città costiere, un pericolo generico a cui erano sottoposte le comunità marittime.

L. Morgan e N. Marinatos24 si pongono sulla stessa linea interpretativa, poiché entrambe ritengono che l’enigmatica parete est, con le scene di caccia del grifone e del leone in ambiente naturale, e quindi associata al tema dell’assalto, sia una parete di raccordo fra le varie scene della narrazione. Sotto certi aspetti si può affermare che la parete est rappresenti uno iato nella continuità della narrazione, poiché azione, partecipanti e ambientazione sono differenti rispetto a quanto si trova nelle pareti sud e nord: in senso ampio la parete est, secondo N. Marinatos, può essere interpretata 22 Sakellariou A., 1975

23 Morgan L., 1983 24 Marinatos N., 1983

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come una metafora dell’interesse umano alla guerra e alle imprese via mare, implicita nella narrazione delle scene vicine.

Nell’ambito di questa visione, per N. Marinatos la parete nord alluderebbe ad un evento storico, una vittoria della flotta egea realmente accaduta, mentre la parete sud mostrerebbe le celebrazioni di un evento festivo legato alla guerra che allo stesso tempo assumerebbe la connotazione di un festival marittimo, prevedendo anche offerte di ringraziamento alla divinità (come ad esempio quanto rappresentato nella scena dell’ “Incontro sulla collina”). Tutto l’insieme delle stanze n. 4, 4α e 5 costituirebbe per Marinatos un centro cultuale dedicato ad un’occasione festiva in cui a vario titolo era coinvolta la West House.

Säflund25, concordando in parte con Morgan e con N. Marinatos, vede tutto l’Affresco Miniaturistico come la rappresentazione di un unico rito religioso; lo studioso, infatti, ipotizza che in particolare che nella parete nord sia raffigurato uno sbarco di reparti militari a carattere semi-mitico, mentre al contrario nella parete sud l’incontro sulla collina raffigurerebbe la realtà: un evento religioso contro la guerra ed il caos. Per Säflund si tratterebbe di un evento di hieròs gamos, in cui lo sposo divino sarebbe da identificarsi con l’Ammiraglio che arriva a bordo delle imbarcazioni, accompagnato da giovani iniziati che vanno alla festa di nozze, mentre la sposa mitica sarebbe incarnata da una sacerdotessa che saluta l’arrivo della flotta affacciata ad un balcone. A questi due precedenti gruppi di interpretazioni che vedono nell’Affresco Miniaturistico alternativamente o il solo carattere guerriero o il solo carattere pacifico si oppongono posizioni che tentano di mediare le due diverse visioni, riconoscendo il carattere guerresco degli eventi della parete nord, ma ammettendo la possibilità che lo spazio dello svolgimento degli avvenimenti sia lo stesso Egeo.

Il prof. M. Benzi26, formulando una teoria opposta a quella di S. Marinatos e Stucchi ritiene che nell’Affresco Miniaturistico siano rappresentati temi sia di carattere narrativo che allegorico. La

25 Säflund G., 1980 26 Benzi M., 1977

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parte più propriamente narrativa apparirebbe evidente nelle pareti nord e sud, dove sarebbero rappresentate alcune spedizioni militari condotte dall’Ammiraglio di Thera ed il ritorno vittorioso della flotta a Thera stessa. Nella sua interpretazione la parete est sarebbe una rappresentazione allegorica dell’aiuto divino nell’ottenimento della vittoria ed una specie di protezione soprannaturale simboleggiata dal grifone a caccia; non ci sarebbe quindi continuità narrativa con la parete sud, anche se nella pittura egea gli angoli non necessariamente rappresentano elementi divisori della narrazione.

A sua volta P. Warren27 formula l’ipotesi che l’Affresco Miniaturistico appartenga ad un più ampio ciclo iconografico avente a tema le scorrerie nelle città costiere per assicurarsi come bottino giovani donne ed animali. Warren, sulla base di elementi naturalistici e topografici, arriva ad identificare la zona di svolgimento della scena come la zona di Gazi a nord di Creta.

Un interessante contributo circa la localizzazione degli eventi dipinti viene da un gruppo di studiosi danesi28 che, combinando i metodi di ricerca archeologici con quelli geologici, presenta una nuova visione dei luoghi dove si svolgono gli eventi rappresentati. Gli studiosi tramite ricerche sul terreno e confrontando le emergenze più significative con i paesaggi dell’Affresco Miniaturistico, ritengono che tutta la scena sia ambientata sull’isola stessa. Le colline sullo sfondo della cosiddetta Città di Partenza assomiglierebbero alla conformazione delle colline vulcaniche nella parte settentrionale di Thera29 e la forma semicircolare simile ad un’isola nell’affresco corrisponderebbe puntualmente ad una zona nella parete della caldera, circondata da corsi d’acqua stagionali. Anche per la cosiddetta Città di Arrivo sarebbe possibile individuare puntuali raffronti che la farebbero identificare con la zona del porto di Ballos, come i due bacini portuali, il promontorio roccioso rosso. Per questi motivi Friedrich e Sorensen ritengono che le imbarcazioni rappresentate nell’Affresco Miniaturistico starebbero navigando all’interno della caldera di Thera, da un villaggio nella zona di Mouzaki Bay verso il doppio porto di Ballos.

27 Warren P. M. , 1979

28 Friedrich W., Hojen Sorensen A., 2010, 29 Friedrich W., Hojen Sorensen A., 2010, pg. 247

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Oltre ai precedenti studi che tentano una conciliazione del tutto come un continuum narrativo, altri hanno preferito prendere in esame solo alcune parti specifiche dell'Affresco Miniaturistico, ritenendole particolarmente significative per la comprensione degli eventi rappresentati.

Iakovidis30 ad esempio ritiene che la scena dell’Incontro sulla Collina nella parete nord rappresenti un rito ufficiale celebrato da un capo religioso e a cui partecipano i capitani e gli equipaggi della flotta. In accordo con lui, Rutkowski31 pensa che la scena raffiguri un rito che si svolge presso una fonte sacra.

Per Sarah Immerwahr32 l’Affresco Miniaturistico deve essere visto come la trasposizione grafica degli accordi politici e di potere che vigevano nell'Egeo all’inizio del XV sec. a.C. La Immerwahr definisce l’intero affresco come una specie di narrazione simbolica delle condizioni dell’Egeo con Minoici e Micenei impegnati assieme in qualche evento di colonizzazione o in una spedizione, spiegando così l’unione di elementi minoici e micenei nell’affresco. La parete est, a sua volta, avrebbe come scopo il passaggio dalla scena della parete sud a quella nord, con l’inserimento di personaggi che partecipano ad entrambe le scene.

Una citazione a parte merita la teoria di S. Morris33che ritiene che gli affreschi abbiano una base narrativa la cui fonte primaria deriverebbe da una trasposizione in forma epica od eroica di avvenimenti storici; un confronto delle immagini con temi, formule ed episodi della poetica arcaica ,secondo Morris, dimostrerebbe che l’affresco miniaturistico rappresenta un documento basilare nella preistoria della tradizione epica greca e nell’evoluzione dell’arte narrativa.

1.2.2 LA STANZA 4

Alla stanza n. 4 si accedeva direttamente dall’ambiente n. 5 riccamente affrescato. Fatta eccezione per la grande figura di offerente posizionata subito accanto all’ingresso chiamata comunemente “La sacerdotessa”, l’intero vano era decorato con la ripetizione continua di ikria, ovvero la ripetizione a

30 Iakovidis S., 1979 31 Rutkowski, 1978 32 Immerwahr S., 1977 33 Morris S., 1989

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grandezza naturale delle cabine poppiere che si ritrovano sulle imbarcazioni raffigurate nella processione navale dell’Affresco Miniaturistico della parete sud nella stanza 5. Il termine ikrion fu coniato da S. Marinatos nelle relazioni di scavo su Akrotiri34 , sulla base di un termine omerico, per designare una costruzione che è presente a poppa di numerose rappresentazioni di imbarcazioni databili al TMI-II.

L’oggetto in questione non è altro che una cabina costituita da pali verticali uniti nella parte superiore da una traversa e coperti da una pelle o stoffa. E’ molto probabile che si trattasse di allestimenti mobili, sotto i quali prendevano posto personaggi di rango o di un certo rilievo all’interno dell’evento rappresentato nell’Affresco Miniaturistico.

E’ stato suggerito che la ripetizione del motivo nell’ambiente in questione rappresentasse una sorta di cornice per la camera da letto del proprietario della casa, legato in un qualche modo agli eventi descritti nella stanza 5. La ripetizione in sequenza delle cabine poppiere avrebbe lo scopo di uniformare la decorazione al tema nautico che domina in tutto il complesso di ambienti.

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CAPITOLO 2

LO SCAFO: LE PARTI STRUTTURALI

2.1 INTRODUZIONE

L’importanza delle imbarcazioni nel mondo egeo dell’età del Bronzo e dei contatti che la navigazione promosse è abbondantemente attestata a livello archeologico e rimane uno degli aspetti più affascinanti da approfondire nel campo degli studi egei.

L’attività nautica, insieme ai materiali, trasportò cultura e idee che diffusero nelle civiltà coinvolte conoscenze, concetti sociali, pratiche culturali e religiose, incentivandone lo sviluppo, lungo rotte articolate che coprivano tutto il Mediterraneo, seguendo venti e correnti.

Le navi minoiche o più generalmente egee giocarono indubbiamente un ruolo predominante in questi rapporti, commerciando lungo le coste orientali del Mediterraneo ed in Egitto, come ben attestato anche dalle pitture in una serie di tombe egizie appartenenti alla XVIII dinastia nonché dagli affreschi minoicizzanti di Tell el-Dab’a.

Come già premesso nella parte introduttiva di questo lavoro, nonostante le navi rappresentassero indubbiamente una grande realizzazione della cultura isolana egea, la loro conoscenza in via diretta (tramite relitti o parte di essi) è pressoché nulla e le ipotesi ricostruttive dell’architettura navale si basano esclusivamente su rappresentazioni realizzate su supporti di tipologie diverse. Per queste ragioni, quindi, l’unico riferimento per lo studio dell’architettura navale egea rimane l’analisi iconografica delle rappresentazioni di imbarcazioni, limitando le nostre possibilità di conoscenza al solo campo artistico, situazione che crea limitazioni interpretative piuttosto ampie.

Nonostante gli sforzi interpretativi messi in campo nel corso degli anni restano, quindi, necessariamente, nel campo delle ipotesi le ricostruzioni di alcune parti della struttura (come ad es. l’ikrion, l’appendice poppiera o il ponte), le metodologie di costruzione dello scafo, nonché,

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ovviamente, tutta l’analisi relativa ai materiali da costruzione e alle varie tipologie di legno utilizzate.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico del presente lavoro, ovvero lo studio e la ricostruzione della morfologia delle imbarcazioni theree, è necessario impostare una metodologia di analisi che preveda diversi livelli di lettura distinti. In primo luogo dovrà essere affrontata l’analisi a livello più strettamente pittorico, tenendo conto dei mezzi espressivi a disposizione dell’artista, il livello artistico della realizzazione, le finalità stesse della comunicazione finale per cui l’opera è stata pensata e realizzata; bisogna tener presente, infatti, che l’immagine prodotta è il risultato finale di influenze ed esigenze tecniche differenti (di spazio e di stile) che l’artista si è trovato a fronteggiare e che non necessariamente rispecchiano la verosimiglianza alla realtà fisica dei soggetti rappresentati, ed è anzi possibile che l’artista se ne sia allontanato in modo netto.

In questa ottica bisogna necessariamente sottolineare che, in quanto espressione artistica e mezzo di comunicazione finalizzato alla trasmissione di un qualche significato, sia esso cultuale oppure storico, anche le navi dell'Affresco Miniaturistico sono il risultato di scelte specifiche dell'artista in termini di stile, di scuola pittorica, di livello di familiarità con il soggetto trattato.

Il secondo livello di analisi necessario nell’affrontare la fase interpretativa finalizzata all'acquisizione di dati utili all’architettura navale deve tenere ben presente che le immagini mancano completamente dell'elemento fondamentale della terza dimensione: la misura del baglio dello scafo, la presenza o meno di un ponte, la forma e la funzione dell’appendice poppiera, il tagliamare, l’esistenza della chiglia non sono quindi definibili al livello di conoscenza attuale e sarà necessario ricorrere ad un alto grado di supposizione (utilizzando, dove possibile, i dovuti raffronti), ma anche ricorrendo ad ipotesi basate sulla verosimiglianza e sull’attuabilità tecnica delle soluzioni proposte.

Infine, giova sottolineare come le rappresentazioni artistiche di imbarcazioni antiche, proprio perché subordinate a tutte queste variabili soggettive dell'artista e alle varie ipotesi ricostruttive,

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creino nel loro complesso molte possibilità di interpretare erroneamente i particolari costruttivi o di avere visioni parziali o distorte della questione.

In ogni caso, tenendo presenti queste premesse, nel presente capitolo si tenterà di dare una risposta alle domande principali per la comprensione dell’architettura di queste imbarcazioni, relativamente allo scafo ed alle parti strutturali ad esso connesse; si vedrà se e come sia possibile identificare poppa e prua, se sia possibile comprendere come fossero uniti fra loro gli elementi del fasciame, se esistesse o meno una chiglia, se le imbarcazioni fossero dotate di un ponte.

2.2 LA FORMA DELLO SCAFO: IDENTIFICARE PRUA E POPPA

La prima questione che si affronta nell’approcciare una raffigurazione di imbarcazione antica, è senz’ombra di dubbio quella dell’identificazione della poppa e della prua. Il loro riconoscimento nelle rappresentazioni egee di imbarcazioni è una vexata quaestio di lunga data, causata spesso sia dal primitivo modo della resa artistica, sia dall’effettiva forma dello scafo che può trarre in inganno l’osservatore moderno.

Nella struttura generale, gli scafi rappresentati nell’Affresco dell’Ammiraglio, paiono avere tratto la loro origine dalle tipologie navali di III millennio rappresentate principalmente sui sigilli e sulle padelle cicladiche35, soprattutto a causa delle estremità slanciate e sovrastate da acrostoli decorati e della rappresentazione di numerosi remi. Nel caso degli esempi cicladici, non è facilmente desumibile quale sia la poppa e quale la prua, poiché spesso risultano essere molto simili morfologicamente. Di volta in volta, a seconda degli studiosi, la parte più alta sul mare è stata interpretata come prua e la più bassa come poppa, oppure viceversa.

Di solito, nei casi incerti di identificazione, per poter arrivare ad una definizione di poppa e prua più o meno accettabile è necessario utilizzare una serie di indicatori, ovvero parti dell’imbarcazione tradizionalmente associati all’una o all’altra estremità sia per motivi strutturali che decorativi, come

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ad esempio l’angolo con cui una parte finale dell’imbarcazione si alza sull’acqua e la sua altezza, le appendici e le decorazioni applicate allo scafo, l’orientamento e l’angolatura di eventuali remi rappresentati e della velatura. Questi elementi, tuttavia, spesso non si rivelano essere indicatori definitivi per una serie di variabili ad essi associate; il caso più emblematico, ad esempio, è quello delle navi dei cosiddetti Popoli del Mare raffigurate nei bassorilievi del tempio di Medinet Habu edificato da Ramses III: le imbarcazioni hanno estremità esattamente identiche, con identiche decorazioni ed identica angolatura sul mare. Anche le imbarcazioni presenti sulle le padelle cicladiche mancano di questi indicatori, così come mancano nella maggior parte delle raffigurazioni sui sigilli.

L’elemento strutturale che si configura decisamente risolutivo e diagnostico per l’identificazione di poppa e prua è il remo-timone, posto senza ombra di dubbio a poppa delle imbarcazioni. Escludendo le navi dell’Affresco Miniaturistico, la presenza di questo elemento è però rara nelle immagini a nostra disposizione ed è attestata solo nel 15% dei casi 36.

Le navi di Thera, con la loro grande scala e una risoluzione di dettaglio maggiore di ogni altra immagine a nostra disposizione, sembrano in questo senso avere portato luce. Come vedremo in seguito nello sviluppo del presente lavoro, questa ipotesi rappresenterà uno degli aspetti che potranno essere di aiuto per una possibile interpretazione dell’avvenimento rappresentato. Le imbarcazioni nell'affresco della parete sud comprendono in totale 11 imbarcazioni fra grandi, medie e piccole, compresa la grande Nave Ammiraglia (cat. n. S5); nella parete nord sono dipinte invece 10 imbarcazioni, sempre di diverse tipologie. Tutte le imbarcazioni hanno uno scafo morfologicamente molto simile tra loro, almeno nella sua struttura generale, con estremità piuttosto ricurve e dal profilo leggermente asimmetrico. Grazie alla presenza dei timonieri in piedi che impugnano saldamente il remo-timone e guardano verso il lato opposto dell’imbarcazione (come è il caso delle navi cat. S1, S2,S3, S4, S5, S6 ed S7) è qui possibile identificare chiaramente la parte più bassa sull’acqua come poppa, mentre la parte dello scafo più elevata sull’acqua, elegantemente 36 Wedde M., 2000, pg. 37

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ricurva, è senza ombra di dubbio la prua. L’identificazione della prua è fondamentale non solo per comprendere meglio l’architettura navale, ma anche per definire la direzionalità delle imbarcazioni, aspetto che fino a questo momento era possibile desumere solo dall’inclinazione dei remi o dalla posizione delle vele, qualora rappresentati.

Per analogia, è molto probabile che anche nelle navi rappresentate sulle “padelle cicladiche” la parte slanciata alta sull’acqua, che presenta lo stesso prolungamento verso l’alto del dritto di prora e lo stesso uso abbondante di decorazioni, sia la prua.

E’ stato suggerito37 in diverse occasioni che questo tipo di morfologia dello scafo secondo alcuni poco adatto alla navigazione, e la natura estremamente delicata dal punto di vista strutturale delle decorazioni dell’acrostolio, rappresentino elementi volutamente arcaicizzanti delle navi theree, che richiamerebbero forme tradizionalmente cicladiche ed antiche per uno scopo rituale o religioso. Come vedremo in seguito nello sviluppo del presente lavoro, questa ipotesi rappresenterà uno degli aspetti che potranno essere di aiuto per una possibile interpretazione dell’avvenimento rappresentato.

2.3 DESUMERE LA DIMENSIONE DELLO SCAFO

Nonostante la semplificazione a cui l'artista si trovava costretto nella rappresentazione del soggetto sia per lo spazio a sua disposizione sia per la mancanza della possibilità di indicare pittoricamente la terza dimensione, dalle pitture di Thera e dalla glittica (che è il supporto in cui abbiamo la maggior parte delle testimonianze di imbarcazioni) è comunque possibile tentare una stima delle dimensioni degli scafi tramite la resa dell’adeguato numero di remi che erano necessari per la propulsione di ogni imbarcazione. L’artista avrebbe così dipinto un maggior numero di remi per indicare uno scafo più grande, mentre avrebbe usato un minor numero di remi ad indicare uno scafo più piccolo. Tuttavia a questa ipotesi si potrebbe controbattere che l’artista non si poneva affatto il problema della comprensione delle dimensioni ma semplicemente riempiva tutto lo spazio a sua disposizione

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con le linee rappresentanti i remi, non facendo attenzione alla verosimiglianza del soggetto quanto piuttosto alla resa artistica del tutto. Nell’imbarcazione S3, ad esempio, un’analisi attenta dei particolari rivela che indubbiamente esistono 21 pagaie (come anche S. Marinatos nota) ma solamente 20 paia di braccia e addirittura solo 17 teste di pagaiatori: è chiaro che l’artista in questo caso aveva lo scopo di rendere un grande numero di pagaie piuttosto che riprodurre un modello preciso od un numero esatto di personaggi38.

Sulla base di questi pochi dati a nostra disposizione, più di uno studioso si è cimentato nel ricostruire le reali dimensioni delle imbarcazioni dell’Affresco dell’Ammiraglio. Seppur differendo moltissimo nei risultati finali, tutte le ipotesi si basano sulla verosimiglianza dello spazio necessario per i movimenti dei rematori/pagaiatori.

In linea di massima è possibile definire lo spazio di manovra di un rematore con una certa esattezza: un rematore per poter manovrare il suo remo necessita di uno spazio costituito sia dall’area longitudinale coperta dal colpo di remo sia dall’area laterale che permetteva una distanza sufficiente fra i fulcri dei remi vicini; inoltre era necessario uno spazio verticale compreso tra il piano su cui poggiano i piedi del vogatore e lo spazio necessario al movimento del torso durante la vogata. Il volume che deriva dalla somma di tutte queste dimensioni non è altro che lo spazio necessario all’efficienza del lavoro del rematore39.

Vitruvio nel suo De Architectura40, prende in esame tutte queste dimensioni e stabilisce che il giusto spazio necessario ad un lavoro efficiente del rematore sia di m. 0,92 fra un rematore e l’altro, definendo questo spazio “interscalmium”; questa distanza è accettata anche oggi come la minima necessaria all’efficienza dei movimenti per la voga.

Nel caso delle imbarcazioni di Thera, le dimensioni vitruviane dell’interscalmium sono però applicabili solo alle imbarcazioni a remi ( Cat. n. S1, N5, N6 ), in quanto per quelle con propulsione

38 Morgan L., 1988, pg. 128 39 Wedde M., 2000, pg. 104

40 Vitruvio, De Architectura, I.2.4 tecnica già ampiamente in uso in Egitto, come già visto, a partire del Regno Antico (2920-2150 a.C.)

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a pagaia (Cat. n. S2,S3, S4, S5, S7, S8, S9, N1), che necessitano di un minore spazio di manovra per la voga, deve essere applicato un differente moltiplicatore. Dati empirici relativi al minimo spazio operativo richiesto da un pagaiatore suggeriscono che l’interscalmium vitruviano debba essere modificato con una misura pari a 0,75 m., così come suggerito anche da S. Marinatos41. Applicando questi parametri alle imbarcazioni dell’Affresco Miniaturistico, e moltiplicando il numero di rematori o pagaiatori che si possono individuare per ciascuna delle imbarcazioni per il relativo coefficiente (per il remo o per la pagaia), si ottiene la lunghezza della parte di nave soggetta a propulsione; aggiungendo a questa la parte di poppa e prua si può ottenere la lunghezza totale dell'imbarcazione fuori tutto.

Secondo questa logica la lunghezza dello scafo si otterrebbe:

1. moltiplicando il numero di rematori o pagaiatori secondo il multiplo di interscalmium adeguato, a seconda che si tratti di rematori o pagaiatori (rispettivamente 0,92 m. o 0,75 m.)

2. calcolando un rapporto fra la parte motrice della nave e le sezioni di poppa e di prua non motrici in modo da mettere in relazione i dati empirici a nostra disposizione e quanto dipinto nell’affresco 3. addizionando le tre sezioni per ottenere la totale lunghezza dello scafo.

Secondo Gillmer42 anche alla base della resa artistica esistono comunque alcune dimensioni di base dello scafo, tutte derivate da una corretta proporzione delle parti, che l’artista ha reso con un convincente grado di realismo. Così, con 21 pagaiatori si può stabilire una lunghezza di ca. 24 m. fuoritutto e ca. 16.2 sulla linea di galleggiamento.

La misura della larghezza dello scafo, ovvero il baglio, che non si può derivare dalle pitture in quanto mancanti completamente della terza dimensione relativa alla profondità di campo, può però essere desunta empiricamente sulla base delle conoscenze di proporzioni convenzionali, secondo un rapporto pari all’incirca 1/3 della lunghezza dello scafo. Sulla base di confronti che comprendono varie tipologie di imbarcazioni databili nel periodo contemporaneo alle imbarcazioni di Thera (quali

41 Marinatos S., 1974B 42 Gillmer T.C., 1989, pg. 132

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modellini funerari di imbarcazioni egizie, navi funerarie etc.), Gillmer43 stabilisce che il baglio dovrebbe avere una misura di 4,2 m. alla linea di galleggiamento e di 5 m. al baglio massimo. Infine, l’ultima dimensione essenziale per determinare la morfologia dello scafo, ovvero il pescaggio delle imbarcazioni, non può essere determinato sulla base degli affreschi: la principale difficoltà deriva dal fatto che l’artista ha dipinto tutto lo scafo (opera morta e opera viva) senza una netta distinzione tra le parti. Le imbarcazioni paiono piuttosto galleggiare sul livello dell’acqua, che no risulta intuibile se non ipotizzandolo dalla posizione dei pagaiatori curvi sul capodibanda per immergere le pagaie in acqua.

Procedendo quindi con questi parametri ed applicandoli, ad esempio alla Nave Ammiraglia della parete sud ( cat. n. S5), sempre secondo Gillmer, si ottengono le seguenti misure:

lunghezza fuori tutto = 24 m.

lunghezza al galleggiamento = 16.2 m. pescaggio: 1m.

baglio massimo: 5 m.

baglio al galleggiamento: 4,2 m. altezza del dritto di poppa: ca. 3,5 m. altezza dell’albero: 9.6 m.

superficie velica: 61,5 mq. stazza: 24 ton.

Per Giesecke44, che utilizza come base la misura dell’interscalmium vitruviano sommandovi circa 2 m. per permettere i movimenti del timoniere e ca. 8 m. per la struttura a poppa, le imbarcazioni dovevano raggiungere una dimensione di ca. 35 m. fuoritutto. Il baglio, in questo caso stabilito su ca. 4 m., viene ottenuto sommando lo spazio necessario ai banchi dei rematori (su base empirica ca. 1,3 m. per lato), lo spazio necessario per il passaggio a centro nave e lo spazio utile alla manovra

43 Gillmer T.C., 1989, pg. 132 44 Giesecke H., 1983 pg. 136

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del remo. Si calcola che in totale le imbarcazioni più grandi potessero accogliere fino a 100 passeggeri, comodamente seduti nelle cabine aperte.

I risultati di Gillmer sono stati duramente criticati da Philippson - Lambrou45: confutando i calcoli di Gillmer, la studiosa ritiene infatti che la lunghezza totale della Nave Ammiraglia sia più prossima ai 44 m. piuttosto che ai 24 m. ipotizzati da Gillmer.

Anche Wedde, impostando l’analisi delle dimensioni dello scafo su rigide proporzioni matematiche e calcolando che la parte motrice occupasse il 46% della lunghezza dell’imbarcazione, ottiene delle misure molto maggiori per gli scafi dell’Affresco Miniaturistico. Per l’imbarcazione cat. n. S5, la cosiddetta Nave Ammiraglia, Wedde presume infatti una lunghezza fuori tutto di ben 35m.46, molto maggiore, quindi, di quanto avesse supposto Gillmer, mentre per cat. n. S2 e S3 la misura ottenuta supererebbe comunque i 34 m. L’imbarcazione cat. n. S4 è troppo danneggiata per permettere ipotesi di misurazione: tutta la parte motrice è perduta tranne le braccia di 4 pagaiatori; la stessa situazione frammentaria si pone per cat. n. S4, S6, S7. In quest’ultimo caso però Wedde, tentando di colmare le lacune tramite un confronto con le altre navi dell’Affresco meglio conservate, ritiene che la lunghezza della nave debba essere di ca. 33 m.47 fuori tutto.

La piccola imbarcazione a remi cat. n. S1, applicando per intero il concetto dell’interscalmium vitruviano dovrebbe avere una lunghezza di ca. 10 m. fuori tutto; per analogia con S1 anche le piccole imbarcazioni cat. n. S10 e S11, che paiono come ancorate nei pressi della città di arrivo, poiché non hanno indicati né rematori né pagaiatori, secondo Wedde dovrebbero assestarsi su una dimensione di ca. 10 m. fuori tutto.

Concludendo, per le grandi imbarcazioni della parete sud e che presentano lo scafo dipinto di bianco (ovvero cat. n. S2, S3, S4, S5, S6, S7, S8) Wedde ritiene che esse fossero state progettate tutte su di un modello - base che variava fra i 31 ed i 35 m. di lunghezza fuori tutto, mentre le altre

45 Philippson – Lambrou C., 1991, pp. 359 - 360 46 Wedde M., 2000, pg. 102

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imbarcazioni più piccole (ovvero cat. n. S1, S10, S11), contraddistinte da uno scafo marrone, dovrebbero assestarsi su un modello- base intorno ai 10 m. fuori tutto.

Una nota a parte richiedono le imbarcazioni della parete Nord: in questo caso la conservazione estremamente frammentaria non permette una definizione dello scafo attendibile, tranne per l’imbarcazione cat. n. N6. Per quest’ultima tutta la parte anteriore è ben conservata, oltre all’indicazione di diversi remi raffigurati incrociati, forse ad indicare che l'imbarcazione stessa è ferma. La forma dello scafo è paragonabile a quella di cat. n. S1, ed è ipotizzabile anche in questo caso una misura di ca. 10 m. fuori tutto.

Comparando queste misure con altre conosciute di imbarcazioni storiche, si desume che le imbarcazioni di Thera erano di una stazza leggera, arrivando ad avere prestazioni in velocità pari a quelle di attuali barche da regata48.

Riassumendo le varie posizioni si ottiene la seguente tabella:

Autore Lunghezza Larghezza Pescaggio

Gillmer m. 24 m. 3.7 m. 1.9

Giesecke m. 35 m. 4.0 m. 2.3

Gifford49 m. 17.6 m. 2.6 m. 1.4

Wedde m. 31-35

Lambrou - Philippson m. 44

2.4 LA TECNICA COSTRUTTIVA DELLO SCAFO

Come più volte sottolineato, non abbiamo alcuna evidenza delle tecniche di costruzione utilizzate dai maestri d'ascia egei durante il secondo millennio; non conosciamo nessuno scafo che possa appartenere con ragionevolezza a un relitto dell'età del Bronzo egea nel Mediterraneo. Per questo

48 Gillmer T.C., 1989, pg. 133 49 Gifford E. e J., 1997, pg. 199

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motivo l’aspetto strutturale non può che essere desunto da fonti sussidiarie, tra cui un ruolo di primaria importanza ancora una volta è ricoperto dagli affreschi della West House.

Nell'analizzare le principali questioni inerenti alla costruzione e la struttura dello scafo si pongono essenzialmente due problematiche, ovvero in primo luogo come gli elementi strutturali fossero uniti tra di loro ed in secondo luogo come lo scafo venisse rafforzato, ossia se a tale scopo fossero previsti la chiglia e le ordinate. Questi ultimi due elementi infatti costituiscono la vera struttura portante delle imbarcazioni tradizionali in legno, rafforzandole contro il pericolo di collasso dovuto alle continue sollecitazioni a cui lo scafo è soggetto durante la navigazione.

Per comprendere al meglio la struttura dello scafo, è indispensabile sottolineare che lo scheletro di una imbarcazione tradizionale in legno è composto innanzitutto da un lungo e robusto elemento centrale chiamato chiglia, che rappresenta la spina dorsale dello scafo stesso e dalle ordinate che, partendo dalla chiglia stessa si allungano nelle fiancate andando a costituire le costole dell'imbarcazione. Nella prima fase costruttiva le ordinate vengono tenute insieme dalle forme, lunghe e sottili assi in legno che successivamente verranno eliminate e sostituite con le tavole del fasciame, che costituirà il guscio esterno dell'imbarcazione. Questa tecnica antica ed ancora in uso per la costruzione tradizionale di imbarcazioni in legno è chiamata “skeleton first” o “a scheletro portante”, ovvero una tecnica che vede prima la costruzione della struttura portante dell'imbarcazione come fosse uno “scheletro” a cui vengono sovrapposte via via le altre parti della struttura come copertura del ponte ed alberatura.

Tuttavia, nei relitti mediterranei scavati è stato dimostrato come questa tecnica non fosse affatto alla base delle costruzioni navali più antiche, ma anzi si utilizzasse una sequenza costruttiva esattamente opposta, chiamata “shell-first” o “a fasciame portante”. In questa tecnica i corsi di fasciame, adeguatamente piegati ed adattati, erano installati prima delle ordinate, garantendo allo scafo sia la sua forma caratteristica sia la robustezza necessaria.

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Nella tecnica “shell first” le tavole che poi andavano a costituire i fianchi della nave potevano essere tenute assieme tra loro con differenti tecniche di assemblaggio.

Già dal III millennio gli Egiziani avevano iniziato a costruire imbarcazioni utilizzando tavole di legno tenute assieme con la tecnica della “cucitura”, ovvero tramite una vera e propria legatura del fasciame tramite sagole vegetali. La tecnica è ben attestata e ne è un magnifico esempio la famosa barca solare del faraone Cheope risalente a ca. 2650 a.C., scoperta accanto alla grande piramide di Cheope nella piana di Giza in un ripostiglio appositamente realizzato.

Nelle imbarcazioni destinate al mare aperto, tuttavia, le sollecitazioni di onde e mare erano indubbiamente eccessive per l’utilizzo di legature e i maestri d’ascia di conseguenza svilupparono una tecnica di assemblaggio che potesse garantire maggiore robustezza alla struttura dello scafo, utilizzando quindi non legature in corda ma un assemblaggio a incastri, nella tecnica cosiddetta a “mortasa e tenone". Questa tecnica consisteva nell’intagliare una serie di piccoli incavi (mortase) in cui venivano incastrate delle linguette ricavate nella tavola a seguire facendola sporgere in parte; per eliminare anche il movimento verticale i tenoni venivano fermati nelle mortase per mezzo di spinotti lignei, ottenendo il bloccaggio del fasciame sia in senso trasversale che in quello longitudinale. Con questo sistema di assemblaggio delle tavole non era necessario alcun tipo di calafataggio, poiché una volta posta in acqua l’imbarcazione, il fasciame si gonfiava naturalmente, creando dei giunti pressoché stagni.

Una prima attestazione della tecnica a mortasa e tenone, in una forma piuttosto embrionale, si ritrova nel relitto di Ulu Burun (datato con la dendrocronologia al 1305 a.C.): alcune parti di scafo preservate sotto i resti del carico di lingotti oxhide che la nave trasportava si sono preservate e hanno rivelato che i tenoni erano scavati abbastanza profondamente da rendere lo scafo piuttosto solido50.

Ancora una volta, però, l’evidenza archeologica non può essere di supporto all’analisi delle navi theree: il relitto di Ulu Burun non solo è databile in un arco temporale successivo alle raffigurazioni 50 Pulak C., 1996; Fitzgerald 1998

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di Thera, ma è anche stato suggerito con buoni argomenti che la sua origine non fosse egea, bensì levantina, presupponendo quindi la possibilità che la struttura delle navi theree potesse essere differente.

S. Wachsmann, in suo interessante articolo51, vista la mancanza di raffronti diretti sulle tecniche di costruzione delle imbarcazioni in legno nel Tardo Bronzo in ambito egeo, ritiene che le tecniche di carpenteria sviluppate per erigere gli edifici minoici e cicladici possano essere un buon supporto nella comprensione delle tecnologie disponibili nel T.M. I. Gli scavi di Knossos hanno dimostrato che tasselli e morsetti di legno erano ben conosciuti; le mortase, tonde o quadrate, intagliate nei blocchi da costruzione non erano altro che alloggi per tenoni di legno. Quest’ultima tecnica in particolare, comparsa già nel MM IB, era comunemente utilizzata per l’alloggiamento dei davanzali delle finestre.

Anche a Thera gli scavi hanno fornito notevoli informazioni delle tecniche di carpenteria utilizzate: asticelle di legno dello spessore di 3-7 cm. erano poste trasversalmente a rinforzo delle travi dei pavimenti, pioli di legno sono attestati nella costruzione della stessa West House52 e il calco in gesso di un letto in legno reca tracce di almeno un incastro a mortasa e tenone53.

Stando a questi confronti che attestano come la lavorazione del legno avesse raggiunto notevoli livelli di specializzazione, è possibile che anche la carpenteria navale fosse sufficientemente sviluppata da utilizzare la tecnica di assemblaggio basata su mortasa e tenone per la costruzione anche di scafi di notevoli dimensioni, come possono essere quelli rappresentati dalle navi di Thera. Al contrario di questa ipotesi Gillmer54 ritiene molto più plausibile che i corsi del fasciame fossero tenuti assieme da cuciture realizzate con un cordino in fibre vegetali, tecnica già ampiamente in uso in Egitto, come già visto, a partire del Regno Antico (2920-2150 a.C.), piuttosto che da mortasa e tenone.

51 Wachsmann S., 2000, pp. 806-807 52 Marinatos S. 1974, pg. 23, pl. 41 a-c 53 Marinatos S. 1971, pp. 41-42, pls 34b-37 54 Gillmer T. C., 1985, pg. 405

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Tuttavia, considerando che le navi sono raffigurate in piena navigazione, seppure in un contesto costiero, soggette quindi alle particolari sollecitazioni del mare, del vento e delle correnti, e considerando inoltre la loro notevole stazza, ritengo più plausibile che fosse utilizzata la tecnica a mortasa e tenone nell’assemblaggio del fasciame, tecnica che garantiva una maggiore tenuta e stabilità della struttura. Naturalmente questa affermazione è soggetta a tutte le difficoltà interpretative più volte sottolineate ed inoltre non si può escludere che le navi di Thera rappresentino un regionalismo all’interno del mondo egeo, teoria già sostenuta da Wedde55, e che quindi sia la forma dello scafo sia le differenti soluzioni tecniche che ad esso attengono, siano una specifica soluzione tecnica isolana, con caratteristiche e specificità locali.

2.5 LA CHIGLIA

Un’imbarcazione che debba affrontare il mare richiede una struttura dello scafo solida che sappia resistere alle varie sollecitazioni fisiche che si creano in navigazione, sia a causa del moto ondoso che a causa del peso e dell’accelerazione della nave stessa.

Per rafforzare internamente lo scafo, in modo da conferire resistenza all’intera struttura, viene utilizzata la chiglia, ovvero una trave disposta orizzontalmente per tutta la lunghezza della nave, formata da più pezzi, uniti tra loro ad incastro. La chiglia rappresenta l’elemento principale dello scheletro della nave, che ha lo scopo fondamentale di disperdere le forze che agiscono sullo scafo, scaricandole attraverso le ordinate, il paramezzale e vari altri elementi. In Egitto, dove la chiglia non era utilizzata, per rafforzare lo scafo si utilizzava un sistema di tiranti in cui un cavo era tirato da poppa a prua lungo tutta la lunghezza dello scafo, ben sollevato al di sopra del livello del ponte da una serie di aste biforcate e tenuto tirato ruotandolo fino ad ottenere il grado di tensione desiderato.

Nelle imbarcazioni dell’Affresco Miniaturistico, nonostante il dettaglio di realizzazione artistica, non si rileva nessun particolare iconografico riconducibile alla presenza della chiglia.

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Anche a questo riguardo, quindi, le posizioni interpretative sono state le più disparate. Gillmer56 sostiene che non si può parlare di una chiglia vera e propria in questo periodo, ma piuttosto di una proto-chiglia creata nella parte interna dello scafo tramite una serie di travetti posti tra il fondo dello scafo più robusto e la piattaforma del ponte. Wedde57, affrontando la questione con una veduta più generale, parla dell’indubbia necessità di un elemento centrale dello scafo, sia essa una chiglia nel senso stretto del termine o piuttosto di una tavola ottenuta lavorando il legno come per la realizzazione di una canoa e propende in favore della chiglia apportando una serie di esempi della Tarda età del Bronzo.

Giesecke58 sostiene decisamente la teoria della presenza della chiglia, senza la quale mancherebbe il sostegno necessario all’albero e al castello di prua; senza una solida costruzione della chiglia, con relativi torelli e paramezzali, l’imbarcazione non avrebbe potuto sopportare la forza inferta dai rematori né il peso delle attrezzature.

Gifford59, portando ad esempio l’imbarcazione raffigurata su di un sigillo di agata proveniente da Archanes in cui è più chiaramente visibile il fondo, ritiene che lo scafo non avesse fondo piatto ma una forma a V non molto pronunciata, struttura che parrebbe confermata anche dall’angolatura dei torelli del relitto di Ulu Burun.

Questo relitto presenta infatti una chiglia rudimentale, con una sporgenza di pochi centimetri, forse più una piattaforma che una vera e propria chiglia60, così come suggerito da Wedde anche per le nave theree. A confronto però delle navi theree la nave di Ulu Burun era notevolmente più piccola, sfiorando probabilmente i 15-16 m. contro i 24 m. minimi o 31-35 m. (a seconda delle interpretazioni) delle imbarcazioni più grandi di Thera. Se a ciò si aggiunge che le navi dell’affresco Miniaturistico appaiono in piena navigazione, seppure non in mare aperto, e se si considera la velocità che la probabile dotazione velica permetteva loro di sostenere, la scrivente ritiene 56 Gillmer T. C., 1975, pg. 325

57 Wedde M., 2000, pg. 118 58 Giesecke H., 1983, pg. 136 59 Gifford E. e J., 1997, pg. 199

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improbabile che lo scafo potesse resistere alle forze che lo sollecitavano senza una sorta di chiglia, anche nella forma di protochiglia come attestato dal relitto di Ulu Burun. Chiaramente queste osservazioni, fino a che non si avranno dei comparanda provenienti da relitti contemporanei agli affreschi, rimangono nel puro campo delle possibilità.

2.6 LA STRUTTURA DEL PONTE

Come accade per altre parti dello scafo, la presenza di un ponte come parte essenziale dell’architettura navale nell’età del Bronzo non può essere stabilita con certezza sulla base delle rappresentazioni a nostra disposizione. Nella maggior parte dei casi le immagini sono ridotte a sottili silhouettes ed il ponte può essere a sua volta talmente stilizzato da essere ridotto ad una semplice linea, poiché l’artista non è in grado di riprodurre la profondità, facendo venir meno ogni possibile riferimento alla terza dimensione dello scafo. Una semplice linea, in questo modo, non risulta sufficientemente informativa sull’esistenza o meno del ponte, oppure se, nelle sue numerose varianti, esso corresse da poppa a prua o coprisse solo parzialmente lo scafo, se l’imbarcazione avesse semplici passerelle sulle fiancate o piccoli rialzi semplicemente attorno alla base dell’albero. Notizie dell’esistenza di un ponte si hanno con certezza almeno a partire dal TM -TE come nota giustamente Wedde, una struttura simile al ponte è incontrovertibilmente visibile61in almeno 5 casi nel vasto corpus delle imbarcazioni egee, fra cui il più significativo è senza dubbio il modellino di imbarcazione proveniente dal Piazzale dei Sacelli ad Haghia Triada62: il modellino, databile al TM IIIC, e quindi successivo all’Affresco Miniaturistico, presenta un ponte ben definito, che corre dal piede d’albero fino alla poppa, abbracciando da una fiancata all’altra l’intera larghezza dello scafo. Sono chiaramente indicati anche i banchi per i rematori, che si sviluppano partendo appena al di sotto del capodibanda.

61 Wedde M., 2000, pg. 111 62 Laviosa C. 1969-1970, pp. 27-28

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